venerdì 25 giugno 2021

Ignazio di Loyola ebbe intensi legami con gli Alumbradosbraio

Il sole 24 ore: "Ignazio di Loyola ebbe intensi legami con gli Alumbrados"



Pescando tra la gran quantità di articoli che pubblica una grossa testata come il Sole 24 Ore, talvolta ci si imbatte in notizie molto interessanti (poche), che diventano rivelatorie solo se si è studiato seriamente la storia (assai di rado). Tra queste notizie dobbiamo annoverare l’articolo di Massimo Firpo dal titolo Quegli eretici dei gesuiti, datato 18 dicembre 2011. In questo articolo si discute dell’affiliazione agli Alumbrados spagnoli di Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti. Avevamo già parlato della probabile affiliazione di Loyola agli Alumbrados in questo articolo, in cui si discutevano le affermazioni di Rivera, secondo cui Loyola fu il fondatore degli Illuminati. Nello stesso articolo riportammo anche una citazione tratta dall’Enciclopedia Treccani, che, sotto la voce Alumbrados, riporta le accuse verso Sant’Ignazio da parte dell’Inquisizione Spagnola:

"Alumbrados Seguaci di un indirizzo mistico che univa a vecchi motivi ereticali l’influenza dell’umanesimo erasmiano, presenti in Spagna tra il 16° e il 17° secolo. Sostenevano di essere giunti a contemplare l’essenza stessa di Dio per immediata illuminazione dello Spirito Santo e di essere divenuti per questo impeccabili, nel senso che qualunque atto – anche se gravissimo – non era loro imputabile come colpa. L’Inquisizione spagnola (soprattutto nelle diocesi di Toledo e Siviglia) accusò di appartenere agli A. perfino persone di pura vita contemplativa come s. Ignazio di Loyola, s. Giovanni della Croce, s. Teresa d’Ávila e s. Giuseppe Calasanzio. " [Il grassetto è nostro]

Questa setta con abiti gesuitici, secondo la quale "qualunque atto – anche se gravissimo – non era loro imputabile come colpa", pare essere sopravissuta fino ai nostri giorni; giorni in cui si festeggia l’apice del loro potere; giorni in cui anche un giornale come Il Corriere della Sera afferma che "ai vertici dell’Europa c’è una «Internazionale gesuita»". 

Nell’articolo del Sole 24 Ore, l’autore afferma che "non v’è dubbio che tra quei nuovi ordini religiosi il maggior successo abbia arriso ai gesuiti, ancor oggi autorevole congregazione diffusa in ogni parte del mondo"; lo stesso poi ripercorre le "gloriose" gesta dell’Ordine; e si sofferma sull’affiliazione di Loyola agli Alumbrados, partendo dagli studi di Guido Mongini, Dottore di ricerca in storia religiosa all’Università di Torino:

"Senza lasciarsi intrappolare nei luoghi comuni di una storiografia tenacemente apologetica, Mongini indaga con finezza nelle pieghe di quell’identità originaria, segnata in profondità dalle matrici eterodosse dell’alumbradismo spagnolo, evidenti del resto nelle diffidenze, nei sospetti, nelle esplicite accuse di cui lo stesso sant’Ignazio fu fatto segno, tanto da essere per ben otto volte processato dall’Inquisizione in Spagna, in Francia e in Italia. Un illustre teologo domenicano giunse a denunciare lui e i suoi seguaci come precursori dell’Anticristo.

[…]  
Di qui i comportamenti cauti, sfuggenti e talora ambigui, all’esterno come all’interno di un ordine fortemente gerarchico, fondati sulle strategie di esoterico gradualismo apprese alla scuola degli alumbrados spagnoli (con i quali sant’Ignazio ebbe intensi legami) e diventati nella prassi e nel linguaggio stesso dei primi gesuiti «el nuestro modo de hablar» (soprattutto su questioni teologiche), «el nuestro modo de proceder», mai definiti, ma evidentemente ben noti – nelle forme come nei contenuti – a coloro (non tutti) che fossero stati iniziati a quei riposti contenuti dottrinali e agli obiettivi che essi si prefiggevano («cosas secretas»). E diventati anche prassi pedagogica rivolta agli stessi laici, come risulta dalla fine lettura qui proposta degli Esercizi spirituali ignaziani, non a caso condannati dai domenicani spagnoli, e degli esiti di lungo periodo delle "strategie di dissimulazione" dei gesuiti, nella loro capacità di adeguarsi ai riti cinesi o nella miriade di esperienze mistiche femminili che trovarono in essi i loro direttori spirituali." [Il grassetto è nostro]

Se volete vedere con i vostri occhi in che misura l’odierna simbologia "massonica" degli "Illuminati" sia in realtà riconducibile ai Gesuiti-alumbrados leggete l’articolo L’Occhio Che Tutto Vede dei Gesuiti, precedentemente pubblicato su questo blog, in cui si rivelano le origini gesuitiche dell’occhio onnivveggente degli "Illuminati".

Qui sotto l’articolo completo de Il Sole 24 Ore

Quegli eretici dei gesuiti 

Il Sole 24 Ore 

18 dicembre 2011 

di Massimo Firpo


Numerosi furono i nuovi ordini religiosi scaturiti dalla tragica crisi vissuta nel ‘500 dalla Chiesa di Roma, sprofondata in età rinascimentale in abissi di corruzione morale, di simonia, di assenteismo pastorale, e al tempo stesso sfidata sul terreno religioso e teologico dall’insorgere di sempre nuove ondate della Riforma protestante – luterana, anglicana, calvinista – e delle sette radicali. I gesuiti, i teatini, i barnabiti, i somaschi furono solo i primi tra i nuovi ordini di chierici regolari che di quella crisi furono al tempo stesso un segnale e una reazione, prima che i conflitti politici europei e le ambizioni nepotistiche dei papi Medici e Farnese consentissero di inaugurare il concilio di Trento.  
Non v’è dubbio che tra quei nuovi ordini religiosi il maggior successo abbia arriso ai gesuiti, ancor oggi autorevole congregazione diffusa in ogni parte del mondo, anche se in anni recenti una serie di più o meno evidenti conflitti con i vertici della curia romana ne hanno appannato l’immagine di fedelissime truppe scelte al servizio del papa, in virtù dello speciale voto di obbedienza da essi prestato e del loro impegno a ottemperare perinde ac cadaver agli ordini dei superiori. Una disciplina ferrea, insomma, che avrebbe consentito la mirabile crescita di un ordine capace di far propria la cultura umanistica per piegarla alle esigenze controriformistiche; di dar vita ai più aggiornati collegi per la formazione delle classi dirigenti europee; di schierarsi in prima fila in difesa della fede cattolica (gesuita fu san Roberto Bellarmino, l’autore delle immani Controversiae contro i protestanti e inquisitore di Galileo); di diffondersi negli sconfinati territori dell’America e dell’Asia aperti dai viaggi di conquista, dove seppe compiere uno straordinario sforzo di conoscenza delle culture locali e di adeguamento alle loro pratiche sociali e finanche religiose; di dedicarsi con ardore alla riconquista del popolo cristiano nelle miserabili campagne solo superficialmente cristianizzate (le «Indie di casa nostra»); di conquistare le coscienze dei principi attraverso il confessionale e la guida delle anime con gli esercizi spirituali.  
Successi grandiosi, insomma, che una storiografia gesuitica militante ha ricostruito come frutto del carisma del fondatore, muovendo dalle origini di quello sparuto gruppetto di seguaci di sant’Ignazio, il rozzo soldataccio passato attraverso la luce della conversione e poi gli studi ad Alcalá, a Salamanca, a Parigi, per trasferirsi poi a Venezia in pellegrinaggio verso la Terra santa e trovarsi invece a Roma e vedere la piccola Societas Iesu trasformarsi in un nuovo ordine religioso nel 1540, fondare collegi, mandare ovunque predicatori, aprire nuove case, fronteggiare le migliaia di domande di giovani ansiosi di farsi martirizzare da ignoti indios americani o di convertire alla fede di Cristo i raffinati mandarini cinesi o gli ascetici seguaci delle religioni indiane. 

Ed è proprio su questa prima generazione di gesuiti che si appunta lo sguardo di Guido Mongini, che penetra con grande intelligenza nel poco che resta delle fonti più antiche, per metterne in luce contraddizioni, reticenze, omissioni, vere e proprie censure sulla vita di sant’Ignazio e soprattutto sull’ispirazione religiosa di quei nuovi soldati di Cristo, e cogliere invece tra le screpolature della documentazione le tracce superstiti di un’identità peculiare. Senza lasciarsi intrappolare nei luoghi comuni di una storiografia tenacemente apologetica, Mongini indaga con finezza nelle pieghe di quell’identità originaria, segnata in profondità dalle matrici eterodosse dell’alumbradismo spagnolo, evidenti del resto nelle diffidenze, nei sospetti, nelle esplicite accuse di cui lo stesso sant’Ignazio fu fatto segno, tanto da essere per ben otto volte processato dall’Inquisizione in Spagna, in Francia e in Italia. Un illustre teologo domenicano giunse a denunciare lui e i suoi seguaci come precursori dell’Anticristo. Persecuciones, diranno i gesuiti, e come tali segni della speciale grazia e investitura divina del fondatore, vero e proprio novello Cristo o san Paolo intorno al quale si era raccolta la piccola comunità dei suoi primi discepoli, 12 come gli apostoli, protesi a restaurare il modello della Chiesa primitiva, che in quanto tale sfidava implicitamente la Chiesa di Roma, così lontana e diversa da quella di Gerusalemme, destando da un lato quei sospetti e quelle diffidenze e legittimando dall’altro le prudenze, i silenzi, le autocensure della giovane congregazione, che ne ispirarono sia la ricostruzione del passato sia l’azione nel presente.


Di qui i comportamenti cauti, sfuggenti e talora ambigui, all’esterno come all’interno di un ordine fortemente gerarchico, fondati sulle strategie di esoterico gradualismo apprese alla scuola degli alumbrados spagnoli (con i quali sant’Ignazio ebbe intensi legami) e diventati nella prassi e nel linguaggio stesso dei primi gesuiti «el nuestro modo de hablar» (soprattutto su questioni teologiche), «el nuestro modo de proceder», mai definiti, ma evidentemente ben noti – nelle forme come nei contenuti – a coloro (non tutti) che fossero stati iniziati a quei riposti contenuti dottrinali e agli obiettivi che essi si prefiggevano («cosas secretas»). E diventati anche prassi pedagogica rivolta agli stessi laici, come risulta dalla fine lettura qui proposta degli Esercizi spirituali ignaziani, non a caso condannati dai domenicani spagnoli, e degli esiti di lungo periodo delle "strategie di dissimulazione" dei gesuiti, nella loro capacità di adeguarsi ai riti cinesi o nella miriade di esperienze mistiche femminili che trovarono in essi i loro direttori spirituali. 

Link articolo originale: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-12-18/quegli-eretici-gesuiti-081737.shtml?uuid=AaaBkKVE&fromSearch

 

martedì 22 giugno 2021

Villa del Liberto Faonte

Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto e monumento
Tra le numerose ville della zona montesacrina degna di attenzione è quella del liberto Faonte. Durante gli scavi nel sito venne alla luce un'urna funeraria con incisa un'iscrizione dedicata a Claudia Egloge.
Essa era stata la nutrice di Nerone ed insieme ad Atte aveva raccolto i resti dell'imperatore per poi collocarli nella tomba dei Domizi. Questa villa secondo alcuni studiosi , deve essere identificata con la villa di Faonte. Al riguardo Svetonio ci informa che questo liberto consigliò a Nerone di rifugiarsi nella sua villa per sfuggire all'ira dei partigiani di Galba. Sopraggiunti questi ultimi, Nerone decise di suicidarsi conficcandosi un pugnale in gola, aiutato da Epafrodido. Da Svetonio apprendiamo che il sito si trovava tra la via Nomentana e la Salaria e con precisione, secondo l'identificazione effettuata dagli archeologi, in via Passo del Turchino. La villa doveva essere di grandi dimensioni ed era suddivisa in due sezioni: una rustica e l'altra abitativa ed ad essa era annessa una grande cisterna i cui resti sono ancora visibili alla fine di una strada senza uscita chiamata via Passo del Turchino (traversa di via delle Vigne Nuove).

Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto e monumento

lunedì 21 giugno 2021

Quello che rimane del culto di Iside a Roma

Potrebbe essere un'immagine raffigurante monumento e attività all'aperto
La statua colossale di Iside nel Rione Pigna a Roma.
Nel 380 l'imperatore iberico Teodosio emana l'editto di Tessalonica e il Cristianesimo diventa unico culto ufficiale dell'Impero Romano. Da quel momento tutte le statue di imperatori e divinità pagane vengono distrutte come fanno i Talebani con le statue colossali del Siddhartha Gautama.
Del grandioso tempio di Iside e Serapide, costruito a Roma all'epoca di Domiziano, esistono molti interessanti reperti. Tra questi c'è un curioso piede, attribuito a Iside che si trova per strada nella via di Santo Stefano del Cacco (del Macaco in romanesco, per una scultura del Dio Thot, attualmente ai Musei Vaticani), o meglio nota come Via del piè di marmo. Inoltre vi è la parte superiore di una colossale scultura, sempre ritenuta di Iside, come il piede di marmo, unica e straordinaria statua

Potrebbe essere un'immagine raffigurante monumento e attività all'aperto
parlante femminile (come Pasquino), chiamata dai Romani "Madama Lucrezia". Infine abbiamo due obelischi: il primo si trova nell'anfiteatro del Giardino di Boboli a Firenze, il secondo obelisco pare

Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto e monumento che sia quello di fronte al Palazzo Ducale di Urbino

sabato 12 giugno 2021

Le mutazioni

 

Potrebbe essere un'illustrazione"Ogni metamorfosi è preannunciata dalla chiusura in un bozzolo, da una condizione di stasi e morte apparente: solo chi sa attendere può confidare nel cambiamento.

Nulla perisce nell’immenso universo
ma ogni cosa cambia e assume un aspetto nuovo."

mercoledì 9 giugno 2021

La campagna toscana

Visitare la Toscana in auto: le più belle strade da scoprire- TuscanyPeople

"La campagna toscana è stata costruita come un'opera d'arte da un popolo raffinato, quello stesso che ordinava nel '400 ai suoi pittori dipinti ed affreschi: è questa la caratteristica, il tratto principale calato nel corso dei secoli nel disegno dei campi, nell'architettura delle case toscane. È incredibile come questa gente si sia costruita i suoi paesaggi rurali come se non avesse altra preoccupazione che la bellezza."

Henri Desplanques (1911-1983), geografo francese

venerdì 4 giugno 2021

L'aldilà

La vita dopo la morte: i racconti chi è morto per pochi minuti e poi è  tornato a vivere

Farsi un’idea esperienziale dell’aldilà è impossibile: nessuno, finora almeno, è mai tornato. Riconosco però l’esistenza del mistero. Un mistero che è interno a noi. Ritengo che la divinità in cui credono le religioni che postulano la trascendenza sia una proiezione collettiva di questo mistero immanente. Si può chiamarlo inconscio, come fa la psicoanalisi. Si deve comunque ammettere che esiste un piano di realtà non accessibile alla coscienza, né tanto meno alla ragione. Una cosa è sicura: la nostra ignoranza sapienziale e di limitazione di comprensione.



giovedì 3 giugno 2021

L'EUCARESTIA? UNA TEOFAGIA PAGANA

Nessuna descrizione della foto disponibile.



Il rito dell'eucarestia, durante il quale per le confessioni cristiane ci si ciba del corpo e del sangue di Cristo, è con tutta evidenza una teofagia, termine di origine greca che significa letteralmente "mangiare dio".

Ebbene, non vi poteva e non vi può essere nulla di più blasfemo per la cultura e la religiosità ebraiche. E qui abbiamo subito una contraddizione enorme. Gesù era un Ebreo (perfino per chi ne riconosce la natura anche divina). Un Ebreo che aveva dichiarato di non essere venuto per sovvertire la Legge di Mosè, semmai per completarla. Gli Ebrei avevano orrore per il sangue, avevano cura di eliminarlo dalla carne prima di consumarla, consideravano impure le donne mestruale e quelle che avevano appena partorito, sempre per via del sangue. Era inoltre assolutamente loro estranea l'idea di un dio che si immola ciclicamente, anche solo a livello simbolico. Pertanto Gesù non avrebbe mai potuto istituire l'eucarestia. I suoi seguaci, gli appartenenti alla primitiva chiesa giudaico cristiana di Gerusalemme, non lo avrebbero mai compreso e seguito.

Al contrario l'idea teofagica era presente nel mondo pagano, soprattutto nell'underground (permettetemi questa "licenza") dei CULTI MISTERICI.

I seguaci greci ed ellenisti di DIONISO assumendo grandi quantità di vino erano convinti di assorbirne in qualche modo l'essenza, di "portare" la divinità dentro di loro.

All'interno della piramide di UNIS, re egizio della V dinastia, a Saqqara, possiamo leggere il c.d. INNO CANNIBALE che riporto di seguito:

Unis è colui che mangia gli uomini, si nutre degli dei. Unis mangia la loro magia, inghiotte i loro spiriti: i loro grandi per il pasto mattutino, i loro mezzani per il pasto serale, i loro piccoli per il pasto mattutino, e gli uomini e le donne più vecchi per avere energia. Perché Unis è sorto ancora nel cielo, egli è incoronato Signore dell’orizzonte. Egli ha fracassato vertebre e spine dorsali. Egli ha strappato i cuori degli dei. Egli ha mangiato la Corona Rossa e inghiottito la Verde. Unis si nutre dei polmoni del saggio, si soddisfa vivendo del suo cuore e della sua magia.

Intendiamoci, è estremamente probabile che si tratti di affermazioni aventi valore simbolico, anche se alcuni studiosi suggeriscono un collegamento con arcaiche pratiche di cannibalismo rituale in cui forse la vittima veniva simbolicamente "caricata" degli attributi divini. Sia come sia, abbiamo la prova di una concezione teofagica già nell'Egitto del III millennio a.e.v. Peraltro tracce di tale concezione le possiamo ritrovare anche nel mito di OSIRIDE e del suo corpo smembrato.

Insomma, ancora una volta il Cristianesimo si conferma come una religione "costruita", in cui sono confluiti elementi provenienti da diversi ambienti culturali. Di certo la storia delle sue origini è molto diversa da ciò che ci veniva raccontato al catechismo. 

Mostra meno

Il mondo magico della sub-materia

Heisenberg aveva ragione | MEDIA INAF

“Gli atomi e le particelle non sono altrettanto reali (come qualsiasi fenomeno della vita quotidiana): essi formano un mondo di potenzialità o possibilità piuttosto che di cose o fatti... Cosa significhino termini quale ‘onda’ o ‘corpuscolo’, non lo sappiamo più.”
Werner Karl Heisenberg

El Babao

.... 𝑉𝑎𝑟𝑑𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑥𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑡𝑒 𝑠𝑖 𝑏𝑜𝑛 𝑐𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑒𝑙 𝑏𝑎𝑏𝑎𝑜.


Potrebbe essere un cartone

Babao (o Barababao), nell’antica Venezia, era un piccolo demonio, sfacciato e spiritoso che amava farsi beffe delle persone, soprattutto delle donne.
Per antonomasia venivano chiamati Babai gli “Inquisitori di Stato”, per la paura che ispirava il loro tribunale (G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia 1867, p. 53)
L’etimologia della parola Babau è incerta. Alcuni ritengono che derivi dall’arabo “Baban”, collegato quindi al timore degli europei per le invasioni dei Saraceni (IX-X secolo); altri sostengono che sia un’onomatopea, che deriva dal raddoppiamento dal latrato del cane o animale simile.
Nei tempi antichi, veniva spesso associato a demoni mostruosi e temibili che comparivano nelle ore notturne.
Il babao veneziano, invece, era una figura più accattivante: si divertiva a nascondere gli oggetti delle donne di casa, come gli aghi, le forbici, le pentole e le chiavi, facendole diventar matte. Quando arrivava l’inverno, invece, si rimpiccioliva sino a potersi nascondere nel loro seno, così da potersi scaldare. Amava poi, come un impenitente voyeur, intrufolarsi di notte nelle camere degli sposi (cfr. Guida ai misteri e segreti di Venezia e del Veneto, Milano 1970, p. 20).
Il Consiglio dei Dieci, d’accordo col Senato e col Maggior Consiglio, istituiva il 28 settembre 1539 la magistratura dei tre Inquisitori per l’esame e la segreta istruttoria del processo contro i delitti di Stato. Ben presto i veneziani paragonarono questa nuova magistratura ai figli di Satana, “anzi chiamandoli, per il terrore che inspiravano, i tre babai; babao essendo il nome finto del diavolo che s’adopra per far paura ai fanciulli” (E. Musatti, Leggende popolari, Milano 1904, p. 34).
Musatti ricorda anche come il nome di questa magistratura, tanto odiata quanto temuta dai veneziani, fu macchiata anche dalla pubblicazione di falsi documenti da parte dello storico Daru, nella sua monumentale “Storia della Repubblica di Venezia” (1834).
In realtà, la tremenda nomea, con cui fu tramandato nei secoli il ricordo di questa magistratura, deriva dall’esagerazione di alcuni scrittori del periodo romantico, in cui la stessa Venezia fu descritta come un labirinto di calli strette e oscure, gondole che scivolavano nella nebbia, spie che tramavano nell’ombra, e magistrature pronte a servirsi di bravi e veleni per eliminare i propri nemici (cfr anche Venezia – Palcoscenico reale e immaginario del cinema).
Dopo il Botta, nella sua Storia d’Italia, e il Romanin, nella Storia documentata di Venezia, anche il Molmenti riscattò la reputazione di questa antica magistratura:
La Repubblica di Venezia morì senza gloria, ma non tra le colpe, i delitti e le abiezioni, di cui fu accusata. Di quali orrende ingiustizie non furono incolpati il Governo veneto, il terribile Consiglio dei Dieci e i non meno terribili Inquisitori, il cui solo nome faceva accapponare la pelle del pubblico dei teatri diurni di mezzo secolo fa ? Dietro al tremendo Tribunale degli Inquisitori di Stato, che, secondo la storia scritta dai romanzieri e dai poeti, giudicava per via sommaria e sopra semplici delazioni anonime, sorge come una cupa fantasmagoria di sale oscure, illuminate appena da torcie gialle, fumiganti, di scale segrete, che scendono ai Pozzi, di tenebrosi sotterranei, di sedie nefande, sulle quali sono strozzati miseri innocenti, di barche mortuarie, dileguantisi fra le ombre spettrali del Canal dei Marrani, dove sono affogate le vittime.
(P. Molmenti, Venezia, Bergamo 1907, p. 117)

LA METEORITE HOBA


La meteorite Hoba è la più grande che sia stata trovata sulla Terra fino ad oggi. Si trova a circa 20 km a ovest di Grootfontein in Namibia ed è precipitato circa 80.000 anni fa: ha una massa di circa 66 tonnellate.
Nel 1920 il suo scopritore rimase bloccato con il suo aratro sulla meteorite, che all'epoca era ricoperta di sabbia. Si stima che la meteorite (area di 2,70 m x 2,20 m e un'altezza di 1 m) abbia un'età compresa tra 200 e 400 milioni di anni. È costituito principalmente da ferro (82%) e nichel (16%) e da alcuni oligoelementi. Il suo nome deriva dalla fattoria Hoba sui monti Otavi.
Credit: CGTN Africa, August 4, 2018


Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto

martedì 1 giugno 2021

I Megaliti sparsi in Europa dalla Sardegna, Carnac ed Inghilterra




Da brava appassionata di archeologia, seguendo delle conferenze sui nuraghe sardi sono rimasta colpita dal fatto che alcune strutture mi ricordavano tanto, ma proprio tanto, altre strutture che vidi molti anni fa in Francia, nella Bretagna megalitica...Menhir, dolmen, capanne circolari....la curiosità di vedere se ci potessero essere "parentele" fra gli antichi sardi e i precelti del continente europeo è scattata subito! Approfondendo la questione ho scoperto una cosa che mi ha molto intrigato: sembra che in effetti esista un legame costituito dalla cosiddetta "cultura del campaniforme" (dal vasellame) , relativa ad una popolazione che viveva in Europa già intorno al 4000ac e sparsa un po' x tutta la Sardegna dal 2700 circa, in epoca pre nuragica (età pre bronzo, detta anche cultura di Monte Claro dai ricchi siti del cagliaritano)... Sorprendentemente affascinante .... Le foto allegate riguardano: la prima serie ( 9 foto) i siti di Locmariaquer e Carnac, nel Morbihan in Bretagna meridionale; la seconda serie il sito di S. Cristina nel Parco di Monte Claro presso Cagliari. Naturalmente alla fine si noterà che non ho resistito all'inserire qualche foto della campagna sarda...solo x la bellezza dei luoghi!!

Di Stefania Nattero