Le“Signore di Tanagra”.
Sulla carta geografica della Grecia, questa cittadina di ventimila abitanti ha portato per anni il nome di Grimada, prima che un fortunoso evento le facesse riassumere l’antico nome di Tanagra. Si sapeva infatti dalla storia ufficiale che qui, nel 457 a.C., per una delle tante lotte tra leghe, Ateniesi e Spartani se le diedero di santa ragione, senza che lo scontro producesse un che di risolutivo per una delle due parti. Il solo risultato fu un altro nodo della tela avvelenata che le città greche andavano tessendo con ottusa, arrogante stupidità, e che doveva portare l’Ellade tutta alla finale sottomissione a Roma.
Dopo il clangore della battaglia, l’oblio dei secoli. Intanto gli umani, inguaribili paguri, sulle rovine riedificarono, nel tempo, il nuovo abitato. E come avviene per le sovrapposizioni di civiltà, le nuove tendono a cancellare le precedenti. A testimoniare l’esistenza dell’antica città della Beozia, i resti del tempio di Artemide in Aulide, le proporzioni dei cui resti ne attestano la maestosità, e il corso del fiume Asopo, che scorre da sempre lambendo l’abitato e che ha molto contribuito al benessere e alla gloria di Tanagra. Gloria che sembrava essere andata perduta col passare dei secoli..
Fu un colpo di badile che, secoli dopo, un contadino piantò nel terreno del suo campo nei pressi del fiume. E cosí, come era avvenuto per Pompei, per la Cappadocia, per la Domus Aurea e per altri famosi siti archeologioci nel mondo, dove l’oblio era stato sconfitto dall’evento casuale, il contadino ignaro portò alla luce una statuina di appena venti centimetri. La ripulí, e si ritrovò tra le rozze mani incallite la bellezza che un ignoto, anonimo coroplasta di millenni prima, aveva saputo ricavare con mani sapienti, con venerazione e stupore, dalla materia primigenia, l’argilla. Era la forma archetipica dell’eterno femminino, la Mater nutrice, feconda e provvida.
Nasceva, quel giorno del 1870, il mito delle “Signore di Tanagra”. Vennero estratte, dal buio di tombe e dimore, figure di fanciulle in fiore, le kore, di bambini e donne, per lo piú giovani, avvolte in pepli, gli himathion, che dal copricapo a foggia di disco scendevano fino ai piedi in eleganti, sinuosi, drappeggi. Una di queste figure, detta “ La Dama in blu”, che oltre al cappellino regge un delizioso ventaglio, ha fornito il modello di donna ‘emancipata’ eppure di estrema, raffinata femminilità, a tutti gli artisti, soprattutto francesi che ne avevano imitato ‘l’allure’, sensuale ma di classe, da cui la nascente Belle Époque doveva ricavare i suoi moti espressivi.
Ma le figurine d’argilla di Tanagra ci danno un altro messaggio, piú confortante: mentre Fidia con il prezioso marmo pario scolpiva l’Athena Parthenos e le squisite ancelle dell’Erechtheion ad Atene, un anonimo “argillaro” della Beozia plasmava con acqua e terra il modello supremo della femminilità, della maternità che nutre e protegge, della bellezza che ispira e consola…..
Sulla carta geografica della Grecia, questa cittadina di ventimila abitanti ha portato per anni il nome di Grimada, prima che un fortunoso evento le facesse riassumere l’antico nome di Tanagra. Si sapeva infatti dalla storia ufficiale che qui, nel 457 a.C., per una delle tante lotte tra leghe, Ateniesi e Spartani se le diedero di santa ragione, senza che lo scontro producesse un che di risolutivo per una delle due parti. Il solo risultato fu un altro nodo della tela avvelenata che le città greche andavano tessendo con ottusa, arrogante stupidità, e che doveva portare l’Ellade tutta alla finale sottomissione a Roma.
Dopo il clangore della battaglia, l’oblio dei secoli. Intanto gli umani, inguaribili paguri, sulle rovine riedificarono, nel tempo, il nuovo abitato. E come avviene per le sovrapposizioni di civiltà, le nuove tendono a cancellare le precedenti. A testimoniare l’esistenza dell’antica città della Beozia, i resti del tempio di Artemide in Aulide, le proporzioni dei cui resti ne attestano la maestosità, e il corso del fiume Asopo, che scorre da sempre lambendo l’abitato e che ha molto contribuito al benessere e alla gloria di Tanagra. Gloria che sembrava essere andata perduta col passare dei secoli..
Fu un colpo di badile che, secoli dopo, un contadino piantò nel terreno del suo campo nei pressi del fiume. E cosí, come era avvenuto per Pompei, per la Cappadocia, per la Domus Aurea e per altri famosi siti archeologioci nel mondo, dove l’oblio era stato sconfitto dall’evento casuale, il contadino ignaro portò alla luce una statuina di appena venti centimetri. La ripulí, e si ritrovò tra le rozze mani incallite la bellezza che un ignoto, anonimo coroplasta di millenni prima, aveva saputo ricavare con mani sapienti, con venerazione e stupore, dalla materia primigenia, l’argilla. Era la forma archetipica dell’eterno femminino, la Mater nutrice, feconda e provvida.
Nasceva, quel giorno del 1870, il mito delle “Signore di Tanagra”. Vennero estratte, dal buio di tombe e dimore, figure di fanciulle in fiore, le kore, di bambini e donne, per lo piú giovani, avvolte in pepli, gli himathion, che dal copricapo a foggia di disco scendevano fino ai piedi in eleganti, sinuosi, drappeggi. Una di queste figure, detta “ La Dama in blu”, che oltre al cappellino regge un delizioso ventaglio, ha fornito il modello di donna ‘emancipata’ eppure di estrema, raffinata femminilità, a tutti gli artisti, soprattutto francesi che ne avevano imitato ‘l’allure’, sensuale ma di classe, da cui la nascente Belle Époque doveva ricavare i suoi moti espressivi.
Ma le figurine d’argilla di Tanagra ci danno un altro messaggio, piú confortante: mentre Fidia con il prezioso marmo pario scolpiva l’Athena Parthenos e le squisite ancelle dell’Erechtheion ad Atene, un anonimo “argillaro” della Beozia plasmava con acqua e terra il modello supremo della femminilità, della maternità che nutre e protegge, della bellezza che ispira e consola…..
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