giovedì 14 marzo 2024

Il burattino framassone




«Il burattino framassone»
Zolla: la storia di un´iniziazione ispirata a Apuleio


di Silvia Ronchey


«IL Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi intollerabile». Elémire Zolla, l'intellettuale italiano più introdotto nei segreti di Pinocchio (si veda il suo Uscite dal mondo pubblicato da Adelphi), risponde da iniziato, scegliendo le parole con cautela quasi sacrale e lasciando al fondo un che di enigmatico, un'eco di mistero. «Un bambino che legga con tutto il cuore questo libro ne esce trasformato. Diventa un'altra persona di cui non è lecito parlare».


Che genere di altra persona?

«Una persona con una mentalità da martire. In quale altro libro si insegna al bambino a diffidare di tutte le autorità terrene? E chi altro può vivere disdegnando quasi completamente la giustizia umana?».


Forse lei dice «bambino» nell'accezione sacra per cui è «puer» il non iniziato.

«Ovviamente Pinocchio è la storia di un'iniziazione. Come le Metamorfosi di Apuleio. Ha presente le pagine finali? Il latino del grande retore diventa una lingua infantile quando narra l'epifania di Iside, la madre universale, colei che compare nei sogni se si sogna rettamente... Che poi in Collodi è la fata dai capelli turchini».

Un momento. Chi è la fata dai capelli turchini?

«È la prefigurazione della capra sullo scoglio nel mare in tempesta, che compare nel libro molto più tardi, e che pure ha il pelo azzurro».


Perché Collodi rappresenterebbe Iside come capra, oltre che come fata?

«Iside, nel mondo pagano, è la grande mediatrice, rappresentante di tutto il mondo animale, o meglio dell'indistinzione tra animale e umano».


In effetti in Apuleio il protagonista è trasformato in asino. Non vorrà dire che anche le orecchie d'asino di Pinocchio vengono di lì?

«Certo. Il che significa semplicemente che provengono dalla cultura di base della cerchia massonica cui Collodi apparteneva. Vede, una loggia di Firenze, al tempo di Collodi, non era luogo di modesta cultura. Certe letture erano comuni, elementari addirittura. La massoneria ferveva di una rinascita del pitagorismo antico, culminata poi in Arturo Reghini, grande scrittore e matematico in lite con Mussolini e con Evola».


Vuol dire che la letteratura antica era un codice?

«Era linguaggio elettivo per comunicare all'interno dell'ambiente massonico. E lì le cose su cui si posavano gli occhi si trasmutavano. C'è un passo di Marco Aurelio: "Ricordati che colui che tira i fili è questo Essere celato in noi, è Lui che suscita la nostra parola, la vita nostra, è Lui l'Uomo... Cosa ben più divina delle passioni che ci rendono simili a marionette e nient'altro". Si attaglia alla storia del burattino, ne è la chiave».


Ma allora «Pinocchio» è un libro per bambini o una parabola massonica?

«Entrambe le cose, è questo il miracolo. La semplicità della lingua toscana in Pinocchio nasce dal fatto che Collodi sta trasmettendo una verità esoterica è non può che esprimerla così, come la narrerebbe a un bambino. È il ritegno di chi sta parlando di cose indicibili che produce questo particolare linguaggio, in Collodi come in Apuleio».


In questa chiave esoterica, che significa il nome Pinocchio? e Lucignolo? e il Gatto e la Volpe?

«In latino pinocolus significa pezzetto di pino. Per un pagano è l'albero sempreverde che sfida la morte invernale. Lucignolo è un Lucifero miserello, a misura di puer, cioè di pre-iniziato, e il Gatto e la Volpe sono Legbà e Shù, grandi personaggi della mitologia africana che si ritrovano anche nel Vudù. Allora si leggeva, e di libri sul Vudù l'America di fine Ottocento era piena. Qualche massone d'oltreoceano poteva avere informato Collodi. La vita di loggia è molto strana, è segreta e piena di incontri».


Vuol dire che «Pinocchio» non può comprendersi del tutto senza conoscere la massoneria?

«No, voglio dire che Pinocchio continua un'antichissima tradizione sotterranea della letteratura italiana. In rapporto ai rituali massonici si chiarisce il significato della poesia medievale - Federico II, Dante e Cavalcanti - così come l'esoterismo della Rinascenza in tutti quei grandi che vissero l'integrazione di Bisanzio nella cultura occidentale ai tempi del concilio di Ferrara e Firenze e intorno a Enea Silvio Piccolomini, un grande gnostico: pensi alla lettera veramente esoterica che scrisse al sultano ottomano, al neopaganesimo di Pienza... Tutti, anche gli alti prelati sanno che dal culto di Iside deriva la Madonna, che la leggenda dei magi testimonia come l'atto fondante della cristianità sia l'innesto dello zoroastrismo, come può vedersi, proprio vicino a Pienza, nei rilievi della pieve di Corsignano!».


La prego, torni a «Pinocchio».

«Pinocchio, come dicevo, continua la lignée esoterica, gnostica, isiaca e neopagana, nel senso più spirituale, che è al centro della nostra letteratura».


Il che varrebbe a dire che la grande letteratura italiana è essenzialmente massonica?

«Varrebbe a dire che spesso noi italiani ci lamentiamo di non avere una letteratura all'altezza, ad esempio, di quella inglese o tedesca. Ma il fatto è che la nostra migliore letteratura, quella laica, è sotterranea e segreta, perché a differenza degli inglesi e dei tedeschi ha dovuto sottrarsi alla censura dell'ala meno illuminata e elitaria della cultura cattolica».

Il burattino framassone - Intervista a Silvia Ronchey (La Stampa)

lunedì 11 marzo 2024

Le superstizioni


 “Le superstizioni non vanno cercate solo in ciò che ci sembra oscuro; gli atti fondamentali della nostra vita psichica sono essi stessa di natura superstiziosa. Vale a dire che partecipano di un automatismo in cui non tentiamo mai d'intervenire; li compiamo per timore o per abitudine, crediamo alla loro realtà senza esaminarla; non cerchiamo né di superarli né di modificarli; in una parola siamo vissuti dalla vita invece di viverla; e la superstizione perfetta consiste nell'abdicare completamente a ogni autonomia, a ogni arbitrio, a ogni libertà.

(…)
Siamo degli automi quando diventiamo superstiziosi. E da nessuna parte si riscontrano più superstizioni che nella coscienza di un moderno, per istruito e addentro che sia alle scienze del secolo.”
Mircea Eliade (1907-1986), Oceanografia, 1934

domenica 10 marzo 2024

Levitazione

 



Per l'arcaica tradizione sciamanica nulla di nuovo, ricordo che per questa particolare fenomeno San Giuseppe da Copertino fu incatenato per ordine del vescovo ed in seguito segregato in un convento. La sua prima levitazione è documentata il 4 ottobre 1630 al rientro in chiesa della processione di San Francesco. Giuseppe, infatti, si sollevò da terra fino all'altezza del pulpito, immobile sotto gli occhi di una folla in delirio. Da allora la sua vita cambiò. Le estasi divennero sempre più frequenti e questo preoccupò l'alto clero che prese delle decisioni drastiche isolando il santo dagli occhi del popolo.

Nell'immagine: Il sacerdote ripreso nella foto è Padre Gesuita chiamato: Pe. Giovanni Sala. (alzato sul terreno)

sabato 9 marzo 2024

Un tumulo in Friuli


 

La misteriosa e spettacolare #tumbare/mutare a Tomba di #meretoditomba

1750 avanti Cristo; la sepoltura di un giovane di età compresa tra i 16 e i 19 anni (sotto il piano di campagna) con doti particolari, forse uno sciamano il quale faceva riferimento tutta la comunità
Attorno a questo rilievo, nei secoli, si compirono numerosi rituali che comprendevano anche la cosiddetta "semina delle ossa": furono interrati resti di denti e teschi di uomini e animali nella speranza di ridare loro vita. Sono attestati anche sacrifici animali (1650 avanti Cristo circa), riti propiziatori, cerimonie cultuali
La tomba è stata a più riprese ingrandita, sempre nel periodo protostorico; in un passato relativamente recente sulla sommità è stata rinvenuta una urna cineraria di cui si sono perse le tracce. È stata spianata in cima per farne un belvedere; vi si può anche salire tramite un vialetto a spirale

mercoledì 6 marzo 2024

BARI IN EPOCA ROMANA: L’epigrafe ritrovata



All’interno del succorpo della cattedrale di San Sabino, è custodita una lastra marmorea con un antica iscrizione in Latino di epoca Romana.
Si data l’epigrafe alla seconda metà del II secolo d.c., età di Antonino Pio e Marco Aurelio.
L’epigrafe testimonia la vita istituzionale, il sostenuto livello economico sociale della città e di sicuro di una costruzione adibita allo spettacolo in questo caso forse un anfiteatro di cui non si è mai trovata traccia.
Inoltre si fa conoscenza dei problemi connessi all’approvvigionamento di grano( annona frumentaria) e alle forme di partecipazione del popolus alle decisioni della città.
il testo dell' epigrafe:
L(UCIO)GELLIOL(UCI)LIB(ERTO)
PRIMIGENIO
AVG(USTALI)
HUIC ORDO DEC(URIONUM) POS
STULANTE POPUL(O) OB PLU
RIMA BENEF(ICIA) EIUS BISEL
LIUM DED(IT) PRO QUO
HONOR(E) CUM(SESTERTIUM) X M(ILIA)
AD AMPLIAND(AM)ANNO
NAE FRUM(ENTARIAE) SUMMAM
NUMERASSET POS
TULATU EIUSDE(M) PO
PULI STATUAM EX
AER(E) CONLATO POS(UIT)
………….?
L(OCUS)D(ATUS)D(ECRETO)D(ECURIONUM)
traduzione:
a Lucio Gellio, liberto di Lucio, Primigenio, Augustale.
A costui l’ordine dei decurioni, su richiesta del popolo
per i moltissimi suoi benefici concesse l’onore del Bisellium (sedile onorifico per assistere agli spettacoli pubblici)
avendo egli in cambio di questo onore, versato in contanti 10,000 sesterzi al fine
di accrescere la somma destinata all’annona frumentaria,
su richiesta dello stesso popolo, fece erigere
una statua con il denaro raccolto
……………?
luogo raccolto per decreto dei decurioni.
(il Bisellium è una poltrona d'onore utilizzata negli anfiteatri di epoca romana, in questo caso ipotizziamo che questo Lucio dopo delle gesta importanti, abbia avuto questo dono dalle alte cariche dell'acropoli barese).
Fonte studi Michele Gravina
foto Michele Gravina ( epigrafe all’interno del succorpo della cattedrale di San Sabino) foto interno del succorpo.
fonte documentaria Bari di Vito Antonio Melchiorre

La leggenda della Carpenea legata alla Bassa Veronese




 Una leggenda del Basso Veronese, di quel territorio un tempo ricoperto per gran parte di paludi, chiamato ‘Grandi Valli’. Un tempo però, si racconta che al posto delle paludi esistesse una città con sette ordini di mura, difesa da cento torri altissime. Attorno, fiumi e fossati, regolate da dighe. Alle spalle della città, un lago conteneva le acque disordinate. Sulla parte più alta, sorgeva un tempio in onore del dio delle acque Appo, che proteggeva la città e la collina su cui sorgeva dalla forza devastante delle acque circostanti. Il tempio era incredibilmente grande ed il re della città, accompagnato dal suo popolo, doveva portate quotidianamente cibi e bevande in offerta al dio, per placare le sue ire. Ma un giorno, il re, pensando che così facendo i sacerdoti del tempio sarebbero ben presto divenuti più potenti e ricchi di lui, smise di perpetuare tale rito e il popolo lo imitò. I sacerdoti, compreso che quella sarebbe stata la loro fine, istigarono il popolo contro il proprio re: il dio Appo avrebbe con la propria ira causato sventure infinite alla città, fu quindi catturato, e messo in un’umida prigione.

Qui, vi meditò la sua vendetta e una notte, favorito dalle tenebre e dal sonno dei guardiani, fuggì, penetrò nel tempio e rapì la statua del dio. I sacerdoti, accortesi del furto, incitarono la folla contro di lui, colpevole di sacrilegio. Il re, vistosi perduto, corse verso il lago e vi gettò la statua e approfittando dello sbigottimento generale, fuggì nei boschi che sorgevano a fianco della città di Carpanea e corse poi al palazzo reale. La folla, esasperata dal fatto, in parte si gettava nel lago per cercar di recuperare il simulacro, affogandovi miseramente. Alcuni si precipitarono sulle dighe, aprendole con l’intento di prosciugare il lago. Ma così facendo, le acque improvvisamente inondarono il tutto, creando un immane gorgo. Così, tra le grida di disperazione, le genti di Carpanea scomparvero, mentre il re, dall’alto del pinnacolo del tempio, osservava lo scempio del suo popolo e fu anch’egli colto da disperazione. Cominciò a suonare la campana del tempio in un disperato tentativo di richiamare la folla sulla collina, ma anche questa, erosa dall’impeto delle acque, sprofondò nel gorgo. E’ così, che si formarono le Grandi Valli.
E la notte, chi percorre l’argine delle paludi, può udire ancora il pianto disperato che proviene dal profondo della terra. E la notte di Pentecoste, al lamento vi si aggiunge un suono lugubre che si spande su tutta la Valle: è la campana del tempio…