mercoledì 23 dicembre 2009

Culti in bilico: Madonne nere retaggio dei culti di Iside





"Nigra sum. Culti, santuari e immagini delle madonne nere d'Europa"
Vescovado - 22/12/2009
Fonte: Il Monferrato http://www.ilmonferrato.it/index.php

Nel pomeriggio di martedì 22 dicembre in vescovado è avvenuta la prima presentazione del Convegno Internazionale "Nigra sum. Culti, santuari e immagini delle madonne nere d'Europa", organizzato dal Centro di Documentazione dei Sacri Monti, Calvari e Complessi devozionali europei e il Santuario e Sacro Monte di Oropa in collaborazione con l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e il Santuario di Crea.

Il Convegno, che si svolgerà a Oropa (Biella) e a Crea (Alessandria) dal 20 al 22 maggio 2010, prevede la partecipazione di relatori provenienti da tutta Europa che apriranno un confronto su un tema che è comune a molte realtà devozionali europee ed è da decenni un terreno di ricerca e di discussione.

L'incontro di martedì è stato presieduto dal vescovo di Casale mons. Alceste Catella e dal presidente del Parco di Crea Gianni Calvi in qualità di presidente del Coordinamento di tutti i Parchi.

Tra i presenti: Enrico Massone, funzionario regionale ai Parchi, Guido Gentile, Piergiorgio Longo e Stefano Piano, del (con Paolo Sorrenti) Comitato Scientifico del Centro di Documentazione di Sacri Monti, Calvari e Complessi devozionali europei, poi il prof. Claudio Bernardi dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, mons. Francesco Mancinelli, rettore del del Santuario di Crea, il direttore del Parco di Crea Amilcare Barbero con la consigliera Rita Valterza, da Oropa Oliviero Girardi nella doppia veste di segretario generale del Santuario e direttore del Parco e Linda Angeli funzionaria del Parco: poi la restauratrice Giovanna Mastrotisi responsabile della Novaria, la ricercatrice Irene Romagnoli e la responsabile dell'archivio diocesano di Casale (e consigliera del Parco di Crea) Manuela Meni.

Le Madonne di alcuni celebri santuari mariani d'Europa sono nere o brune: Oropa, Crea, Varese e Loreto in Italia, Montserrat in Spagna, Czestochowa in Polonia, Einsiedeln in Svizzera, Rocamadur in Francia, sono i vertici di un diffuso e poco noto fenomeno di immagini mariane caratterizzate dal colore bruno della Vergine.

L'inconsueto colore di queste immagini, icone e simulacri lignei, è da secoli un enigma, un terreno di ricerca e di confronto che vede talvolta schierati su fronti opposti studiosi, devoti e autorità religiose. Una Madonna Nera è iconograficamente e devozionalmente una eccezione nel panorama religioso medievale e moderno. Il nero nell'immaginario medievale è, infatti, sempre congiunto alla sfera delle tenebre, del diabolico, del male. Tra le spiegazioni che vengono addotte dagli studiosi vi è l'ipotesi che si tratti di immagini "affumicate", scurite dai fumi dei ceri che ardono davanti a loro da secoli o miracolosamente scampate a furiosi incendi, oppure che si tratti di culti antichi dedicati alle dee madri, "assorbite" dalle Vergini Nere del cristianesimo.

Tra queste numerose teorie l'unica giustificazione è il ricorso alla celebre definizione della sposa nel Cantico dei Cantici: "Nigra sum, sed formosa", "Sono nera, ma bella". Le interpretazioni del passo biblico nel pensiero medievale sono molteplici e si riferiscono più che alla Vergine, alla Chiesa (di cui per altro Maria è considerata madre) e all'umanità.

Nella devozione popolare delle Madonne Nere si celano questioni non solo di ordine religioso o artistico, ma di valore antropologico, sociale, storico e politico. Non a caso molti dei santuari sopra citati sono siti devozionali nazionali, ma anche transnazionali, meta e oggetto di culto di pellegrini e devoti che vengono da lontano.

In ambito europeo le Madonne Nere costituiscono un comune patrimonio religioso, storico, culturale e artistico, che può contribuire a farci sentire ed essere sempre più europei.

Nel corso della presentazione animata da interventi molto elevati si sono apprese alcune curiosità come quella che è in corso un censimento delle Madonne Nere "Pensavamo di arrivare al massimo a cento, siamo a 743...", Tutti questi siti saranno messi in rete, del pari a gennaio ci sarà un sito apposito in internet con le informazioni sul convegno del quale verranno poi stampati gli atti. Cinque interventi al femminile verteranno proprio sulla Madonna e la 2donna"Si sta già lavorando all'accoglienza Oropa arriva fino a 700 posti), a Crea la sede dell'ultimo incontro sarà la basilica. Previsto il servizio di traduzione simultanea.

Conclusione al vescovo Catella che ha ricordato la sua lunga presenza a Oropa come rettore (otto anni) e rivolto un complimento e un augurio agli organizzatori "Sta nascendo un convegno importante anche per la "nostra" Crea, un Convegno da cui può partire un messaggio universale di pace".

Luigi Angelino

-Segreteria Organizzativa: Linda Angeli

Via Santuario di Oropa 480 c/o Ufficio Accoglienza

13900 Oropa - Biella (Italy)

martedì 22 dicembre 2009

La messa secondo Dylan Thomas



Questa poesia coglie il senso profondo del rito dell'eucarestia.
La vita e la sessualità attraverso il cibo si perpetuano nei secoli dei secoli.
E' l'antica Agapè gnostica!


Questo pane che spezzo

Questo pane che spezzo un tempo era frumento,
Questo vino su un albero straniero
Nei suoi frutti era immerso;
L'uomo di giorno o il vento della notte
Getto' a terra le messi, spezzo' la gioia dell'uva.
In questo vino, un tempo, il sangue dell'estate
Batteva nella carne che vestiva la vite;
Un tempo, in questo pane,
Il frumento era allegro in mezzo al vento;
L'uomo ha spezzato il sole e ha rovesciato il vento.
Questa carne che spezzi, questo sangue a cui lasci
Devastare le vene, erano un tempo
Frumento ed uva, nati
Da radice e da linfa sensuali.
E' il mio vino che bevi, e' il mio pane che addenti.


This bread I break was once the oat,
This wine upon a foreign tree
Plunged in its fruit;
man in the day or wind at night
Laid the crops low, broke the grape’s joy.

Once in this wine the sammer blood
Knocked in the flesh that decked the vine,
Once in this bread
The oat was merry in the wind;
Man broke the sun, pulled the wind down.

This flesh you break, this blood you let
Make desolation in the vein,
Were oat and grape
Born of the sensual root and sap
My wine you drink, my bread you snap.

domenica 20 dicembre 2009

La savranità della moneta in mani private?





Provocazione Quella sovranità della moneta in mani private
di Redazione

Fonte: Il Giornale http://www.ilgiornale.it/economia/provocazione_quella_sovranita_moneta_mani_private/11-12-2009/articolo-id=406009-page=0-comments=1

Abbiamo ricominciato a tremare per le banche. Abbiamo ricominciato a tremare addirittura per gli Stati, a rischio di fallimento attraverso i debiti delle banche. Si è alzata anche, in questi frangenti, la voce di Mario Draghi con il suo memento ai governanti: attenzione al debito pubblico e a quello privato; dovete a tutti i costi farli diminuire. Giusto. Ma l'unico modo efficace per farli diminuire è finalmente riappropriarsene. Non è forse giunta l'ora, dopo tutto quanto abbiamo dovuto soffrire a causa delle incredibili malversazioni dei banchieri, di sottrarci al loro macroscopico potere? Per prima cosa informando con correttezza i cittadini di ciò che in grande maggioranza non sanno, ossia che non sono gli Stati i padroni del denaro che viene messo in circolazione in quanto hanno delegato pochi privati, azionisti delle banche centrali, a crearlo. Sì, sembra perfino grottesca una cosa simile; uno scherzo surreale del quale ridere; ma è realtà. C'è stato un momento in cui alcuni ricchissimi banchieri hanno convinto gli Stati a cedere loro il diritto di fabbricare la moneta per poi prestargliela con tanto di interesse. È così che si è formato il debito pubblico: sono i soldi che ogni cittadino deve alla banca centrale del suo paese per ogni moneta che adopera. La Banca d'Italia non è per nulla la «Banca d'Italia», ossia la nostra, degli italiani, ma una banca privata, così come le altre Banche centrali inclusa quella Europea, che sono proprietà di grandi istituti di credito, pur traendo volutamente i popoli in inganno fregiandosi del nome dello Stato per il quale fabbricano il denaro. Ha cominciato la Federal Reserve (che si chiama così ma che non ha nulla di «federale»), banca centrale americana, i cui azionisti sono alcune delle più famose banche del mondo quali la Rothschild Bank di Londra, la Warburg Bank di Berlino, la Goldman Sachs di New York e poche altre. Queste a loro volta sono anche azioniste di molte delle Banche centrali degli Stati europei e queste infine, con il sistema delle scatole cinesi, sono proprietarie della Banca centrale europea. Insomma il patrimonio finanziario del mondo è nelle mani di pochissimi privati ai quali è stato conferito per legge un potere sovranazionale, cosa di per sé illegittima negli Stati democratici ove la Costituzione afferma, come in quella italiana, che la sovranità appartiene al popolo.
Niente è segreto di quanto detto finora, anzi: è sufficiente cercare le voci adatte in internet per ottenere senza difficoltà le informazioni fondamentali sulla fabbricazione bancaria delle monete, sul cosiddetto «signoraggio», ossia sull'interesse che gli Stati pagano per avere «in prestito» dalle banche il denaro che adoperiamo e sulla sua assurda conseguenza: l'accumulo sempre crescente del debito pubblico dei singoli Stati. Anche la bibliografia è abbastanza nutrita e sono facilmente reperibili sia le traduzioni in italiano che i volumi specialistici di nostri autori. Tuttavia queste informazioni non circolano e sembra quasi che si sia formata, senza uno specifico divieto, una specie di congiura del silenzio. È vero che le decisioni dei banchieri hanno per statuto diritto alla segretezza; ma sappiamo bene quale forza pubblicitaria di diffusione la segretezza aggiunga alle notizie. Probabilmente si tratta del timore per le terribili rappresaglie cui sono andati incontro in America quegli eroici politici che hanno tentato di far saltare l'accordo con le banche e di cui si parla come dei «caduti» per la moneta. Abraham Lincoln, John F. Kennedy, Robert Kennedy sono stati uccisi, infatti (questo collegamento causale naturalmente è senza prove) subito dopo aver firmato la legge che autorizzava lo Stato a produrre il dollaro in proprio.

Oggi, però, è indispensabile che i popoli guardino con determinazione e consapevolezza alla realtà del debito pubblico nelle sue vere cause in modo da indurre i governanti a riappropriarsi della sovranità monetaria prima che esso diventi inestinguibile. È questo il momento. Proprio perché i banchieri ci avvertono che il debito pubblico è troppo alto e deve rientrare, ma non è possibile farlo senza aumentare ancora le tasse oppure eliminare alcune delle più preziose garanzie sociali; proprio perché le banche hanno ricominciato a fallire (anche se in realtà non avevano affatto smesso) e ci portano al disastro; proprio perché è evidente che il sistema, così dichiaratamente patologico, è giunto alle sue estreme conseguenze, dobbiamo mettervi fine. In Italia non sarà difficile convincerne i governanti, visto che più volte è apparso chiaramente che la loro insofferenza per la situazione è quasi pari alla nostra.

http://www.ilgiornale.it/economia/provocazione_quella_sovranita_moneta_mani_private/11-12-2009/articolo-id=406009-page=0-comments=1

martedì 8 dicembre 2009

la fine dell'inciviltà del consumismo




La festa e finità?
di Serge Latouche

Perché dovrei preoccuparmi della posterità ? -diceva Marx (non Karl, ma Grouco)- Forse la posterità si è preoccupata di me ? Effettivamente si può pensare che per l'avvenire non valga la pena di tormentarsi per assicurarsi che ci sia e che sia meglio dar fondo il prima possibile al petrolio e alle risorse naturali piuttosto che avvelenarsi l'esistenza con il razionamento. Questo punto di vista è assai diffuso nelle èlites, e si può comprenderlo, ma lo si trova anche implicitamente in un gran numero di nostri contemporanei. Oppure, come scrive Nicholas Georgescu-Roegen: [Nicholas Georgescu-Roegen, >La decroissance> edizioni Sang de la terre, 2006].
Certo bisognerebbe che la vita dei moderni super-consumatori sia veramente eccitante e che, al contrario, la sobrietà sia incompatibile con la felicità e anche con una certa esuberanza gioiosa. E poi anche...Come dice molto bene Richard Heinberg: . E allora? Oggi che abbiamo dilapidato la dote [Richard Henberg, , edizioni Demi Lune, Paris 2008]. Si può anche giustificare l'incuria sul futuro con ogni tipo di ragioni, non necessariamente egoiste.
Se si pensa a come Schopenauer, che la vita è un affare in perdita, è quasi una forma di altruismo, vuol dire risparmiare ai nostri figli il mal di vivere. La via della decrescita si basa su un postulato inverso, condiviso dalla maggior parte delle culture non occidentali: per misteriosa che sia, la vita è un dono meraviglioso. Ed è vero che l'uomo ha la possibilità di trasformarla in un regalo avvelenato, e l'avvento del capitalismo non si è privato di quest'opportunità. In queste condizioni, la decrescita è una sfida una scommessa.
Una sfida alle credenze più radicate, dato che lo slogan costituisce un insopportabile provocazione e una bestemmia per gli adoratori della crescita, Una scommessa perché nulla è meno sicuro della necessaria realizzazione di una società autonoma della sobrietà.Tuttavia la sfida merita di essere lanciata e la scommessa di essere fatta. La via della decrescita è quella della resistenza, ma anche quella della dissidenza, di fronte al rullo compressore dell'occidentalizzazione del mondo e del totalitarismo aggressivo della società del consumo mondializzato. Se gli obbiettori alla crescita si danno alla macchia ed insieme agli indigeni d'America marciano sul sentiero di guerra, essi esplorano la costruzione di una civilizzazione della sobrietà scelta alternativa all'empasse della società della crescita, e oppongono al terrorismo della cosmocrazia e dell'oligarchia politica ed economica dei mezzi pacifici: non violenza, disobbedienza civile, boicottaggio, e naturalmente, le armi della critica.

Serge Latouche.

Louis Kervran e i principi scentifici dell'alchinia

                                                  Risultati immagini per louis kervran



LE TEORIE DI CORENTIN LOUIS KERVRAN

Durante i suoi esperimenti Kervran volle misurare quantitativamente l'aumento del calcio (Ca) nelle piante d'avena. Misurò precisamente la quantità di Ca e di potassio (K) contenuta nei semi e quella contenuta nelle piante dopo 5-6 settimane di crescita.

I test di crescita avvenivano in cassoni sigillati trasparenti in cui era insuflata aria pura, esente da Ca misurabile. Le piante erano irrorate con acqua purissima risultante da combustione di idrogeno e ossigeno provenienti da idrolisi.

RISULTATI SCIENTIFICI

I risultati ottenuti indicavano un aumento del 118 % di Ca dopo 6 settimane, pari a 0,032 mg per pianta, e ad una diminuzione di 0,033 mg di K. La somma ponderale di Ca + K nei semi e nella pianta rimaneva invariata, mentre variava significativamente il rapporto K/Ca, che nei semi era di 4,2 e nelle piante 1,4. Il che metteva in relazione la diminuzione di K con l'aumento di Ca.

Il potassio si era trasmutato in calcio.

LA BIOLOGIA

Quando il seme d'avena è sottoposto a condizioni ideali di germinazione, il suo embrione produce degli ormoni che migrano verso uno strato di cellule che ricoprono le riserve (aleurone) e stimolano la sintesi di enzimi idrolitici, che a loro volta migrano verso le riserve del seme (endosperma) dove trasformano amido e proteine per renderli disponibili all'embrione. La fase ormonale con forte produzione di ghibelline (ormoni di crescita) durava durante i test fino alla quinta, sesta settimana. Durante questo periodo si assisteva ad un'elevata sintesi di enzimi stimolata dagli ormoni, e ad un gran numero di trasmutazioni biologiche legate agli stessi enzimi.

LA REAZIONE NUCLEARE

La trasmutazione biologica a debole energia è una reazione tra atomi che dopo la reazione non sono più gli stessi, si trasformano in altri atomi, la materia è cambiata. Segreto a lungo cercato dagli alchimisti che vollero trasmutare i vili metalli in oro.

Le reazioni atomiche create dall'uomo negli ultimi decenni trasformano la materia scatenando energie enormi come nella bomba o nelle centrali atomiche. La natura nel silenzio delle sue cellule ha sempre saputo trasmutare gli atomi, a bassissima energia e senza emettere radioattività!

Nella creazione di Ca nell'avena, un protone (atomo di idrogeno privo del suo elettrone) (1H+) è spinto contro un atomo di potassio (19K) da un enzima grazie all'energia di un neutrino, catturato dallo stesso enzima. I due nuclei si fondono, il neutrino (n ) che a ceduto l'energia ad H+ per attuare la fusione esce con un'energia diversa (n '), traendo con se l'energia eccedente che risulta dalla perdita di massa tra Ca e H+ + K.

La reazione risulta:


L'enzima interviene nella reazione come una lente che concentrerebbe i neutrini vaganti liberi nel cosmo, aumentando le possibilità d'impatto di un neutrino con il protone (H+) che, spinto verso l'atomo di potassio con energia sufficiente penetra il nucleo di K per effetto tunnel. Si crea un atomo di calcio.

domenica 6 dicembre 2009

domenica 29 novembre 2009

L'AUTOMUMMIFICAZIONE DEI MONACI GIAPPONESI


La mummia del monaco Tetsuryukai

lE TECNICHE PER DIVENTARE MIIRA

Dal libro di Raveri riguardante lo sciamanesimo ('Itinerari nel sacro'), riporto questo passaggio sui miira, esperienza di automummificazione documentata fino a meno di un secolo fa in Giappone. E' impressionante...


Questa prassi avviene fuori dal contesto istituzionale delle organizzazioni religiose sia shintoiste che buddhiste ed è anzi apertamente osteggiata anche dal potere politico.
Il miira si oppone al naturale deestino di ogni uomo. L'automummificazione in vita è un rifiuto dei rapporti sociali, dei rapporti religiosi codificati, delle leggi naturali e dei limiti della propria fisicità.
Se la corruzione della carne è segno dell'azione del tempo, il miira è un corpo incorrotto. se il tempo è il dissolversi della forma, egli è intatto e il suo corpo mummificato non subisce mutamento alcuno. [...] Si tratta dell'esperienza escetica di automummificazione durante la vita. I primi casi in Giappone sono documentati a partire dal secolo XII, gli ultimi accertati sono del primo decennio del 1900.
Quando l'asceta ha preso la decisione di cercare l'immortalità, si ritira in completa solitudine dentra una grotta in montagna. Continua a praticare le tecniche di meditazione e purificazione comuni a tutte le esperienze mistiche, ma le porta in questo caso fino al limite estremo.
Inizia infatti un periodo di tre anni di progressiva astinenza dal cibo normale. [...] Superato questo primo periodo, l'asceta entra nella seconda fase del processo di mummificazione che deve durare cinque anni. Egli prende a cibarsi solo dei prodotti di conifere, come pigne, castagne, foglie, radici, cortecce, resine e terra. Anche questa alimentazione è progressivamente ridotta fino ad arrivare al digiuno completo, in cui solo l'acqua è permessa.
Si fa seppellire quando è ancora vivo. Si pone lui stesso nella bara in posizione eretta di meditazione. La bara viene chiusa e ricoperta di terra e un piccolo tubo di bambù viene inserito per garantire l'areazione.
Viene riaperta tre anni dopo. Se il corpo è intatto, l'asceta diventa un miira, una mummia. I monaci lo profumano di incenso, lo vestono di ricchi paramenti sacri e lo racchiudono in un tabernacolo. In Cina, dove la tradizione di questa pratica ascetica è documentata, era consuetudine avvolgere il corpo mummificato con stoffa impregnata di lacca colorata per meglio conservarlo intatto. [...] Le immagini del Buddha nei templi sono rivestite di lamine dorate, così il miira è una statua vivente, un'icona regale, oggetto di culto. [...]
Non si tratta di una lenta morte per fame né di un suicidio rituale. Il miira è un caso emblematico e inquietante perché realizza un'estrema possibilità teorica di reazione culturale al problema della morte. [...] Se il cadavere è il corpo corrotto, il miira, corpo ormai incorruttibile, ne è l'antitesi. Il miira ha fatto della zona di margine tra vita e morte la centralità della sua esperienza. Ha negato sia i limiti dell'una che dell'altra realtà esistenziale, partecipando ad entrambe. Dove la cultura ha posto separazioni, lui ha attuato un'unione. ha potuto farlo perché ha controllato e si è liberato di talune leggi della morte (decomposizione) e ha fermato e reso superflue certe condizioni della vita (nutrimento). [...]
Il miira è un emarginato in vita e, come asceta, è "morto" socialmente. Rifiutando il cibo si riduce qusi allo stato di scheletro, è considerato come un cadavere e infatti viene seppellito. Ma non muore. Riesumando il corpo, "il suo viso è intatto, le sue ossa tintinnano come l'oro". E' in meditazione, quindi è vivo e si pensa che un giorno potrà risvegliarsi e riaggregarsi al mondo dei vivi per salvarli.

venerdì 27 novembre 2009

Prostituzione sacra



Il sesso è l'energia fondamentale che muove gli esseri umani. Ogni nostra cellula è sessuata.
La nostra stessa esistenza umana è causata dal rapporto sessuale avuto dai nostri genitori... Per questo la mente pensa così tanto al sesso... L'energia del sesso può essere utilizzata bene o male... L'uomo contemporaneo si distrugge nel sesso, letteralmente vi si consuma... Perchè usa male questa energia.
Vi sono però delle tecniche che permettono di utilizzare l'energia del sesso in maniera positiva... Il sesso è come uno strumento che può permetterci di fare l'esperienza autentica dell'amore.... I corpi rimangono due, ma qualcosa oltre i corpi si fonde e diventa uno... ma anche fermarsi a questo può essere pericoloso.
Esiste un amore non duale che può permetterci di fare esperienza dell'Assoluto, della realtà, lo stato di bhairava... Ma quasi nessuno va oltre il sesso... Questo perchè non siamo consapevoli durante l'amplesso, perchè viviamo nel non-amore, nell'ignoranza di questa realtà al di là della dualità, al di là della consapevolezza, oltre l'incoscienza, oltre il mondo e oltre la liberazione.
Il sesso è semplicemente un mezzo pre arrivare alla conoscenza e alla liberazione, ma rimane un cammino difficile, un cammino per pochi
La gente comune, attraverso il condizionamento cristiano ha perso completamente il rapporto arcaico con il(sesso) sacro( sottolineo che sacro sigifica terribile, per le implicazioni di conoscenze ed esperienze che travalicano l'ordinarietà).
La sakti è la donna Sacra dell'induismo e Wally Simpson ne è l'espressione pratica della grande conoscenza ed uso mirato (degeneratamente) che il mondo "civile" ebbe a condurre nel secolo scorso per fare in maniera che un re abdicasse.
Ricordiamo la sessualità espressa nel Simposio di Platone, la palla che si strappa e così si divide, ma sente incessantemente l'impellente bisogno di riunirsi e ricostituire l'unita perduta.
Eros è unione -Amor che move il sol e le altre stelle-
così termina la Divina Commedia

domenica 22 novembre 2009

Cosa resterà di noi



Cosa resterà di noi. Il corpo rappresenta, in ogni caso, la pesantezza della materia cio che è legato alla materialità è evanescente. Ma la nostra societa è falsa e ipocrita governata dal bieco criatianesimo che ci imbonisce. Alla fine dei tempi il corpo rinascerà nella carne. Tutte sciocchezze, credo fermamente nell'anima. Solo questa essenza potra esistere perdendosi nel tutto.

domenica 15 novembre 2009

L'alchimia del corpo:le reliquie del Buddha

Risultati immagini per le reliquie dei Buddha nelle ceneri
Bologna sarà teatro di un evento davvero eccezionale: l’esposizione delle reliquie dei Buddha. Esse appaiono sotto forma di cristalli semitrasparenti, minute perle bianche o pietre ambrate. Prodigiosamente simili a gioielli preziosi, le reliquie dopo Padova (13-15 Novembre) e Milano (20-22 Novembre) approdano a Bologna mostrando la loro benefica bellezza come tappa conclusiva del loro tour europeo. Dal 27 al 29 novembre la pregiata collezione, raccolta da Lama Zopa Rinpoce, verrà esposta presso la Sala Silentium in Vicolo Bolognetti, 2 per il Tour mondiale delle “Reliquie del Santuario del Cuore” del Maitreya Project, organizzato, a Bologna, dal Centro Studi Cenresig, con il patrocinio della Provincia, del Comune e del Quartiere San Vitale.
La collezione include le reliquie del Buddha storico e dei suoi discepoli più vicini, così come di altri Maestri buddhisti di tradizione tibetana, cinese e indiana. La maggior parte delle reliquie sono del Buddha storico Sakyamuni che nacque nel 563 AC., ma nella collezione ce ne sono anche alcune di Buddha Kasyapa che fu il suo predecessore. E’ un’opportunità unica per vederle, dato che sono di solito custodite nei monasteri e raramente esposte.


Cosa sono le reliquie e quali sono i benefici che se ne colgono? È noto che il corpo di molti Santi cattolici è rimasto intatto dopo la morte. In modo analogo, la cremazione dei Maestri buddhisti ha spesso generato fenomeni straordinari: i loro capelli sono diventati fili di rame, le ossa perle, i denti conchiglie. Quando un Maestro spirituale viene cremato, nei resti delle ceneri spesso vengono trovate delle meravigliose perle di cristallo: la purezza interiore dei Maestri appare nella forma di queste perle-reliquie che i tibetani chiamano Ringsel. I veri Maestri spirituali generalmente non parlano dei loro conseguimenti interiori, così esse sono la tangibilità materiale che il Maestro ha ottenuto grande compassione e saggezza prima della morte. La visione delle reliquie equivale a una benedizione in grado di infondere un senso di pace e di benessere. I visitatori spesso raccontano di essersi sentiti fortemente ispirati a pregare per la pace nel mondo e a sviluppare la propria saggezza interiore in presenza delle reliquie, altri invece hanno sentito aprire i propri cuori alla compassione a all’amorevole gentilezza. Le reliquie sono accessibili a tutti indipendentemente dal credo o background religioso. Non ci sono cerimoniali particolari né rigide formalità da compiere. Semplicemente, si chiede alle persone di essere rispettose e consapevoli.
Nei giorni della mostra, presso la Sala Multimediale della Biblioteca Roberto Ruffilli di Vicolo Bolognetti, saranno proiettati i video di presentazione del Maitreya Project.

lunedì 9 novembre 2009



Dio è rimorto (rimorso?)
di Anna K. Valerio

Se ne andrà lasciando il cartello “torno subito”, una scia di impronte, e una nota collettiva sul registro, come è già successo in qualche classe scapestrata delle superiori? O farà finalmente, costretto dall’insolenza dei casi di cronaca, un bel miracolo, per umiliare la superbia di tutti gli scettici? Manderà qualche fiotto di sangue ben calibrato, magari dalla fronte ulcerata di spine? E Dio, suo padre, lascerà che una marmaglia di peccatori e miscredenti lo mandi in esilio senza battere ciglio, oppure è meglio preparare stivali e ombrello per un’imminente replica del diluvio universale? Possibile che una corte suprema europea possa arrivare a tanto, a imporre all’Italia di bandire i crocifissi dalle aule, senza che l’infinita bontà dell’Altissimo, dell’Onnipotente, si increspi di indignazione? Le radici cristiane dell’Europa, tutt’a un tratto, divelte… Millenni di dottrina, di roghi, di concilii cancellati… In barba ai martiri e ai crociati, ai santi e alle beate, ai monaci che ci hanno tramandato le parole della classicità e agli inquisitori che razziavano la città degli uomini per l’ingordigia della città di Dio… Eh, il Paradiso a venire: chi ci dà garanzie nette in proposito, chi ci assicura che godremo i profitti del non peccare? Meglio i paradisi artificiali. Più alla mano. Metto via un paio di quarti di stipendi e me la prendo anch’io la luce e la pace, dallo spacciatore tunisino a due isolati da casa mia. Eppoi, davanti a noi si profila sempre più edenico il trionfo definitivo dell’eguaglianza. Eguaglianza nei costumi e nei consumi: una platitude perfetta, che ha infine riscattato i vili, gli inetti, i meschini. Siamo tutti uguali, finalmente: maschi, femmine, gay e trans, forti e deboli, sani e malati, fieri e timidi, audaci e codardi, vecchi e giovani, bianchi e neri, più o meno ricchi fuori, più o meno poveri dentro, eletti ed elettori, cristiani e non cristiani. Nessuno, nell’occidente ragionevole, patisce la vera fame, la vera umiliazione, nemmeno le serve rumene, coccolate da articoli di giornale che non si tributerebbero a un incallito filantropo. Per secoli, mentre infuriavano guerre e prove d’onore, gli infimi della specie avevano dovuto riparare in Cristo. E con che foga baciavano il crocifisso, regalandogli tesori di lacrime e sospiri! Ora non ce n’è più bisogno: nessuno li discrimina ancora. Come in alto così in basso non è più la parola di passo di qualche alchimista allucinato. L’indifferenza è diventata sistematica: è insieme legge, giudizio, inno, impresa. Si fa la guerra per spargere l’indifferenza nel mondo. Si scrive per magnificare e corroborare l’indifferenza. Si giudica per punire i superbi e per rendere più facile e tranquilla la vita della mandria umana. Si legifera per omogeneizzare gusti e gesti.

E’ strano l’aroma di questo editto su carta bollata contro la croce. Una tragica, terribile, desolante, surreale vittoria. La prova della totale veridicità delle imprecazioni e delle diagnosi nietzscheane de L’anticristiano. Guardateli: hanno tolto la maschera di fedeli per rivelarsi i parassiti della croce. Dietro le loro piaghe di bisognosi di un aldilà covava una smodata volontà di potenza contro l’uomo valoroso qui e ora. Sennò adesso sarebbero coerenti con le loro affettazioni di mansuetudine: porgerebbero l’altra guancia, non chiederebbero al gregge che ancora li segue di alzare la voce per protestare. La loro storia è storia di una menzogna millenaria, di una posa millenaria. Mentendo e mugolando si sono insinuati nel cuore arcaico. Hanno approfittato della magnanimità e l’hanno corrotta in compassione e poi in necessaria adesione. Hanno vinto Roma rantolando come attori consumati. Si sono impadroniti dell’Europa per secoli e secoli. Hanno preso spaventi da non dirsi, ma poi ce l’hanno fatta sempre, rinati dalle ceneri di cui si cospargono con foga morbosa e ostentata. Ora è finita anche per loro. Non è una vittoria della Paganità, questa, ma del caos. Però com’è dolce il rumore della loro agonia!

Cultrura - Rubrica delle Edizioni di Ar | Dio è rimorto (rimorso?)

martedì 3 novembre 2009

Alda Merini e i troppi preti in veneto

Risultati immagini per alda merini tanti preti
Scrive la poetessa:

I veneti hanno la fortuna di avere una lingua che è poesia in se,
una musica perfetta, peccato che ci siano troppi preti a usarla,
quella lingua.
"Amo la Vostra regione (il veneto), ma quanti preti"

Scrive ancora la poetessa Alda Merini:
Il successo.....ma abbiamo pagato, pagato caro, con il male. Eppure si deve sapere che la poesia non nasce dal dolore, dal male, dal male non nasce nulla. La poesia nasce dalla gioia ed è destinata agli altri. Che senso avrebbe la vita se non fosse regalata agli altri.

L'anima ha mille sentieri e soprattutto
mille tentazioni nascoste.
Non c'è un esempio valido per l'anima
che non sia grato agli dei e che non voli
oltre ogni causa possibile. Se un'anima
è franca, se ha conosciuto il valore e il
peso della morte, conosce le radici della
vita e sa che sono amare ma salutari.
Non esiste una medicina né per l'amore
né per l'anima, né per il dolore, perché se
il dolore è una vetta improvvisa che sorge
improvvisamente nel cuore, la morte cerca
di renderlo eterno e di farne un languore
umano.
Ma la morte non è una nemica, è soltan-
to un grande filantropo che ama gli uomini
e un grande filologo che conosce la natura
delle parole. Eppure ogni anima è al di so-
pra di queste occasioni e di questi travesti-
menti.
Ciò che vale nell'anima è la nudità, la non
presenza di tutte quelle onorificenze che ti
destinano alla morte.
L'anima ha la semplicità dell'acqua ed è
la prima natura dell'uomo. Naturalmente
teso verso questo embrione di rinascita
ogni uomo cercherà nell'anima un tempo
che non potrà incontrare se non dopo la
morte, che è l'unica occasione per diventare
nuovamente anima.

giovedì 22 ottobre 2009

Il futurismo rivoluzionario



In un articolo de «L’Ordine Nuovo» del 5 maggio 1921, Antonio Gramsci scriveva:

«I futuristi hanno svolto questo compito nel campo della cultura borghese: hanno distrutto, distrutto distrutto, senza preoccuparsi se le nuove creazioni, prodotte dalla loro attività, fossero nel complesso, una opera superiore a quella distrutta: hanno avuto fiducia in sé stessi, nella foga delle energie giovani, hanno avuto la concezione netta e chiara che l’epoca nostra, della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa doveva avere nuove forme di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simili questioni, quando i socialisti certamente non avevano una concezione precisa nel campo della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e si vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava spezzare la macchina del potere borghese nello stato e nella fabbrica».


Il futurismo, quindi, secondo Gramsci, ha i caratteri di un movimento rivoluzionario in quanto ha distrutto contenuti, forme e schemi dalla tradizione culturale aprendo la strada ad un tipo di arte del tutto nuova. La cultura proletaria avrebbe dovuto sviluppare e rafforzare le indicazioni della rivoluzione futurista: bisognava far nascere un tipo di cultura totalmente diversa da quella borghese, spezzando le distinzioni di classe e il carrierismo borghese. Sarebbero dovuti nascere una poesia, un romanzo, un teatro, un costume, una lingua, una pittura, una musica che avrebbero dovuto essere adeguato ornamento della società proletaria. Gramsci si augurava che si realizzasse una cultura proletaria, creata dagli operai stessi. Nel manifesto del futurismo, elaborato da Filippo Tommaso Marinetti, a Parigi, il 9 febbraio del 1909, tra le altre cose, erano contenute queste finalità artistiche: «Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla rivoluzione nelle capitali moderne; canteremo il vibrante “fervore notturno degli arsenali e dei cantieri”». Questo programma, cosi innovatore e cosi sensibile alla realtà industriale e, quindi, operaia che andava emergendo nella società, fece nascere, tra i marxisti italiani (e non solo italiani), la convinzione che si avesse a che fare con un’arte rivoluzionaria, assolutamente marxista come scrisse Gramsci. Perfino Giuseppe Prezzolini, in un articolo pubblicato ne «Il Secolo» del 3 aprile 1923 e intitolato «Fascismo e Futurismo», affermò: «La fabbrica è stata la sorgente delle idee politiche bolsceviche; ed è stata la inspiratrice dell’arte futurista». Tale realtà industriale ed operaia non trovava alcuna eco nei movimenti artistici tradizionali, in cui prevalevano con tenuti sentimentalistici, intimistici, individualistici, arcadici. La città, con le sue esigenze e con i suoi problemi, era ignorata: i letterari erano impegnati a scrivere soltanto «sonetti e canzoni arcadiche» come disse Gramsci. Queste lacune furono, con vistosità e clamore, colmate dei futuristi.
Questa nuova creatività Futurista, però, non aveva radici, non nasceva da motivazioni profonde, rimaneva piuttosto superficiale. Al riguardo, i può condividere il giudizio di Dino Mingozzi che, qualche anno fa, per i «Quaderni della FIAP», scrisse un interessante volumetto, intitolato Gramsci e il futurismo (1920-1922): «In questo modo l’esatta impostazione del problema di una creatività che si estendeva a strati nuovi della società civile non veniva portata da Marinetti, alle conseguenze più coerenti e importanti, in quanto egli tralasciava di studiare e di prendere esatta coscienza del fattore che più spiccatamente poteva contenere valenze anticapitalistiche. La consapevolezza da parte dell’individuo delle ragioni del proprio lavoro e del proprio operare nel mondo. Si può dire che Marinetti era prodigo di enunciazioni di principio che trovavano scarsissimo riscontro nella realtà; la coscienza sociale di Marinetti era molto limitata ed indubbi limiti aveva anche la sua coscienza umana e storica. Il fatto che il Futurismo si proponesse come scopo quello di rappresentare artisticamente le condizioni di vita della attività industriale e moderna e che cioè si candidasse come movimento artistico nazionale e popolare, fece sì che Gramsci, che aspirava ad una cultura nazional-popolare guardasse ad esso con interesse, considerandolo

mercoledì 21 ottobre 2009

La fine del mondo



Sette torri sullo sfondo di una miriadi di croci, le paure sul nostro futuro!

mercoledì 7 ottobre 2009

Torniamo ad ascoltare





Intervista di Mauro Suttora a Ivan Illich
Libertaria (anno 3 n.4 Ottobre-dicembre 2001).

“No, per favore, nessuna tele­camera. Niente video. Spenga anche quel registratore”.

E come faccio a intervistar­la? Non vuole che le sue paro­le vengano riportate fedel­mente?

In questo momento de­sidero soprattutto che lei mi ascolti. Voglio comunicare direttamente con lei. Senza passare attraverso un magne­tofono.

Sono tutto orecchi.

Ormai non siamo più ca­paci di usare bene le nostre orecchie. Gli strumenti tecni­ci di cui ci siamo circondati hanno indebolito il nostro udito. Così come anche tutti gli altri sensi.

E oggi?

Una volta una bambina di nove anni mi ha detto che nel corso del pomeriggio ave­va visto «Kennedy, Reagan ed E. T. come vedo te». Il «vede­re» evidentemente per lei si è staccato dall’incontro. Fino al primo millennio lo sguardo era vissuto come un raggio che cade dall’occhio sull’oggetto.. Quest’atteggiamento è stato rovesciato da Keplero: l’occhio è diventato la porta di ingresso per i raggi del sole che consegnano, “come i cavalieri della posta”, la vista delle cose alla retina. E’ il principio della camera oscura. Ma oggi è in atto un ulteriore rovesciamento: tramite l’occhio noi tutti siamo ingaggiati dagli schermi della televisione, ci trasferiamo nell’azione sullo schermo. L’occhio è stato arruolato al servizio del medium.

Insomma, in singolare seppur involontaria sintonia con le tesi di Giovanni Sartori, il quale prende di mira l’uomo videns, che tutto vede (in TV), ma poco o nulla capisce, anche lei incolpa i media per la “perdita di senso” che sembra attanagliare sempre di più il cittadini contemporaneo. Si ripete così il paradosso da lei evidenziato vent’anni fa: malati “arruolati” al servizio dei medici, studenti “arruolati” al servizio dei professori e non viceversa, mass media che creano la pubblica opinione invece di rifletterla.

Esatto. L’esempio dei sistemi sanitari, che sono ormai strutture elefantiache divoratrici i soldi, è tipico. Il paziente moderno si affida con naturalezza al medico, che gli descrive e gli spiega la sua condizione sulla base di numerosi esami. Ma questo è un comportamento che non esisteva fino al Novecento. Prima il paziente andava dal proprio medico per mostrarsi a lui e per esporgli le sue lamentele.. Occasionalmente il medico sentiva o degustava la sua urina. Anche le persone più povere e analfabete si confidavano con il dottore con una precisione incredibile. Compito del medico era interpretare la storia dei dolori del paziente, partendo da lì per la cura. Oggi invece non c’è più ascolto: gli specialisti si appoggiano a valanghe di esami. Ma se qualcuno alla domanda “come ti senti?” mi rispondesse con la pressione sanguigna e livello ormonale, vorrei vomitare. Invece, questo è proprio ciò che accade oggi.

La “realtà virtuale” oggi porta all’estremo la scissione tra percezioni sensoriali e mondo fisico reale.

Sì. Sempre di più non vediamo le cose dove sono tangibili, non le vediamo in un modo in cuui possano essere toccate. Sempre più spesso diventa una nostra abitudine prendere sul serio delle voci senza corpo al telefono. Ma attenzione: non sta per sparire soltanto quella che gli antichi chiamavano sin-estesia, cioè la collaborazione fra i diversi sensi. Perfino il “Senso comune”, che rendeva possibile la percezione sensoriale dell’intonazione giusta, del rispetto, della proporzionalità sensata, appartiene ormai al passato.

Ma si possono distinguere, nella storia, periodo caratterizzati dall’uso privilegiato di un senso: l’epoca dell’olfatto, della vista, del tatto, dell’ascolto, della parola?

E’ difficile immaginare oggi cosa succedeva in un teatro greco 500 anni avanti Cristo. Era qualcosa che Platone trovava indecente: le maschere (coscientemente non parlo di “attori”) non ave­vano spettatori (theoretes) , ma ascoltatori (akouontes), che si lasciavano trascinare nel ritmo, nel tatto, nelle ca­denze, nelle melodie dello spettacolo, presentato senza alcun atteggiamento critico. Platone cercò invece di pro­muovere il “guardare” gli spettacoli, e pretendeva addi­rittura che nel suo stato idea­le certi tipi di melodie fossero vietate del tutto.

Nulla sembra cambiato ri­spetto a quarant’anni fa, con le accuse al rock di essere la “musica del diavolo”, o ri­spetto a oggi, con le polemi­che degli odierni cinquanten­ni (i rockers di ieri) contro i ritmi techno, house o garage che stordirebbero le nuove generazioni.

Certo. Ma già Aristotele criticò su questo il suo mae­stro Platone, perchè secondo lui una limitazione al solo “guardare” non coglieva la sostanza della tragedia. La tragedia è invece mimesis praxeos, cioè “l’esecuzione coinvolgente in un’azione”, una risonanza con qualcosa che l’ascoltatore deve capire in modo quasi tattile.

Nell’Italia dei nostri giorni la riscoperta della parola è te­stimoniata dal calo degli spettatori televisivi, dall’au­mento di quelli radiofonici e del teatro, dal successo dei talk show e di spettacoli come quello di Marco Paolini, con il suo eccezionale monologo sul Vajont.

Purtroppo non conosco l’Italia di oggi. Ma secondo Aristotele l’artista-oratore nel teatro, nell’insegnamento, e anche in politica, può coin­volgere completamente l’ascoltatore-spettatore soltanto con la mimesis, l’esperienza di una nascita. Solo così può promuovere il pathei mathos, l’”imparare a soffrire” da co­loro che hanno vissuto una forma di sofferenza…”

Con il rischio di cadere nella «tv del dolore»…

… ma sempre Aristotele, nella “Poetica”, sottolinea co­me la presentazione visiva della sofferenza nel caso migliore può servire come “se­gno” (semeia), senza produrre grandi effetti sullo stato dello spettatore. Invece l’orazione artistica e la melodia possono modellare il carattere dell’a­scoltatore, mettendogli le ali per partecipare fisicamente.

Qual è il tipo di ascolto che lei, fondatore dell’ecologia moderna, considera più “sa­no”?

Quello della comunica­zione diretta, fra persone che possono guardarsi in faccia. Un dialogo che coinvolge l’o­recchio, ma anche la vista: “Ti do me stesso attraverso le pu­pille dei miei occhi”.

mercoledì 30 settembre 2009

Misticismo e conoscenza



Solo i mistici possono cogliere in senso dell'esistenza.
E' necessario fermarsi affinchè si possa osservare il mondo : i fatti e gli esseri che girano attorno a noi.
Bisogna inoltre togliersi di dosso l'armatura costituita dalle regole e dalle deformazioni mentali indotte dall'"educazione". Un'operazione sicuramente pericolosa e senza ritorno, per diventare consapevolmente parte del tutto.

L'egittomania del XIX secolo





Figli del Dio del Sole

Mausolei egizi nel cuore del Ticino


Questa mia bizzarra ricerca, ebbe “inizio”, per cosi’ dire, in occasione di un funerale cui partecipai tempo addietro. Dopo la cerimonia, il corteo funebre sfilava lentamente verso il crematorio (il tutto, dimenticavo di precisarlo, si svolgeva nel cimitero di Lugano). L’aria era fredda, il cielo grigio, credo che non fosse ancora marzo.
E’ un vero peccato che gli storici dell’arte non si occupino quasi mai di arte cimiteriale, perche’ i campisanti, spesso, non sono delle fredde sequele di croci di granito, ma, in molti casi, degli eleganti parchi urbani, dove, in piu’, e’ possibile ammirare opere di grande delicatezza scultorea. Tempietti neoclassici si alternano a figure romantiche, piccoli obelischi, stele, e tutta una serie di realizzazioni pregevoli che di certo non hanno nulla ha che fare con la cupezza lugubre di una necropoli…
Ero preso da questi pensieri (e anche, devo dirlo, da un lieve ma fastidioso dolore al collo, dovuto con ogni probabilita’ all’umidita’ invernale di quel mattino), quando, tutt’a un tratto, vidi qualcosa che mi impressiono’ profondamente: proprio’ li’, ai lati del viale, costeggiato da monumenti insignificanti o perlomeno comuni, sicuramente discreto agli occhi di molti passanti ma anche, in un certo modo, risaltante in mezzo a tanti sepolcri di ben piu’ “ortodossa” fattura, ecco spuntare un mausoleo che tutto aveva, tranne che di “cristiano”.
Il tempietto, su cui capeggiava il nome dei Von Almen, era completamente realizzato in stile egizio antico.
La cosa mi sorprese notevolmente, poiche’ mai avevo visto nulla di simile nella nostra regione. Tuttavia, per esigenze di cerimonia, continuai a seguire il corteo, lasciando sfumare la visione di quel mausoleo egizio alle mie spalle, ma non il pensiero di farvi ritorno il prima possibile. Infatti, pochi giorni dopo, appena ebbi occasione (faceva anche piu’ caldo, e il dolore al collo era scomparso) tornai al cimitero, deciso ad indagare meglio quella visione. Portavo con me la mia Nikon digitale, impratichita compagna d’indagine, ormai avvezza a documentare i segreti delle opere d’arte…
Nel labirinto di monumenti, ritrovai quello che mi interessava.
Le due colonne frontali del mausoleo erano ricoperte di geroglifici, i capitelli (come nella piu’ pura tradizione egizia) riproducevano dei fiori di loto, e sull’architrave capeggiava l’effige del Dio Sole, Amon-Râ: un Disco Solare alato. All’interno del mausoleo, oltre una grata, era possibile scorgere una vetrata dal soggetto altrettanto interessante. Si trattava del defunto, raffigurato in vesti di Cavaliere Templare, inginocchiato in un tempio (forse il Tempio di Gerusalemme, dove l’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo venne fondato?), di fronte ad una colonna-altare. Su quest’ultima, un’effige dell’Occhio Onniveggente di Dio, che, rapportato nel contesto “egizio” del mausoleo, dovremmo chiamare Occhio Udjat di Horus. Il triangolo d’oro in cui e’ inscritto l’Occhio, poi, ricorda molto il sacro piramidion di Heliopolis, la pietra Ben-Ben, che nella concezione egizia rappresentava il Seme del Dio Sole.
«Per gli antichi Egizi, la pietra apicale o piramidion di una piramide o anche l’obelisco fallico (in realta’ una piramide innalzata) rappresentava l’apice delle loro credenze per piu’ ragioni. Per comprendere il significato della piramide dobbiamo ricorrere ai miti della Creazione egizi. Di tutti i miti della Creazione, la versione eliopolitana (…) sostiene che al principio l’Universo era un “vuoto acquoso e senza forma” chiamato Nu o Nun. Dalle acque di Nun emerse una collina fallica, il “monte primordiale”. Questa collina, o monte, e’ la metafora di un vortice energetico, una matrice circolare creata dal proprio centro. Tale mito della Creazione e’, all’origine dell’antico simbolo del Sole egizio, un semplice cerchio con un punto centrale. Alcune tradizioni mantengono l’idea che le acque di Nun circondassero questa “collina” o “monte”, essendo la prima “montagna del mondo”.(…)
Nel mito della Creazione egizio, da questa collina fallica Amon-Râ (…) masturbo’ se’ stesso sino a un orgasmo esplosivo, dando il via con il suo seme alla nascita dell’Universo e creando in esso la vita. (…) La pietra apicale della piramide, che veniva applicata anche a colonne e obelischi (…) veniva chiamata Ben-ben e rappresentava il “seme-punto” della Creazione. In altre parole, il pilastro, o l’obelisco, rappresentava il fallo del Dio supremo Amon-Râ, che personificava il centro-sorgente del cosmo e di tutta la creazione, mentre il Ben-ben alla sua sommita’ rappresentava lo sperma o la “gocciolina seminale” che diede luogo a questa creazione» (da Philip Gardiner e Gary Osborn, “La Pietra-seme della Creazione”, articolo apparso su “Hera”, nr. 73, febbraio 2006).

Nella vetrata, Von Almen era raffigurato nell’atto di pregare con la spada in pugno. Elmo e scudo erano appoggiati sotto l’altare. Sullo scudo (non so se si trattasse dell’armoriale della famiglia Von Almen) era disegnato un leone d’oro, l’ennesimo simbolo di natura solare.
Ora, sara’ pur vero che nell’Ottocento, soprattutto in pieno periodo napoleonico, nei circoli intellettuali e presso le famiglie nobili e altoborghesi scoppio’ una sorta di “egittomania”, ma non credo che questo basti a giustificare la realizzazione di un mausoleo amoniano in terra cattolica, perlomeno da parte di qualcuno che sia di idee radicalmente cristiane. Credo piuttosto che il nostro Von Almen, che decise di farsi seppellire sotto l’egida di Amon-Râ, e di farsi rappresentare in adorazione dell’Occhio Onniscente, fosse ben poco fervente in ambito religioso “tradizionale”, ma che al contrario fosse iniziato a qualche forma di religiosita’ esoterica e filomassonica.
Di simboli massonici, il mausoleo e’ zeppo: l’Occhio Onniscente e’ lo stesso che capeggia nelle logge liberomuratorie come immagine del G.A.D.U. (Grande Architetto Dell’Universo), l’Essere Supremo dei rivoluzionari francesi; il Tempio e’ quell’ideale “Tempio di Salomone” che i Massoni si ripropongono di costruire dentro di loro (sub specie interioritatis, come dicono i dotti), per accogliere la Presenza Divina o Shekhinah; le due colonne sono le celeberrime Boas e Jachin; e per finire, anche la divisa da Templare, ci riporta mentalmente a quell’Ordine dal quale molti credono che la Massoneria stessa sia derivata (un Ordine che solo in origine era cristiano, ma che ben presto divenne ricettacolo di filosofie esoteriche).
La conclusione che Von Almen fosse un Massone, o perlomeno un Iniziato di qualche confraternita ermetica, e’ tratta soltanto dall’esegesi artistica del mausoleo, ma non mi e’ stato possibile trovare alcun documeno a riguardo. L’unico altro accenno alla famiglia Von Almen l’ho trovato in Collina d’Oro, e piu’ precisamente nella via crucis della Chiesa di St. Ambrogio a Barbengo (Chiesa ove, fra l’altro, si trovano alcuni interessanti simboli ermetici fra cui il Disco del Sole). A dire il vero, questo e un altro riferimento, rinvenuto “googlando” (a quanto pare il termine e’ entrato recentemente a far parte del vocabolario), che tuttavia non e’ di alcun aiuto nel merito di questa ricerca. E’ l’estratto di un articolo di Christoph Zürcher, che riporto qui di seguito per dovere di completezza:
«Von Almen: famiglia di albergatori originaria di Lauterbrunnen. Gli Almen ebbero un ruolo di primo piano nello sviluppo del turismo nell’Oberland bernese. Christian (1815-1882), gestore della locanda Steinbock a Lauterbrunnen, e sua moglie Margherita Heim (1822-1899) aprirono nel 1888 il Trümmelbachhotel. L’albergo sorgeva nei pressi delle cascate del Trümmelbach; nel 1913 la nuora di Christian, Margarita Von Almen-Hirni, vedova di Friedrich Werner (1855-1895), e suo figlio Fritz (-> 1) resero accessibili ai visitatori le cascate. Nel 1926 Fritz rilevo’ i due alberghi della Piccola Scheidegg, appartenuti fino ad allora ad Adolf Seiler, suo suocero; a partire dal 1937 egli si occupo’ pure, quale gerente, dell’albergo sulla Wengernalp, di cui divenne proprietario nel 1958. Suo figlio Fritz (1918-1974) prosegui’ nella conduzione dei due alberghi della Piccola Sheidegg, che nel frattempo erano stati riuniti in un’unica azienda. Il figlio di quest’ultimo, Kaspar (* 1926), dal 1964 al 1971 sindaco di Lauterbrunnen, rilevo’ dapprima il Trümmelbachhotel e, nel 1962, l’albergo sulla Wengernalp» (da www.hls-dhs-dss.ch).

Nei mesi successivi, il pensiero del mausoleo solare di Von Almen continuo’ a frullarmi per la mente. Naturalmente, non potevo fare a meno di pensare a gruppi quali la Massoneria di rito egizio fondata dal Conte di Cagliostro, che molto influenzo’ anche le opere del massone Wolfgang Amadeus Mozart (vedi “Il flauto magico”…), all’Ordine Massonico Orientale del Rito Antico e Primitivo di Memphis e Misraïm (nel cui emblema figura proprio il Disco Solare alato), o ancora a quei misteriosi “Fratelli di Heliopolis” cui sono dedicati i libri dell’Alchimista francese noto con lo pseudonimo di Fulcanelli. Il Disco Solare alato di Amon-Râ figura anche nell’emblema dell’A.M.O.R.C., Antico Mistico Ordine della Rosa+Croce, e piu’ in generale, lo troviamo come simbolo divino molto diffuso in campo ermetico, un campo della mistica e della filosofia che da secoli cerca di astrarre l’idea di Dio dalla tradizionale raffigurazione dell’anziano barbuto che siede su un trono di nubi, e insomma recuperarne una visione “archetipica” (il Disco Solare alato, ricordiamolo, e’ uno dei simboli divini piu’ diffuso presso le antiche civilta’, dalla Mesopotamia all’America precolombiana, passando per la Persia e l’Egitto…) e quindi “aconfessionale”. Un’immagine che ci riporta, come anche l’Occhio Onniveggente, ad una visione universale e sincretica di Dio, trascendente le singole religioni, di cui hanno egregiamente e piu’ che diffusamente parlato grandi studiosi come J. Campbell, F. Shuon, A. Elenjimittam, C. G. Jung…

Le sorprese non erano finite. Qualche tempo dopo mi trovavo a Morcote per un’escursione domenicale. Il clima era decisamente piu’ mite, niente di meglio per visitare un sito artistico e paesaggistico splendido come la Chiesa parrocchiale del comune, che si erge maestosa sul fianco del monte. Una bellezza che, come ogni bellezza che si rispetti, costa fatica: in questo caso una lunga, lunga scalinata…
Dal fortunato posteggio sul lungolago raggiunsi in due passi il nucleo storico del borgo, e da li’ presi la stradina che conduce verso la Parrocchiale. Qualche tappa lungo la scalinata, una vista strepitosa sul Ceresio (che quel giorno era di un blu perfetto), fioriture ai lati del sentiero, concerto di uccelli canori.
La Chiesa di Morcote e’ uno dei siti turistici ticinesi piu’ visitati, ma, solitamente, e’ proprio con la Chiesa che finisce il percorso dei turisti, i quali raramente si spingono oltre, di poche decine di metri. Poche decine di metri, in direzione nord-est, proprio dietro la Chiesa, si trova il cimitero di Morcote. Un cimitero dove sono stati inumati importanti personaggi della cultura, in uno scrigno verdeggiante aperto sulle montagne orientali.
Per mia natura mi spingo oltre al percorso dei turisti: uscii dalla Chiesa, scendendo qualche scalino, attraversai un sentiero acciottolato, ed eccomi giunto all’ingresso del cimitero. Sull’architrave faceva capolino Uroboro, il Serpente ermetico che divora la propria coda.
Oltrepassata questa soglia, camminai fra le aiuole fiorite. Nel cimitero non c’era nessuno. Meglio, ho sempre preferito visitare in solitudine i luoghi d’arte. La solitudine ti permette di cogliere sfaccettature segrete.
Con mia grande sorpresa, volgendo lo sguardo verso il fianco del monte, in una parte superiore del camposanto (il quale e’ costruito su terrazzamenti), vidi un altro mausoleo dedicato al Dio Sole. Un altro mausoleo realizzato interamente in stile egizio antico. Ancora il Disco di Râ, ancora le colonne che culminano a fior di loto… ma l’iscrizione, questa volta, recava il nome dei Baklanoff.
Guardai il lago, meditando. Evidentemente, quella di Von Almen non era l’eccentrica trovata testamentaria di un anziano Massone… Qualcun altro, di cui non sapevo nulla, aveva predisposto di essere sepolto in un minuscolo tempio solare egizio in terra ticinese. Baklanoff.
Ancora una volta, tutto lasciava pensare ad un Iniziato, eppure non sapevo nulla di questo tale, tranne che aveva rinunciato alla croce, o a qualsiasi altro simbolo cristiano per la sua tomba, in favore di una simbologia di alta sacralita’ nell’ambito di una religione ormai scomparsa.
Per inciso, vorrei ricordare che il culto solare eliopolitano, oltre che a venerare il Sole come “aspetto visibile del Dio invisibile” e “Demiurgo” che «lega insieme il cielo e la terra, facendo precipitare verso il basso l’essenza e innalzando verso l’alto la materia, traendo a se’ tutte le cose e donandole poi spontaneamente a tutti, diffondendo su tutti generosamente la sua luce» (“Corpus Hermeticus”, XVI,5); era volto ad onorare il Sole Interiore, ossia al principio o scintilla divina insita nell’uomo, quel Sole Interiore (Intelletto, Nous) di cui parla ogni antica filosofia gnostica, e che rende l’Uomo immagine microcosmica del Sole stesso (cfr. “Corpus Hermeticus”, XI,15).

Notai che, mentre il mausoleo di Von Almen aveva una struttura cubica, quello di Baklanoff aveva la forma di una piramide spezzata (o meglio incompiuta), altro simbolo molto caro alle logge liberomuratorie, che ritroviamo, come e’ noto, sulle banconote da un dollaro. La piramide spezzata, cioe’ ancora priva del sacro piramidion o pietra Ben-ben.
Nei mesi successivi cercai in rete il nome “Baklanoff”. Il motore di ricerca si rivelo’ piu’ efficace di quanto non fosse stato nel caso di Von Almen:
«Georges Baklanoff (* 18.1.1882 San Pietroburgo, † 6.12.1938 Basilea). Cittadino russo, dal 1917 cittadino americano. ∞ (1928) Anne Gebhard, di Ludwigshafen (D). Dopo aver studiato diretto a Kiev, prese lezioni di canto da Martin August Petz a Kiev, da Ippolit Petrovic Pryanisnikov a San Pietroburgo e da Vittorio Vanzo a Milano. Debutto’ a Kiev nel 1903, poi canto’ al Bolscioi di Mosca nelle prime mondiali delle opere di Sergej Rachmaniov “Il Cavaliere avaro” e “Francesca da Rimini” (1906). A partire dal 1910 fu scritturato e ospitato da diversi teatri europei e americani. Si esibi’ frequentemente in Svizzera; dal 1912 al 1938 fu ospite fisso dello Stadttheater di Basilea. Interprete di straordinaria suggestivita’, con una voce baritonale potente e dal timbro sicuro, si produsse nei ruoli di Escamillo (Carmen), Mefistofele (Faust), Iago (Otello), Amonasro (Aida), Rigoletto, Tonio (Pagliacci), Boris Godunov, Scarpia (Tosca) e Don Giovanni a Basilea, Berna, Lucerna e Zurigo; dal 1932 visse a Basilea» (da http://www.hls-dhs-dss.ch/).
Alcune immagini del baritono (unitamente al suo repertorio) si trovano nel sito http://www.morcote-musica.ch/.

Da quel giorno, quando mi capitava di vedere dalla strada un camposanto vicino ad una Chiesa, mi era impossibile fare a meno di lanciare un’occhiata oltre il muro di cinta, cercando si scorgere qualche elemento “egizio” che completasse il misterioso puzzle, o perlomeno che lo ampliasse, che definisse meglio quei tratti appena accennati, dando un contorno al disegno, facendomi comprendere.
Se ora mi aspettavo di trovare altri mausolei egizi simili a quelli di Von Almen e di Baklanoff, di certo non mi sarei mai aspettato cio’ che trovai in seguito! Dopo una visita a Caslano (parliamo dell’inverno successivo alla prima “scoperta”), proprio prima di mettere piede in macchina e ripartire, sul tardo pomeriggio, vidi qualcosa stagliarsi al di sopra del muretto che circondava e delimitava il camposanto del comune. Cercavo qualcosa di “egizio”, ma quello che vidi era veramente al di sopra delle mie aspettative, tanto che inizialmente pensai di essermi ingannato. Purtroppo ero di fretta, percio’ scrissi un promemoria nel telefonino, e tornai a Caslano qualche settimana dopo.
La “cosa”, che avevo intravvisto la volta prima, era nientemeno che la punta di una piramide. So che sembra assurdo che tutto cio’ che descrivo si trovi in Ticino, eppure si tratta di monumenti che sono sotto gli occhi di tutti, a saper guardare.
Entrai nel camposanto, con il dubbio che quella “punta di piramide”, in realta’, potesse essere qualcos’altro. Oltrepassando un gruppo di tombe e mausolei “classici”, arrivai di fronte alla “cosa”. La “cosa” era veramente una piramide in stile egizio (che molto richiamava l’emblema del Grande Oriente d’Italia). Non solo: un frontone, su cui vidi l’ormai consueto simbolo di Amon-Râ, testimoniava del legame stilistico-simbolico-concettuale di quel mausoleo con gli altri scoperti precedentemente.
Questa volta si trattava del luogo di sepoltura di Elvezio Vicari. Di lui, a tutt’oggi non ho trovato alcuna informazione. Soltanto il mistero, l’enigma della Sfinge, la Sfinge che Elvezio Vicari ha voluto far scolpire alla base della piramide, per sigillare il suo segreto. Con ogni probabilita’, il volto della Sfinge altro non e’ che quello di Elvezio Vicari stesso…
La Sfinge si trova sul lato destro (per l’osservatore) della piramide. Sul lato sinistro, la scultura di una donna (una Dea Iside-Conoscenza?), osserva malinconica e altrettanto silenziosa la porta del mausoleo.
Due stele bianche, su entrambi i lati della piramide solare, recano invece immagini spiccatamente cristiane: si tratta, con ogni evidenza, di grossolani tentativi posteriori di “cristianizzare” un monumeno che di cristiano ha ben poco, probabilmente da parte dei discendenti di Elvezio Vicari, i quali, naturalmente, non potevano comprendere lo spirito iniziatico e l’alta sapienza massonica che aveva ispirato il progetto di quel mausoleo amoniano. La posteriorita’ cronologica delle stele cristiane e’ palesata non solo dall’utilizzo di un diverso materiale e stile artistico, ma anche dalla lampante disarmonia con il resto del monumento.
La piramide e la Sfinge di Elvezio Vicari non potevano che richiamarmi alla mente un’illustrazione di Julien Champagne: “La Sfinge protegge e domina la Scienza” (laddove si intende la Scienza alchemica), realizzato dal disegnatore francese per il libro di Fulcanelli, “Il Mistero delle Cattedrali”. Un’allusione alle conoscenze ermetiche del Vicari?

Avevo scoperto tre mausolei di stile egizio in terra ticinese. Tre effigi di Amon-Râ nei dintorni del Lago Ceresio. Tre monumenti di chiara ispirazione esoterica eretti tutti dal Settecento ai primi del Novecento, cioe’ l’epoca dell’origine e del massimo sviluppo della Massoneria in Svizzera. Avevo un monumento cubico (Von Almen), uno a piramide spezzata (Baklanoff) ed una piramide compiuta (Vicari), cioe’ le “tre forme sacre” della pietra massonica nonche’ tappe fondamentali dell’erezione di una piramide: squadratura della pietra, edificazione del parallelepipedo trapezoidale o tronco di piramide, posa del piramidion o pietra appuntita di coronamento…

Il quarto mausoleo amoniano lo trovai a Maroggia. Era il monumento funebre di Aldo Sormani. Fino ad oggi rimane l’ultimo mausoleo del suo genere che ho scoperto.
In questo caso i capitelli delle due colonne sono decorati non con petali di fior di loto, bensi’ con teste dalla tipica acconciatura egizia (parrucca e barba posticcia). Lo stile generale della costruzione ricorda la cosiddetta “sala egizia” della Freemason’s Hall di Filadelfia: anche i particolari capitelli sono analoghi a quelli che, nella loggia americana, si trovano ai lati del seggio del Gran Maestro.
Troviamo anche delle interessanti figure mitologiche sbalzate sul ferro battuto della grata, con testa di falco-Horus, corpi e ali (che possono essere si’ di falco, ma anche di avvoltoio, animale sacro a Iside) e coda che termina con un capo di cobra-Ureo; figure che ricordano, in un certo modo, alcuni ibridi cari alla tradizione gnostico-ermetica alessandrina… Questa volta, vicino al mausoleo, troviamo un obelisco: nuovo riferimento al mito egizio della creazione, al culto solare e alla sacra pietra Ben-ben.
Anche su Aldo Sormani non mi e’ stato possibile reperire alcuna notizia storica.

A questo punto e’ possibile, anzi probabile, che in Ticino, o perlomeno nell’area del Ceresio, esistano altri mausolei “egizi”, altri scrigni di conoscenza perduta, altre testimonianze di una religiosita’ e di una fede escatologica non convenzionale e dimenticata, che tuttavia ha animato piu’ persone e in piu’ luoghi nei tre secoli passati. E non credo che si tratti di “neopaganesimo” come potrebbero pensare alcuni, bensi’ di una nuova consapevolezza e di un nuovo modo di guardare alla religiosita’ degli antichi, e di ricercarvi, e scoprirvi, al di la’ dei simboli, dei messaggi spirituali di valore immutato nei millenni. Quella “misteriosa sapienza dell’antico Egitto” di cui hanno scritto C. Jacq, R. A. Schwaller De Lubics, e altri grandi maestri della saggistica contemporanea. Dei messaggi che riguardano il Sole Interiore, e non l’astro che cosi’ viene chiamato…
«Sol Invictus, Sole Invitto, poiche’ scomparso alla sera, sembra rinascere ogni mattina. Il Sole mitico e’ rappresentato da simboli luminosi quali l’oro, il leone, l’aquila, il gallo e il principio reale, la corona, nella societa’ umana. Oltre al principio vitale, il Sole manifesta anche il principio della nascita, della morte e della rinascita. D’altra parte, la sua Luce calda, cioe’ la Conoscenza attiva, uccide i mostri delle tenebre e illumina gli eroi e quelli che sormontano le prove della vita come quelle del percorso iniziatico. Simbolicamente, il Sole illustra lo spirito e la coscienza che si aprono all’universale» (da J. B., “Dictionnaire Illustré de la Franc-Maçonnerie”).
Pubblicato da Sebastiano B. Brocchi

lunedì 28 settembre 2009

I grandi riti cristiani sono legati e poggiano sui precedenti liturgie pagane

Risultati immagini per il volo della colombina a Firenze


Dal televideo rai del 10 aprile 2009 pagina 162

Dallo scoppio del carro a Firenze alle rievocazioni cristiane della Passione, nelle loro forme quasi pagane, di Taranto. Dal Miserere scandito nella processione di Procida, ai gesti e alle antiche movenze di origine bizantina nelle città e nei paesi della Basilicata. E’ questa solo una parte del percorso celebrativo della Pasqua in Italia.
Nel giorno di venerdì santo, Mantova rivive l’Ostensione dei Sacri Vasi che contengono alcune gocce rapprese di sangue, ritenuto appartenente a Gesù Cristo, misto a un poco di terriccio.
Nel giorno di Pasqua invece a Forni Avoltri, in provincia di Udine, si svolge il “Lancio des cidulos”, che consiste nel lancio di rotelle di legno arroventate sul fuoco. Rito propiziatorio di origine celtica, il lancio è legato alla fertilità.
A Como, il venerdì santo, si celebra la Messa secca, mentre in Lomellina si svolgerà la sfilata del Capoccione.
A Genova, la visita alle “Casacce”, gli altari addobbati di stoffe e fiori, in ogni chiesa, per la festa di resurrezione.

http://www.televideo.rai.it/televideo/p ... &x=26&y=12



Da “il tempo.it” del 6 aprile 2009 sezione interni-esteri

Settimana Santa Paese che vai usanza che trovi
Tra fede cristiana e riti pagani

Dallo scoppio del carro a Firenze alle rievocazioni spettacolari e a volte quasi pagane di Taranto, dal sussurro del Miserere scandito dai tamburi nella processione di Procida ai gesti e alle antiche movenze di origine bizantina delle località della Basilicata. Le comunità locali italiane si preparano così a festeggiare la Pasqua, collegando a questo link religioso e liturgico costumi e riti locali dal sapore antico e folclorico. Tanto da evolvere la celebrazione della Resurrezione di Cristo, uno dei momenti più alti della nostra religione, quello che segna e sancisce il passaggio da morte a vita nuova, in un remake di usanze perse nel tempo. E perse anche nella storia di altre religioni. «La festa religiosa della Pasqua cristiana, che deriva e per certi versi dipende dalla Pasqua ebraica detta Pesach, è una sorta di contenitore per tutti i costumi e le credenze locali, dal cibo ai rituali spirituali» spiega lo storico delle Religioni dell'Istituto per gli Studi sulle Civiltà Italiane e del Mediterraneo antico (Iscima) del Cnr, Paolo Xella. «La Pasqua cristiana - sottolinea Xella - si innesta nella Pesach ebraica che, a sua volta, si collega ad un'antichissima festa agricolo-pastorale celebrata con riti estremamente sconnessi dalla tradizione religiosa. Ciascuna tradizione, nei costumi locali italiani come in quelli di altri paesi europei, e penso a Siviglia in Spagna e alle località della Romania, mantiene i capisaldi della Pasqua ma vi innesta inevitabilmente intensi rituali regionali legati ad antichissime tradizioni storiche che, a loro volta, si evolvono nei secoli.

http://iltempo.ilsole24ore.com/interni_ ... gani.shtml