mercoledì 30 marzo 2022

Brasilia, un uccello in volo verso il Sole

La città come non l'avete mai vistaL'architettura avvenieristica della giovane capitale costruita nel 1960: palazzi, chiese ed edifici formano un uccello in volo verso il sole

La decisione di costruire una nuova capitale del paese nasce da un idea di Juscelino Kubitschek nel momento in cui fu eletto Presidente della Repubblica nel 1956. 

Il piano urbanistico di Brasilia fu ideato da Lucio Costa, e rappresenta simbolicamente la figura di un uccello dalle ali spiegate rivolto verso il Sole.

Il Progetto, che si ispira alla pianta di Nazca in Perù, è visibile all'occhio umano solamente se osservato dal cielo, proprio come nella vecchia città degli Inca.

Eretta nel bel mezzo della guerra fredda, la nuova capitale doveva essere il simbolo di una città di pace ed armonia, in cui anche i comportamenti e le decisioni degli uomini avrebbero dovuto ispirarsi ai criteri di equilibrio espressi architettonicamente dagli edifici.

Brasilia però non ha risposto alle ambiziose attese suscitate e anzi, sotto molti aspetti, la nuova capitale si è rivelata un fallimento.

Ma pur accogliendo le critiche giustificate, bisogna riconoscere ai suoi ideatori la libertà e l'audacia espressiva delle forme, la leggerezza degli archi e delle chiese, la perfetta padronanza nell'utilizzo del cemento. 

In ogni angolo della città, le sculture, le vetrate, i bassorilievi nobilitano il paesaggio urbano. 

Il giorno 7 settembre del 1986 è stato inaugurato al pubblico, nella piazza dei Tre Poteri, il 'Pantheon Tancredo Neves', edificio che è stato dedicato da Oscar Niemeyer a tutti coloro che hanno lottato per la democrazia.

Niemeyer, però, non è solamente colui che ha costruito Brasilia. 

A lui si devono infatti numerose opere disseminate in tutto il Brasile, tra cui il celebre e apprezzato Sambodromo di Rio de Janeiro.

Il noto architetto ha lavorato molto anche all'estero: in Algeria, in Israele, in Ghana, in Libano, in Francia, dove si rifugiò durante la dittatura miilitare, e anche in italia.

Per arrivare all'Uno devi conoscere te stesso

LA PERICOLOSITÀ DELL’ESPRESSIONE «TUTTO È UNO»
L’espressione «Tutto è Uno» è, secondo me, la più essenziale delle verità. E penso anche che, come ci insegnano i mistici di tutte le tradizioni sapienziali, dobbiamo annichilire l’io egoico nell’Uno, o, come dicono i buddhisti, estinguere il soffio nel Nirvana.
Questa cosa però, se mal compresa, è molto fuorviante e pericolosa. Si potrebbe infatti pensare (come fanno i seguaci della new age): «Non c’è nulla che devo fare, nessun percorso spirituale da percorrere; se tutto è Uno, allora anche io sono già l’Uno. Sono già realizzato!».
In sé, questo discorso non è sbagliato. Però, senza un determinato percorso di conoscenza, noi siamo solo un aggregato di elementi fisici e psichici inconsapevoli, i quali, alla morte fisica, torneranno in ciclo nella natura. È ovvio che anche essi - come tutto - partecipano dell’Uno, ma lo fanno senza esserne coscienti.
Prima è necessario affermare e realizzare l’io. Non in senso egoico o appropriativo (tutt’altro: senza empatia, compassione e amore è impossibile ogni evoluzione spirituale), ma come presa di coscienza di che cosa siamo, della nostra unicità, della vera essenza del reale. «Conosci te stesso e conoscerai l’universo», dicevano gli antichi. Dobbiamo puntare ad essere massimamente consapevoli, per portare alla luce della coscienza quanta più realtà possibile.
E solo dopo esserci realizzati spiritualmente, estinguere il soffio, annichilirci, liberarci da tutti i condizionamenti, da tutti i contenuti determinati, e portare così tutto nell’Uno, che è il «nulla-di-determinato», l’assoluto. Solo così usciamo dal Samsara, ossia dall’esistenza condizionata. Lo sostiene addirittura un grande filosofo ateo (pur influenzato dal buddhismo), Schopenhauer, citando Gesù, Eckhart e Silesius:
«Merita anzi di essere citato come estremamente singolare il fatto che questo pensiero è stato espresso anche dall’ammirevole ed infinitamente profondo Angelo Silesio, nel versetto dal titolo: L’uomo porta tutto a Dio, e che dice: «O uomo! Ogni cosa ti ama; attorno a te vi è molta ressa: ogni cosa corre verso di te, al fine di arrivare a Dio». Ma un mistico ancora più grande, Meister Eckhart, […] dice […]: «Io dimostro questo con Cristo, poiché egli dice: quando io sarò sollevato da terra, solleverò con me tutte le cose (Vangelo secondo Giovanni, 12, 32). Così l’uomo buono deve portare tutte le cose a Dio, loro prima origine» (Arthur Schopenhauer; Il mondo come volontà e rappresentazione, IV, 68).
Anche Carl Sagan dice che «L’uomo non è altro che uno strumento del cosmo per conoscere se stesso».
Termino con due citazioni, rispettivamente di Gurdjieff e di Osho. Il primo sostiene che nasciamo senza l’anima, e che dobbiamo svilupparla con le nostre esperienze; il secondo gli risponde, secondo me giustamente, che tutti nasciamo con l’anima, ma che essa è un potenziale da realizzare:
«Pochi esseri umani hanno un’anima. Nessuno ha un’anima alla nascita. L’anima va acquisita. Coloro che non ci riescono muoiono: alcuni si danno un’anima parziale e infine un piccolo numero riesce ad avere un’anima immortale» (Georges I. Gurdjieff).
Vedi dal minuto 22:34 al minuto 23:55
«George Gurdjieff era solito dire che non tutti nascono con un’anima. Ha ragione, ma ha anche torto: sbaglia, perché tutti nascono con un’anima; e ha ragione, perché l’anima di solito resta solo un potenziale, non è qualcosa di realizzato. Se non cogli quella sfida, l’anima resta solo un seme. Un seme non è un albero: può esserlo, può non diventarlo mai. Il seme deve accettare la sfida e cadere nel terreno, deve scomparire e morire nel suolo, sperando, attendendo, avendo fiducia che dalla sua morte nascerà qualcosa. Quella sfida piano piano uccide il tuo ego. E quando l’ego è svanito, compare una nuova entità: l’anima, l’essere» (Osho; Ventidue chiavi per riscoprire te stesso).

Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto

Nell'immagine: i resti del tempio di Apollo a Delfi, sul frontone del quale era incisa la frase «Gnothi Sauton» (Conosci te stesso)

venerdì 25 marzo 2022

Giannozzo Pucci suggerisce un’economia fondata sulla simbiosi tra umanità e natura.

Nel TEMPO DEL CREATO( 1 settembre-4 ottobre) ogni anno gli uomini di tutto il mondo sono chiamati a riflettere e pregare per la cura della Terra, la nostra “casa comune”, come la chiama Papa Francesco.

E’ l’invito ad ascoltare il grido del Creato, sempre più sofferente per il cambiamento climatico e la crisi ecologica, e a diventarne custodi, trasformando i nostri stili di vita e la relazione con le risorse della Terra.

Il “Circolo Laudato si’” di Barga, alla presenza di un nutrito ed attento pubblico, la sera di venerdì 17 settembre, ha vissuto un incontro molto significativo con Giannozzo Pucci, intellettuale, ecologista a livello internazionale ed editore della storica casa editrice LEF (Libreria Editrice Fiorentina), che ha dialogato coi presenti sul suo ultimo libro La rigenerazione del bene comune-Una visione ecologica di governo,  LEF,Fi,2021.

Ciò che può sembrare un’utopia, cambiando direzione nella visione del problema, conduce alla consapevolezza che tutto è interconnesso e, quindi, diventa necessario lavorare insieme concordi.

E’ importante “sapere dove andare, il come viene dopo”, suggerisce Giannozzo prospettando una politica che custodisca e serva i beni comuni per un’economia fondata sulla simbiosi tra umanità e natura.

L’agricoltura è l’attività principe, è l’arte che ci mette in contatto con tutto il cosmo dandoci prodotti sani per farci vivere in salute, ma solo se siamo capaci di rigenerarla, liberandola dall’industrializzazione.

Oggi, dopo anni d’inquinamenti devastanti, è tempo di passare alla rigenerazione della casa comune riguardante i vari campi corrispondenti alle materie delle opere di misericordia corporale: ”la terra col cibo e l’aria, l’acqua, il vestire, la casa, la salute, le carceri e i rifiuti.”

Con acutezza il relatore ha indotto i presenti a riflettere, tramite un capovolgimento di visione, sul concetto di economia a misura d’uomo, cioè la capacità di gestire al meglio i beni comuni per rispondere con il giusto uso e lavoro ai bisogni di tutti, senza far prevalere egoismi individuali ed esclusivi interessi monetari.

Economia ed ecologia di fatto appaiono aspetti di un’unica realtà. Quindi, l’invito ad unire le forze e lavorare insieme per ripulire la nostra terra, acqua, cibo, ariaindispensabili a ciascuno per vivere.

Un incontro davvero interessante, partecipe, forte nei contenuti e pacato nei modi, un punto fermo per progredire verso una concreta visione ecologica del

bene comune.

 

Maria Lammari


La Rivoluzione Integrale — Libro di Giannozzo Pucci


Conosci te stesso, conoscerai il mondo e gli dei

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "La propria sorgente è in se se stessi. Datevi ad essa, non illudetevi pensando che questa sorgente sia un Dio al di fuori di voi. Ciò significa che dovete cercare la sorgente dentro voi stessi e trasfondervi in essa. Ramana Maharshi"

Il mito elabora una via di apprendimento e di conoscienza

Mito, archetipi, simboli
Mito non è - come alcuni erroneamente pensano - una mala parola per nessuno.
Non è una specie di favoletta per adulti poco cresciuti intellettualmente ma, al contrario, rappresenta la radice di ogni religione e di ogni vera filosofia.
Nella falsa ottica della pedagogia gentiliana, in cui si lascia la religione ai bambini (e agli ignoranti) e si riserva la filosofia agli adulti, facilmente il Mito potrebbe essere assegnato, per un tragico errore, ai ritardati mentali perchè Mito è "pensare per immagini" mentre nella nostra epoca si pensa solitamente "per astrazioni". Non a caso le iniziazioni misteriche (che potremmo definire "Mito pratico") procedevano, a quanto si sa, per esperienze dirette e non per concetti astratti, cioè intellettualistici.
In realtà il Mito è più forte della storia perchè nasce dell'inconscio collettivo e si radica nell'uomo - in una "magica" corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo e con un rapporto fatto da un insieme di simboli che rimandano allo Spirito - attraverso gli Archetipi.
E gli Archetipi - al di là dei vari politeismi, triteismi e monoteismi - sono gli Dèi.
Per quanto riguarda la verità (o le verità?), essa, non a caso, si esprime in forma simbolica, cioè attraverso il Mito.

Le ragioni della tragedia (a teatro) - PIEGO DI LIBRI BLOG

mercoledì 23 marzo 2022

Prima del monumento a Giordano Bruno a Campo dei Fiori

Curiosità della Roma nascosta – il coperchio della fontana della Terrina
In Piazza della Chiesa Nuova si trova la fontana della Terrina (dalla forma di una zuppiera con tanto di coperchio). Originariamente come sappiamo si trovava al centro della Piazza di Campo dei Fiori, progettata e realizzata da Giacomo della Porta tra il 1590 e il 1595. Inizialmente non era dotata di coperchio, che fu invece aggiunto ad opera di Gregorio XIII, Boncompagni. Nel 1889 fu rimossa per l’erezione del monumento a Giordano Bruno e nel 1925, grazie al precedente restauro voluto da Gregorio XV del 1622, fu collocata in piazza della Chiesa Nuova. Una particolarità che sicuramente sfugge a molti, ma non agli appassionati di fotografia e di storia è la scritta che appare sotto il pomello del coperchio, ad oggi abbastanza usurata e quasi illeggibile. Nella realtà partendo dalla data MDCXXII e andando in senso anti orario si legge “AMA DIO E NON FALLIRE, FA DEL BENE E LASSA DIRE”
Passeggiando per Roma

Fontana della Terrina - Wikipedia

domenica 20 marzo 2022

Elémire Zolla interviene sul saggio de il "Tempio dell'uomo"Schwaller de Lubicz

La sapienza dei faraoni - Dalla misurazione dei monumenti di Luxor, Schwaller de Lubicz la struttura simbolica e cosmica dell'edificio
di Elémire Zolla René Adolphe Schwaller de Lubicz, "Il tempio dell'uomo", introduzione e note di Paolo Lucarelli (2 volumi), Edizioni Mediterranee, Roma 2000, pagg. 1.022 (complessive), s.i.p.

Immagine 1 - Libri Schwaller de Lubicz Rene A. - Il Tempio Dell'uomo
La conoscenza pitagorica mai non si estinse, troppi vantaggi infatti prodiga a chi ci si impegni. Basta calcolare le proporzioni e commentarle come hanno insegnato i tanti maestri. In Italia poi era la sapienza italica, che dettò al Vico il giovanile Antiquissima Italorum sapientia, prezioso esame etimologico della parola chiave per intendere la realtà alla maniera tradizionale. Meno ci seduce nel romanzetto del Cuoco dove sfilano i maestri della Magna Grecia. In Germania spicca il trattato di von Thimus, ammirevole, dove erano riunite al sistema pitagorico le filosofie dei geroglifici egizi; ma in Italia non poteva fiorire qualcosa del genere, dopo che un avo del Croce aveva raccomandato di cacciare dall'attenzione il ricordo del pitagorismo, raccomandando di sostituirlo con Hegel. Ci sarebbero voluti alcuni decenni perché rinascesse l'impegno pitagorico, col Reghini, che negava Euclide, ricostruendo con perizia mirabile tutto l'antico sistema, calcolando e disegnando con perizia sovrana. Ebbe una sua parte notevole nel fornire simboli antichi a Mussolini, finché costui cominciò a lavorare per stabilire un'intesa col Vaticano: sdegnato, tradito, Reghini si ritirò a fare il professore di matematica in una scuola media emiliana. Morì dimenticato attorno alla fine della Seconda guerra mondiale. C'era stato in precedenza soltanto un fedele del pitagorismo antico, il Rossetti, emigrato dal Regno delle sue Sicilie a Londra, autore dello stupendo e lunghissimo Il mistero dell'amor platonico nel Medioevo. Suo figlio, Dante Gabriele, doveva imporre le sue idee, con un'opera poetica e pittorica che sconvolse l'Inghilterra; ma ormai apparteneva alla letteratura inglese! C'era stata altresì, una letteratura pitagorica francese, che arricchì un giovane alsaziano nato nel 1880, René Adolphe, adottato quindi dal nobile lituano Schwaller de Lubicz. Sposò una donna devotissima e fertile scrittrice di romanzi d'ambiente egizio, Isha. Ebbero una bambina Lucie Lamy, e vissero a spese del governo egiziano a Luxor, misurando accuratamente il tempio sulle rive del Nilo, a partire dal 1936 fino al 1952, quando la rivoluzione dei colonnelli repubblicani e socialisti fece crollare l'ambiente politico, loro ospite generoso. Di ritorno in Francia, morì nel 1961. La sua opera principale, l'esame pitagorico del tempio di Luxor, è stata ora tradotta da Paolo Lucarelli presso le Edizioni Mediterranee.
Schwaller de Lubicz tentò di riesumare la sapienza faraonica, alla quale avevano attinto Pitagora e Platone. Commenta Lucarelli: mancano informazioni precise su conoscenze scientifiche egizie "anche se piramidi, tempi, gestione del territorio, oggetti d'uso, calendari e altro ancora stanno a testimoniare l'esistenza certa di tale valore da stupire i contemporanei e ancora le civiltà più tarde".
Esistette un'egittologia anteriore a Champollion, che interpretava i geroglifici filosoficamente e aveva avuto un maestro nella Roma secentesca col gesuita Athanasius Kircher; purtroppo dopo le dimostrazioni ineccepibili di Champollion, ci si illude di saper leggere documenti che non presentano un senso chiaro. Ci si ostina a tradurre neter con "divinità", mentre denota il "fuoco segreto", che agevola la corporificazione particolare dello spirito. Così ba si traduce per lo più con "anima" mentre è il secondo elemento accanto al ka, di natura più mobile. Schwaller de Lubicz rifiuta quasi tutto il ciarpame vario intorno all'antico Egitto. Capitò anche a me negli anni settanta di andare a Luxor e di accanirmi sulle rovine del tempio, ma la conclusione fu che al suo interno c'era una cappellina islamica, sede di un gruppo sufico. Ebbi preziosi contatti con il capo del gruppetto, che allora già stava la massima parte del tempo in Svezia. Ma all'anniversario della morte del capo della setta, si ripresentava in città e, avvolto in un velo candido, a cavallo guidava la processione festosa. Bastava ascoltare la confessione sua delle idee che l'ispiravano per disporre di una traduzione fedele delle strutture ideali che avevano dettato l'erezione dell'antico tempio.
Se debbo giudicare questa opera immensa di Schwaller de Lubicz, debbo partire da una censura preliminare: è uno schema gnostico arbitrario che egli tira in campo. E' un abuso partire dall'idea d'una trinità incorporata all'Uno, idea cristiana che Israele o l'Islam respingono. Ancor di più accettare di esaminare come modello fondamentale il corpo dell'uomo immaginato, come detta l'evoluzione darwiniana, come suprema meta dei corpi di tutti gli animali, di mare, cielo e terra. Le civiltà sciamaniche credono che l'uomo debba imparare dagli animali, le scienze più recenti ritengono che molti pesci e uccelli siano dominati da una sensibilità minuziosa, che percepisce le correnti magnetiche di terra e mare. Per il resto l'occhio di Schwaller de Lubicz è pronto e raffinato: sa che tra passato e futuro c'è un momento presente che evidenzia l'essenza del tempo sia pure sul piano esoterico o subconscio. E' anche veridico che l'annullamento di più e meno, lo zero, designa un carattere esoterico positivo: esiste. Il fondamento che Schwaller accetta è l'antropocosmo, definendolo con la dichiarazione che non abbiamo nulla da conoscere che si situi fuori di noi. Ma indagare sulle operazioni matematiche complesse di Schwaller sarebbe esasperante e superfluo, molto più prezioso è attenersi all'idea che il sonno è il modo di affondare nella realtà ignorandone i sistemi percettibili di ordinamento generale, restaurando così l'energia per aver eliminato la conoscenza cerebrale sì da conoscere i misteri della vita, sapendo orinai guardare a ciò che "a forza di vedere non si constata più". Ogni istante di ogni giorno si applicano conoscenze segrete che, se le riconoscessimo, mostrerebbero senza velo tutte le potenze che racchiude l'uomo dell'antropocosmo. Le fronde degli alberi ne spiegano le radici.
L'assenza di mobilità e creatività simboleggia la preghiera come vittoria della personalità mortale, Nicodemo è colui che si dipartì dal Sinedrio per interrogare Gesù sulla rinascita e perciò secondo Schwaller è raffigurato nelle cattedrali con nelle mani la calotta cranica, come nell'arte bizantina i santi sono effigiati, rimossa la calotta, a testa piatta. Questa amputazione indica la pura intuizione che fa parlare la conoscenza innata del neter ossia della funzione cosmica. Fuor del Tempio l'uomo è simboleggiato da quello specchio d'inganni che inverte alto e basso, sinistra e destra: San Paolo, in partenza per combattere la cristianità. fu gettato faccia a terra e si sollevò nella visione della verità. Nell'Egitto faraonico la calotta cranica è sempre denotata da una corona o benda o fessura, essendo la chiave del pensiero faraonico. In genere presso i popoli antichi il sempliciotto, al quale fa difetto la calotta cranica, era venerato sempre. Il sempliciotto è privo della cima cranica, somigliante allo scarabeo stercorario.
Ciò che consente di discernere è in primo luogo l'odorato: polarizza il fuoco che separa (Seth), contiene il fuoco che unifica (Horo): come Satana e Lucifero. L'essere umano è l'atlante sul quale si leggono le zone del cosmo e le loro influenze dettate dal cielo astronomico, laboratorio di tutti i miracoli del mondo.
(fonte: Sole 24 Ore)
ReichvsUsa Casadeilibri e altri 3

LA MISTERIOSA FOSSA DI CUI NESSUNO TROVO' L'ORIGINE


Considerato un tempo un luogo sacro, questo pozzo, conosciuto come ''Fossa di Dionne'', si trova in Francia, a Tonnerre ( in Borgogna) e da sempre suscita interesse perché nonostante le esplorazioni fatte da numerosi sommozzatori ( alcune concluse tragicamente) , nessuno è mai stato in grado di trovarne la vera origine.
Il deflusso medio giornaliero è pari a 311 litri d'acqua ogni secondo.
I romani sfruttarono la sorgente carsica per l'acqua potabile, per i Celti era un luogo sacro mentre i francesi nel 1700 la utilizzarono come lavatoio pubblico. Fu così che la gente iniziò a fantasticare su cosa avrebbe potuto esserci sul fondo e nacquero le leggende che si trattasse di un portale verso nuovi mondi.
Dopo numerosi incidenti anche mortali, per scoprirne l'origine, venne ingaggiato un subacqueo professionista Pierre-Éric Deseigne che riuscì' a scendere per più di 70 metri allontandandosi di 370 metri in totale dall'ingresso della cavità.
Esplorò aree che nessuno aveva mai visto prima ma non riuscì ad individuare l'origine della sorgente...

sabato 19 marzo 2022

Le tombe degli imperatori Romani di Oriente



Nessuna descrizione della foto disponibile.Perchè non abbiamo più le tombe degli imperatori romano-orientali?
Dei grandi imperatori del passato non ci è rimasto nulla, se non qualche raro sarcofago e qualcuno dei loro gioielli.
Che ne è stato dei loro corpi e dove sono stati sepolti?
A partire da Costantino I, i sovrani venivano sepolti in un posto preciso: la basilica dei Santi Apostoli a Costantinopoli, nel cuore imperiale della città. Oltre ai sovrani, spesso venivano sepolte anche le imperatrici consorti e, in alcuni casi, degli importanti patriarchi.
La basilica era molto ricca, adornata di oro, oggetti preziosi, mosaici e reliquie, tanto da essere considerata la seconda per importanza in tutto l'impero, dopo Santa Sofia.
Venne eretta da Costantino, che divenne il suo primo ospite aprendo questa "tradizione".
Dopo circa 200 anni di uso, l'edificio doveva avere parecchi problemi di manutenzione e inoltre aveva esaurito lo spazio per accogliere i corpi, così venne praticamente ricostruito da zero e ampliato in epoca giustineanea a e riconsacrata nel il 28 giugno del 500.
L'edificio era di pianta cruciforme e doveva essere in qualche modo simile alla basilica di San Marco a Venezia.
Giustiano prese per sè l'ala nord della chiesa e la dedicò alla sepoltura della sua dinastia.
La situazione rimase sostanzialmente calma per centinaia di anni; Basilio I nell'874 fece alcuni restauri e ampliò nuovamente l'edificio, probabilmente aggiungendo una parte esterna dove vennero sepolti i membri della sua dinastia.
L'ultimo sovrano tumulato fu Costantino VIII nel 1028, seguito dalle sue figlie Zoe (1050) e Teodora (1058).
A quel punto l'edificio era talmente stracolmo di sarcofagi che gli imperatori iniziarono a farsi tumulare in monasteri e chiese di Costantinopoli, senza una logica precisa.
Nel 1197, l'imperatore Alessio III Angelo rimosse quasi tutti gli oggetti di valore dalla basilica per pagare un tributo ai Tedeschi; i contemporanei dicono che profanò perfino le tombe dei sovrani, ma questa è probabilmente un'esagerazione.
Nel 1204, con la conquista della città ad opera dei crociati, la bascilica venne saccheggiata e i corpi degli imperatori profanati per rubarne il corredo. Il corpo di Giustiniano venne trovato totalmente intatto come se fosse appena morto e questo fu interpretato come un miracolo.
Il corpo di Basilio II fu impiccato ad una colonna della chiesa di Giovanni Evangelista con un flauto in bocca e lasciato per spaventare la popolazione; il corpo di Eraclio fu dilaniato dai crociati che gli strapparono la corona con ancora i capelli attaccati.
Insomma, la maggior parte dei cadaveri venne definitivamente persa nel 1204.
Nel 1261, con la riconquista di Costantinopoli da parte di Michele VIII Paleologo, alcuni cadaveri furono recuperati (come quello di Basilio II), ma la chiesa era ormai ridotta in rovina e non venne più utilizzata.
Michele fece costruire una statua dell'arcangelo Michele davanti ad essa, mentre suo figlio Andronico II spese molto denaro per tentare un restauro che fu probabilmente parziale perchè la chiesa continuò a versare nel totale degrado.
Probabilmente i corpi degli imperatori in questo periodo vennero sepolti a Costantinopoli nelle poche chiese ancora in buono stato.
Questi corpi furono probabilmente distrutti durante l'assedio del 1453, o perduti negli anni dei restauri immediatamente successivi.
La stessa basilica dei Santi Apostoli venne definitivamente demolita nel 1462 e sostituita dalla moschea Fatih.

Un castello che ha lambito i pensieri neoplatonici

Il castello di Andraz, in provincia di Belluno. Gravemente danneggiato nella IWW non è stato più recuperato, ma recentemente è stato restaurato. È visitabile, nel comune di Livinallongo del Col di Lana. Il vescovo-filosofo Nicola Cusano amava trascorrervi molto tempo.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto, monumento e castello


giovedì 17 marzo 2022

Come al solito la guerra è amata da un certo capitalismo apolide

https://www.radiocittafujiko.it/editori-con-lelmetto-partecipazioni-ed-investimenti-di-elkann-nel-settore-difesa/?fbclid=IwAR1LWivoV8KQ6G7bu0PJlcEH71byeWQufkyPgaC_SApZRQWxsRazkRHUHyE


Prega con la danza, muovendoti in sintonia con la terra e l'universo intero


Con passione prega.
Con passione fai l’amore.
Con passione mangia e bevi , balla e gioca.
Perché devi sembrare un pesce morto in questo oceano di Dio ?

RumiI Dervisci in Turchia: pregare danzando

Rappresentata con grande splendore in chiesa

Era una prostituta di alto bordo, che attraverso le sue doti sessuali fascinò l'imperatore, come la madre di Costantino


Nessuna descrizione della foto disponibile.

venerdì 11 marzo 2022

Un patrimonio simbolico unico al mondo

Ci sarebbe da starci un pomeriggio intero a fotografare tutti i particolari attorno al fantastico rosone della cattedrale di Troia (FG)

Chiese medievali di Puglia, a c. di Stefania Mola, prov. di Foggia, Troia,  Cattedrale, pag. 1

mercoledì 9 marzo 2022

Psiché è l'Anima

E psiche venne stravolta dalla psicologia, ma Hillman ridiede dignità all'anima. Per gli antichi greci 'psiche' indicava l’anima umana, ossia l’entità immortale messa in rapporto al soffio vitale, e per questo rappresentata da una farfalla o da una fanciulla con le ali.



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venerdì 4 marzo 2022

La magia nera dell'era moderna

Come si organizza una guerra mondiale quando i tuoi aerei da caccia perdono i pezzi, i tuoi droni cascano per terra, i tuoi soldati sono tutti mercenari, i tuoi potenti hanno una media di 80 anni e le tue casse pubbliche risuonano solo di giganteschi debiti? Scatenando altre armi molto potenti, come: la corruzione, i traditori, i giornalisti, il cinema, le mafie, gli algoritmi, le spie, le multinazionali, i batteri, gli attori, le televisioni, la pubblicità, le reti finanziarie. Culianu diceva che lo Stato-poliziotto era nefasto ma che un giorno sarebbe arrivato lo Stato-mago e si sarebbe rivelato molto molto peggiore (Ioan Petru fu assassinato per averlo scritto). Dopo 30 anni, abbiamo adesso di fronte questa sua profezia: chi non è sotto ipnosi può vedere tutto lo spianamento di armi e tutta la magia nera all'opera in questo momento. Se non apriamo gli occhi, se non accettiamo di diventare a nostra volta maghi, se non reagiamo, questa rete nera non scomparirà. Ignavi ed inetti sono coloro che pensano che "tutto passerà", così, per caso. Scudo, preghiera,


IOAN PETRU COULIANU, PENSIERO E OPERE | Il blog di XPublishing -Mike Plato

martedì 1 marzo 2022

L'infezione venuta da Oriente: il cristianesimo

La morale cristiana, per Nietzsche, ha corrotto e avvelenato l’amore per la vita

di Francesco Lamendola - 20/01/2012


Jesus & Nietzsche - Professor Dreyfus - YouTube 

Nietzsche detestava il cristianesimo perché vedeva in esso una terribile aberrazione, un imperdonabile delitto contro la vita: pensava che la sua morale fosse interamente costruita sul risentimento e sul desiderio di rivincita dei deboli, dei malati, degli sconfitti nei confronti dei forti, dei sani e dei vittoriosi.

Non era certo il solo a pensarla così, anzi diciamo che si trattava di una tentazione filologica abbastanza diffusa: si pensi al Carducci di «Alle fonti del Clitumno»: all’innamorato della civiltà di Grecia e di Roma, il cristianesimo faceva l’effetto di un rachitismo vitale, di un ripiegamento della vita su se stesa, di un tradimento nei confronti dei più sani istinti, dei più nobili appetiti dell’uomo, a cominciare dal sacrosanto diritto all’egoismo.

E Nietzsche era filologo dalla pianta dei piedi alla radice dei capelli; il suo Zarathustra è la creatura partorita da una mente filologica e di un animo estetizzante, a cominciare dal nome (perché non semplicemente Zoroastro, come dicono tutti?); il suo disprezzo per il cristianesimo è di matrice filologica, viene dal disgusto di Plinio il Giovane nella famosa lettera a Traiano e viene dal sentimento libero, forte e guerriero della vita, così come erompe dai versi di Omero o dalle pagine di Cesare (ma non certo da Virgilio e meno ancora da Lucrezio), che trova insopportabile l’idea di una vita “vera” che sta al di là, di un Dio personale che crea e governa il mondo.

In più, Nietzsche è figlio dell’Illuminismo ed è figlio del Positivismo: dall’uno prende l’antipatia di Gibbon e di Voltaire per il cristianesimo in quanto religione eversiva del popolino e degli schiavi, contro il mondo aristocratico di Roma; dall’altro prende la fede radicale nell’aldiqua, nel progresso, nella scienza, nella realtà fattuale.

Però non si limita, come Carducci, a deprecare che la mansuetudine del cristianesimo abbia sento il sentimento virile della vita e l’idea dell’impegno attivo, civile e militare, nella dimensione terrena, per inseguire paradisi ultraterreni; egli è anche figlio di Feuerbach e, a suo modo, persino di Marx: dal primo trae l’idea che Dio è la proiezione, da parte dell’uomo, di quel che gli manca e che bisogna riscoprire l’«homo homini Deus», la divinità dell’uomo in mezzo ai suoi simili, dall’altro l’idea della religione come oppio dei popoli, come inganno dei preti, come ciarlataneria e come bassa calunnia contro la dimensione concreta dell’esistenza.

Il suo è un vitalismo radicale ed emotivo, un «dire sì alla vita» qualunque cosa essa ci riservi, incondizionatamente, virilmente, non una volta, ma infinite volte (la dottrina dell’Eterno ritorno dell’uguale), intendendo per “vita” il dato immediato e auto-evidente del nostro esserci, l’«hinc et nunc», il qui ed ora senza residui, senza rimpianti e senza illusioni ultraterrene.

Che si tratti di illusioni, a dire il ero, Nietzsche non si prende il disturbo di dimostrarlo: lo afferma, puramente e semplicemente, con un tale vigore, con un tale impeto, con una tale insistenza, da far sospettare che si tratti più di un tentativo di convincere se stesso, di tacitare i propri dubbi, che pure c’erano e non erano cosa da poco, se proprio dalla sua penna è uscita una delle poesie più intimamente religiose che siano mai state scritte, «Al Dio ignoto», la cui bellezza e profondità sono così struggenti, che ci piace riportarla qui di seguito per meglio far comprendere questo lato della sua personalità:

«Ancora, prima di partire / e volgere lo sguardo innanzi / solingo le mie mani levo / verso di Te, o mio rifugio, / a cui nell’intimo del cuore / altari fiero consacrai / ché in ogni tempo / la voce tua mi chiami ancora. // Segnato sopra questi altari / risplende il moto: “Al Dio ignoto”. / Suo sono, anche se finora / nella schiera degli empi son restato: / suo sono e i lacci sento, / che nella lotta ancor mi atterrano / e, se fuggire / volessi a servire mi piegano. / Conoscerti voglio, o Ignoto, / Tu, che mi penetri nell’anima / e mi percorri come un nembo, / inafferrabile congiunto! / Conoscerti voglio e servirti!»

Invero, vi è qualcosa di tragico nel fatto che un animo così intimamente religioso, come quello che ha scritto tali versi, sostenesse poi di aver voglia di lavarsi le mani ogni volta che veniva a contatto con un individuo religioso; e che abbia a tal punto frainteso, storpiato e reso irriconoscibile l’immagine di Cristo e il messaggio del cristianesimo, ottenebrato da un livore che non concede spazio a un reale confronto con i testi cristiani, con la storia e con la tradizione, ma che prende a bersaglio i luoghi comuni più grossolani a superficiali della cultura radicale e massonica di fine Ottocento; di quella stessa cultura che, in Germania, aveva spinto il principe di Bismarck a scatenare la sua Kulturkampf, la sua «battaglia per la civiltà» contro la Chiesa cattolica, accusandola, illuministicamente, di tutti gli oscurantismi e di tutti i privilegi che apparivano così inaccettabili e anacronistici alla moderna coscienza europea.

Nietzsche volle farsi l’Anticristo, ovvero la reincarnazione di Dioniso contro il Galileo, contro il portatore del lugubre vangelo della stanchezza, della rassegnazione e della negazione degli istinti vitali; ma che cosa, in sostanza, gli rimproverava? Di aver predicato l’amore fra gli uomini, la fratellanza in Dio, il perdono delle offese? Forse, a ben guardare, non tanto questo, ma il grave fraintendimento di quella dottrina che era stato fatto, nel corso della storia, da coloro che si dicono cristiani: e forse, anzi certamente, più in ambito protestante, luterano e calvinista, che in ambito cattolico (egli stesso era figlio di un pastore luterano).

Che una intelligenza brillante come la sua non sia resa conto di aver diretto i suoi strali contro il classico mulino a vento e non contro un nemico reale, è uno di quei fatti che lasciano pensosi e che ricordano quanto sia facile, anche per la mente più audace e vigorosa, scivolare su una buccia di banana, quando si perde il senso del limite e ci si abbandona orgogliosamente a una sapienza tutta umana e solamente umana, che esclude e rifiuta ogni legame con l’Assoluto, per rinchiudersi in se stessa e avviarsi all’inevitabile corto circuito.

Questa, e solo questa, ci sembra essere la giusta chiave di lettura per capire il dramma di Nietzsche, la sua caduta, la sua follia: non le banali spiegazioni mediche legate a questa o quella malattia, ereditaria o no, ma l’aver suscitato in se stesso il massimo della potenza, della tensione e della volontà, in una tensione infinita verso la “santità” della vita, negando ad esse il naturale sbocco verso la trascendenza: come dire, aver imprigionato delle forze più che umane entro il fragile involucro di una mente umana finita e orgogliosa della propria finitezza.

Così, dunque, Nietzsche nel capitolo conclusivo di «Ecce homo», l’ultima opera scritta prima di precipitare nella follia e il suo testamento spirituale (traduzione di Silvia Bortoli Cappelletto, Newton Compton,  1993, §§ 7-8):

 

«Sono stato compreso?  Ciò che mi divide, ciò che mi mette da parte rispetto a tutto il resto dell’umanità, è di aver SCOPERTO la morale cristiana. Per questo avevo bisogno di una parola che avesse in sé il senso di una sfida contro tutti. Non aver aperto prima gli occhi su questo punto è secondo me la massima sozzura  che l‘umanità abbia sulla coscienza, è l’autoinganno divenuto istinto, la fondamentale volontà di NON vedere ogni avvenimento, ogni causa, ogni realtà, è falsificazione “in psychologicis” fino al crimine. La cecità di fronte al cristianesimo è il crimine “par excellence” - il CRIMINE CONTRO LA VITA… I millenni, i popoli, i primi e gli ultimi, i filosofi e le vecchiette - tolti cinque o sei istanti nella storia, io sono il settimo - su questo punto sono degni gli uni degli altri. Il cristiano è stato fino ad oggi “l’essere morale”, un’impareggiabile curiosità – e, in quanto “essere morale”, più assurdo, più bugiardo, più vanitoso, più sconsiderato, PIÙ DANNOSO A SE STESSO di quanto il maggior dispregiatore dell’umanità avrebbe mai potuto sognare. La morale cristiana - la più maligna forma della volontà di mentire, la vera Circe dell’umanità: ciò che essa ha CORROTTO: NON è l’errore in quanto errore che mi fa inorridire qui, NON la mancanza millenaria di “buona volontà”, di disciplina, di decoro, di coraggio nelle cose dello spirito, che si svela la sua vittoria: - è l’assenza di natura, è il dato di fatto assolutamente orribile, che la CONTRO NATURA riceve i massimi onori proprio in quanto morale e in quanto legge, imperativo categorico, continua a restare sospesa sull’umanità!... Sbagliare fino a questo punto, NON come singoli, NON come popolo, ma come umanità!.... Aver imparato a disprezzare gli istinti primari della vita; aver FINTO la esistenza di un’“anima”, di uno “spirito”, per profanare il corpo; aver insegnato a vedere qualche cosa di impuro nel presupposto della vita, nella sessualità; aver cercato nella più profonda necessità della crescita, nel SEVERO egoismo (- e la parola stessa è diffamatoria!), il principio del male; e avere visto al contrario il valore più alto nel segno tipico del declino e della contraddittorietà degli istinti, cosa dico, il VALORE IN SÉ!... nel “disinteresse” e nell’”amore del prossimo” (- MALATTTIA del prossimo!)…. Come! L’umanità stessa è in “décadence”?  Lo è stata sempre?, nella perdita di peso, nella “spersonalizzazione” - ciò che è certo è che le hanno INSEGNATO a considerare come i valori più alto soli i valori di “décadence”. La morale della rinuncia è “par exellence2 la morale della degenerazione, è la constatazione  “io sono perduto” tradotta nell’imperativo “dovete perdervi tutti” - e NON SOLO nell’imperativo!... Quest’unica morale che è stata insegnata sinora, la morale della rinuncia sa sé , tradisce una volontà di morte, NEGA la vita nel suo principio fondamentale. - Resterebbe aperta qui una possibilità, che non già l’umanità sia degenerata, ma solo quella specie di uomo parassitario, il PRETE, che per mezzo della morale si innalzato, mentendo, fino a determinare i valori, - quello che ha trovato nella morale cristiana i suoi strumenti di POTERE.  E in effetti questa è la MIA opinione: i maestri, le guide dell’umanità, i teologi tutti, sono stati anche tutti quanti “décadents”: PERCIÒ la trasvalutazione di tutti i valori nel senso di un’ostilità alla vita, PERCIÒ la morale… DEFINIZIONE DELLA MORALE:  morale - idiosincrasia di “deécadents”, con il secondo fine di vendicarsi DELLA VITA  - e con successo. Attribuisco un VALORE a questa definizione. […]

Tutto ciò che sinora si è chiamato “verità”, è stato riconosciuto come la forma più dannosa, più maligna, più sotterranea della menzogna:; il santo pretesto di “rendere migliore” l’umanità come  astuzia per SUCCHIARE la vita stessa, toglierle il sangue. Morale del VAMPIRISMO… Chi ha scoperto la morale ha scoperto con ciò il non valore di tutti i valori ai quali si crede o si è creduto; nei tipi umani più venerati, e addirittura santi non vedo più nulla di degno di stima, vedo la più infausta specie di mostri, infausta, PERCHÉ AFFASCINA…  Il concetto di Dio inventato come contro concetto della vita, in esso è ricondotto ad un’orribile unità tutto quanto è dannoso, venefico, calunnioso, l’intera mortale ostilità alla vita! Il concetto di “al di à”, di “mondo vero”, inventati per togliere valore all’UNICO mondo esistente - per non lasciare alla nostra realtà terrena alcuno scopo, alcuna ragione, alcun compito!  Il concetto di “anima”, di “spirito”, e infine anche di “anima immortale”, inventati per disprezzare il corpo, per renderlo malato - “santo” - per opporre un’orribile leggerezza a tutte le cose  che nella vita meritano serietà, ai problemi del nutrimento, dell’abitazione, della dieta spirituale, della cura delle malattie, della pulizia, del tempo atmosferico! Invece della salute, la “salvezza dell’anima” - cioè a dire una “folie circulaire” tra gli spasimi della penitenza e l’isteria della redenzione! Il concetto di “peccato”, inventato insieme a tutti i relativi strumenti di tortura, al concetto di “libero arbitrio”, per confondere gli istinti e fare della diffidenza contro gli istinti una seconda natura!Nel concetto di “oblio di sé”, del “rinnegamento di sé”, che  è il vero segno distintivo della “décadence”, l’essere SEDOTTI da quanto è dannoso, il non-poter-più-trovare il proprio vantaggio, l’autodistruzione, fatti segno di valore in generale, del “dovere”, della “sanità”, del “divino” nell’uomo! Infine - è la cosa più orribile  nel concetto dell’uomo BUONO si è preso partito per tutto ciò che è debole, , malato, malriuscito, sofferente, di tutto ciò CHE È DESTINATO AD ANDARE IN ROVINA -, la legge della SELEZIONE è invertita, si è trovato un ideale nel contrario di un uomo fiero e compiuto, che dice di sì, , che è conscio del futuro - che garantisce il futuro, - d’ora in avanti questi è chiamato IL CATTIVO… E tutto ciò è stato ritenuto MORALE! “Ècrasez l’infâme”!»

 

Queste parole, scritte solo pochi giorni prima della catastrofe mentale di Nietzsche, che si verificò agli inizi di gennaio del 1889, possiedono una forza iconoclasta, una voluttà di blasfemia, ma anche una povertà di ragionamento, che ricordano certe pagine filosofeggianti del marchese De Sade, nelle quali il “divino” marchese espone la sua personale concezione del bene e del male e, soprattutto, del piacere dovuto a se stesso.

Non a caso l’ultima frase è la citazione, in francese, del famoso grido di guerra di Voltaire, «schiacciate l’infame», rivolto contro l’intolleranza e anche, indirettamente, contro la religione cristiana e la morale cattolica, dal filosofo illuminista identificate con quanto vi è di più turpe, di più superstizioso e di più oscurantista nella cultura europea. 

In effetti, Nietzsche si è sempre sentito un figlio dell’Illuminismo; lo dice e lo ripete nel corso delle sue opere; di più: ha sempre professato una ammirazione incondizionata per i “philosophes”, per la chiarezza e limpidezza del pensiero francese, mentre ha sempre aspramente tuonato e ruggito contro il filisteismo tedesco, contro la limitatezza tedesca, contro l’ipocrisia tedesca; ha sempre visto in Lutero un pazzo monaco fanatico e in Leibniz, Kant ed Hegel dei sistematizzatori pedanti e stucchevoli, incapaci di tagliare il cordone ombelicale con la tradizione - cioè, in buona sostanza, con il tanto aborrito cristianesimo -, dei chiacchieroni senza originalità e senza audacia.

Ma veniamo alle sue critiche alla religione cristiana.

Se non ci trovassimo di fronte a uno dei più forti pensatori del XIX secolo, la cui filosofia non cessa di tener desta l’attenzione e di suscitare discussioni e dibattiti, si stenterebbe a riconoscere dignità speculativa alle affermazioni apodittiche, legnose, generiche e palesemente emotive (evidenziato, quest’ultimo aspetto, dalla sintassi spezzata e dall’uso dei frequenti punti esclamativi e di altri segni d’interpunzione); così come si stenterebbe ad attribuire a Picasso certi disegni, certi schizzi, che pure alle aste d’arte vengono quotati per somme favolose, se non si pensasse a quell’altro Picasso, all’autore di alcune opere fondamentali della cultura pittorica novecentesca.

«Quandoque bonus dormitat Homerus», dice Orazio nella sua «Ars poetica»: perfino il buon Omero, talvolta, sonnecchia; e «Neque semper arcum tendit Apollo» (sempre Orazio, stavolta nelle «Odi»), Apollo non sta tutto il santo giorno a tendere l’arco con la freccia incoccata: e perché no, anche il buon vecchio Nietzsche non si può dire che sia sempre perfettamente sveglio e in forma, qualche volta si lascia andare a buttar giù cose che persino un qualunque studentello di filosofia potrebbe contestargli, per mancanza di rigore logico.

Certo, in questa pagina Nietzsche tira le somme di molti anni di riflessioni e di scritti sul tema della morale, e particolarmente della morale cristiana; resta il fatto che non argomenta, non discerne, appiattisce tutto e confonde tutto in un unico minestrone: non distingue nemmeno tra cristianesimo come dottrina e cristianità come insieme dei cristiani, con il loro comportamento più o meno coerente, più o meno fedele nei confronti di tale dottrina; né distingue tra il cristianesimo delle diverse epoche, in particolare tra quello medievale e quello contemporaneo.

A Torino, pochi mesi prima che vi giungesse Nietzsche, si era spento San Giovanni Bosco, il santo dei ragazzi e del sorriso: per poco i due uomini non si erano incontrati; possibile che il filosofo tedesco non avesse mai conosciuto, non avesse mai saputo dell’esistenza di cristiani della statura morale, della forza e della letizia di un Don Bosco, del quale tutto si può dire, tranne che fosse un “decadente” e un odiatore della vita?

Qui ci sembra che si annidi uno dei nodi centrali del moderno dibattito sul cristianesimo e anche uno dei più gravi malintesi, che esso sia voluto, oppure no.

Il cristianesimo è una dottrina religiosa e morale: può piacere o non piacere, ma non si ha il diritto di confonderlo con la cristianità; e questo è un principio metodologico che riteniamo valido nei confronti di ogni religione e di ogni ideologia.

Davvero, dopo aver letto il Vangelo, si possono onestamente condividere gli sferzanti, beffardi giudizi di Nietzsche sulla morale cristiana; o non si dovrebbe piuttosto pensare che egli avesse in mente certe distorte interpretazioni di essa, certe vere e proprie patologie di taluni cristiani, che poco hanno compreso del’autentico senso del Vangelo?