giovedì 30 aprile 2020

Pietra del giudizio, a luserna Trento


Si tratta probabilmente di una pietra del giudizio in uso un tempo presso le popolazioni di idioma tedesco dell’abitato di Luserna, stabilitesi sull’altipiano attorno al secolo XII. Poco si sa delle tradizioni e degli usi legati a questa pietra. I singolari fori allineati ,il cui numero corrisponderebbe ai masi presenti ab antiquo nei dintorni. sono paragonabili alle coppelle della pietra del giudizio di Laghetti. Durante il Thing servivano forse per una qualche forma di “ballottaggio”, ovvero per depositarvi le “ballotte” per le votazioni. Il toponimo del luogo ove la pietra si trova rimanda al tiglio, anticamente l’albero sotto il quale le genti di tradizioni giuridiche tedesche tenevano i loro placiti di villaggio….

mercoledì 29 aprile 2020

SICCITÀ, I RITI PER INVOCARE LA PIOGGIA

https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.adnkronos.com%2Ffatti%2Fcronaca%2F2017%2F08%2F29%2Fsiccita-ecco-riti-per-invocare-pioggia_ex19hWJUifGEAWXDnrCk0M.html&psig=AOvVaw1lCWcoXiroMoeDG9AqvsGZ&ust=1588274142843000&source=images&cd=vfe&ved=0CAIQjRxqFwoTCPCyobWsjukCFQAAAAAdAAAAABADSICCITÀ, I RITI PER INVOCARE LA PIOGGIA


"I rituali per impetrare la pioggia sono particolarmente diffusi in Italia perché noi veniamo da una tradizione agricola dove la pioggia era essenziale per l'economia della società e quindi garantiva la sopravvivenza - spiega all'Adnkronos l'antropologo e professore Luigi Maria Lombardi Satriani - Questo è testimoniato ad esempio dalla forte carica di attrazione che hanno i rituali dell'Assunta, i rituali dei battenti di Guardia Sanframondi, nel Sannio".

Si tratta di "una società a forte economia vinicola dove un lungo periodo di siccità può portare alla morte di questa economia". Quindi la società si tutela così: "Ogni 7 anni la Madonna esce dalla chiesa dinanzi alla quale centinaia e centinaia di persone aprono una pettorina e si percuotono con delle spille, con un 'cardo', un sughero nel quale sono stati conficcati o pezzetti di vetro o spilli".
I battenti accompagnano con il sangue versato tutto l'itinerario della processione. "Io ho seguito questa processione e ho visto che il numero dei battenti cresceva nel tempo e c'è una spiegazione - dice Lombardi Satriani - Il fedele che si batte offre alla Madonna il bene più prezioso che ha, cioè la propria vita, e la vita è possibile finché pulsa il sangue nelle vene. Se io simbolicamente verso il sangue, verso la mia vita, offro alla Madonna la mia vita in cambio della sopravvivenza che lei mi può garantire facendo piovere". E' importante sottolineare che "il singolo battente e tutti i suoi compagni così facendo non chiedono la salvezza individuale ma per tutta la comunità".




Analogamente accade il Venerdì Santo, in occasione della processione del Cristo Morto, con i rituali di autoflagellazione in Calabria. "A Nocera Terinese, per esempio, nel Lametino, o a Verbicaro, in provincia di Cosenza - dice Lombardi Satriani - Le persone si percuotono a lungo le gambe e le cosce con questo 'cardo' dinanzi alla statua della Madonna". Questo avviene per chiedere la pioggia e la protezione. "Il lametino è una zona con forte economia vinicola" evidenzia. Di qui l'importanza di non andare incontro a un periodo di siccità.

Da rilevare che "in tutti questi casi troviamo l'elemento del sangue e del sacrificio, come anche in una serie di rituali extra-europei in cui si uccide un animale e si sparge il sangue sull'ara. Pensiamo ad esempio agli antichi sacrifici in nome degli dei aztechi". Qualche anno fa, ricorda ancora il professore, "a Milano dopo una lunghissima stagione di siccità ci fu una processione per impetrare la pioggia. Rituali che sembrano solo legati a una dimensione arcaica sono talmente presenti nella memoria collettiva che poi quando occorre emergono. Le cose che crediamo superate si inabissano nella memoria e poi emergono".

"Tutti i riti legati alla pioggia, i riti di fecondità cominciano con l'apparire delle prime società agricole, quando l'uomo si stabilizza e diventa agricoltore. E' in quel momento che si accentua la sua dipendenza nei confronti della natura. I riti si affermano dunque con la sedentarizzazione, la fine del nomadismo" spiega all'Adnkronos Roberta Rubino, dottore in Antropologia all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi. Ecco che "dove c'è agricoltura, c'è rito. Più è alta la dipendenza dell'uomo dalla natura più i mezzi ricercati per apprendere i favori della natura si moltiplicano" sottolinea la studiosa.


IL POTERE MAGICO SULLA PIOGGIA

James George Frazer



CURIOSITA'] Un antico rituale per evocare la pioggia | Scomodo


Gli animali hanno spesso un ruolo di primo piano negli incantesimi «meteorologici». La tribù Anula dell'Australia settentrionale associa il cosidetto uccello-dollaro con la pioggia e lo chiamano, appunto, uccello della pioggia. Una persona che abbia questo uccello come suo totem, può far venire la pioggia da un determinato stagno. Cattura un serpente, lo immerge vivo nello stagno e, dopo averlo tenuto sott'acqua per un bel po', lo tira fuori, lo uccide e lo posa a terra accanto alla riva. Poi, con dei fili d'erba, costruisce un arco che imita l'arcobaleno e che pone sopra il serpente. Dopo di che, l'unica cosa che gli rimane da fare è mettersi a cantare, mimando l'arcobaleno; prima o poi la pioggia arriverà. Gli indigeni spiegano questo rituale dicendo che, in tempi lontani, in quel preciso luogo, l'uccello-dollaro aveva come compagno un serpente che viveva nello stagno e creava la pioggia sputando in cielo fino a che apparivano l'arcobaleno e le nuvole, cui seguiva la pioggia. Un altro sistema, piuttosto diffuso a Giava, consiste nel fare il bagno a un gatto o a due gatti, maschio e femmina, a volte portandoli in processione a suon di musica. Anche in Batavia capita di vedere dei bambini che si aggirano con un gatto, proprio a questo scopo; dopo averlo immerso nello stagno lo lasciano andare.
Fra i Wambugwe dell'Africa orientale, quando uno stregone vuole provocare la pioggia, prende una pecora nera e un vitello nero, in una giornata di pieno sole, e li mette sul tetto della capanna comune, dove tutti vivono insieme. Sventra gli animali, spargendone il contenuto dello stomaco in tutte le direzioni. Poi versa in un recipiente dell'acqua mista a droghe; se l'incantesimo è riuscito, l'acqua bolle e cade la pioggia. Se, invece, vuole scongiurare la pioggia, lo stregone si ritira all'interno della capanna e riscalda un cristallo di rocca in una zucca.


Per far venire la pioggia, i Wagogo sacrificano volatili, pecore e bestiame, tutti di colore nero, sulle tombe degli antenati; e il mago della pioggia indossa vesti nere durante la stagione delle piogge. Fra i Matabele, gli stregoni usavano un amuleto fatto col sangue e la bile di un bue nero. In un distretto di Sumatra, per provocare la pioggia tutte le donne del villaggio si recano seminude al fiume, scendono nell'acqua e si spruzzano vicendevolmente. Gettano anche nell'acqua un gatto nero, lo lasciano annaspare per un po' e poi gli consentono di riguadagnare la riva, accompagnandolo con spruzzi d'acqua. I Garo di Assam sacrificano una capra nera sulla vetta di un monte, in tempo di siccità. In tutti questi casi, il colore dell'animale è parte integrante dell'incantesimo: essendo nero, oscurerà il cielo con nuvole temporalesche. Così i Beciuana bruciano, di sera, lo stomaco di un bove perché, dicono, «il fumo nero farà addensare le nuvole e chiamerà la pioggia». Allo stesso scopo, i Timoresi sacrificano un maiale nero alla dea Terra; mentre invece il maiale è bianco, o rosso, quando lo si sacrifica al dio Sole perché mandi il bel tempo. Anche gli Angoni immolano un bove nero per la pioggia e uno bianco per il sereno. Fra le alte montagne del Giappone c'è un distretto dove, se da tempo non piove, gli abitanti del villaggio si recano in processione al letto di un torrente di montagna, guidati da un sacerdote che porta un cane nero. Giunti al luogo stabilito, legano il cane a una pietra, bersagliandolo poi con proiettili e frecce. Quando il sangue dell'animale ucciso cola sulle rocce, i contadini depongono le armi supplicando a gran voce il drago, divinità del torrente, sollecitandolo a mandar subito un violento acquazzone per ripulire il luogo del sacrificio così insozzato. La tradizione vuole che, in questa occasione, la vittima sia di colore nero, a simboleggiare le auspicate nuvole temporalesche. Se invece occorre il bel tempo, la vittima dev'essere di un bianco immacolato.

Talvolta, ci si appella alla compassione degli dèi. Quando il loro grano è bruciato dal sole, gli Zulu cercano un «uccello del paradiso», lo ammazzano e lo gettano in uno stagno. Allora il cielo si scioglie di compassione per la morte dell'uccello: «Lo piange con lacrime di pioggia, piange il pianto della morte». Nello Zululand le donne talvolta sotterrano i loro bambini fino al collo poi, allontanandosi un po', alzano al cielo lamenti strazianti. A quella vista, il cielo dovrebbe sciogliersi di pietà. Alla fine, tirano fuori i figli e sono certe che ben presto pioverà. Dicono che invocano «il Signore in alto», chiedendogli di mandare la pioggia. E se, finalmente, la pioggia arriva, dicono che «Usondo piove». Durante la siccità, i Guanci di Tenerife conducono le pecore sul terreno consacrato e separano gli agnelli dalle madri, affinché i loro lamentosi belati tocchino il cuore del dio. A Kumaon, uno dei sistemi per far cessare la pioggia consiste nel versare olio bollente nell'orecchio sinistro di un cane. Gli ululati della povera bestia giungono fino a Indra e, impietosito per le sofferenze dell'animale, il dio arresta la pioggia. Talvolta i Toraja cercano di provocare la pioggia mettendo nell'acqua gli steli di certe piante, dicendo «andate a chiedere la pioggia, e fino a quando essa non arriverà, non vi ripianterò nella terra, così morirete». Oppure infilano delle lumache d'acqua dolce su una cordicella che poi appendono a un albero, ordinando alle lumache «Andate a chiedere la pioggia e, finché non pioverà, non vi riporterò nell'acqua». Allora le lumache si incamminano piangendo e gli dèi, mossi a compassione, mandano la pioggia. Comunque, tutte queste cerimonie sono più religiose che magiche, in quanto comportano un appello alla compassione di potenze superiori.

Si crede spesso che le pietre abbiano la virtù di provocare la pioggia purché le si immerga nell'acqua, o si spruzzino con essa, o vengano trattate in qualche altro modo appropriato. In un villaggio di Samoa era accuratamente custodita una certa pietra in qualità di rappresentante del dio della pioggia e, in tempo di siccità, i sacerdoti la portavano in processione e la immergevano in un ruscello. Nella tribù Ta-ta-thi, del Nuovo Galles del Sud, il mago della pioggia spezza un frammento di cristallo di quarzo e lo sputa verso il cielo; avvolge il resto in piume di emù poi immerge cristallo e piume nell'acqua e le nasconde in un posto sicuro.


J. G. Frazer, Il ramo d'oro (Newton Compton Editori)

Pietra dei falliti, Desenzano

Pietra dei falliti, Desenzano
Le usanze legate al nome della Pietra dei falliti di Desenzano potrebbero risalire ai Longobardi. Le persone che andavano in fallimento erano costrette ad appoggiare per tre volte le natiche nude sulla pietra, prima di percorrere la “strada dei falliti” tra due ali di creditori arrabbiati, che da lì partiva e portava alla prigione. Tali usanze trovano un riscontro, ad esempio, con ciò che si racconta di una pietra, ora scomparsa, che si trovava all’esterno del duomo di Colonia, in Germania. Ivi i condannati a morte venivano spinti tre volte con la schiena nuda contro la pietra, prima di esser mandati al patibolo. Il detto trentino “L’ha sbatù el cul per tera”, che ancora oggi qualcuno usa per indicare chi è fallito, risale molto probabilmente a questa antica usanza di tradizione germanica...

martedì 28 aprile 2020

Cimitile, la Ravenna campana


Un millennio di arte cristiana è a Cimitile, il più complesso e vario museo d'arte paleocristiana, bizantina, barbarica e romanica conservato in Campania. La storia dell'intero complesso paleocristiano nasce all'incirca nel II - III sec a.C. sotto la denominazione romana con la realizzazione di una grande necropoli pagana. L'area in cui sorse la necropoli fu scelta oltre che per le sue caratteristiche geomorfologiche, soprattutto per la sua vicinanza alle mura della città di Nola.
Il "Coemeterium" fu sito sepolcrale della Nola consolare ed imperiale. L'avvento della necropoli pagana col suo insediamento ed impianto cambiò la concezione sepolcrale largamente in uso; si abbandonò la sepoltura privata nel podere di proprietà o lungo le strade ma si posizionarono i sepolcri in un unico luogo. In questa area si seppellì in svariate tipologie tombali, dall'imponente mausoleo commemorativo alle semplici "formae" terragne . La necropoli, nel tempo a causa delle tante sepolture assunse l'aspetto esteriore di una città. Tale effetto aumentò con la costruzione di un importante strada consolare,la Via Popilia che rasentò il luogo sepolcrale e sulla quale furono aperti gli ingressi alla necropoli. Tra i mausolei della necropoli pagana d'epoca imperiale vi trovò sepoltura il santo Felice.
Il "Coemeterium" dell'antica Nola ben presto divenne santuario e sede di molti pellegrini fra i quali nell'anno 368 anche papa Damaso, a giudicare dalla devozione che egli nutriva per il santo; a lui si deve la costruzione dell'imponente abside della basilica "Vetus" di S.Felice. Il complesso basilicale raggiunse il suo massimo splendore verso la fine del secolo IV grazie all'opera ed alla cultura di un certo Meropio Ponzio Anicio Paolino . Questo prestigioso esponente della classe senatoria, originario di Bordigala in Gallia, si stabilì presso la tomba di S.Felice dedicandosi al restauro degli edifici esistenti ed alla costruzione di una nuova basilica e di alloggi per la comunità monastica da lui costituita per i pellegrini. Grazie a quest'uomo di cultura Cimitile divenne uno dei principali centri religiosi della cristianità ed i pellegrini vi affluivano da ogni parte del mondo. . La nuova basilica feliciana, sontuosa nelle forme e decorazioni, fu terminata nel 403..
L'opera di Paolino permise al sito sacro di "Coemeterium" di diventare un Santuario Cristiano di grande fama. epoca successiva alle costruzioni paoliniane sorsero nell'area santa altre costruzioni come quella di S.Stefano , S.Tommaso e S. Giovanni; quest'ultima venne edificata recuperando la parte absidale della basilica nuova di S.Paolino ...

Trattenendo il respiro fra cielo e terra


di Silvia Ronchey
 Silvia Ronchey - Wikipedia
La ricerca di un pensiero globale, comprensivo dell'Oriente, entro la forma occidentale del «logos»
«Beati i poveri di spirito! E' loro infatti « il regno dei cieli» traduce Girolamo l'enigmatica frase di Matteo 5,3.  Ma come interpretare quel pauperes spirito?  Forse si tratta di «coloro che sono privi di spirito proprio»?  Saranno beati gli uomini impersonali? O si dovrà intendere «beati coloro che essendo bisognosi andranno allo spirito»: pauperes  spirito nel senso di «mendicanti allo spirito»?  Povero per la Cabala è il simile alla Shekinah o Gloria di Dio, che è "povera" perché non ha nulla di per sé, ma solo ciò che le viene dalle Sue . emanazioni.  Perciò povero può significare privo di qualità personali, interamente dipendente dalle emanazioni del Nulla, "vuoto": significato probabile anche grammaticalmente.
Molte altre esegesi di Matteo 5,3 sono elencate da Elémire Zolla nei Mistici dell'Occidente:  da Agostino a Maria  Maddalena de' Pazzi. Da Juan de la Cruz a Shakespeare a Coleridge, passando per la Cina taoista, il ciclo bretone, la Persia delle Mille e una notte.  Ma l'ultima delle interpretazioni è quella che colpisce dritto al cuore. «A considerare la teoria mistica della respirazione - scrive Zolla - s'intende pneuma anche in senso letterale: poveri di spirito, di fiato, sono coloro che per una gran risata o un profondo pianto, hanno espirato completamente e non hanno, immagazzinato fiato dentro di sé».  Così Zolla ricollegava il più oscuro dei moniti evangelici alla dottrina antichissima della respirazione diaframmatica, riemersa a Bisanzio nel tredicesimo e quattordicesimo secolo sotto il nome di esicasmo. E' una dottrina che, come un fiume carsico, scorre sotterranea e riemerge in epoche diverse nelle diverse zone del globo: in India e nel Tibet come nell'Alessandria di Filone, nelle steppe, mongole e nel sultanato turco di Iconio come nella Russia dei «pazzi in Dio» e del Pellegrino ottocentesco.  Se l'espirazione di Dio crea, e la sua inspirazione uccide; mentre l'uomo emette il fiato contaminato e trae dentro l'aria benefica, il punto di mediazione tra le opposte respirazioni celeste e umana è trattenere il respiro, come si fa negli esercizi yoga o nella preghiera perpetua degli esicasti.
Fu proprio alla scuola gnostica di Konya, nel Duecento di Rumi e del sincretismo tra mistica cristiana, esperienza sufi e sapienza ebraica, che nacque, secondo la recentissima teoria del bizantinista Antonio Rigo, l'esicasmo.  Sarebbe possibile definire Zolla un esicasta?  Fu tale per la maniera in cui morì, nella condizione che aveva descritto in anticipo nei Mistici, respingendo ogni cura e misurandosi per ore, interamente lucido, con le contrazioni del muscolo del cuore e col respiro che gli mancava.  Fu tale per il modo in cui visse, alla ricerca, sempre, di un'esychia della ragione.  Fu tale per il manifestarsi nel suo pensiero di una tradizione globale, comprensiva dell'Oriente, ma sviluppata nella più occidentale delle forme: la forma del logos, la logica.
«I principi logici erano alla base delle sue costruzioni e della struttura del suo scrivere.  Aveva una razionalità adamantina, su cui costruì il suo sistema, in contrapposizione allo spasmo dualistico ragione-irrazionalità proprio del pensiero occidentale dominante», ha detto Grazia Marchianò.  In questo senso, lo si potrebbe definire un occidentale filo-orientale, eventualmente.  Zolla aveva superato l'equivoco di una frattura Oriente-Occidente vista come contrapposizione tra ragione e irrazionalità. E' la logica che rende possibile a Zolla il suo esercizio più geniale: l'interpretazione. «Le esegesi sono un'idra per chi sia mosso da curiosità, ma unità per chi ne ha bisogno, cioè per il povero di spirito», ha scritto nei Mistici.  Il testo è tutta la varietà di letture possibili.  Non è in se stesso: le glosse lo vanificano.  Questo, finché non si abbia una lettura nuova, cioè «una coincidenza con un destino personale, che neghi la pluralità delle interpretazioni perché ne ammette una sola diretta, quella adeguata al momento in cui si vive».

Il burattino framassone


Zolla: la storia di un´iniziazione ispirata a Apuleio

di Silvia Ronchey

 Teatro Bellini - Silvia Ronchey

«IL Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi intollerabile». Elémire Zolla, l'intellettuale italiano più introdotto nei segreti di Pinocchio (si veda il suo Uscite dal mondo pubblicato da Adelphi), risponde da iniziato, scegliendo le parole con cautela quasi sacrale e lasciando al fondo un che di enigmatico, un'eco di mistero. «Un bambino che legga con tutto il cuore questo libro ne esce trasformato. Diventa un'altra persona di cui non è lecito parlare».
 
Che genere di altra persona?
 
«Una persona con una mentalità da martire. In quale altro libro si insegna al bambino a diffidare di tutte le autorità terrene? E chi altro può vivere disdegnando quasi completamente la giustizia umana?».
 
Forse lei dice «bambino» nell'accezione sacra per cui è «puer» il non iniziato.
 
«Ovviamente Pinocchio è la storia di un'iniziazione. Come le Metamorfosi di Apuleio. Ha presente le pagine finali? Il latino del grande retore diventa una lingua infantile quando narra l'epifania di Iside, la madre universale, colei che compare nei sogni se si sogna rettamente... Che poi in Collodi è la fata dai capelli turchini».
 
Un momento. Chi è la fata dai capelli turchini?
 
«È la prefigurazione della capra sullo scoglio nel mare in tempesta, che compare nel libro molto più tardi, e che pure ha il pelo azzurro».
 
Perché Collodi rappresenterebbe Iside come capra, oltre che come fata?
 
«Iside, nel mondo pagano, è la grande mediatrice, rappresentante di tutto il mondo animale, o meglio dell'indistinzione tra animale e umano».
 
In effetti in Apuleio il protagonista è trasformato in asino. Non vorrà dire che anche le orecchie d'asino di Pinocchio vengono di lì?
 
«Certo. Il che significa semplicemente che provengono dalla cultura di base della cerchia massonica cui Collodi apparteneva. Vede, una loggia di Firenze, al tempo di Collodi, non era luogo di modesta cultura. Certe letture erano comuni, elementari addirittura. La massoneria ferveva di una rinascita del pitagorismo antico, culminata poi in Arturo Reghini, grande scrittore e matematico in lite con Mussolini e con Evola».
 
Vuol dire che la letteratura antica era un codice?
 
«Era linguaggio elettivo per comunicare all'interno dell'ambiente massonico. E lì le cose su cui si posavano gli occhi si trasmutavano. C'è un passo di Marco Aurelio: "Ricordati che colui che tira i fili è questo Essere celato in noi, è Lui che suscita la nostra parola, la vita nostra, è Lui l'Uomo... Cosa ben più divina delle passioni che ci rendono simili a marionette e nient'altro". Si attaglia alla storia del burattino, ne è la chiave».
 
Ma allora «Pinocchio» è un libro per bambini o una parabola massonica?

«Entrambe le cose, è questo il miracolo. La semplicità della lingua toscana in Pinocchio nasce dal fatto che Collodi sta trasmettendo una verità esoterica è non può che esprimerla così, come la narrerebbe a un bambino. È il ritegno di chi sta parlando di cose indicibili che produce questo particolare linguaggio, in Collodi come in Apuleio».
 
In questa chiave esoterica, che significa il nome Pinocchio? e Lucignolo? e il Gatto e la Volpe?
 
«In latino pinocolus significa pezzetto di pino. Per un pagano è l'albero sempreverde che sfida la morte invernale. Lucignolo è un Lucifero miserello, a misura di puer, cioè di pre-iniziato, e il Gatto e la Volpe sono Legbà e Shù, grandi personaggi della mitologia africana che si ritrovano anche nel Vudù. Allora si leggeva, e di libri sul Vudù l'America di fine Ottocento era piena. Qualche massone d'oltreoceano poteva avere informato Collodi. La vita di loggia è molto strana, è segreta e piena di incontri».
 
Vuol dire che «Pinocchio» non può comprendersi del tutto senza conoscere la massoneria?
 
«No, voglio dire che Pinocchio continua un'antichissima tradizione sotterranea della letteratura italiana. In rapporto ai rituali massonici si chiarisce il significato della poesia medievale - Federico II, Dante e Cavalcanti - così come l'esoterismo della Rinascenza in tutti quei grandi che vissero l'integrazione di Bisanzio nella cultura occidentale ai tempi del concilio di Ferrara e Firenze e intorno a Enea Silvio Piccolomini, un grande gnostico: pensi alla lettera veramente esoterica che scrisse al sultano ottomano, al neopaganesimo di Pienza... Tutti, anche gli alti prelati sanno che dal culto di Iside deriva la Madonna, che la leggenda dei magi testimonia come l'atto fondante della cristianità sia l'innesto dello zoroastrismo, come può vedersi, proprio vicino a Pienza, nei rilievi della pieve di Corsignano!».
 
La prego, torni a «Pinocchio».
 
«Pinocchio, come dicevo, continua la lignée esoterica, gnostica, isiaca e neopagana, nel senso più spirituale, che è al centro della nostra letteratura».
 
Il che varrebbe a dire che la grande letteratura italiana è essenzialmente massonica?
 
«Varrebbe a dire che spesso noi italiani ci lamentiamo di non avere una letteratura all'altezza, ad esempio, di quella inglese o tedesca. Ma il fatto è che la nostra migliore letteratura, quella laica, è sotterranea e segreta, perché a differenza degli inglesi e dei tedeschi ha dovuto sottrarsi alla censura dell'ala meno illuminata e elitaria della cultura cattolica».

lunedì 27 aprile 2020

I lager dei Savoia

“Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in grande quantità, si stipano ne’ bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e poi si mandano in Genova. Trovandomi testé in quella città ho dovuto assistere ad uno di que’ spettacoli che lacerano l’anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Fenestrelle: un ottomila di questi antichi soldati Napoletani vennero concentrati nel campo di S. Maurizio”. – Fulvio Izzo, da – I lager dei Savoia –

Pagan Rave


In Irlanda il mumming della tradizione passata, rivisitato con la sensibilità dei tempi moderni, si è trasformato in un pagan-rave.
Due sono le condizioni, le maschere degli spiriti e la musica; il tutto può essere celebrato attorno al fuoco tra poche-moltissime persone radunate ma anche senza pubblico.
Il progetto è partito dall’idea di Billy Mag Fhloinn, folklorista, archeologo, musicista nonchè consulente per i media.
Pagan Rave è un progetto in corso, di rappresentazione, che mira a reimmaginare le tradizioni popolari e le usanze calendariali dell’Irlanda. Usando come punto di partenza i costumi del teatro popolare irlandese ed europeo e delle feste stagionali, cerca di operare ai confini del luogo e della mente e incarnare gli aspetti trasformativi e liberatori delle maschere e della musica in un contesto cerimoniale. Il progetto si manifesta in diversi modi. Alcune occasioni sono eventi di grandi dimensioni, a livello di comunità o di festival, con decine di partecipanti-attori e centinaia di spettatori. Altri coinvolgono gruppi più piccoli e potrebbero non avere alcun pubblico. Queste occasioni private offrono l’opportunità di esplorare lo spazio rituale, con i partecipanti che fanno uso di maschera, musica e movimento per attingere a un senso spesso primordiale di coscienza simile alla trance. Può anche manifestarsi semplicemente in un’atmosfera simile a una festa, dove l’obiettivo è il puro piacere e il divertimento...

Le informazioni storiche del cilindro

Cilindro di Ciro (559-529), ritrovato a Babilonia, scritto dopo che Ciro ebbe sconfitto nel 539 Nabonidus, ultimo re di Babilonia. Il cilindro attesta che Ciro, entrato in Babilonia da vincitore, concesse a tutti i prigionieri esuli di tornare nei loro paesi, alle loro case. Il re persiano concesse anche ai suoi nuovi sudditi rinviati nelle loro terre di riedificare i loro templi, dei quali i babilonesi avevano decretato la distruzione. Anche se il Cilindro di Ciro non ne parla esplicitamente, in base a questo decreto anche il popolo ebraico, insieme ai ritornati dall’esilio, poté ricostruire in Gerusalemme il tempio. Di questo ritorno a casa, in terra di Israele, degli esiliati, parla Is 44,28-45,7. Il deutero-Isaia, cui il brano su Ciro appartiene, descrive il ritorno degli esiliati con le immagini di un “secondo esodo”, mentre Esd 6,3-5 descrive l’editto di Ciro che “ordina” la ricostruzione del Tempio.
Questo il testo del Cilindro di Ciro..
"Marduk esaminò tutti i paesi in modo approfondito alla ricerca di un principe giusto, conforme al suo cuore. Prese per mano Ciro, re di Anshan, lo distinse, ne pronunciò il nome perché esercitasse il dominio sul mondo intero; sottomise ai suoi piedi il paese di Gutium, tutti i Medi. Poiché egli non cessava di far pascolare con diritto e giustizia la gente dalla testa nera che aveva conquistato con le sue mani, Marduk, il grande Signore, il guardiano della sua gente, guardò con gioia le buone azioni di Ciro e il suo cuore retto e gli ordinò di andare verso la sua città di Babilonia. Gli fece prendere la strada di Babilonia, andò sempre al suo fianco come un amico e un compagno, mentre avanzavano al suo fianco, cinti delle loro armi, le sue numerose truppe la cui quantità era sterminata come le acque di un fiume. Lo fece entrare in Babilonia senza battaglia né combattimento; risollevò la sua città di Babilonia dall'oppressione, consegnò nella sua mano Nabonide, re che non lo temeva. Gli abitanti di Babilonia, tutti quanti, tutto il paese di Akkad e di Sumer, i principi e i governatori si inginocchiarono davanti a lui e gli baciarono i piedi; si rallegrarono di averlo come re e i loro volti brillavano. Essi non cessarono di benedire con favore il Signore Marduk che, col suo appoggio, aveva fatto rivivere gli dei quasi morti e aveva salvato tutti gli dei dalla necessità e dalla tribolazione, e celebrarono il suo nome.
Io, Ciro, re dell'universo, re grande, re forte, re di Babilonia, re del paese di Sumer e di Akkad, re delle quattro regioni del mondo, figlio di Cambise, grande re, re della città di Anshan, nipote di Ciro, grande re, re della città di Anshan, discendente di Teispes, grande re, re della città di Anshan, di razza reale perpetua, che a Bel e Nabu piacque veder regnare, di cui hanno desiderato che fosse re per la gioia del loro cuore: quando entrai pacificamente in Babilonia stabilii nella gioia e nel giubilo la sede regale nel palazzo del principe. Marduk, il grande Signore, si acquistò in me un cuore largo che ama Babilonia... e ogni giorno io faccio sì che egli sia temuto. Le mie innumerevoli truppe avanzarono in pace in Babilonia; in tutto il paese di Sumer e di Akkad non permisi che ci fosse qualcuno che mettesse paura; ho vegliato senza posa al benessere della città di Babilonia e di tutti i luoghi santi. Quanto ai cittadini di Babilonia... che, contrariamente alla volontà divina, erano stati sottomessi a un giogo che non era fatto per loro, io li feci riposare dalla loro fatica, li feci sbarazzare delle loro impugnature di facchino. Marduk, il grande Signore, si compiacque delle mie buone azioni e benedisse con bontà me, Ciro, re che lo teme, Cambise, figlio nato dalla mia carne, e tutte le mie truppe; e noi proseguimmo felicemente il nostro cammino davanti a lui nel benessere. Al suo augusto ordine tutti i re che siedono su podii, quelli di tutte le regioni dal mare superiore fino al mare inferiore che abitano in paesi lontani e i re del paese di Amurru che abitano in tende, tutti quanti, mi portarono il loro pesante tributo e baciarono i miei piedi a Babilonia. Dalle città di Ninive, di Assur e di Susa, di Agade, dal paese di Eshnunna, le città di Zamban, di Meturnu e di Der fino al territorio del paese di Gutium, località sacre al di là del Tigri la cui sede era fondata da sempre, io riportai al loro posto gli dei che vi avevano abitato e feci risiedere questi dei in una dimora eterna; radunai tutte le loro popolazioni e li ricondussi nei loro luoghi. Quanto agli dei del paese di Sumer e di Akkad che Nabonide aveva introdotto a Babilonia tra la collera del Signore degli dei, per ordine di Marduk, il grande Signore, diedi loro una piacevole dimora nelle loro cappelle, nel benessere."

Cristina Campo, Omaggio Borges attraverso le mille facce di Roma

Cristina Campo dedica una parte del suo Omaggio a Borges, che si può leggere dalle pagine 205 a 208 del volume Gli imperdonabili“
Si sa che Roma, l’enorme ibrido, ha di tutto: basiliche sotto il livello dell’acqua, una piramide, giardini pensili – e un sanatorio sul quale un’alta torre di ferro brucia nero petrolio da un’alba all’altra. Pochi sanno che in una piazza tristissima, tra le meglio sfigurate dai secoli, dall’urbanistica, dalla vita, Roma ha una «rovina circolare».
La forma di questo piccolo rudere bruno-terra è a raggera*, o per dir meglio a foglia di palma: diversi bracci, un tempo forse corridoi, convergono a una piccola porta. Esso fu un minuscolo tempio alchimico*, una cappella di cabalisti cristiani edificata nel secolo XVII dal Marchese di Palombara e frequentata, fra personaggi più o meno mal conosciuti, da Cristina di Svezia. Oggi, d’intatto non resta che la porta. È ricordato infatti, quel monumento come la Porta Magica.
In realtà quella porta, accecata di mattoni rossi, non porta più a nessun luogo. Pagina sigillata, solo intorno agli orli, lungo la chiara cornice di un marmo scorrono ancora parole: simili a uccelli neri e bianchi che, immobili sulle, si reggano a mezz’aria fra la terra e il cielo: Quando in tua domo nigri corvi partoriente albas columbas tunc vocaberis sapiens… Qui scit comburere aqua et lavare igne facit de terra coelum et de coelo terram pretiosam…
Ho detto della piazza dove si trova questa rovina. Non ho detto che è vicinissima alla Stazione Centrale, vale a dire, in una metropoli, ad uno dei più infetti scoli urbani. La piazza stessa è una spirale di gironi. All’esterno c’è la parete di rosse carni, piumaggi madidi, scaglie, sozzi grembiuli (ma anche corolle di puro ghiaccio, glauche foglie e radici) di un mercato permanente. Più all’interno, un parco per bambini: nient’altro su quel che resta di aiuole, che un villaggio di cartapesta pitturato alla brava, con intenzione apertamente umoresca ….
Quella piazza può sembrare il luogo geometrico di coloro che Proust chiamò i collezionisti di maschere del reale: gli scrittori di parvenze, gli scrittori realisti.
C’è, però, la Porta Magica. È chiaro che a tali scrittori essa si renderebbe subito invisibile; ed è ancora più chiaro che senza la Porta Magica l’intera piazza scompare. Dei gatti alti sui rami non resterebbe, in pochi istanti, che il riso – come quello del Ghignagatto di Alice, come quello forse che gli alchimisti attribuivano a Mercurio. Del sedimento putrido del mercato resterebbe nell’aria un uno spruzzo di neve: l’anima del prunus bianco. E di umano una statua funeraria, riversa là sul braccio di rovina, il berretto sul viso diventato maschera d’oro.
In quella piazza pitagorico-viscerale pensai a Borges: al suo gesto di ierofante che ripete quello dell’uomo figurato, come egli stesso racconta, sopra la mappa gnostica: un indice teso al cielo, uno alla terra. Ricordai la straziante, l’impassibile parola con la quale egli ha forse sigillata la Porta Magica: «Ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gli interlocutori condividono».
Da: Cristina Campo, Omaggio a Borges, in: Cristina Campo, Gli imperdonabili,

venerdì 24 aprile 2020

La madonna del petrolio

La chiesa della Madonna dell’Olio a Petralia Sottana. La chiesetta è stata costruita nel Seicento accanto ad una nota sorgente di petrolio, usato da secoli a scopi curativi, in onore della Santa Patrona delle forze della Natura. Le preghiere del luogo invocano infatti la Madonna quale donatrice dell’olio medicamentoso e delle grazie. Questo culto, unico nel suo genere, si nota pure a Bivona, dove fu eretta un’altra chiesa, anch’essa in onore della Madonna dell’Olio..


Il paganesimo rivive anche attraverso l'arte romanica delle chiese

Sulle pendici della valle del Lima, in provincia di Lucca, sorge la meravigliosa pieve di San Cassiano in Controne, che si rivela come un autentico cofanetto di simbologie legate al culto della Grande Madre. È presente anche la “corte” della Dea, formata dagli Oranti, figure inneggianti al sacro con le braccia rivolte al cielo, di cui l’edificio è disseminato. Vien da pensare che il culto della Dea si sia mantenuto vivo attraverso i suoi simboli dal Neolitico al Medioevo per arrivare fino a noi….

Santa Sabina (ROMA) "Lapis Diaboli"

La leggenda ricorda questa pietra come “Lapis diaboli”, La leggenda vuole questa pietra legata alla devozione di San Domenico; il Santo spagnolo, fondatore dell’Ordine dei frati predicatori, cui la Chiesa di Santa Sabina è sede della curia generalizia, spesso si recava nella chiesa sull’Aventino pregando su una lapide che copriva il sepolcro di alcuni martiri cristiani.
Il Diavolo, però, non tollerando il fervore religioso di San Domenico, gli scagliò contro proprio questo blocco roccioso che però non riuscì a colpire il frate, grazie alla “protezione dall’alto”; la pietra, quindi, colpì la lastra sepolcrale rompendola in numerosi frammenti.
Si tratta, come molte altre pietre soggette a devozione, di un blocco sferoidale di basalto, sulla cui superficie si trovano alcuni fori, due allineati nella parte centrale e uno sull’esterno. La presenza dei fori sarebbe dovuta all’azione della presa delle mani diaboliche sul blocco. Gli archeologi suppongono un origine più prosaica per questa roccia, attribuendola ad un contrappeso di una bilancia...Nessuna descrizione della foto disponibile.

Lo scettro del folle


Scettro del Folle , chiamato in Francia marotte, scolpito in avorio e risalente al XVI secolo, oggi conservato presso il Kunstgewerbemuseum (Musei Statali di Berlino). 
Con il termine marotte si indica un accessorio inseparabile dal Folle, una sorta di suo “doppio” o riflesso. Spesso rappresentato, nell’iconografia, con un lungo manico, lo scettro del Folle è sostanzialmente l’equivalente del bastone del Selvaggio e costituisce un elemento di connessione tra i due personaggi, che presentano sostanziali analogie. Ambedue sono esseri che si collocano ai confini del mondo umano, segnalano un punto di passaggio, di intersezione: tra l’umanità e l’animalità, tra i luoghi abitati e coltivati dagli umani e i luoghi boscosi abitati dagli animali selvaggi, tra l’ordine razionale del pensiero e l’abbandono all’euforia e l’apertura verso il disordine della follia, tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti...
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mercoledì 22 aprile 2020

Il potere dei re

Oggi sono stato di pessimo umore e mi sento mancante (non verso di voi : verso me stesso) e quindi in chiusura di giornata vi segnalo questo libro che mi accingo a leggere: un libro veramente importante.

Le ombra lunghe apertura all'altro mondo

Le ombre lunghe della sera etrusche che tanto hanno ispirato giacometti



STATUETTE VOTIVE
1) LAGO DI NEMI, LAZIO. 350 A.C. (MUSEO DEL LOUVRE)
2) VOLTERRA, TOSCANA. 300-200 A.C. (MUSEO GUARNACCI)
3) S.GIMIGNANO, TOSCANA. 300-200 A.C. (MUSEO ARCHEOLOGICO DI S. GIMIGNANO)
4) CALIGIANA, UMBRIA. 250-150 A.C. (MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DELL'UMBRIA)
5) ETRURIA. 150-75 A.C. (ACQUISTATO AD ANCONA, MUSEO DEL LOUVRE)

Un mondo che teme l'anima


"Il mondo d’oggi ha un fiuto infallibile nel tentar di schiacciare ciò che è inimitabile, inesplicabile, irripetibile, tutto ciò che non gli può somigliare."
Lettere a Mita, Cristina Campo.Arte, il mistero dei quadri famosi tra esoterismo e simboli ...

domenica 19 aprile 2020

L'uovo e l'eternità


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L'uovo ha avuto tratti simbolici sin dai tempi antichi. Le uova, infatti, hanno spesso rivestito il ruolo del simbolo della vita in sé, ma anche della sacralità: secondo alcune credenze pagane e mitologiche del passato, il cielo e il pianeta erano considerati due emisferi che andavano a creare un unico uovo...
Le statue di Dioniso trovate nelle tombe in Beozia portano un uovo in mano, segno del ritorno alla vita. Era invece vietato mangiare uova agli adepti dell'orfismo in quanto questo culto misterico ricercava l'uscita dal ciclo infinito delle reincarnazioni, cioè l'abolizione del ritorno periodico all'esistenza. L'uovo rappresenta quindi la "ripetizione della nascita esemplare del Cosmo, l'imitazione della cosmogonia"...
Nel cristianesimo l'uovo simboleggia la risurrezione di Gesù dal sepolcro. La tradizione del classico uovo di cioccolato è recente, ma il dono di uova vere, decorate con qualsiasi tipo di disegni o dediche, è correlato alla festa pasquale sin dal Medioevo...
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A magnificent Boeotian terracotta bust of Dionysos holding an egg and a cock.
Culture: Greeek.
Period: 350 BC.
Height: 31 centimetres.
Excavated/Findspot: Tanagra,Boeotia,Greece.
Provenance: British Museum.

mercoledì 15 aprile 2020

Il pensiero di Tony Negri su Giovanni Gentile

15 aprile 1944, vili partigiani assassinano Giovanni Gentile, il grande Rivoluzionario, autore di 'Genesi e Struttura della Società'
"l'unico filosofo italiano del novecento a rilevanza internazionale. Filosofo interno a una tematica progressiva, di rottura, modernizzante, alternativa che fa luce sulla creatività del rapporto tra individuo e collettività, sulla centralità di questo rapporto. Il collettivo dentro la coscienza dell'individuo è maledettamente importante. Gentile ha qualche parentela con Marx. Nella dissoluzione della dialettica, ritrovata come movimento, non più come motivo di distinzione, o di autorità, comando, c'è una spinta libertaria che rompe la fissità dell'ordine costituito, conduce ad una creatività profonamente rivoluzionaria." Tony Negri

martedì 14 aprile 2020

Il potere ha sempre avuto bisgno delle prostitute, ecco Teodora per giunta appassionata di culinaria


Figlia di un guardiano del circo, dai bassifondi di Costantinopoli arrivò giovanissima ad Alessandria d’Egitto, dove con la sua prorompente bellezza, come prostituta d’alto bordo, riuscì a conquistare l’alta società. Sapendo che un bravo cuoco era più importante di un buon parrucchiere, strinse la città sotto un assedio gastronomico, imbandendo eleganti tavole con squisite ghiottonerie accompagnate dal suono di flauti. Grazie alla sua memoria infallibile, Teodora diventò così cortigiana abile, colta e raffinata.
Tornata a Costantinopoli, fece della sua casa un salotto culturale, luogo d’incontro dei personaggi più in vista della corte. Seduti intorno a tavole colme d’ogni delizia, come triglie, rombi e ostriche innaffiate dai migliori vini dell’arcipelago, questi potenti svelavano a Teodora, che amabilmente li ascoltava quasi non toccando cibo, i loro segreti più reconditi.
Giustiniano, spesso ospite d’onore al cenacolo, rimase così folgorato dal suo charme da decidere di farla imperatrice.
Nella carica Teodora fu impeccabile, coraggiosa e moglie dedita, sapendo offrire al marito i giusti consigli per governare. Spietata con i nemici, ma incapace di meschinerie, non dimenticò mai le sue origini, organizzando anche una specie di rifugio-monastero per le vecchie prostitute di Costantinopoli.
Ancora oggi, nei mosaici di San Vitale a Ravenna, Teodora ci appare austera, augusta e coronata, sullo stesso piano dell’amato sposo che accomunandola nel potere e nella sovranità, arrivò ad imporre ai governanti delle province imperiali un giuramento di fedeltà “in nome di Giustiniano e Teodora”.
Pesce sotto la cenere alla moda di Teodora
Pesci consigliati: tonno, sgombro o rombo - olio – sale – pepe – foglie di fico/vite (o carta di alluminio)
Preparazione
Prendere il pesce prescelto, insaporirlo con olio, sale, pepe ed avvolgere i tranci o le fette nelle foglie, ad ottenere dei piccoli cartocci che saranno fermati con uno stecco.
Fare uno strato di brace, porvi sopra i pesci incartocciati, ricoprirli di cenere e attendere la fine della cottura (fare attenzione che la brace non bruci le foglie).