Il "Festino degli Dei" è uno dei capolavori della pittura
rinascimentale, noto anche per le sua storia, che ha visto almeno tre
pittori partecipare alla sua realizzazione, e per i suoi molteplici contenuti iconografici.
Il "Festino degli Dei", faceva parte di uno dei gioielli del
rinascimento italiano: lo studio privato di Alfonso d'Este, duca di
Ferrara. Il duca commissionò ai più importanti artisti veneziani
dell'epoca, Giovanni Bellini, prima, e poi al suo allievo Tiziano,
rappresentazioni di baccanali con temi mitologici da esporre in quella
che poi venne ribattezzata la 'camera dell'alabastro'.
Giovanni
Bellini concepì il quadro come un allineamento di figure dignitose come
un fregio in primo piano. Dopo la morte del Bellini nel 1516, secondo
alcuni storici, gran parte dello sfondo fu cambiato da un altro pittore,
Dosso Dossi, un artista della corte di Ferrara. Il paesaggio originale
del Bellini, visibile oggi solo nel lato destro, era formato da una
cortina di alberi.
Probabilmente nel 1529, dopo che aveva già
eseguito tre dei suoi dipinti per la camera dell'alabastro, Tiziano mise
mano di nuovo al Festino, aggiungendo la montagna sullo sfondo con
l'intento di armonizzare il panorama ridipinto con gli altri suoi lavori
presenti nella "camera dell'alabastro".
L'evoluzione del disegno
rivela infatti cambiamenti considerevoli fra l'arte serena di Bellini,
che apparteneva al quindicesimo secolo, e lo stile più vigoroso che
Tiziano stava sviluppando nel sedicesimo secolo.
Altri ritengono invece che a completare il lavoro di Bellini e Tiziano sia stato il tedesco Albrecht Durer.
Diverse sono anche le ipotesi iconografiche e simboliche.
Gli dei sono riuniti in olimpico convito, un lungo banchetto durato
tutta la notte: adesso, verso l'alba, mentre alcuni sono colti dal
sonno, sfiancati dal vino e dalle libagioni,
Nell'ordine, da
sinistra, vediamo un satiro con una brocca sul capo (1), Sileno con il
proprio asino (2), Bacco fanciullo (3), Silvano (o Fauno) (4), Mercurio
(5), un satiro con un catino (6), Giove (7), una ninfa con un catino
(8), Gea (o Cibele) (9), un satiro (o Pan) (10), Nettuno (11), due ninfe
(12), Cerere (o una ninfa) (13), Apollo (14), Priapo (15) che solleva
la veste di Loti (o Vesta) (16).
Altre componenti del dipinto sono
il fagiano , seminascosto nell'ombra del fogliame e il tino rovesciato
nel quale sono riassunte nominalisticamente le identità degli autori:
Vasari riporta il contenuto del cartiglio che vi è applicato (con la
firma di Giovanni Bellini e la data): "Scrisse Giambellino nel tino
queste parole: "IOANNES BELLINUS VENETUS P. 1514".
La chiave
interpretativa offerta dal testo vasariano va dunque ricercata nella
particolarità della parola "tino", non a caso ripetuta due volte in
poche righe, che racchiude il nome di Tiziano, facendo ricorso ad
un'abbreviazione, di estrazione paleografica o epigrafica (TI[ZIA]NO),
tutto sommato non particolarmente ermetica....
sabato 7 settembre 2019
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