sabato 31 marzo 2012

Sesso e abbondanza, i riti pagani ritornano



Balkan Erotic Epic dell’artista slava Marina Abramovic si ispira a riti pagani serbi che usavano il sesso per propiziarsi gli elementi e sedurre gli dei. Questa serie nacque a metà degli anni novanta, periodo della guerra nei Balcani, e fu ispirata dal dolore dell’artista nel vedere la patria martoriata dal conflitto. A differenza di molti lavori precedenti, in cui la performer metteva a dura prova la propria resistenza fisica, “Balkan Epic” sembra talmente carica di sofferenza da non avere bisogno di atti estremi per essere spiegata. Essa è sicuramente uno dei momenti più simbolici ed evocativi della produzione di Abramovic. In “Balkan Erotic Epic” è il tema dell’energia a fare da padrone. Esso era già stato affrontato in “Tesla Urn”, ma qui viene legato al senso primordiale di un’energia corporea e carnale, in poche parole erotica. L’opera, proiettata su diversi schermi, è divisa in tre parti: nella prima delle donne corrono sotto la pioggia alzando a turno le vesti e mostrando il pube al cielo; nella seconda degli uomini distesi nell’erba fecondano la terra stessa; nella terza un gruppo di uomini in fila, vestiti in abiti folkloristici, sta immobile con il pene in erezione, mentre di fronte, un’icona del cinema serbo intona canzoni patriottiche. Marina Abramovic ci riporta all’eros come valore di una legge universale che muove il pianeta in quanto fonte di vita ed energia, oggi seppellita sotto i molteplici veli delle inibizioni. In questo lavoro la nudità del corpo corrisponde alla verità, l’esposizione di questa nudità come mezzo per la sopravvivenza della popolazione corrisponde al potere del popolo di auto-gestirsi, di vivere di se stesso e della Terra che lo ha generato . L’aver coperto di vestiti il corpo corrisponde all’aver nascosto la verità sotto innaturali impalcature. L’aver sottratto l’energia erotica al popolo è stato soggiogarlo, piegare la sovranità del corpo alla ben più misera e falsa sovranità dello stato, uno stato che basa il suo potere sull’impotenza del singolo e sulla dominazione attraverso il senso di colpa e di vergogna. Oggi l’erotismo coperto dalla macchia della vergogna sembra liberarsi solo attraverso la pornografia. In realtà, paradossalmente, è esattamente il contrario. La pornografia è il frutto di una società dominata dal senso di colpa dove solo con il sesso mercificato si possono appagare le nostre pulsioni senza un contatto diretto e quindi senza il peccato. La pornografia quindi sembra sfidare i tabù, in realtà anch’essa fa parte a tutti gli effetti di una società basata sull’inibizione del sesso ed è la naturale conseguenza di tutta una storia di vergogne e proibizioni. La pornografia scolorisce ancora di più il senso degli atti carnali, non rendendo loro il carattere sovversivo e di energia pura che invece gli è proprio. La sofferenza nei confronti delle vicende della sua terra ha portato l’artista a esprimere non più un corpo trascendente ma un corpo carnale. Esso soffre, gode, la sua energia è lontana dal dualismo corpo-spirito ed è vicina a una più bassa e ancestrale concezione di materia. “Balkan Erotic” è l’elegia di un popolo legato alla sua terra in un amplesso continuamente rinnovato da riti pagani ed agrari, dove il corpo erotico interagisce con gli elementi della terra per tentare di soggiogarli seducendoli. Così le donne corrono invasate sotto la pioggia, usano il proprio erotismo per calmare la tempesta. Con il suo corpo la donna è in grado calmare la natura caotica (associata alla maschilità, che agisce di sola forza) e di domarla rendendola feconda e non distruttiva. Atto complementare a quello femminile è quello maschile del coito con la terra . Ha di sicuro un carattere antitetico invece il terzo video, dove l’immobilità degli uomini che vestiti di tutto punto ci mostrano la loro potenzialità erotica con tanto orgoglio, si contrappone all’energia vitale con la quale invece le donne si mostrano nel video precedente. Questi uomini, invece di impressionarci, come sembrano voler fare, ci rendono partecipi della loro vulnerabilità e l’inutilità del loro gesto rivela la fragilità del loro essere virili senza uno scopo.

I RITI PAGANI RITORNANO, ALLA FACCIA DELLA MODERNITA'


L'EMERGENZA
Caldo record e piogge in calo del 50%
il Nord riscopre gli antichi riti anti-siccità
Preghiere, processioni e croci nei campi: "Non resta che affidarsi a Dio". Dalla Toscana al Veneto, fiumi a secco e raccolti a rischio: "Ormai è emergenza". A Firenze il cardinale Betori scrive una lettera ai parroci: organizzate veglie
di JENNER MELETTI da REPUPUBBLICA

Un tempo si chiamavano rogazioni riti legati apparentemente al cristianesimo che in realtà erano le antiche liturgie pagane riadattate alla "nuova" teologia cristiana.

TREBASELEGHE (Padova) - Forse sarà meglio procurarci dei rami di ontano. "Con un coltellino si toglieva la corteccia e appariva il legno bianco. E con questi rami si preparavano le croci, da mettere all'inizio di ogni campo. Servivano a tenere lontano la siccità, la grandine e ogni altro disastro". Quando era bambino, Lorenzo Zanon - sindaco di Trebaseleghe e insegnante di religione - andava con i suoi genitori alle "rogazioni".

"Per tre giorni, alla mattina presto, si facevano le processioni. Si partiva da un pilastrino dedicato alla Madonna, si passava da un campo all'altro mettendo queste croci bianche, si arrivava a un altro capitello. Il prete in testa, con tutti i paramenti, le candele, i chierichetti... Si recitavano le litanie speciali. "A fulgure et tempestate libera nos Domine". Signore, liberaci dai fulmini e dalla tempesta. E se le campagne erano secche, il vescovo invitava i preti ed i fedeli a una processione o a un pellegrinaggio "ad petendam pluviam", per invocare al pioggia". Ci sarà davvero bisogno, dei rametti di ontano.

Secondo il climatologo Giampiero Maracchi nell'inverno e in questo inizio di primavera è arrivato solo il 30% della pioggia che cade di solito. La Coldiretti stima in particolare un calo superiore al 50% al Nord e compreso fra il 25 e il 50% al Centro e in Sardegna. L'appello dei cardinale di Firenze, Giuseppe Betori, a "pregare per il dono della pioggia", non giunge a caso. L'invaso del Bilancino che disseta mezza Toscana è appena a un terzo della capienza, il fiume Arno porta solo un decimo dell'acqua mediamente presente in questa stagione. "La siccità - ricorda il sindaco insegnante - è fra le dieci piaghe d'Egitto. Le preghiere per la pioggia sono sempre esistite. L'idea che Dio mandi l'acqua in risposta ai comportamenti umani è già nella Bibbia.

"Se seguirai i miei comandamenti, ti manderò la pioggia". Nell'antica Roma durante la cerimonia chiamata "aquilicium" matrone scalze e con i capelli sciolti salivano sul Campidoglio e facevano ruzzolare pietre, invocando Giove Pluvio e simulando il rumore del tuono. Gli Atzechi invocavano l'acqua sacrificando a Xipe Totec, "nostro Signore lo Scuoiato", nemici e schiavi. "Nella religione cristiana - dice Lorenzo Zanon - il sacrificio è stato sostituito dalla preghiera. Già nel IV secolo il papa Liberio trasforma la cerimonia pagana in "invocazione delle precipitazioni". Ad petendam pluviam inizia in quei tempi".

"L'invocazione del sacro di fronte alle calamità - dice Roberto Roda, che guida il centro etnografico del Comune di Ferrara - è ancora presente. Si fanno processioni sugli argini e le statue dei Santi vengono messe con i piedi nell'acqua. Come dire: siete in prima linea, dovete proteggerci. Alla sacca di Goro Sant'Antonio da Padova, a giugno, viene messo su un palo in mezzo alla valle. Anche da noi contro grandine o siccità si mettevano le croci nei campi: ma erano fatte di canne e intrecciate con l'ulivo".

A Farra d'Alpago il parroco don Lorenzo Sperti sta già organizzando una processione perché il cielo mandi la pioggia. "Forse non ci sarebbe bisogno - dice padre Renato Gaglianone, consigliere ecclesiastico della Coldiretti - di una preghiera specifica. Già nel "Padre Nostro" c'è l'invocazione giusta: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Senza la pioggia il grano non nasce e non cresce, senza il grano non si fa il pane". Ma nel Messale c'è una "Colletta" - una preghiera che il sacerdote recita a nome di tutta la comunità di fedeli - che così invoca la grazia dal Cielo. "O Dio dal quale tutte le creature / ricevono energia, esistenza e vita / dona alla terra assetata / il refrigerio della pioggia / poiché l'umanità sicura del suo pane / possa ricercare con fiducia il bene dello Spirito".

A Bolzano i meli sono già fioriti, con un mese di anticipo. Questo marzo è il più caldo degli ultimi 15 anni. In Veneto sono in pericolo mais, grano e radicchi. In Toscana il frumento non riesce a crescere e forse sarà perduta metà della produzione, due milioni di quintali che valgono 60 milioni di euro. "Con il caldo arrivato così presto - racconta Amedeo Gerolimetti, coltivatore diretto di Castelfranco Veneto - quasi tutti hanno anticipato di un mese la semina del mais. Il terreno era perfetto, sull'asciutto si lavora bene.

Ma il troppo calore adesso ha ridotto le zolle in polvere, e allora c'è bisogno di acqua per fare crescere le piantine di granoturco e per attivare gli anticrittogamici messi contro gli infestanti. Chi ha l'impianto a pioggia, se la può cavare, anche se io non avevo mai visto annaffiare a marzo. Ma chi usa l'irrigazione a scorrimento, non sa come fare. L'acqua viene infatti mandata nei campi attraverso i solchi ma questi si scavano, una fila sì e una no, quando il mais è già alto trenta o quaranta centimetri. E invece sta appena spuntando. Chi non ha seminato, è ancora più disperato. Il sole ha cotto le zolle come fossero mattoni, e se vedi nelle campagne un gran polverone, vuol dire che un contadino sta cercando di spaccare la crosta con l'erpice, per poter seminare".

La siccità può diventare un incubo, e anche i Santi a volte non sanno fare il loro dovere. In Sicilia, nel 1893 - come ha raccontato l'antropologo Marino Niola - non piovve per sei mesi. Per protesta San Giuseppe fu gettato in un giardino bruciato dal caldo. A Caltanissetta furono strappate le ali d'oro a San Michele Arcangelo e sostituite con ali di cartone. Lo stesso angelo, a Licata, fu denudato e minacciato d'impiccagione. "O la pioggia o la corda", gridavano i fedeli. Almeno per ora, meglio preparare soltanto le croci bianche di ontano.

venerdì 30 marzo 2012

La porta della percezione



Il pertugio che ti può portare fuori dal tempo,rudere caro agli ermetisti italico-napulitani capitanati da Giuliano Kremmerz, ultima propaggine ottocentesca dei Terapeuti d'Alessandria, e tutto continua come un fiume carsico.




Si sa che Roma contiene un enorme conoscenza fissata anche attraverso monumenti ermetici colmi di segni, simboli e archetipi trasposti: ora in parole, ora in immagini e figure. l'Urbe nelle sue profondità contiene basiliche sotterranee, cloache bimillenarie, ninfei , caserme augustee dei primi vigili del fuoco, colombari di gens legate alla cremazione familiare, mitrei, chiese costruite sopra templi, resti monumentali di terme, di acquedotti. Fontane barocche continuatrici di una tradizione fluviale rinfrescante e lenitrice, catacombe come residui di cave divenute cimiteri, ora etruschi ora cristiani, anche un'ultima piramide svetta ancora accanto al cimitero acattolico, stranamente proprio nella città di Pietro.
A Piazza Vittorio, una fra le meglio sfigurate nei secoli dall’urbanistica ingrata , si mantiene al suo centro una «rovina eccellente».
Questo piccolo rudere può dirci ancora qualcosa con i suo guardiani della soglia (bes) che difendono i simboli incisi sul marmo bianco, le parole latine vorrebbero indicare ancora il percorso, la chiave per passare la soglia. Parte essenziale, forse in origine, di un piccolo tempio alchemico una cappella di cabalisti cristiani(gnostici) edificata nel secolo XVII dal Marchese di Palombara e frequentata, fra personaggi più o meno noti ,anche Cristina di Svezia e i produttori d'oro iatrochimico. Oggi d’intatto non resta che la porta, murata dalla limitatezza dei tempi moderni. E ricordato infatti, quel monumento, come la Porta Magica.
Porta, accecata di mattoni rossi, che non porta più da nessuna parte. Pagina sigillata, ma solo intorno agli orli e lungo la chiara cornice di marmo corrono ancora parole e idee simili a uccelli neri e bianchi che, immobili sulle ali, sono come pensieri scaturiti dalla mente e animati da liturgie arcaiche legati all'aria fra terra e cielo:
Quando in tua domo nigri corvi Parturient albas columbas tunc vocaberis sapiens... Qui scit comburere aqua ce lavare igne facit de terra coelum et de coelo terram pretiosam...
La piazza stessa è una spirale (Un mercato ravvivato da mille etnie da colori di pelle diversa da carni sanguinolente, da polli morti appesi, scaglie e occhi vividi di pesci , verdure e frutti sgargianti di un mercato vivo e vociante.
E i gatti aspettando gli avanzi perpetuano la forza di questo luogo per la magia che portano da sempre nel loro sguardo


la Porta Magica la si scorge con difficoltà dietro alla rete, vorrebbe rendersi invisibile; ed è ancora più chiaro che senza la Porta Magica l’intera piazza scompare, anzi sprofonderebbe portandosi appresso ROMA e il suo AMOR.

Orti magici dai deliziosi frutti difesi dal dragone del male che nel segno dell'eterno ritorno, mangiandosi la coda ci preclude l'uscita dal tempo
(Horti magici ingressum Hesperidum custodit draco et sine Alcide Colchicas delicias non gustasset Iason).

giovedì 29 marzo 2012

ISRAELE RINGRAZIA LA MERKEL PER IL SESTO SOTTOMARINO DOLPHIN




Di Ofira Koopmans, 21.03.12[1]

Tel Aviv (dpa[2]) – Israele ha ringraziato mercoledì la Cancelliera tedesca Angela Merkel per aver venduto al paese il sesto sottomarino Dolphin[3] ad un prezzo agevolato.

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha inviato alla Merkel una lettera di ringraziamento, affermando che il vascello d’avanguardia “ci aiuta a far fronte alle immense esigenze di difesa durante questi tempi turbolenti e contribuirà grandemente alla sicurezza di lungo periodo dello stato ebraico”, ha detto a dpa il suo portavoce, Mark Regev.

Israele e la Germania hanno firmato mercoledì il contratto per la vendita, durante una cerimonia nella residenza dell’ambasciatore israeliano a Berlino, alla presenza del Ministro della Difesa Ehud Barak e del Segretario di Stato tedesco presso il Ministero federale della Difesa Rudiger Wolf, ha riferito una dichiarazione del governo.

Barak ha detto che l’accordo “riflette la profondità del legame tra Israele e la Germania, come pure la chiara dedizione del governo tedesco alla sicurezza dello stato di Israele”.

Il quotidiano economico israeliano Globes[4] ha riferito che il sottomarino verrà consegnato entro il 2018. Alla consegna, sarà uno dei sottomarini più avanzati del mondo, e costituirà l’arma più costosa acquistata dalle Forze di Difesa di Israele, per un costo di 400 milioni di euro. La Germania finanzierà un terzo del costo, è stato detto.

Israele ha attualmente tre sottomarini nella sua flotta, è stato detto. Il quarto e il quinto dei sottomarini Dolphin sono in avanzato stato di costruzione nei cantieri tedeschi, e si prevede che arriveranno alla metà del 2013 e nella seconda metà del 2014.

(Articolo copiato dal blog di Andrea Caracini)

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://en.europeonline-magazine.eu/israel-thanks-germanys-merkel-for-sixth-dolphin-submarine_198870.html
[2] Deutsche Presse-Agentur
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Classe_Dolphin
[4] http://www.globes.co.il/serveen/globes/nodeview.asp?fid=942

Ma diamo il suo vero nome: INIQUITALIA



Artigiano assediato dal fisco si dà fuoco davanti a Equitalia
Altra tragedia della crisi: un muratore tenta il suicidio a Bologna, è gravissimo Le sue lettere disperate: «Ho sempre pagato le tasse, ma ho paura di non farcela»
http://www.ilgiornale.it/interni/artigiano_assediato_fisco_si_fuoco_davanti_equitalia/29-03-2012/articolo-id=579977-page=0-comm

Non comprerò mai più FIAT! tanto la sorte degli operai Italiani è già decisa




In Germania la legge dello stato consente agli industriali di produrre fuori dal paese, a patto che non si perdano posti di lavoro in Patria e che non si esporti alta tecnologia.
Il capitalismo italiano ha sempre tratto la sua plusvalenza dalle connivenze politiche, mai dalla capacità di produrre buone cose ad un prezzo giusto. Esso è malato, e contribuisce all'incancrenimento della società.
Vari stabilimenti Fiat sono stati costruiti con i soldi dello stato Italiano.
La cinquecento è costruita totalmente in Polonia, le nuove auto negli USA, non c'è un futuro per i lavoratori del nostro Paese. Lo stato ha regalato alla Fiat l'Alfa-Romeo, la Lancia una volta acquisita è stata letteralmente distrutta.
Ha gestito la produzione (BORLETTI GESTIVA LA VALSELLA DA SOLO LA FIAT GLI DETTE LA DELEGA PER..http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/09/08/borletti-gestiva-la-valsella-da-solo-la.html)delle mine antiuomo " Valsella" ed ha acquisito industrie come l'Agusta che produce elicotteri sofisticatissimi per combattimento. Ma cosa vogliamo aspettarci da questi?

Nuova straordinaria scoperta archeologica a Montalto. 37 tombe etrusche nella zona industriale



Trovata una sfinge propria del mondo dei "Tirreni" in un "Dromos" di una tomba etrusca che restituisce un piccolo "Simbolo" del V-IV a.C. copia di quelle Sfingi trovate precedentemente nell'isola di Lemno dove esiste una ulteriore testimonianza. Nel 1885 fu trovata a Kaminia, incastonata nella colonna di una chiesa, quella che poi è stata chiamata la stele di Lemnos, apparve subito chiaro che i caratteri incisi erano molto simili a quelli dell’alfabeto etrusco. E sembrò quasi scontato confermare le teorie secondo cui gli Etruschi, la cui origine è sempre stata un mistero, provenissero dall’Asia Minore.
MERCOLEDÌ 04 GENNAIO 2012 MARCO FELIZIANI


Si va avanti per far tornare alla luce di quello che resta della civiltà etrusca a Montalto di Castro. Un’altra importante scoperta archeologica dopo quella avvenuta nelle settimane scorse alla necropoli etrusca dell’Osteria, che porta nuovi propositi turistici per Montalto di Castro. Quella di questa mattina è stata fatta dalla Soprintendenza ai beni archeologici dell’Etruria meridionale, dopo alcuni lavori di scavo per la sistemazione del terreno
Il sindaco Salvatore Carai
per nuovi insediamenti industriali che si stanno eseguendo in località Due Pini. Sono state rinvenute 37 tombe risalenti al periodo etrusco e tre delle quali sono in fase di scavo dal personale della cooperativa archeologica di Firenze, incaricato dalla stessa Soprintendenza. Una tomba con un dromos lungo sei metri e con una larghezza di un metro e quaranta, fino ad arrivare ad un vestibolo a cielo aperto; in quel punto sono state scoperte quattro tombe, tre delle quali in parte violate e una completamente intatta.

Dai primi esami appaiono risalire al VI secolo avanti Cristo. Nel dromos sono stati trovati, una olla e un cranio con i resti ossei di un cavallo: un sacrificio in funzione del defunto. Un rituale che spesso gli etruschi adottavano per i
Carlo Casi, direttore della Mastarna
propri animali. Il luogo del ritrovamento è stato subito visionato dalla dottoressa Patrizia Petitti della Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale e da Carlo Casi, direttore della Mastarna, società che gestisce il parco archeologico e naturalistico di Vulci. Sul posto operano due archeologhe della cooperativa di Firenze, le dottoresse Maddalena Vacca e Anna Carla Melaragni. Solo nei prossimi giorni si potrà sapere la scoperta di nuovi corredi funebri e l’esatta datazione delle tombe, che al momento sono in fase di scavo. La nuova necropoli trovata, secondo gli esperti, fa parte di un sito lagunare, un avamposto vulcente che a suo tempo probabilmente controllava l’estrazione del sale dalle lagune. Il sindaco Salvatore Carai ritiene queste opere in atto

mercoledì 28 marzo 2012

Emilio Fede non cambia mai!


MARTEDÌ 27 MARZO 2012

Emilio Fede in Svizzera: in valigia 2 milioni in contanti. Autorità elvetiche:"soldi sospetti"

Voleva depositare su un conto svizzero due milioni e mezzo in contanti. Ma i funzionari di banca avrebbero rifiutato di accettare l'operazione, non avendo garanzie sulla provenienza dei soldi. Una vicenda che appare senza precedenti e sulla quale hanno avviato verifiche l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza. Protagonista è il direttore del Tg4 Emilio Fede, già indagato per favoreggiamento della prostituzione per le feste organizzate nelle residenze dell'ex capo del governo Silvio Berlusconi e per concorso in bancarotta fraudolenta dalla magistratura milanese con l'agente dello spettacolo Lele Mora, tuttora detenuto proprio per l'inchiesta sul fallimento della sua società «Lm management» che per anni ha gestito l'immagine di numerosi personaggi dello spettacolo. E, si è scoperto poi, serviva a reclutare le ragazze da portare ad Arcore e a Villa Certosa.
La segnalazione è arrivata in Italia alla fine dello scorso gennaio. A chiedere l'intervento delle autorità di controllo è stato un dipendente della banca che evidenzia un episodio risalente alla fine di dicembre, circa tre mesi fa. Nella denuncia racconta che Emilio Fede, accompagnato in macchina da un'altra persona, si è presentato presso la filiale dell'istituto di credito di Lugano con la valigetta piena di contanti, ma che è dovuto rientrare in Italia perché i responsabili della banca non hanno ritenuto opportuno accettare la somma. Una decisione presa, presumibilmente, tenendo conto dei problemi avuti in precedenza con i magistrati italiani e della necessità di fornire spiegazioni.

Nonostante le autorità svizzere abbiano sempre assicurato la massima collaborazione in ambito giudiziario, gli istituti di credito preferiscono mantenere alto il livello di riservatezza per proteggere i propri clienti. Dunque è possibile che dopo il clamore mediatico suscitato dalle vicende che hanno coinvolto Fede nei mesi scorsi abbiano deciso di respingere le sue richieste. Pur di fronte a un investimento molto alto.
La scorsa estate, dopo una richiesta di rogatoria sollecitata dai pubblici ministeri lombardi Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci era stato infatti interrogato il funzionario della Bsi di Lugano Patrick Albisetti, l'uomo che si era occupato di gestire i depositi di Mora e le richieste di contanti dello stesso Fede.

In quell'indagine il giornalista è stato accusato di aver trattenuto per sé un milione e duecentomila euro dei 2 milioni e ottocentomila che Berlusconi avrebbe fatto avere a Mora attraverso il suo tesoriere Giuseppe Spinelli. Una «cresta» che il direttore del telegiornale di Rete4 ha sempre cercato di negare, sia pur con scarso successo di essere creduto.
Albisetti aveva rivelato che nell'aprile 2010 Fede si presentò in banca e chiese di prelevare 500 mila euro, ma gliene furono consegnati soltanto 300 mila e fu costretto ad aprire un conto dove depositare gli altri 200 mila che lui avrebbe poi provveduto a ritirare dopo qualche settimana.

Quel deposito era stato denominato «Succo d'agave» e quando i pubblici ministeri gli chiesero spiegazioni su quel deposito Fede fornì una versione poco comprensibile: «Io non avrei voluto aprirlo perché per me avere un conto all'estero era un rischio e un fastidio». Qualcuno lo aveva obbligato? Ora ci sono questi altri soldi comparsi in Svizzera. Dopo aver ricevuto la segnalazione sono stati avviati i controlli sugli spostamenti del giornalista per verificare che fosse proprio lui ad aver chiesto di effettuare l'operazione, ma soprattutto per scoprire l'origine del denaro. Da chi li ha avuti? E ne ha denunciato il possesso al fisco? Chi c'era con lui in quell'auto nel viaggio da Milano a Lugano? A questi interrogativi dovranno rispondere gli investigatori delle Fiamme Gialle che poi, in caso di mancata dichiarazione, dovranno inoltrare gli atti alla magistratura per i reati di evasione fiscale e tentata esportazione di capitali all'estero visto che la somma supera la soglia consentita per la semplice segnalazione amministrativa.

In passato Emilio Fede aveva sostenuto che ad occuparsi del suo conto era una sua amante cubana che era stata incaricata di prelevare la somma e portarla in Italia. Una versione ritenuta «non credibile» dai magistrati.

Fiorenza Sarzanini

La mattanza di Pasolini, i poteri occulti che continuano


Di Stefania Nicoletti






«Io sono un gattaccio torbido che una notte
morirà schiacciato in una strada sconosciuta…»
– Pier Paolo Pasolini, 1966 –

LA VICENDA

PREMESSA
«Io so i nomi dei responsabili delle stragi italiane». Così scriveva Pier Paolo Pasolini il 14 novembre 1974 sul Corriere della Sera, in un articolo che sarebbe stato poi ricordato come il “romanzo delle stragi”.
Un anno dopo, il 1 novembre 1975, rilascia un'intervista a Furio Colombo per La Stampa. Titolo dell'intervista, per espressa volontà di Pasolini: "Siamo tutti in pericolo".
Il giorno dopo, il 2 novembre 1975, giorno dei morti, il corpo del grande poeta viene trovato privo di vita all'Idroscalo di Ostia.
Pino Pelosi detto la Rana, un “ragazzo di vita” romano di 17 anni, fermato dai carabinieri a un posto di blocco, confessa immediatamente l’omicidio.
Pelosi racconta di come Pasolini quella sera l’ha convinto a “farsi un giro” sulla sua auto, un’Alfa GT. Arrivati all’Idroscalo, Pasolini vuole un rapporto sessuale ma Pelosi si rifiuta. Ne nasce una lite che presto sfocia in una rissa di inaudita violenza, che si chiude con la morte del poeta. Picchiato a sangue, massacrato, e schiacciato con l’auto durante la fuga di Pelosi.
Un delitto maturato nell’ambiente degradato delle borgate romane. E un delitto omosessuale. Niente di più facile.
Se non fosse che tante, troppe cose non quadrano nella ricostruzione giudiziaria che ne è stata fatta. Tante, troppe cose non quadrano nelle ore successive al ritrovamento del corpo, nelle indagini condotte dalla squadra mobile, negli interrogatori dello stesso reo confesso.

Procediamo per punti.


1. I CLAMOROSI ERRORI (ORRORI?) DELLA POLIZIA.
Una serie di errori ha intralciato il normale svolgimento delle indagini, soprattutto nelle prime (e fondamentali) 48 ore successive al delitto. Solo una coincidenza fortunata, in un posto di blocco dei carabinieri sul lungomare di Ostia, ha permesso di mettere le mani su Pelosi.
La polizia, giunta all’Idroscalo di Ostia alle 6.30 di domenica mattina 2 novembre, trova una piccola folla intorno al corpo di Pasolini: folla che gli agenti non pensano minimamente di allontanare. La polizia non si cura di recintare il luogo del delitto e impedire così la cancellazione di tracce importanti. E infatti, non essendo stata circondata la zona, tutte le eventuali tracce sono andate perdute dal passaggio di auto e pedoni diretti alle baracche o all’adiacente campo di calcio, oppure da semplici curiosi.
Nel campo di calcio lì vicino, inoltre, dei ragazzi giocano a pallone e il pallone ogni tanto esce dal rettangolo di gioco, finendo proprio vicino al cadavere di Pasolini.
Nessuno ha pensato di tracciare i punti esatti dei vari ritrovamenti.
Non si disturbano neanche di notare che sul sedile posteriore dell’Alfa GT di Pasolini c’è, bene in vista, un golf verde macchiato di sangue. E che lontano dal cadavere, tra le immondizie, c’è una camicia bianca, anch’essa macchiata di sangue. Se ne accorgeranno tre giorni dopo.
Inoltre fino a giovedì mattina l’Alfa GT è rimasta sotto una tettoia nel cortile di un garage dove i carabinieri depositano le auto sequestrate. L’auto è aperta e senza sorveglianza. Chiunque avrebbe potuto mettere o togliere indizi, lasciare o cancellare impronte.
La polizia torna sul luogo del delitto solo nella tarda mattinata di lunedì 3 per tentare una ricostruzione del caso, ma senza nessuna misura precisa, e con le tracce ormai inesistenti.
Solo da giovedì gli investigatori iniziano a interrogare gli abitanti delle baracche e i frequentatori della Stazione Termini (luogo in cui Pelosi ha raccontato di essere stato “adescato” da Pasolini).
Infine – e questo ha davvero dell’incredibile – sul luogo del delitto non è mai stato convocato il medico legale. E il cadavere venne lavato prima di completare gli esami della scientifica.
È chiaro che polizia e carabinieri, certi di poter archiviare il caso come omicidio omosessuale, oltretutto con l’assassino reo confesso già in carcere, hanno ritenuto superfluo ogni accertamento sul cadavere che poteva invece servire per le successive indagini.
È possibile che la polizia abbia commesso così tanti e clamorosi errori tutti insieme? È possibile che vengano trascurate le più elementari procedure investigative per un omicidio di tale portata?
Dopo questa pessima conduzione delle indagini, ci si aspetterebbe che il massimo responsabile venisse quantomeno sospeso dall’incarico. Invece il dottor Ferdinando Masone, capo della squadra mobile di Roma durante le indagini, ha fatto carriera: è diventato questore di Palermo e poi di Roma, e in seguito addirittura Capo della Polizia. Ruolo che ha ricoperto fino al 2000, quando è stato “promosso” ulteriormente, diventando segretario generale del CESIS: il Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza, cioè l’ente che coordina l’attività dei servizi segreti (SISMI e SISDE) in nome del presidente del consiglio.

2. LE CLAMOROSE BUGIE DI PELOSI.
Gli interrogatori di Pino la Rana, a cominciare dal primo, la notte stessa del 2 novembre, sono farciti di bugie, peraltro mal raccontate. Pelosi sembra recitare una lezione imparata male.
Innanzitutto, il mistero dell’anello. Pelosi racconta agli inquirenti di aver perso, durante la colluttazione, un anello d’oro con una pietra rossa, due aquile e la scritta “United States Army”. Verrà poi accertato che quell’anello non poteva averlo perso in quel modo, ma poteva solo averlo lasciato di proposito sulla scena del delitto. Perché? Per lanciare un segnale a qualcuno? Per “farsi incastrare”? O perché qualcuno per lui aveva deciso di usare Pelosi prima come esca e poi come capro espiatorio, incastrandolo con l’anello?
Pasolini fu colpito violentemente non con un oggetto solo, ma con due bastoni, uno più lungo e uno più corto, e con due tavolette di legno. Pelosi descrive la colluttazione come una scena violentissima, in cui la Rana, dopo una strenua lotta all’ultimo sangue, ha avuto la meglio su Pasolini. Risulta però difficile credere che un paletto di legno marcio possa provocare simili ferite e contusioni. Soprattutto risulta difficile capire come un ragazzo di 17 anni, magro e di corporatura esile, abbia potuto, da solo, avere la meglio su un uomo alto, atletico, sportivo, esperto di arti marziali com’era Pasolini. Anche perché il Pelosi non aveva sul corpo nessuna ferita di rilievo, e i suoi indumenti non presentavano alcuna traccia di sangue.
Esame approfonditi di tutti i dati obiettivi (sopralluogo, interrogatori di Pelosi, reperti, bastone, tavola, vesti, lesioni di Pasolini), da una parte smentiscono il racconto di Pelosi sulla dinamica di tutta l’aggressione, e dall’altra inducono ad avanzare con fondatezza l’ipotesi che Pasolini sia stato vittima dell’aggressione di più persone. Pelosi non può aver fatto tutto da solo.

3. LA CLAMOROSA RAPIDITA’ DEL PROCESSO.
Il caso Pasolini si risolve in pochissimi mesi. La sentenza di primo grado viene proclamata il 26 aprile 1976. Pino Pelosi (difeso dall’avvocato Rocco Mangia, lo stesso che ha difeso i fascisti che ammazzarono Rosaria Lopez nel massacro del Circeo) viene dichiarato colpevole di omicidio volontario in concorso con ignoti e condannato a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni di reclusione. Ma se il Tribunale dei Minori, presieduto dal giudice Alfredo Carlo Moro (fratello del presidente della Dc Aldo Moro), ha contemplato il “concorso di ignoti”, nella sentenza di appello tale ipotesi verrà scartata e di fatto cancellata definitivamente dalla Cassazione nel 1979.
In ogni caso, l’impressione è che non solo gli inquirenti avessero fretta di chiudere il caso, ma anche i giudici avessero la stessa preoccupazione di chiudere in fretta il processo.
Un processo che in realtà non vedeva imputato (solo) Pino Pelosi. Ma anche (e soprattutto) Pasolini stesso. L’obiettivo del processo è uno solo: fare di Pasolini un mostro. Un omosessuale pervertito che corrompe e violenta i ragazzini. E per questo è stato usato Pelosi. Che però pagherà caro. Pagherà per delle colpe che non erano sue o non lo erano del tutto. Sarà il vero capro espiatorio utilizzato da dei mandanti (e manovratori) rimasti, come sempre, ignoti e impuniti.

4. LA CLAMOROSA (E TARDIVA) RITRATTAZIONE DI PELOSI.
Il 7 maggio 2005, però, c’è il colpo di scena: Pino Pelosi fa una rivelazione choc. Nel corso della trasmissione televisiva “Ombre sul giallo”, confessa di non essere stato solo quella sera del 2 novembre 1975, come invece aveva sostenuto fin dal primo interrogatorio e sempre ribadito. Trent’anni dopo, invece, rivela di non essere stato lui a uccidere Pasolini, ma tre uomini che parlavano con accento siciliano o calabrese.
Perché dunque all’epoca ha mentito e si è accollato colpe che non gli appartenevano? Perché ha aspettato trent’anni e non ha parlato prima? «Ero un ragazzino – dirà Pelosi – avevo 17 anni. Avevo paura, perché quelli che hanno ucciso Pasolini mi hanno picchiato e hanno minacciato di morte me e la mia famiglia se avessi raccontato la verità». E allora perché raccontarla adesso la verità? Non ha più paura, Pino la Rana, di fare la stessa fine del poeta? «Sono passati trent’anni, quelli che mi hanno minacciato e che hanno ammazzato Pasolini, saranno morti o comunque vecchi». Possibile. Pelosi racconta infatti che all’epoca i tre uomini che l’hanno aggredito e minacciato erano sui quarant’anni. Ma si tratta solo degli esecutori materiali del delitto. C’è un livello superiore, quello dei mandanti, che non si fa certo scrupoli a eliminare un testimone scomodo che, con un po’ di ingenuità, crede di essere al sicuro perché “ora gli assassini saranno morti o vecchi”. L’impressione è che se non è ancora stato fatto fuori non è per i motivi che indica Pelosi, né perché siano diventati improvvisamente “buoni”, ma più probabilmente perché in questo momento Pelosi serve vivo. E perché ucciderlo significherebbe esporsi troppo. Perché farlo, dal momento che l’inchiesta, riaperta dopo le dichiarazioni di Pelosi nel 2005, è stata ancora una volta archiviata?



Molte ipotesi sono state avanzate sui mandanti dell’omicidio di Pasolini. Da alcuni è stato ritenuto un omicidio politico. Ma è evidente che così non è. Le motivazioni vere sono più complesse e pericolose: i mandanti stanno in alto, molto in alto. E stanno in un romanzo scritto da Pasolini stesso. A questo punto occorre fare un passo indietro di 36 anni.


I POSSIBILI MOVENTI. PETROLIO, IL “ROMANZO DELLE STRAGI”: IL CASO MATTEI E LA PISTA CEFIS

Nel 1972 Pasolini inizia a scrivere quello che può a tutti gli effetti essere considerato il suo vero “romanzo delle stragi”: Petrolio, così si chiamerà il suo romanzo rimasto incompiuto e pubblicato postumo. E forse è proprio in Petrolio che si trova la chiave della morte del suo autore, legata a un altro mistero italiano: la “strana” morte di Enrico Mattei. Pasolini era venuto in possesso di informazioni scottanti, riguardanti il coinvolgimento di Eugenio Cefis nel caso Mattei.
In Petrolio descrive la storia dell’Eni e in particolare quella del suo presidente Cefis. Lo fa con un espediente letterario: il personaggio inventato di Troya, ricalcato sulla figura di Cefis.

1. L’INDAGINE DEL GIUDICE CALIA.
Secondo il sostituto procuratore di Pavia, Vincenzo Calia, che ha indagato sul caso Mattei (depositando una sentenza di archiviazione nel 2003), le carte di Petrolio appaiono come fonti credibili di una storia vera del potere economico-politico e dei suoi legami con le varie fasi dello stragismo italiano fascista e di stato. In particolare, nel 2002 Calia ha acquisito agli atti tutti i vari frammenti sull’“Impero dei Troya”, da pagina 94 a pagina 118 di Petrolio, che dall’omicidio ipotizzato di Mattei guida al regime di Eugenio Cefis, ai “fondi neri”, alle stragi dal 1969 al 1980 (tra le altre cose, vi è anche una “profezia” della strage della stazione di Bologna).
Il giudice Calia ha acquisito agli atti anche il mancante Lampi sull’Eni, di cui ci rimane soltanto il titolo (sotto l’Appunto 21), essendo l’intero capitolo “misteriosamente” scomparso nel nulla, come altre 200 pagine del romanzo. Non è una mancanza di poco conto, se si considera che in Lampi sull’Eni doveva presumibilmente comparire il grosso della vicenda legata all’economia petrolifera italiana.
Negli Appunti 20-30, Storia del problema del petrolio e retroscena, Pasolini arriva a fare direttamente i nomi di Mattei e di Cefis. Vi è inoltre un appunto del ’74 in cui Pasolini scrive che «in questo preciso momento storico, Troya (Cefis, ndr) sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti). Egli con la cricca politica ha bisogno di anticomunismo».

2. LA FONTE DI PETROLIO.
Il giudice Calia ha scoperto un libro, che è la fonte di Pasolini, pubblicato nel 1972 da una strana agenzia giornalistica (Ami), a cura di un fittizio Giorgio Steimetz: Questo è Cefis. (L’altra faccia dell’onorato presidente). Si tratta di un pamphlet sulla vita, sul carattere e sulla carriera del successore di Mattei alla guida dell’Eni. Racconta alcuni passaggi biografici, da quando Cefis fu partigiano in Ossola (con alcuni risvolti poco chiari) alla rottura con Mattei nel 1962, mai perfettamente spiegata; dal rientro all’Eni al salto in Montedison. Pasolini ne riporta interi brani, ne fa la parafrasi, elenca le stesse società (petrolifere, metanifere, finanziarie, del legno, della plastica, della pubblicità e della comunicazione) più o meno collegate a Cefis, vi assegna acronimi o sigle d’invenzione.

3. LO PSEUDONIMO STEIMETZ E L’AGENZIA AMI.
Non è facile individuare chi si celi dietro lo pseudonimo di Giorgio Steimetz, ma di certo si tratta di una persona ben inserita negli affari interni dell’Eni. Il suo libro è immediatamente sparito dalla circolazione e oggi non compare in nessuna biblioteca nazionale e in nessuna bibliografia.
Scrive lo stesso fantomatico Steimetz: «Ridurre al silenzio, e con argomenti persuasivi, è uno dei tratti di ingegno più rimarchevoli del presidente dell’Eni». E Pasolini in Petrolio scriverà: «Non amava nessuna forma di pubblicità. Egli doveva, per la stessa natura del suo potere, restare in ombra. E infatti ci restava. Ogni possibile “fonte” d’informazione su di lui, era misteriosamente quanto sistematicamente fatta sparire».
Dietro l’Ami, che pubblicò solo quel titolo, c’era il senatore democristiano Graziano Verzotto, capo delle pubbliche relazioni Eni in Sicilia e segretario regionale della Dc (corrente Rumor) ai tempi di Mattei, di cui fu amico personale. Verzotto ha rilasciato a Calia una lunga deposizione, in cui per spiegare l’“incidente” aereo dell’ottobre ’62 esclude l’ipotesi delle Sette Sorelle, quella dei servizi segreti francesi e la pista algerina, arrivando ad asserire che colui al quale la morte di Mattei ha giovato di più, è il successore di Mattei stesso: Eugenio Cefis.


Pasolini era dunque venuto in possesso di documenti che provavano il coinvolgimento di Cefis nel caso Mattei e, prima di essere barbaramente ucciso, stava per pubblicare il tutto in un romanzo choc. Ma prima di lui un altro giornalista che aveva iniziato a indagare sulla morte di Mattei fece una brutta fine. Si tratta di Mauro De Mauro, che stava collaborando con il regista Francesco Rosi per il film Il caso Mattei. De Mauro venne eliminato quando ormai aveva scoperto la verità. Poco prima dell’incontro previsto con Rosi, infatti, il giornalista scomparve nel nulla.

Il lavoro di Calia è agli atti. Il mandante possibile della morte di Enrico Mattei è in Petrolio. Probabilmente anche quello dell’uccisione di De Mauro e di Pasolini.



Spesso, troppo spesso, si è detto che Pasolini è stato ucciso perché era un intellettuale “scomodo”. Ma Pasolini non era “scomodo” per via delle sue critiche al sistema, ma per le sue accuse. Fondate, precise, documentate da prove reali e da documenti riservatissimi e “incendiari” di cui egli era venuto in possesso.
Come scrisse sul Corriere un anno prima di morire, egli sapeva. Non solo perché da poeta intuiva e da intellettuale osservava la realtà come pochi sono in grado di fare. Ma perché sapeva davvero. Sapeva troppe cose. E ciò che sapeva poteva far tremare il Potere.

Pier Paolo Pasolini è stato ucciso per questo: perché probabilmente sapeva la verità sulla morte di Enrico Mattei. Sapeva chi erano i mandanti di quello strano “incidente” aereo, che in seguito si rivelò non essere stato un incidente, ma un abbattimento in volo: venne certificato infatti che nell’aereo fu inserita una bomba stimata in 150 grammi di tritolo posta dietro al cruscotto, che si sarebbe attivata durante la fase iniziale di atterraggio, forse dall’apertura del carrello. Già all’epoca dei fatti, alcuni testimoni dichiararono di aver visto l’aereo esplodere in volo. Il testimone principale, il contadino Mario Ronchi, rilasciò alcune interviste agli organi di stampa e alla RAI (che ne censurò le affermazioni), ma in seguito ritrattò la sua testimonianza. Forse qualcuno aveva pagato il suo silenzio.

Il sostituto procuratore Calia si spinse ad affermare che «l’esecuzione dell’attentato venne pianificata quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero di Stato». Il che porterebbe ancora una volta a ritenere Eugenio Cefis come il probabile mandante. Probabilmente questa era una delle scomode verità di cui Pasolini era venuto a conoscenza.

martedì 27 marzo 2012

CIA: ESPERIMENTI DI CANCRO CON I PRESIDENTI DELL'AMERICA LATINA ?



DI NIL NIKANDROV
strategic-culture.org

In una serie di suoi discorsi pubblici Hugo Chavez ha definito come "epidemia" i casi di cancro che stanno colpendo molti presidenti latino-americano, definendo tutto ciò un fenomeno strano ed allarmante. Il cancro ha colpito Chavez in primis, il presidente paraguayano Fernando Lugo, Dilma Rouseff e Lula da Silva (Brasile), Crisitina Fernandez (Argentina). Tutti loro sono conosciuti come politici di centro-sinistra che lottano per accelerare il processo di integrazione dell'America Latina e per liberarsi del dominio degli Stati Uniti nell'emisfero occidentale. Chavez ha parlato di imperi che sono pronti a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi.

La risposta di Washington non si è fatta attendere. Victoria Nuland, portavoce ufficiale del Dipartimento di Stato americano, ha definito le parole di Chavez "orribili e riprovevoli". Cioè esse sono state percepite dall'amministrazione Obama come una accusa di utilizzo di particolari tecnologie biologiche per causare il cancro tra i leader latino-americani colpevoli di non perseguire una politica amichevole nei confronti degli Stati Uniti.

Naturalmente, Hugo Chavez non è così maleducato. Ha capito che Washington avrebbe richiesto prove. Così il presidente ha spiegato la propria posizione dicendo di non aver mai incolpato nessuno, ma che piuttosto ha fatto utilizzo della libertà di pensiero di fronte ad una strana serie di eventi di difficile spiegazione. La sua ansia è ben compresa, poiché per scongiurare il rischio di morte si è dovuto sottoporre ad una serie invasive chemioterapie a Cuba. E l'ansia è destinata a rimanere. Come compaiono queste malattie? Come un tumore maligno ha potuto colpire un uomo sano, militare in pensione, ex giocatore di baseball, regolare frequentatore di palestre nonché corridore agonista? Perché solo i politici populisti incappano in questi problemi e ciò non accade mai ai presidenti di destra che favoriscono l'Impero?

Il dottor Salomon Yakubowicz, un popolare dottore venezuelano, specialista in diete e frequente visitatore dell’ambasciata degli Stati Uniti, si è precipitato a chiudere la questione. Egli ha detto in modo autorevole, non usando note preparate dalla CIA, che sono i presidenti stessi ad essersi attirati questi problemi. Ha asserito che Lula da Silva ha fumato troppo. Christina Fernandez si è sottoposta a troppe procedure per il ringiovanimento del viso e del collo. Il paraguayano Lugo non ha usato alcuna protezione durante i numerosi rapporti sessuali avuti durante la sua vita; il linfoma è una cosa comune in questi casi ed egli deve essere già grato a Dio per non aver sviluppato l’AIDS. Chavez deve biasimare solo se stesso per non aver vissuto in armonia con i bioritmi, lavorando di notte, mangiando male: questo è ciò che la sua malsana tendenza a espletare troppe attività testimonia. I circoli di opposizione ed i media a favore degli Stati Uniti hanno fatto da cassa di risonanza a queste affermazioni: Chavez ed i suoi amici populisti sono soggetti a stress, paura del futuro e soffrono di manie di persecuzione vedendo “cospirazioni dell’impero” ovunque.

Eppure la spiegazione dell’epidemia ventilata da Chavez è stata presa sul serio. Studiosi di politica non dubitano che i servizi speciali americani stiano conducendo un'operazione su vasta scala per neutralizzare i "ribelli leader latino-americani". Hanno studiato la storia; sanno come il Pentagono e la CIA abbiano usato sostanze radioattive, biologiche ed armi chimiche sul continente e ricordano eventi mostruosi in cui sono stati utilizzati esseri umani come cavie, nel totale silenzio dei mass media.

C'è solo una piccola possibilità che un approfondito resoconto del programma statunitense sulle armi biologiche possa mai vedere la luce. La maggior parte degli archivi è classificata, i file più riprovevoli sono progressivamente eliminati e gli studiosi, che miravano a rendere nota la verità sugli esperimenti criminali, sono morti in strane circostanze.

Nel 1947 cioè poco dopo la sua istituzione, la C.I.A. è stata colta in flagrante mente compiva tali esperimenti. Gli agenti della F.B.I. e della C.I.A. "proteggevano" i medici degli Stati Uniti che in Guatemala infettarono 2000 guatamaltechi per studiare la sifilide e la gonorrea. Il consenso ai guatamaltechi sulla loro volontà a sottoporsi a tali esperimenti non è mai stato chiesto.

Il Presidente del Guatemala Alvaro Colom ha definito questi esperimenti un crimine contro l'umanità. Barack Obama ha dovuto chiedere scusa in una conversazione telefonica con il Guatemala. Ha detto che gli esperimenti erano in contraddizione con i valori degli Stati Uniti. Ma quale contraddizione! Gli esperimenti ed i valori degli USA sono ben allineati.

Fu sempre nel 1947 che la CIA lanciò il programma di test su “materiale umano” dell’LSD (dietilamide dell'acido lisergico). Più tardi l'intelligenza militare degli Stati Uniti ha portato il programma ulteriormente avanti e ha utilizzato i suoi risultati "sul campo" nell’Estremo Oriente ed in Europa occidentale.

Nel 1953 la CIA ha lanciato il progetto MK ULTRA. Esso aveva ad oggetto lo studio dei modi per influenzare "il comportamento umano ed il modo di pensare degli uomini tramite l'aiuto di farmaci e microrganismi. Gli "studi" della Cia e dei laboratori militari hanno incluso la dispersione di batteri patogeni nella metropolitana di New York. Come si vede, gli sperimentatori non ha risparmiato neanche i propri compatrioti. In questo modo è stato attuato il contagio intenzionale di 240 città della provincia americana nonchè dei quartieri poveri di Washington, San Francisko e del Minnesota. Alcuni esperimenti sono stati condotti nei tropici, a Panama City per esempio. Nel 1970 la CIA e il Pentagono lanciarono un programma di test per sperimentare armi genetiche super segrete. Una missione strategica fu assegnata a degli scienziati con lo scopo di ottenere una massiva riduzione della popolazione nei paesi potenzialmente ostili. La Cina, l’Iran, l’India ed il Pakistan sono stati presi di mira dai genetisti americani che da tempo hanno superato i "successi" del medico nazista Mengele.

Nell'emisfero occidentale è stata Cuba a subire la maggior parte degli attacchi biologici made in USA. Almeno 300 mila cubani hanno sofferto di febbre emorragica dengue. 150 uomini, tra cui 50 bambini, sono morti. I “mosquitos” cresciuti nei laboratori della Georgia e della Florida sono stati portati sull’isola in diversi modi. Anche il personale militare sovietico di stanza a Cuba è stato oggetto di febbre dengue e sono stati registrati dei morti.

Lo scrittore guatemalteca Persi Francisko Alvarado, che ha lavorato 20 anni per l’intelligence cubana negli Stati Uniti, ha pubblicato un articolo sull’uso dell’impianto di cancro quale arma da parte della C.I.A. Egli ha fornito elementi concreti sull’esistenza di decine di laboratori di guerra biologica sul suolo americano. Fort Detrick, un reparto di virologia, è un luogo dove sono stati ottenuti molti sinistri successi.

Gli studiosi venezuelani di politica spesso commentano il potenziale uso di armi sperimentali che emanano radiazioni elettromagnetiche e direzionabili da parte dei servizi speciali degli Stati Uniti. È possibile che l'arma sia già operativa per attacchi selettivi contro il "i politici invisi agli USA". Una vittima non muore subito ma dopo qualche tempo, caratteristica positiva che permette di fuggire senza lasciare tracce.

Una domanda viene spontanea: cosa ha portato i capi del governo americano ad autorizzare le attività della CIA volte alla "neutralizzazione" (uso proprio questo termine) dei presidenti - populisti?

Si può supporre con grande credibilità che la sconfitta al IV vertice americano (novembre 2005), quando la squadra degli Stati Uniti ha cercato di imporre l’accordo del libero commercio (ALCA) sull’emisfero occidentale, ha contribuito a questo tipo di decisione. Alla cerimonia di apertura l'ospite allora presidente argentino Nestor Kirchner ha dichiarato che l'integrazione sarebbe potuta diventare una realtà solo nel caso in cui fossero state attuate misure appropriate per eliminare sproporzioni di sviluppo. In caso contrario, il "libero mercato" avrebbe ulteriormente indebolito l'America Latina e fatto crescere il suo debito estero. Rivolgendosi a Bush ha detto che la politica imposta dagli Stati Uniti ha aggravato la povertà del continente e ha anche portato all’instabilità e alla caduta di governi democraticamente eletti. Kirchner ha invitato i partecipanti al vertice a ricercare una nuova strategia di sviluppo regionale che avrebbe potuto incontrare l'interesse dei latino-americani. Presto un nuovo modello di integrazione - l'Unione delle Nazioni Sudamericane - UNASUR sarebbe nato. Durante gli anni della sua esistenza l'Unione ha impedito alla CIA l’attuazione di colpi di stato sia in Bolivia, sia in Ecuador, per esempio. Ha incoraggiato il dialogo tra vicini in conflitto e ha facilitato il ripristino della democrazia in Honduras.

Grazie a Chavez e ai fratelli Castro l'ALBA (Alternativa Boliviana per l'America Latina), un'alleanza di integrazione, creata nel 2004, ha ottenuto un impulso potente. È stata fondata per fungere da contrappeso alla ALCA, basandola sui principi dell’ideologia anti-imperialista al fine di garantire la sicurezza energetica dei partecipanti. Il Petocaribe (giugno 2005) è stato un successo dovuto agli sforzi da parte di Chavez. L'alleanza prevede forniture di idrocarburi preferenziali dal Venezuela ai Caraibi e Centro America Stati. Ciò pone fine agli abusi commessi da compagnie petrolifere transnazionali.

Un altro importantissimo evento è stato il forum tenuto a Caracas all'inizio del dicembre 2011 che ha avuto come risultato la creazione della Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC). La nuova alleanza comprende 33 membri dell'emisfero occidentale, esclusi USA e Canada.

Chavez ed i suoi amici vedono il nuovo blocco come un necessario contrappeso alla dittatura degli Stati Uniti nella OAS. Il CELAC nel prossimo decennio diventerà la forza più influente dell'emisfero occidentale. L'OAS dovrà rinunciare alla sua presentazione permanente negli Stati Uniti per conservare la sua posizione nella regione.

Naturalmente Washington non è conciliante con l’idea di una America Latina sempre più indipendente, ignorando le grida perentorie dei dittatori e le minacce di usare la forza. Il primo tentativo di sbarazzarsi dei "presidenti ostili" non è riuscito. Rafael Correa si ferma nei tempi duri del tentativo di colpo di stato in Ecuador. I cecchini addestrati della CIA mancarono il bersaglio. Hugo Chavez ha sconfitto il cancro e sta con fiducia guardando alle elezioni dell’ottobre 2012. Cristina Fernandez ha consultato i medici in tempo e lo sviluppo critico della malattia è stato prevenuto. Anche se il pericolo è ancora lì.

Gli Stati Uniti si stanno tuffando nella crisi più profonda della loro storia. La fase di stallo della élite si fa più acuta.
Non hanno pietà per le proteste dei loro connazionali e non saranno più teneri con gli stranieri.

Nil Nikandrov
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2012/01/11/cia-cancer-experiments-with-presidents-of-latin-america.html
11.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSIA

lunedì 26 marzo 2012

Libro riguardante il principe Raimondo di Sangro




AA. VV.

I VELI DI PIETRA: il principe Raimondo di Sangro di San Severo (1710-1771)

a cura di Paolo Aldo Rossi ed Ida Li Vigni

Atti del convegno Della Gran Loggia d'Italia degli ALAM

tenutosi a Napoli il 30/10/2010



Nova Scripta edizioni, 2011

pp. 236, Euro 24,00

www.novascripta.com

info@novascripta.com



Indice:



Saluti del principe di Caramanico

- Luigi Pruneti: Raimondo di Sangro fra mito e realtà.

- Paolo Aldo Rossi: O' principe "haravec": le macchine anatomiche e il sangue di San Gennaro.

- Sigfrido E. F. Hobel: Raimondo di Sagro fra leggenda, misteri e storia.

- Patrizia Castelli: La rigenerazione ermetico-massonica del Principe Raimondo di Sansevero.

- Ida Li Vigni: Fermenti illuministici nella Napoli del Settcento. Il sogno fallito di uno stato "migliore".

- Sergio Ciannella: La Massoneria a Napoli prima e dopo de Sangro.

- Davide Arecco: Massoneria, alchimia e medicina nel '700 napoletano.

- Massimo Marra: La tradizione alchemica a Napoli.

- Conclusioni del Delegato Magistrale per la Campania

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Il sito AIRESIS (www.airesis.net ) e la newsletter AIRESISNEWS non sono legati ad alcun editore e non hanno alcun interesse distributivo al riguardo dei titoli posti all'attenzione dei lettori.

Airesisnews segnala solo ed unicamente libri che abbiano una qualche attinenza con gli argomenti trattati nel sito. L'inclusione di titoli nella newsletter è ad esclusiva discrezione della redazione di Airesis.

domenica 25 marzo 2012

Quante bugie ci raccontano!


Francia: il mostro di Tolosa? Era dell’intelligence francese ed era stato in Israele, Libia e Siria

Probabilmente non si conoscera’ mai la verita’ sui tragici fatti di Tolosa.



Proprio come e’ avvenuto nel caso dell’11 Settembre, non verra’ fatta giustizia perche’ se la verita’ si sapesse sarebbero in troppi ad uscirne danneggiati, anzi distrutti.



Forse non vi sappiamo dire nel dettaglio qual’e’ quella verita’ che non si deve sapere, ma sappiamo dirvi più o meno di cosa si tratta.

Il primo dettaglio dubbio di questo sporco affare e’ che l’uomo « non muore saltando dalla finestra » come dicono inizialmente i francesi, ma con una pallottola sparatagli in testa dalle teste di cuoio ; domanda : « Sarkozy non lo voleva vivo ? ». Sinceramente, come vedrete anche voi, pare che Sarkozy lo volesse proprio morto, affinche’ non potesse rivelare il fatto di essere un « agente dell’intelligence francese ».

Ecco cosa scrive il quotidiano italiano Rinascita, che cita parti della biografia del giovane ed aiuta a far capire il perche’ della sua azione folle.

« Mohamed Merah, lavorava per i “barbouzes” francesi – gli agenti segreti d’Oltralpe – da anni e, in particolare, è stato tra i miliziani del “liberatore” di Libia Belhadj, il terrorista salafita agli ordini delle intelligence atlantiche di Obama, Cameron, Sarkozy ed Henry-Levy. Terminato il suo compito in Libia, era presente, nell’ottobre scorso, a Homs dove, assieme ai suoi variegati commilitoni aveva acceso la miccia del terrorismo anti-Damasco scattata con l’uccisione di innocenti civili alaviti. In modo da provocare una “rivolta” subito conclamata “popolare” benché esterna e “addestrata” da agenti turchi, sauditi, della Dsge francese e dell’MI6 britannico.

Rimasto disoccupato dopo la fuga da Homs, Mohammed Mesrah già in servizio, con passaporto francese, tra l’Afghanistan (nella banda “Forzane Alizza”) e lo stesso proprio territorio metropolitano, come ogni buon mercenario che si senta scaricato dai propri mandanti si è vendicato con sette omicidi e ha infine, dopo un assedio di 32 ore, preferito farsi ammazzare piuttosto che arrendersi ».

Dunque era una scheggia impazzita dei servizi francesi, una persona che si sentita usata e poi abbandonata ; forse Merah sapeva troppo, forse sarebbe stato eliminato lo stesso, forse l’ha capito ed ha voluto farla finita come meglio riteneva opportuno.

Dando un’occhiata al passaporto di Mohamed Merah, (chissa’ se questo e’ il suo vero nome) si capisce benissimo che la versione del « lupo solitario che si radicalizza » non regge per niente, e questo lo nota persino « Le Monde ».

“E’ stato in Israele, in Siria, in Iraq e in Giordania”, scrive il quotidiano che cita un ufficiale Americano.

Una bella domanda: “Ma che ci faceva in Israele questo Merah?”

Ce lo avrebbe potuto spiegare al Merah, anzi ci avrebbe pure detto perche’ ha scelto proprio una scuola ebraica per quel suo ultimo gesto folle.

E se non fosse stato nemmeno un gesto folle. Se fosse stata una operazione ?

Il quotidiano italiano Il Foglio scrive addirittura che il suo contatto nei servizi francesi avrebbe discusso con lui quando era assediato nell’appartamento e cita come fonte la rivista francese Le Point.

Considerando il fatto che Israele, in completo isolamento per i suoi crimini contro i palestinesi, sta ancora una volta usando la vicenda con la tecnica del « vittimismo » e per infuocare sentimenti anti-islamici in Europa, non e’ da escludere che siano stati gli stessi servizi francesi a dare gli ordini e poi all’ultimo ad eliminare il proprio « terrorismo fatto a mano ».

Versione che tra l’altro e’ credibile anche perche’ la vicenda serve molto a Sarkozy che ha fatto dell’odio per i musulmani uno dei cavalli di battaglia della sua campagna.

http://italian.irib.ir/notizie/mondo/item/104658-francia-il-mostro-di-tolosa?-era-un-agente-francese-era-stato-in-israele-libia-e-siria



Tratto da: Francia: il mostro di Tolosa? Era dell’intelligence francese ed era stato in Israele, Libia e Siria | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/03/24/francia-il-mostro-di-tolosa-era-dellintelligence-francese-ed-era-stato-in-israele-libia-e-siria/#ixzz1q84hEHCt
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

venerdì 23 marzo 2012

Queste parole del rabbino mi inquietano

Non so se questo articolo apparso sul blog di Andrea Carancini sia vero? Ma se ciò fosse dovremmo preoccuparci non poco. Vorrei fortemente che qualcuno lo smentisca, speriamo che sia un errore!

DOMENICA 29 NOVEMBRE 2009


Foto del Rabbino capo dell'IDF

Rabbino capo dell'IDF: "i soldati che mostrano pietà saranno dannati".
IL RABBINO CAPO DELL’ESERCITO ISRAELIANO: LE TRUPPE CHE MOSTRANO PIETA’ COL NEMICO SARANNO “DANNATE”

Di Anshel Pfeffer, 15.11.2009[1]

Il rabbino capo dell’esercito israeliano ha detto la scorsa settimana agli studenti di un corso religioso preparatorio al servizio militare che i soldati che in guerra “mostrano pietà” verso il nemico saranno “dannati”.

Il Generale di Brigata Avichai Rontzki ha anche detto agli studenti che gli individui osservanti hanno reso migliori le truppe da combattimento.

Parlando giovedì alla yeshiva Hesder della colonia Karnei Shomron in Cisgiordania, Rontzki ha parlato del discorso di Maimonide sulle leggi di guerra. Questo testo cita un passaggio del Libro di Geremia che recita: “Maledetto sia chi compie l’opera del Signore con mano fiacca e maledetto sia chi trattiene la propria spada dal sangue”.

Secondo le parole di Rontzki, “In tempo di guerra, chiunque non combatta con tutto il cuore e con tutta l’anima è dannato – se trattiene la propria spada dallo spargimento di sangue, se mostra pietà verso il nemico quando non bisogna mostrare pietà”.

I commenti di Rontzki sono stati fatti durante una cerimonia per celebrare nella yeshiva un nuovo rotolo della Torah. Il servizio è stato compiuto in commemorazione di Yosef Fink, uno dei due studenti della yeshiva rapiti da Hezbollah nel 1986.

I loro corpi vennero restituiti 10 anni dopo in uno scambio di prigionieri.

Rontzki ha parlato anche in modo specifico della condotta dell’esercito israeliano durante l’Operazione Piombo Fuso a Gaza: “A proposito di tutto quello che abbiamo sentito ultimamente sui media, ringrazio Dio che il popolo di Israele si sia unito di recente attorno al semplice principio di come si debba combattere. Una delle importanti innovazioni di questa offensiva è stata la condotta di guerra – non come qualche genere di missione o di detenzione”.

“Noi tutti ricordiamo l’inizio della guerra, con un grande attacco di 80 aerei che hanno bombardato vari obbiettivi, e poi l’artiglieria, il fuoco dei mortai e dei carrarmati e così via, come in guerra”, ha detto. “Tutti hanno combattuto con tutto il cuore e con tutta l’anima, e ciò naturalmente comprende il coraggio, ma anche il combattere con tutte le risorse che uno ha – combattere come se si trattasse decidere davvero la missione”.

Rontzki ha anche parlato delle qualità del soldato ideale.

“Nelle guerre di Israele, i guerrieri sono persone timorate di Dio, persone virtuose, persone che non hanno peccati sulle loro mani”, ha detto. “Bisogna combattere sapendo per cosa si stia combattendo”.

giovedì 22 marzo 2012


Per essere concreti: questa foto ci passa pienamente l'idea che stanno per mettercela in culo.
Amen

martedì 20 marzo 2012

La "COLLANA VIOLA" della Einaudi



LA "COLLANA VIOLA" E L'EPISTOLARIO
FRA CESARE PAVESE ED ERNESTO DE MARTINO

E' uscito di recente un interessante saggio di Francesco De Napoli dedicato alla "Collana Viola", il primo esperimento editoriale tentato in Italia, per volontà di Giulio Einaudi, di pubblicare una collana di studi a carattere etno-antropologico e religioso. Nel suo saggio, De Napoli affronta l'argomento analizzando l'epistolario intercorso fra Cesare Pavese ed Ernesto De Martino, i due pionieri che per primi intesero attuare questa rivoluzionaria operazione culturale. Il saggio, che si intitola appunto "La Collana Viola e l'Epistolario Pavese-De Martino" (Cassino, Quaderni del Centro Culturale "Paideia", € 5,50), si sforza di puntualizzare, sia pure in sintesi, le circostanze controverse e poco chiare di quella difficile scommessa einaudiana. In questo senso, la corrispondenza fra de Martino (studioso del folclore e delle tradizioni popolari) e Pavese (in quegli anni, direttore dell'Einaudi), che durò ininterrottamente dal 1945 al 1950, si presenta davvero fondamentale e illuminante. De Napoli attinge nel suo saggio, fra l'altro, al precedente, prezioso volume di Pietro Angelini intitolato: "C. Pavese - E. de Martino, la Collana Viola. Lettere" (Bollati-Boringhieri, Torino, 1991), tuttavia sviluppando in maniera originale proprie riflessioni e nuove interpretazioni relative a quel complicato rapporto intellettuale.

L’Italia secondo “Stratfor”





Italia :::: Fabio Falchi :::: 19 marzo, 2012 ::::


Il 16 marzo scorso, la nota agenzia privata di intelligence “Stratfor” ha pubblicato un’interessante analisi della situazione italiana, alla luce della crisi economica di Eurolandia (in particolare di quella che concerne i cosiddetti “Piigs”, ossia Portagallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). (1) L’articolo, molto ben documentato, prende in esame l’economia, la società e la politica del nostro Paese.

Dopo aver osservato che la mancanza di crescita economica, il debito pubblico superiore al 120% del Pil, la forte evasione e l’illegalità diffusa riducono notevolmente le possibilità dell’Italia di superare la crisi, “Stratfor” mette in evidenza che Monti ha comunque conseguito alcuni risultati positivi nei suoi primi cento giorni di governo e i tassi d’ interesse sul debito che nel mese di novembre dell’anno scorso erano saliti quasi all’8%, sono tornati a livelli “normali”, cioè al 3% circa. Merito, secondo “Stratfor”, della manovra “salva Italia”, pari al 3,25% del Pil, e soprattutto delle liberalizzazioni decise dal nuovo governo, nonché dell’impegno ad attuare una vasta e radicale riforma del lavoro. Nondimeno, il fatto che il Fmi preveda una contrazione del 2,2% del Pil nel 2012, dopo che dal 2001 al 2010 la nostra economia è cresciuta mediamente solo dello 0,41% all’anno, sarebbe un chiaro segno della debolezza della struttura produttiva italiana – la quale, tra l’altro, senza una forte crescita non potrebbe “far fronte” ad un debito pubblico assai maggiore del Pil.

“Stratfor”, pur rilevando il basso livello del nostro debito privato, evidenzia altri dati preoccupanti: solo il 13,5% della popolazione ha meno di 14 anni, mentre il 20% ne ha più di 65; il che indica una progressiva riduzione della base produttiva nei prossimi anni e una conseguente diminuzione del gettito fiscale. E se l’economia sommersa ammonta a ben 275 miliardi di euro, l’evasione fiscale è pari all’8% del Pil. Non meno grave il tasso di disoccupazione tra i giovani (da 15 a 25 anni), che supera il 30%, benché in Italia la famiglia sia una “istituzione” ancora assai forte, in grado di sostenere chi ha un reddito basso o è disoccupato. D’altronde, “Stratfor” nota pure che la criminalità organizzata offre parecchi “contatti” e “opportunità” per chi è in cerca di lavoro o vuole migliorare la propria posizione sociale.

Comunque sia, l’agenzia privata nordamericana d’intelligence ritiene “superficiale” paragonare l’Italia alla Grecia – anche se alla fine del 2011 la situazione politico-economica dell’Italia pareva molto simile a quella greca – giacché, se in entrambi i Paesi vi è un governo di “tecnocrati” (totalmente “apolitico” il governo Monti, a differenza di quello del “tecnico” Papademos), in Italia le misure adottate da governo non hanno generato alcuna seria tensione politica o sociale e le principali forze politiche nonché i principali media e le associazioni dei lavoratori appoggiano il governo. Del resto, le stesse dimensioni dell’economia della Grecia sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle dell’economia dell’Italia, cosicché è naturale che l’Italia possa anche contare su un aiuto assai più consistente da parte dell’Unione europea.

“Stratfor” però sottolinea che il Pdl e il Pd, pur garantendo il loro appoggio al governo Monti, hanno espresso critiche, rispettivamente, sulle liberalizzazioni e sulla riforma del lavoro, in quanto sono misure che danneggiano i gruppi di interesse che i due partiti rappresentano. A giudizio del think tank nordamericano, questa apparente contraddizione dipende dal fatto che entrambi i partiti hanno obiettivi a breve termine e a lungo termine. Di conseguenza, quanto più vicine saranno le elezioni politiche tanto più forte sarà sia la lotta politica all’interno dei due partiti sia la tentazione di prendere le distanze dal governo “tecnico” di Monti. E il braccio di ferro sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (considerato da “Stratfor”, con ogni probabilità, una sorta di “residuato bellico” della guerra fredda) è un segno di quel che potrebbe accadere nei prossimi mesi. E non sarebbe affatto un buon segno, dato che, secondo “Stratfor”, la riforma del lavoro è la più importante sfida sociale e politica che Monti dovrà affrontare. Perciò, se nel breve periodo si può escludere che Monti incontri ostacoli insormontabili, con il passare del tempo i politici potrebbero cercare di cavalcare una protesta sociale generata dalle scelte impopolari che il governo “tecnico” di necessità dovrà fare, oltre che dalla recessione e dal probabile aumento del tasso di disoccupazione. Conclude quindi “Stratfor” che i problemi fondamentali del Paese sono ben lungi dall’essere risolti e che si conferma che le difficoltà economiche dell’Italia sono in larga misura la conseguenza della instabilità che caratterizza la politica italiana, tanto che, ove la vita politica del Paese tornasse alla “normalità”, si dovrebbe temere una dura reazione da parte dei “mercati” e una nuova crisi finanziaria.

Si tratta di una conclusione, in verità, assai banale, dacché una critica generica, benché condivisibile, del teatrino della politica del nostro Paese, pare spiegare poco o nulla. Certo non spiega come il Paese potrebbe crescere con la “terapia Monti” – peraltro, perfino Gustavo Piga, ordinario di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, sostiene che «gran parte degli studi di Bankitalia pubblicati negli ultimi due anni dimostrano che il modo migliore per ridurre il debito e il deficit al livello che ci chiede Bruxelles è aumentare la spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi». (2) Né spiega quali siano le ragioni che, nel giro di venti anni, hanno condotto l’Italia, una delle maggiori potenze economiche mondiali, a rischiare di essere retrocessa in serie B.

Sorprende pure che “Stratfor” ignori che la struttura economica italiana è imperniata sulle piccole e medie imprese (alle quali, tra l’altro, gli Stati Uniti riservano il 25% degli appalti del settore pubblico) e che non prenda in considerazione gli effetti a lungo termine delle scelte strategiche compiute dall’Italia negli anni Novanta. Vale a dire che non esamini le conseguenze derivanti dal fatto che la classe dirigente italiana, dopo che il vecchio ceto politico era stato in gran parte “eliminato” per via giudiziaria (e non sembra un caso che ciò si sia verificato quando gli equilibri geopolitici mondiali stavano rapidamente mutando a causa del crollo del Muro), scelse di rinunciare ad una politica strategica nazionale, (s)vendendo alcune delle nostre più importanti imprese pubbliche, proprio allo scopo di ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil. Ma ancora più sorprendente è che un’agenzia di intelligence “specializzata” in analisi geopolitiche trascuri del tutto la politica estera dell’Italia e quella dei nostri “alleati” (che pure è decisiva anche per capire la politica e l’economia del nostro Paese) e che quindi non si domandi nemmeno quali scelte strategiche un Paese mediterraneo come l’Italia, con notevoli possibilità di espansione verso Est e verso Sud, dovrebbe compiere per sfruttare al meglio i complessi e profondi mutamenti geopolitici che contraddistinguono l’attuale fase storica.

Si poterebbe però osservare che una tale domanda difficilmente il think tank statunitense può porsela, soprattutto se si tiene presente che, a parere di alcuni giornalisti e analisti, “Stratfor” in realtà non è che “un’ombra della Cia”, con relazioni “molto particolari” con la banca d’affari Goldman Sachs. (3) Tuttavia, anche per questo motivo, parrebbe che lo scopo dell’articolo concernente il nostro Paese sia, in primo luogo, di far comprendere che l’Italia non ha altra scelta che quella di obbedire ai diktat dei “mercati” (ossia soprattutto dei centri di potere che i “mercati” rappresentano), altrimenti dovrebbe nuovamente subire l’attacco dei “mercati”, non avendo neanche più il “controllo” del proprio debito pubblico, in buona parte “internazionalizzato” a partire dagli anni Novanta. (E al riguardo, si deve pur notare che le istituzioni dell’Unione europea – che non si dovrebbe in alcun modo confondere con l’Europa – non sono certo disposte a contrastare decisamente l’azione strategica dei “mercati”, non solo sul piano economico, ma anche su quello politico).

In questa prospettiva, si dovrebbe allora riconoscere che è affatto logico che “Stratfor”, considerando evidentemente che le coordinate per orientare la (geo)politica della nostra classe dirigente sono decise (pur se solo “in ultima istanza”, per così dire) “oltreoceano”, dia per scontato che l’Italia non abbia alcuna autentica “autonomia strategica” Assai meno logico, a nostro avviso, è ritenere invece sia che si possa evitare il “declino” dell’Italia, sia che l’Italia non debba né possa rendersi indipendente (almeno in una certa misura, ma analoghe considerazioni sarebbero da fare per la stessa Europa continentale) da quei centri di potere i cui “interessi strategici” sono a fondamento delle analisi (geo)politiche dell’agenzia privata d’intelligence “Stratfor”.

NOTE

1) Special Series: European Economies At Risk – Italy (http://www.stratfor.com/analysis/special-series-european-economies-risk-italy ).
2) Caro Monti, siamo come la Spagna: gli obiettivi di deficit vanno rivisti (http://www.linkiesta.it/italia-taxi-liberalizzazioni-monti#ixzz1pNFoGoAA ).
3) Si vedano, ad esempio, Svelati i file delle spie di Stratfor gli agenti privati ombra della Cia (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/02/27/svelati-file-delle-spie-di-stratfor-gli.html ) e WikiLeaks pubblica le mail della Stratfor, corazzata degli 007 privati più potenti d’America (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-02-27/wikileaks-ruba-casa-stratfor-215906.shtml?uuid=AaWiJoyE ). Per quanto concerne la questione della “neutralità scientifica” di “Stratfor” si veda il recente articolo di Vismara Luca Francesco Stratfor: fra discutibile scientificità e “soft power” statunitense (http://www.eurasia-rivista.org/stratfor-fra-discutibile-scientificita-e-soft-power-statunitense/14091/).

lunedì 19 marzo 2012

Isaac Newton: primo scienziato o ultimo alchimista?

                                        Risultati immagini per Newton visto da William Blake
Newton visto da Wiliam Blake, decisamente l'ultimo dei maghi!

Newton ha scritto molti testi di alchimia e un solo testo di fisica.........

Isaac Newton: primo scienziato o ultimo alchimista?
“Non so cosa possa sembrare al mondo, ma a me stesso sembra di essere stato solo come un ragazzo, che gioca sulla riva del mare e che si diverte a trovare di quando in quando un ciottolo più liscio o una conchiglia più bella del solito, mentre il grande oceano della verità si stende tutto sconosciuto davanti a me”.

(Isaac Newton)

Dino Campana: poesia




Questa poesia è stata pubblicata soltanto dopo la morte di Campana. Il tema è quello della femminilità,
considerata nel suo aspetto animalesco e primordiale, come equivalente del mistero stesso della vita e delle sue forme oscure. La donna scelta per un impossibile dialogo è una prostituta, dominata da una carnalità inconsapevole e del tutto estranea alle domande del poeta, ruotanti attorno a questioni esistenziali. In tal modo la problematica della poesia si allarga a considerare anche l’incomunicabilità tra il poeta e la donna.
Lo stile *espressionistico valorizza soprattutto le parti verbali del discorso, mentre il lessico punta sulla
crudezza e sulla violenza del realismo e della distorsione.

A una troia dagli occhi ferigni

Coi tuoi piccoli occhi bestiali
Mi guardi e taci e aspetti e poi ti stringi
E mi riguardi e taci.La tua carne
Goffa e pesante dorme intorpidita
Nei sogni primordiali.Prostituta...
Chi ti chiamò alla vita? D’onde vieni?
Dagli acri porti tirreni,
Dalle fiere cantanti di Toscana
O nelle sabbie ardenti voltolata
Fu la tua madre sotto gli scirocchi?
L’ immensità t’impresse lo stupore
Nella faccia ferina di sfinge
L’ a l it o b rulicante della vita
Tragicament e come a lionessa
Ti disquassa la tua criniera nera

domenica 18 marzo 2012

Franco Cardini risponde ad Andrea Caracini


Da blog di Andrea Carancini

Franco Cardini: professione di fede o professione di fideismo?

Franco Cardini mi ha risposto: alla mia lettera aperta dello scorso 16 Febbraio (http://andreacarancini.blogspot.com/2009/02/davvero-gesu-era-ebreo-lettera-aperta.html ) l'illustre professore ha risposto due giorni dopo con una replica, alquanto stizzita, in dodici punti (disponibile sul suo sito: http://www.francocardini.net/ ).

Inizialmente pensavo di rispondere punto per punto, ma poi mi sono reso conto che non ne vale la pena: ai lettori non cattolici di questo blog diatribe come queste (forse) non interessano, e per quanto riguarda i (molti) lettori cattolici di Cardini, penso che siano rimasti ulteriormente sconcertati dalla sua risposta.

Mi accontento di richiamare un solo punto, tra quelli formulati dal noto cattedratico:

Scrive Cardini: "Che la personalità di Gesu sia autenticamente storica, non è comprovato da sufficienti fonti. Voglio dire che, tradizione scritturale neotestamentaria a parte (sul cui valore storico è aperta una polemica vertiginosa), né Giuseppe Flavio, né Tacito, né Traiano ci forniscono prove storiche sufficienti a ritenere storica la figura di Gesù come riteniamo per esempio storica la figura di Giulio Cesare, sulla quale esiste una quantità di “prove incrociate” di tipo documentario (annali, ma anche documenti legittimamente ritenuti autentici di tipo epigrafico, archeologico, iconico ecc.)".

Si tratta di una posizione che, dopo il Concilio Vaticano II, è diventata dominante non solo nella pubblicistica cattolica di massa ma anche nelle università, sui giornali e nel mondo dell'editoria. Ma è davvero fondata? Chi cerca di argomentare in senso contrario, a favore quindi della piena attendibilità storica dei Vangeli, si trova sovente sbarrate tutte le porte che contano.

Ad esempio, importanti saggisti cattolici come don Ennio Innocenti e don Antonio Persili sono ancora oggi costretti a stampare in proprio i libri che scrivono, visto che persino noti editori che non esitano a professarsi cattolici, non sono interessati a pubblicare le loro opere.

Penso quindi che la migliore risposta, non solo al professor Cardini ma anche a questo clima di ostracismo, sia segnalare due libri, che ritengo particolarmente significativi, dei predetti autori. Il primo libro è: Sulle tracce del Cristo Risorto, di Don Antonio Persili, richiedibile all'autore all'indirizzo:

Don Antonio Persili
Piazza S. Giorgio 14
00019 Tivoli

Il secondo libro è: Gesù a Roma, di don Ennio Innocenti e Ilaria Ramelli (di cui don Innocenti è stato costretto a stampare in proprio anche la quarta edizione, nonostante che l'opera in questione abbia goduto di una recensione ampiamente favorevole da parte di Civiltà Cattolica).

Il volume è richiedibile a:
don Ennio Innocenti
Via Capitan Bavastro 136
00154 Roma

Cari lettori di questo blog, non abbiate remore a contattare gli autori e ad acquistare i suddetti libri: non ve ne pentirete!