Fra i sette peccati capitali, ce n’è uno per il quale gli abitanti di
Roma, sia antichi che odierni , sono sempre stati famosi: il peccato di
gola.
Una delle piazze romane associata per diversi secoli alle
cibarie, agli intingoli e alle più svariate leccornie era quella della
“Ritonna”, cioè la piazza antistante al Pantheon.
Qui in passato
operavano numerose pizzicherie, ovvero quelle botteghe di prodotti
alimentari venduti “a spizzico”, in piccole quantità. Uova, alici, sale,
ma soprattutto formaggi e salumi, per i quali la piazza era rinomata. I
pizzicagnoli non vendevano la loro merce soltanto all’interno di
salumerie autorizzate, ma l’intero piazzale era regolarmente invaso e
occupato da bancarelle, capannoni, baracchini ambulanti ,una sorta di
caotico mercato all’aperto.
In periodo pasquale le salumerie
allestivano anche delle barocche esposizioni, spettacolari paesaggi e
scenografie create col cibo in modo da impressionare la folla con la
loro opulenza. Ecco allora che in piazza cominciava una sorta di gara a
costruire la più elaborata scultura di affettati, salsicce e formaggi.
La tradizione delle cornucopie di cibo continuò fino a tempi recenti.
Ma non tutti amavano quelle bancarelle e quelle botteghe; di fatto le
autorità tornarono ciclicamente, già a partire dal 1400 e poi più volte
nel corso dei secoli, a sgombrare la piazza con vari decreti e
ingiunzioni.
Uno di questi episodi di ristabilimento del decoro ha
lasciato traccia in una targa commemorativa risalente al 1823 ed esposta
sul muro del civico 14 in Piazza della Rotonda, l’edificio proprio
dirimpetto al Pantheon..
Tra tutti i salumieri che operavano in
questa zona, erano quelli originari di Norcia ad avere fama di macellai
provetti, tanto che era un comune insulto quello di augurare
all’avversario di finire “castrato da un norcino della Rotonda”.
E
proprio su Piazza della Rotonda operavano nel 1638 due norcini, marito e
moglie, le cui salsicce erano le più buone di tutte.Da tutti quartieri
della città la gente accorreva a comprarle: erano perfino troppo sublimi
e prelibate..
Così cominciò a spargersi la voce che la coppia di
macellai nascondesse un segreto. Cosa mettevano nelle salsicce, per
renderle così gustose? E come mai qualcuno giurava di aver visto dei
clienti bene in carne, paffuti e rotondetti, entrare nella bottega e non
farne più ritorno?
La diceria giunse infine alle orecchie del
capitano di giustizia, il quale avviò un’indagine e durante le
perquisizioni furono effettivamente trovate delle ossa umane nello
scantinato della macelleria.
Il Papa Urbano VIII, al secolo Maffeo
Vincenzo Barberini, condannò a morte i due norcini proprio davanti al
Pantheon: vennero uccisi, sgozzati e squartati con l’ascia da un altro
sopraffino maestro nell’arte della macelleria, il boia pontificio.
Questa è la storia che si racconta, e che rimase viva nella memoria dei
romani. L’immaginario venne talmente impressionato dal fattaccio, che
ancora nel 1905 esso rispuntava di tanto in tanto nelle poesie
vernacolari..
Cercando verifiche nelle cronache giudiziarie del
tempo,si trova un unico accenno alla vicenda dei norcini cannibali in
un testo del 1883 di David Silvagni, che al riguardo cita però alcuni
fascicoli manoscritti dell’abate Benedetti:
"Tali fascicoli portano
il titolo di Fatti antichi avvenuti in Roma, e riguardano la storia dei
più famosi misfatti e delle più celebri giustizie, cominciando dal
processo dei Cenci, del quale ve ne è un’altra copia più antica ma
identica. Ed è importante leggere questi fedeli racconti di fatti atroci
e di più atroci giustizie che dallo scrittore vengono narrati colla
stessa calma e semplicità colla quale oggi il cronista d’un giornale
annuncerebbe una rappresentazione al teatro. E tanta è la riserva che
sembra essersi imposto il diarista, che non si trova una parola di
indignazione neppure nel racconto più sanguinoso che si rinvenga nei
manoscritti. Difatti con tutta calma è narrata la «esecuzione di
giustizia comandata da Papa Urbano VIII l’anno 1638 eseguita nella
piazza della Rotonda, nella quale furono accoppati, scannati e squartati
due empî scellerati norcini che condivano la carne porcina con la carne
umana».
D. Silvagni, La corte e la società romana
nei secoli XVIII e XIX (Vol II p. 96-98, 1883)
giovedì 26 settembre 2019
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