giovedì 29 dicembre 2022

La contemplazione prevista nella società tecnologica moderna

Nel sud del Giappone, paese che ha tanto da insegnarci, lungo il fiume Nishiki, esiste una stazione ferroviaria che non ha entrata, non ha uscita, né biglietteria, né bar o sala d'attesa. I treni, infatti, fermano al fianco della banchina, i passeggeri possono scendere, ma poi non possono andare da nessuna parte e per allontanarsi devono aspettare il convoglio successivo.
Vicino non ci sono attrazioni turistiche, paesi o città, centri commerciali od attrazioni turistiche, il luogo è disabitato e la stazione per noi occidentali potrebbe sembrare del tutto inutile.
La stazione in questione si chiama "Seiryu Miharashi Eki", che si traduce come “piattaforma di vista del fiume”, ed è stata pensata con la sola funzione di ricordare l’importan


za del fermarsi, sia dal punto di vista fisico che mentale. I viaggiatori vi possono sostare per ammirare il panorama, per fare una semplice pausa, per meditare, per godere del silenzio circostante.
Attività, queste, che spesso si dimenticano, soprattutto nelle società della fretta, della produttività, in cui non si può e non si deve avere coscienza di quanto si stia facendo, vivendo, perché si deve solo produrre, produrre, produrre, ed eventualmente consumare.
Ecco, ora converrebbe che, facendo un grande respiro, si capisse che il silenzio e la riflessione in certi momenti sono fondamentali per resistere e per ripartire. Ricordiamocelo. Il tempo della vita è irripetibile, godiamocelo con responsabilità e senza farci schiacciare da consumo, profitto e potere.



martedì 27 dicembre 2022

Un film, in fondo, con l'anima sciamana

Ladyhawke è un film del 1985 diretto da Richard Donner. Seppur la trama nell'edizione italiana voglia richiamare un'ambientazione francese, il film è stato girato quasi interamente in Italia, nelle province di Cremona, Parma, Piacenza e Massa Carrara, nei boschi del Pontremolese (la troupe soggiornò per alcune settimane in un noto hotel di Pontremoli, ormai chiuso) nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, a Pereto (nella Marsica), a Campo Imperatore (in provincia dell'Aquila), dove il falco viene ferito, al Passo Giau (in provincia di Belluno, tra la Valle d'Ampezzo e la Val Fiorentina) e al piccolo lago d'Antorno nelle vicinanze del lago di Misurina nelle Dolomiti. Il rifugio del monaco è la Rocca di Calascio, appositamente scenografata con l'aggiunta di corone alle torri (tra cui quella da cui precipita Michelle Pfeiffer), mentre i borghi medievali mostrati includono le seguenti località: castello di Torrechiara, Castell'Arquato, Soncino e Vigoleno. La veduta esterna in lontananza del borgo di Aguillon (Aquila in originale) è in realtà quella di Castel del Monte, a cinque chilometri da Rocca Calascio. La chiesa al cui interno si svolge la scena finale (ricostruita a Cinecittà) è quella di San Pietro a Tuscania. Diverse scene (in particolare quella del tentato arresto di Philippe Gaston da parte delle guardie del vescovo e dell'incontro con Etienne Navarre) sono state girate presso l'antico abitato di Monterano nel Comune di Canale Monterano in provincia di Roma. La località da cui Philippe evade, nell'originale è Aquila o L'Aquila e lo stesso Vescovo è il vescovo della città, ma nel doppiaggio italiano L'Aquila è diventata Aguillon, in modo da assumere dei richiami francofoni e al tempo stesso per evitare diretti riferimenti al capoluogo abruzzese. La colonna sonora del film è opera di Andrew Powell (con la Philharmonia Orchestra edito dalla Atlantic/Warner), un compositore e orchestratore ben conosciuto per il suo lavoro con Alan Parsons e Eric Woolfson, membri del gruppo The Alan Parsons Project. Nel 1996 ne è stata pubblicata la versione definitiva dal titolo Ladyhawke - Original Motion Picture Soundtrack; quest'album, edito dalla GNP Crescendo, sostituisce a tutti gli effetti la prima versione uscita nel 1985 e contiene brani inediti e non rielaborati. Nella breve scena in cui Philippe danza con Isabeau la musica che li accompagna è il Trotto, un brano composto da autore anonimo tra il XIV e il XV secolo. Il film ha ricevuto le candidature agli Oscar del 1986 come miglior sonoro (Best Sound) e miglior montaggio sonoro (Best Effects - Sound Effects Editing), senza tuttavia vincere i premi. Ha vinto il Saturn Award dell'Academy of Science Fiction, Fantasy & Horror Films per i Migliori costumi (Best Costumes) e come Migliore film fantasy (Best Fantasy Film), e, sempre per il Saturn Award, ha ricevuto le candidature come Migliore musica (Best Music) e Migliore attrice (Best Actress). Ha vinto anche i Golden Reel Award della Motion Picture Sound Editors statunitense come Best Sound Editing - ADR e Best Sound Editing - Sound Effects. Oltre a questo, è stato candidato al Premio Hugo per la miglior rappresentazione drammatica[ e per il Young Artist Awards come Best Family Motion Picture - Adventure. Loris Loddi nella versione italiana doppia Matthew Broderick nel ruolo di Gaston Le Rat; pur essendo presente egli stesso nel cast non doppia sé stesso: la voce del suo personaggio Jehan gli viene prestata dal collega Alvaro Gradella.




lunedì 26 dicembre 2022

I probabile sarcofago di granito rosso dell'Imperatore Giuliano

Il sarcofago dell'imperatore Giuliano, ricordato come Giuliano l'Apostata dalla chiesa cristiana

Il corpo dell'imperatore fu sepolto a Tarso, fuori città, di fronte a quella di Massimino Daia. Il cronista Zonaras affermò che in una data "successiva" il suo corpo fu riesumato e seppellito nella o vicino alla Chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli. La chiesa fu demolita dai turchi ottomani dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453.

Oggi, un sarcofago di porfido, identificato come quello di Giuliano, si trova nel parco del Museo Archeologico di Istanbul. Si ritiene che questo sia il suo sarcofago a causa della mancanza di simboli cristiani, visibili su altri sarcofagi di imperatori romani d'Oriente esposti nel cortile del museo.




Le fiabe alterate perché non comprese

Le fiabe sono una cosa seria e la società dei lumi ha iniziato ad alterarle sopratutto perché non ne aveva compreso il messaggio sapienziale alchemico
La vera favola di Cappuccetto Rosso non è quella che vi hanno raccontato.
La storia vera è quella di una donna e di un Lupo.
Una donna che entra nel bosco, non per andare dalla nonna ma per cercare se stessa e la saggezza delle Donne antiche.
E li, incontra un Lupo che l'accompagna e le insegna ad andare, a camminare da sola, senza avere paura di perdersi, fino a trovare se stessa.

sabato 24 dicembre 2022

Melchisedec

Nessuno sottolinea che Melchisedec, qui rappresentato nella cattedrale gotica di Chartres, è l'angelo di Giove, come a dire che i mondo cristiano affonda la sua nascita e le sue radici nel mondo pagano tanto odiato, è lui che intinge il pane ne vino, riprendendo i misteri pagani in maniera da veicolare il cristianesimo attraverso un rito antichissimo: l'omicidio rituale del re e la sua magia per impossessarsi dell'energia teurgica....... 


venerdì 23 dicembre 2022

L'operazione discutibile dei fratelli Grimm

Mi dispiace fare il "Bastian contrario", furono proprio i fratelli Grimm ad alterare le fiabe rendendole "degne" e adattate ad un pubblico infantile, edulcorandone le crudeltà ed eliminando gli aspetti sessuali. Questa la ritengo una gravissima colpa, operazione che non ha fatto il grandissimo raccoglitore di fiabe siciliano Giuseppe Pitrè. Le versioni delle varie fiabe cambiavano da zona a zona del nord Europa e con l'operazione dei Grimm abbiamo perso le versioni orali originali alterate dalla concezione religiosa protestante



giovedì 22 dicembre 2022

giovedì 8 dicembre 2022

Tecnologie perdute






Vi accompagniamo in uno dei misteri più intricati del mondo. Quello che vedete nella figura 1 non è né una fake news né un fotomontaggio. È semplicemente il blocco di roccia intagliato da mani umane più grande della storia. il monolite misura 19,6 metri di lunghezza, 6 metri di larghezza e almeno 5,5 metri di altezza. Il suo peso è stimato in 1.650 tonnellate, il che lo rende il più grande blocco di pietra dell’antichità. Per fare un paragone, pesa come 100 cacciabombardieri Eurofighter carichi e pronti per il combattimento.
Il monolite si trova in una cava di pietra a Baalbek, in Libano. La zona era conosciuta in epoca romana come Heliopolis. Ma la cosa ancora più sorprendente è che quel monolite non è un caso unico in quella zona. Come potete vedere nella figura 2, nelle vicinanze si trova il cosiddetto “Tempio di Giove”. La parte superiore del tempio è sicuramente romana, su questo non ci sono dubbi. Ma, come potete vedere, il tempio romano sorge su di una “base” costruita con pietre gigantesche. Si tratta di 27 blocchi giganteschi di pietra calcarea alla base. Tre di loro, dal peso di 1.000 tonnellate ciascuno, sono noti come “Thriliton”, e sono una specie di “cintura” che racchiude tutti i blocchi. Questa costruzione ci dice che per i costruttori, intagliare e spostare blocchi superiori a 1.000 tonnellate non era affatto proibitivo. Evidentemente sapevano come farlo, senza che questo creasse grossi problemi.
Esiste un solo punto della Terra dove si trova qualcosa di simile: la base del muro esterno del tempio di Gerusalemme, dove esiste un unico blocco di roccia dal peso simile. Un blocco lievemente inferiore (si parla di 500 tonnellate) si trova invece in una delle tre piramidi di Giza.
Perché è difficile credere che quelle rocce sono romane? Il ragionamento è semplice: se fossero stati i romani a costruire la base, avrebbero ripetuto questa impresa almeno a Roma, la capitale dell’Impero, e non in una lontana e per loro “insignificante” provincia. Ma se non sono stati i romani, chi sono i costruttori? Gli ebrei e i siriani del tempo di Erode il Grande? Ma allora perché non abbiamo traccia dei metodi che usarono per tagliare, trasportare e mettere in opera dei blocchi di quelle dimensioni?
È possibile che la base degli edifici romani, ebrei ed egizi siano solo i resti di una civiltà precedente, che aveva i mezzi e la manodopera necessaria per fare qualcosa di simile? Ne parliamo nel libro:
HOMO RELOADED – 75.000 ANNI DI STORIA NASCOSTA
Puoi trovare una copia del libro a questo link

lunedì 5 dicembre 2022

LA "VERA" PORTA DELLE DOMUS DE JANAS



Solo eccezionalmente durante le visite alle domus de janas potete vedere il portello che sigillava la sepoltura.
In una delle domus della Necropoli di Montessu a Villaperuccio, invece, c'è.

Preparare la mente alla comprensione profonda

Se qualcuno dovesse chiedermi, come filosofa, che cosa si dovrebbe imparare al liceo, risponderei: “prima di tutto, solo cose “inutili”, greco antico, latino, matematica pura e filosofia. Tutto quello che è inutile nella vita”. Il bello è che così, all’età di 18 anni, si ha un bagaglio di sapere inutile con cui si può fare tutto. Mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose.
[Agnes Heller]




Distrutto dai cristiani assieme al tempio...

La ricostruzione dell'antico teatro di Delfi, in Grecia, datato al IV sec. a.C., aveva una capienza di 5.000 spettatori.





sabato 3 dicembre 2022

Più che il mito di Romolo e Remo sembra quello di Mose




"In un'antichissima stele, Sargon, il Re della Battaglia, come fu definito, si presenta ai suoi npopoli suppergiù in questi termini: "Io sono Sargon ....Non conobbi mio padre, mia madre era una sacerdotessa; mi concepì, mi porodusse, mi pose in una cesta che sigillò con pece; mi depose sul fiume che non mi sommerse e fui fluitato a casa dell'annaffiatore Aqqi".
Ma tutto questo evoca la nascita di Romolo e Remo: anch'essi figli di una sacerdotessa; non conobbero il padre; anch'essi posti in una cesta, presumibilmente spalmata di pece, deposti sul Fiume e quindi spinti a casa del pastore Faustolo. Poi adulti, Romolo uccise Remo; ed anche nella casa di Sargon, dopo la sua morte, il figlio Rimush era stato ucciso in una congiura di palazzo assecondata dal fratello." 
"Giova appena ricordare che Remo e Rimush sono ipocoristici della voce accadica rimu "amato"
PROF. GIOVANNI SEMERANO - LA FAVOLA DELL'INDOEUROPEO - BRUNO MONDADORI

Il Giardino di Daniel Spoerri





Aperto al pubblico nel 1997, si estende per circa 16 ettari sul territorio della provincia di Grosseto alle pendici del Monte Amiata, nella Toscana meridionale.
Parco artistico unico nel suo genere in Italia, è in continua evoluzione grazie alla dedizione dell'eclettico artista svizzero che lo ha realizzato negli anni '90 Daniel Spoerri, il quale si è avvalso della collaborazione di importanti artisti contemporanei, come Eva Aeppli, Arman, Erik Dietman e Jean Tiguely.
Percorrendo i sentieri del Parco troviamo così, accanto alle suggestive sculture in bronzo del fondatore, come la "Chambre Nr 13" con un peso di oltre 5 tonnellate, divani d'erba, un olivo dorato, giganteschi suonatori di tamburi seguiti da 160 oche, e altre figure misteriose come draghi sputafuoco, nani e guerrieri, in un ricco allestimento fra sogno e realtà.
Caratteristici anche il Labirinto, costituito da un sentiero murato lungo 500 m, la misteriosa formazione circolare di teste equine, ideale ombelico del mondo, con vista panoramica a 360° dalla montagna al mare, e la serie di volti posti su colonne.
Le sculture sono armoniosamente integrate nel paesaggio caratterizzato da olivi, castagni e macchia mediterranea, e sono affiancate da un percorso botanico con piante segnalate.
Il cancello d'ingresso al Giardino riporta il motto latino HIC TERMINUS HAERET, che significa "Qui aderiscono i confini", ad indicare la forza "aderente" del Parco, luogo alchemico e magico che ha attirato gli oltre 50 artisti che lo hanno arricchito con le loro opere.
La visita, che parte dal piccolo borgo centro propulsore del Giardino, dura circa 3 ore, ed è facilitata da una cartina con notizie sulle opere esposte e sul percorso botanico, fornita dalla fondazione "Il Giardino di Daniel Spoerri" riconosciuta dal Ministero della Cultura italiano, che gestisce il Parco Museo, con sede nella villa della tenuta. Nella villa sono stati ricavati degli appartamenti nei quali è possibile soggiornare per motivi culturali di studio e ricerca.
All'interno del Parco vi è l'abitazione-laboratorio di Daniel Spoerri, ed è presente un ristorante dove gustare le specialità tipiche della cucina Toscana.

ISHTAR E I SEGRETI DIVINI





"Il mito di Etana ci narra dunque dell’iniziazione del primo re per il quale la regalità discese dal cielo tramite la dea Inanna e, forse, dell’ultimo re che conobbe realmente il segreto dell’albero halub: in Etana, l’antica razza umana e la nuova si trovano in perfetto equilibrio.
Egli fu il più longevo tra i sovrani che vissero dopo il Diluvio, il pastore che ascese al cielo e consolidò tutte le contrade straniere, e il suo regno, secondo la lista reale sumerica, durò per 1.500 anni.
Gli alberi allegorici, la cui esistenza è stata tramandata fino ai giorni nostri, trovano quindi una loro antichissima collocazione nei miti che hanno riguardato l’ascesa della dea Inanna, e tale tradizione sopravvive, celata sotto il velo del simbolo, fino all’epoca neoassira, per confluire anche nel mito dell’Eden della Genesi biblica.
Nello stesso libro della Genesi ritroviamo infatti, oltre al racconto del Diluvio Universale, una lista, denominata “genealogia di Adamo”, che indica i nomi dei patriarchi prediluviani e la durata smisurata delle loro vite: non avevo mai fatto caso a questo particolare, ma la “genealogia di Adamo” ricordava molto la Lista Reale sumerica, sia per le centinaia d’anni di vita d’ogni patriarca, sia perché anche tale lista termina con il nome di Noè, ossia l’eroe del Diluvio, che noi abbiamo conosciuto con il nome di Ziusudra, di Utnapištim, di Atrahasis.
Ben diverse, come sappiamo, furono le sorti riservate alla dea nella Bibbia, ove è menzionata con il nome cananeo di Astarte: ella, si narra, fu la divinità protettrice del re Salomone, ma viene definita “obbrobrio dei Sidoni”.
Ora comprendiamo, tuttavia, dove la scuola scribale aveva celato le prerogative iniziatiche della dea nel periodo in cui il suo culto tramontava e ci appare ancor più chiara, se possibile, la sua natura: era nella cerchia più interna del Tempio che Ištar svelava ancora i “segreti divini”, relativi ai frutti dell’albero della conoscenza e dell’albero della vita.
Sotto il velo del simbolo era adombrata, non defunta.
Schernita dagli uomini, ella è amata dagli antichi dèi e dai saggi di tutte le epoche.
Ancora nel III secolo a.C., Ištar era presente nei cuori degli uomini: fu elevata a paredra di An e le venne dato il nome di Antu, in memoria della prima ierogamia.
<O Ištar, sii tu la più brillante tra loro, e che essi ti acclamino:
“Ištar delle stelle!">"
[A. Bellon, Il Sangue degli dèi - Nozze sacre nella terra dei Sumeri, p. 228 ss.]
Credits immagine: davidmyriad su deviantart

S. Maria della Strada a Matrice. Il volo di Alessandro

Alessandro sale al cielo, una immagine che troviamo anche in altre chiese come San Marco a Venezia, non a caso. Come l'Imperatore Antonino Pio il grande condottiero macedone ascende all'empireo