venerdì 28 novembre 2014

Lo sterminio degli ultimi Pagani d'Oriente

YAZIDI. IL GENOCIDIO DEGLI ANGELI

Fanciulla  yazida


In Iraq è caccia agli yazidi, la religione più tollerante e antica del medio oriente.
Dopo i mongoli, è lo Stato islamico a passarli a fil di spada. Non credono all’inferno, gli islamisti ne stanno preparando uno per loro


Roma. Due giorni fa il Daily Telegraph ha titolato così: “Morte di una religione”. Perché lo yazidismo, che assieme all’ebraismo è la più antica religione del mondo, è sul punto di scomparire.  Dopo i cristiani di Mosul, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante ha preso di mira gli yazidi, “i dualisti maledetti” come ebbe a definirli il Tamerlano, il turco convertito all’islam che ne passò a migliaia a fil di spada.
Un detto yazida oggi recita: “Eravamo 17 milioni. Oggi siamo 700 mila”. Molti sono fuggiti all’estero e in 40 mila sono adesso asserragliati nella montagna irachena di Sinjar. “Pensate a ‘Hotel Rwanda’ o al compound Onu di Srebrenica: questo è il monte Sinjar oggi”, scrive un laburista inglese, invocando un intervento umanitario occidentale a difesa degli yazidi. Gli yazidi (o yezidi) hanno due alternative: scendere dalla montagna per essere macellati dagli estremisti islamici che li hanno condannati a morte, o restare e morire di fame e sete. La montagna-rifugio di Sinjar sta già diventando un cimitero.





I peshmerga curdi sono la loro unica speranza. Il loro assedio è come quello dei catari nella fortezza di Montségur. Gli eretici si arresero per fame dopo nove mesi di assedio e il fumo dei loro roghi oscurò il cielo della regione francese per molti giorni.
“Il mio popolo è stato massacrato”, ha denunciato ieri da Baghdad Vian Dakheel, parlamentare yazida. “La nostra religione viene cancellata dalla faccia della terra. Vi imploro, in nome dell’umanità”. Finora si conterebbero almeno cinquecento morti fra gli yazidi.
Tahseen Sayid Ali, leader spirituale del popolo yazida, ha scritto una lettera aperta alla comunità internazionale: “I terroristi islamici hanno chiaramente espresso che vogliono vedere fiumi di sangue yazida”.
A Tal Afar, gli islamisti avrebbero giustiziato cento yazidi. Le donne sono risparmiate per convertirle e lasciarle alla mercé sessuale dei terroristi. Il 3 agosto scorso le milizie dell’Isis, che accusano gli yazidi di essere “adoratori del diavolo”, hanno massacrato almeno settanta membri di questa antichissima fede. Lo Stato islamico ha detto che “continueremo fintanto che questi leader satanici non consentiranno la conversione di ogni yazido all’islam”.
I prodromi delle stragi si registrarono un anno fa, quando una madre yazida e tre figli furono sgozzati dai fondamentalisti islamici perché ritenuti “eretici” nel villaggio di Tel Qutbub, a centoventi chilometri da Mosul. Lo Stato islamico adesso ha pubblicato sui social network le immagini della presa di Sinjar. Una di queste mostra sei yazidi a faccia in giù in un campo, una pistola puntata alle loro teste. “Uccideteli ovunque li trovate”, è la didascalia.

Tra la cabala e Zoroastro




La parola persiana “yazd” vuol dire angelo. Infatti gli yazidi adorano l’Angelo Pavone,Melek Taus. Ma l’origine degli yazidi è ancora oggetto di dibattiti accademici.
C’è chi li fa risalire al giudaismo cabalistico (riposano di sabato e accendono le candele). Altri li identificano con i carduchi che diedero filo da torcere a Senofonte durante la ‘Anabasi’. Gli iraniani li ritengono parenti degli “adoratori del sole” che ancora vivono in nuclei sperduti sull’altopiano iranico. I più antichi documenti che abbiamo dello yazidismo, infatti, sono lamenti per lo spegnimento forzato dei sacri fuochi zoroastriani e per i massacri subiti durante l’invasione islamica.

Oggi gli yazidi convivono nelle valli irachene con gli ultimi gnostici, i Mandei, una delle più antiche, piccole e meno conosciute tra le minoranze irachene. I Mandei parlano un aramaico simile al dialetto del Talmud babilonese e sono i cugini del popolo che produsse i codici di Nag Hammadi (come il Vangelo di San Tommaso).

A favore dell’invasione americana

Come ha scritto Lawrence Kaplan su New Republic, la popolazione yazida è stata fin dall’inizio entusiasta del cambio di regime imposto dagli americani a Baghdad. Anche per questo gli estremisti sunniti li odiano. Li accusano di essere “collaborazionisti”. Dopo l’avvento al potere del partito Baath nel 1968 venne emanata una direttiva politica, secondo la quale gli yazidi dovevano “tornare alle loro origini arabe”. I baathisti ordinarono l’evacuazione di tutti i villaggi yazidi e la deportazione degli abitanti verso “centri collettivi”. Fu l’inizio di un genocidio culturale. Sia i villaggi degli yazidi sia i loro luoghi sacri vennero rasi al suolo.

Saddam Hussein voleva distruggere il loro territorio e la loro religione reinsediandoli in una zona araba per poterne annientare l’identità. Ma non ci riuscì. Come non ci è riuscita al Qaida nel 2007, all’apice del surge americano, quando i terroristi islamici rasero al suolo due interi villaggi yazidi. 796 morti. Fu il più spaventoso attentato dall’11 settembre: “Le Torri gemelle del Kurdistan”. Le bombe qaidiste sterminarono interi clan yazidi antichi migliaia di anni. Molti di loro evaporarono letteralmente per via delle esplosioni. “Un genocidio”, disse il comandante delle truppe statunitensi nel nord dell’Iraq, il generale Benjamin Mixon.
Accusati di blasfemia, politeismo e apostasia dai fanatici islamisti, gli yazidi contano “72 genocidi” nella loro storia. Ieri, da Baghdad, la parlamentare Dakheel ha detto: “Per 72 volte nella storia hanno tentato campagne genocide contro gli yazidi. E la cosa si sta ripetendo nel XXI secolo. Un’intera religione rischia di sparire dalla faccia della terra”.

Accademici hanno calcolato che ventitré milioni di yazidi siano stati decimati in settecento anni di invasioni e di genocidi.
La “caccia agli angeli” iniziò nel 1170, quando l’espansionismo musulmano si lasciò alle spalle cinquantamila yazidi. I mongoli, sotto la guida di Hulagu Khan, nel 1218 raggiunsero gli yazidi e ne macellarono a migliaia, ma incontrarono una forte resistenza e alla fine si ritirarono.
Il leader yazida Sheikh Hassan venne ucciso dai musulmani e il suo corpo, nudo, venne appeso a un cancello di Mosul, dove sarebbe stato visibile agli altri yazidi. Il tempio più sacro, a Lalish, venne profanato, e le ossa del più grande santo yazida, lo sceicco Adi, furono prelevate dalla tomba e bruciate davanti agli increduli suoi correligionari.
Anche gli ottomani li hanno perseguitati. Lo storico turco Katib Chelebi stima che nel 1915-1918 circa 300 mila yazidi furono massacrati nei territori dell’Impero ottomano. Eppure gli yazidi sono sopravvissuti alle invasioni di safavidi e ottomani, che si contesero il controllo di Mosul perché rappresentava la chiave per il controllo della regione caspiana a oriente.
Gli yazidi sono il popolo più umile del medio oriente, come dimostrano anche i loro templi, i tetti conici dalla punta dorata, bassissimi, perché l’uomo deve piegarsi per entrare, non può stare in piedi. Le stanze yazide sono oscure, le uniche decorazioni sono il sole, la luna e le stelle.
Gli yazidi, il cui nome compare persino nelle antichissime rovine sumeriche, sono l’unico popolo mediorientale che non ha mai dichiarato guerra a nessuno. Le loro candele rituali rischiano adesso di spegnersi per sempre.

Recita un altro detto yazida: “Se incontri una persona che ha bisogno, aiutala senza chiedere la sua religione”. Loro respingono anche la concezione dell’inferno perché la ritengono incompatibile con la clemenza divina. Anzi aggiungono qualche cosa di più umano, e cioè che il fuoco infernale esisteva, ma è stato spento dalle lacrime del dolore delle generazioni. Per questo sono stati condannati a morte da chi l’inferno vuole riempirlo di infedeli.


Fonte: srs di di Giulio Meotti  da  IL FOGLIO del 8 agosto 2014





CHI SONO E COSA VENERANO GLI YAZIDI



Ragazza Yazida



Una minoranza del nord dell’Iraq contraddistinta da un culto antico, complesso e ricco di influenze

                 

Chi sono

Gli yazidi sono una comunità etno-religiosa di origine curda, che abita in maggior parte nel nordovest dell’Iraq (nella fattispecie, la provincia di Ninive), e in misura minore in Siria. La lingua principale è, per quasi tutti i gruppi yazidi, il curdo, con la quale tramandano il proprio culto. Alcuni gruppi hanno come prima lingua, però, l’arabo.

Lo yazidismo affonda le radici nel calderone culturale delle religioni del grande Iran, cioè la regione di influenza storica persiana che, oltre all’Iran attuale, comprende Armenia, Afghanistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan e parti di Iraq, Georgia, Pakistan e Cina. Ha però assimilato elementi provenienti da altre religioni: giudaismo cabalistico, zoroastrismo, mitraismo, cristianesimo, islam e culti pre-islamici mesopotamici.

Nella sostanza è una curiosa mescolanza di religioni e credenze, frutto di un complesso processo di sincretismo, cioè di assimilazione di pratiche e rituali di diversa origine cominciato nel XII secolo. Secondo gli studiosi sarebbe stato originato dall’incontro tra un’oscura e antica fede della zona e la dottrina dell’ordine sufi adawyya, i cui aderenti abitavano nelle montagne del nord dell’Iraq. Per questo motivo gli yazidi venerano lo sceicco Adin Ibn Musafir, fondatore dell’ordine sufi. La sua tomba a Lalish, a nord di Mosul, è un luogo sacro.

Caratteri principali della religione


Tawuse Melek



Gli yazidi sono monoteisti. Il mondo sarebbe stato creato da un dio primordiale che lo ha consegnato in custiodia a sette entità sacre, gli Angeli (o anche i Sette Misteri). Tra questiil più importante sarebbe il dio pavone Tawuse Melek (che significa appunto angelo-pavone), venerato dagli yazidi.

Secondo la tradizione, Tawuse Melek sarebbe stato il primo dei sette angeli creati da Dio. In virtù di questo privilegio Dio gli avrebbe ordinato di non inchinarsi mai a nessuno. Gli yazidi lo venerano per questo: quando Dio creò il primo uomo lo volle mettere alla prova e comandò a tutti gli angeli di inchinarsi e riverire la nuova creatura. Tawuse Melek si rifiuta, restando fedele al primo ordine che aveva ricevuto. Dio si congratula con lui e lo glorifica.

La storia presenta numerose somiglianze con la tradizione islamica del jinn Iblis: anche lui si rifiuta di inchinarsi di fronte al primo uomo, ma a differenza di Tawuse Melek viene maledetto, cade dal cielo e diventa Satana. Per gli yazidi, invece, Tawuse Melek non avrebbe alcun legame con il male del mondo, che invece avrebbe origine autonoma nel cuore e nella mente degli uomini.

Uno dei punti cruciali della religione yazida è la reincarnazione e la trasmigrazione delle anime. La reincarnazione più importante è quella delle anime dei sette angeli, che in via periodica assumerebbero forma umana. Queste persone sono i “koasasa”. È prevista la reincarnazione, però, anche per le anime degli esseri umani normali, in un ciclo che prevede l’esistenza sia del paradiso che dell’inferno, le cui fiamme però sarebbero state spente proprio da Tawuse Melek.

Tutto l’insieme delle pratiche e dei rituali sarebbe conservato in due libri sacri, dal contenuto ancora oscuro: il Libro della Rivelazione (Kiteba Cilwe) e il Libro Nero (Mishefa Res), anche se i testi pubblicati all’inizio del novecento sono considerati dagli studiosi dei falsi, scritti da non-yazidi per venire incontro alla curiosità degli occidentali. Non viene escluso che, in passato, i due libri fossero esistiti davvero, ma al momento la dottrina religiosa è tramandata per via orale (anche se negli ultimi anni gli inni sacri sono stati raccolti per iscritti, trasformando la religione yazida in una religione del Libro).

Pratiche

Gli yazidi si considerano discendenti diretti del primo uomo. Nella loro tradizione questo spiega la riluttanza a mescolarsi con persone di religioni diverse. L’endogamia è rigida: la società è organizzata in tre caste, i cui membri possono sposarsi solo con altri membri della stessa casta. Chi trasgredisce rischia la morte.

Anche la preghiera rituale, prevista due volte al giorno (la prima in direzione del sole(come i primi cristiani), la seconda verso Lalish, la loro città santa) non può avvenire in presenza di stranieri.

In generale, il contatto con non-yazidi è considerato contaminante: hanno sempre evitato di prendere parte al servizio militare perché questo avrebbe implicato la frequentazione di musulmani. Inoltre è proibita la condivisione di bicchieri e rasoi con gli stranieri.

Per gli yazidi il giorno sacro è il mercoledì, ma il riposo è previsto il sabato. A dicembre sono previsti tre giorni di digiuno. Il nuovo anno si festeggia in primavera, con canti e danze rituali. Un’altra festività importante è quella del Tawusgeran (il giro del pavone), in cui membri del culto visitano i villaggi, consegnano immagini sacre del pavone, che simboleggia Tawuse Melek e raccolgono donazioni. La più importante però è la Festa dell’Assemblea, che dura sette giorni e si tiene a Lalish.




Tomb of Sheikh Adi ibn Musafir in Lalish



Proprio a Lalish è obbligatorio, almeno una volta nella vita, un pellegrinaggio di sette giorni alla tomba dello sceicco Adi ibn Musafir.


Sarcofago  dello sceicco Adi ibn Musafir.


La società yazida prevede una fitta serie di tabù. Oltre alla proibizione di contaminarsi con stranieri, è proibito offendere gli elementi principali (aria, acqua, fuoco e terra), per cui non si può sputare o versare acqua calda in terra (potrebbe ferire e far adirare gli spiriti) e (non è chiaro perché) non è possibile vestirsi di blu.



Fonte: cisto su LINKIESTA  del 28 novembre 2014






IRAQ: CHI SONO GLI YAZIDI?




Iraq – Bajed Kadal refugee camp near Dohuk, in northern Iraq
di Federica Iezzi



Baghdad (Iraq) – Continuano i raid aerei delle forze americane su Erbil, per tentare di arrestare la superba avanzata dei militanti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. In queste ore l’obiettivo del gruppo jihadista sunnita è lo sterminio del popolo Yazidi.

Dallo scorso giugno, a seguito della conquista dell’antica città di Mosul, in Iraq, le forze militari dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, hanno intrapreso la missione raccapricciante di trasformare il loro dominio in un unico grande Califfato, sotto il feroce controllo della shari’a.

Le conquiste di Abu Omar al Baghdadi, tra Iraq occidentale e Siria, sono di circa 270mila chilometri quadrati, con una popolazione stimata in 18 milioni di persone.

I confini sono ben tracciati da est di Aleppo, in Siria, fino a Fallujah, a soli 60 chilometri a est di Baghdad. Presa dall’ISIL la città irachena di Jalawla, a nord-est di Baghdad, iniziando a minacciare anche i confini meridionali della regione autonoma del Kurdistan.

L’esercito ben organizzato conterebbe circa 10.000 combattenti, di cui tra i 3.000 e i 5.000 di nazionalità straniera, rafforzato grazie anche alle alleanze strette con le comunità sunnite irachene, avverse al premier sciita Nouri al Maliki.

Autorevole mossa strategica è stata l’unione ad Albu Kamal, principale località di frontiera tra Siria e Iraq. L’alleanza permette all’ISIL di controllare entrambi i versanti del confine, tra Albu Kamal in Siria e al-Qaim in Iraq.

I guerriglieri jihadisti, nel corso delle sanguinose occupazioni nella terra irachena, hanno costretto la conversione delle minoranze religiose, ucciso gli apostati e distrutto santuari.
Obiettivo dell’ISIL è in queste ore lo sterminio della comunità Yazidi. Gli Yazidi contano circa 70.000 membri, di cui la maggiorparte è concentrata nel nord dell’Iraq. Minoranze in Turchia, Georgia e Armenia.

La città di Sinjar, nel governatorato di Nineveh in Iraq, è il loro cuore. La città di Lalesh, il loro simbolo.

Da più di una settimana va avanti la pulizia etnica da parte degli estremisti islamici, entrati nella città di Sinjar. Uccisi almeno 500 Yazidi.

La popolazione in massa si è riversata e rifugiata sul monte Sinjar, affrontando estenuanti ore di cammino a piedi.

Attualmente sono circa 30.000 le famiglie sotto assedio sul monte Sinjar, senza cibo né acqua.
Fuggiti solo in queste ore 20mila degli almeno 40mila Yazidi intrappolati da giorni sui monti di Sinjar. Ancora critiche le condizioni dei civili circondati dall’esercito dell’ISIL. Senza cibo, senza acqua, senza cure.





Gli Yazidi hanno abitato le montagne del nord dell’Iraq per secoli. Luoghi sacri, santuari e villaggi ancestrali sono tutto il patrimonio posseduto da questa gente. Al di fuori di Sinjar, gli Yazidi sono concentrati nelle zone a nord di Mosul, e nella provincia curda di Dohuk.

Con l’avanzata dell’ISIL, ora a soli 40 miglia da Lalesh, gli Yazidi hanno tre scelte: la conversione, la fuga o la morte per esecuzione.

“Un’intera religione viene cancellata dalla faccia della terra” ha tuonato in modo straziante, nel parlamento iracheno, il leader Yazidi Vian Dakhil.

Per le loro credenze, gli Yazidi sono stati bersaglio di odio per secoli.

Lo yazidismo è una fede antica, con una ricca tradizione orale. Fondata da Adi ibn Musafir, nelle credenze dello yazidismo si mescolano Islam, alcuni elementi dello zoroastrismo, antica religione persiana, e mitraismo, religione misterica originaria del Mediterraneo orientale.

A partire dal XII secolo diversi leader musulmani hanno emesso fatwa contro gli Yazidi. Nella seconda metà del XIX secolo, gli Yazidi sono stati presi di mira dai leader dei principati curdi sotto controllo ottomano, e sottoposti a brutali campagne di violenza religiosa. Sono stati vittime di 72 tentativi di genocidio. Nel 1831, l’esercito turco uccise 100.000 Yazidi.

Nei primi anni del ‘900 iniziano i massacri di yazidi armeni. Alla fine degli anni ’70, il dittatore iracheno Saddam Hussein ha lanciato campagne di arabizzazione brutali contro i curdi nel nord.
Ha raso al suolo tradizionali villaggi, costringendo gli Yazidi a stabilirsi nei centri urbani, come Sinjar, interrompendo il loro modo di vita rurale.




Nel 2007, in centinaia sono stati uccisi in una serie di attentati da al-Qaeda. Oggi, dopo la comunità curda, sciita e cristiana, gli Yazidi sono nel mirino dell’ISIL.

Intanto nel nord dell’Iraq continuano i raid americani e dell’aviazione governativa a sostegno dei Peshmerga curdi contro i miliziani jihadisti.

Proseguono anche gli arrivi degli aiuti del governo regionale del Kurdistan iracheno, destinati alla minoranza Yazidi in fuga sulle montagne di Sinjar. 130 soldati americani vengono dispiegati in Iraq contro l’ISIL, mentre i combattenti dalle bandiere nere di morte, distruggono a colpi di mortaio il sacro tempio Yazidi a Lalesh.


Viene riportato anche il link della parlamentare Yazidi che in Iraq ha fatto un appello per quello che sta succedendo agli Yazidi per opera dell'ISIL: www.youtube.com/watch?v=HdIEm1s6yhY



Fonte: srs di Federica Iezzi, da LIBERART del 15 agosto 2014



L'altra storia

La “PROPOSTA” di Mussolini al PARTITO SOCIALISTA -22 aprile 1945

La “PROPOSTA” di Mussolini al PARTITO SOCIALISTA 22 aprile 1945

 da un articolo originale de il “settimo giorno” n. 41 dell’ 11-10-51
parla Carlo Silvestri:
La “PROPOSTA” di Mussolini al PARTITO SOCIALISTA ITALIANO di Unità Proletaria
(nel testo integrale)
ALL’ESECUTIVO DEL PARTITO SOCIALISTA
ITALIANO DI UNITA’ PROLETARIA
AL COMITATO CENTRALE
Compagni socialisti,
Benito Mussolini mi ha chiamato e mi ha dettato (il 22 aprile 1945, N.d.A.) questa dichiarazione che mi autorizzato a ripetervi:
Poiché la successione è aperta in conseguenza dell’invasione anglo-americana, Mussolini desidera consegnare la Repubblica Sociale ai repubblicani e non ai monarchici, la socializzazione e tutto il resto ai socialisti e non ai borghesi.
DELLA SUA PERSONA NON FA QUESTIONE. COME CONTROPARTITA CHIEDE CHE L’ESODO DEI FASCISTI POSSA SVOLGERSI TRANQUILLAMENTE: NE’ UNA REAZIONE LEGALE NE’ UNA REAZIONE ILLEGALE CHE SAREBBERO CONTROPRUDUCENTI.
Nel proporre questa trasmissione di poteri egli si rivolge al Partito socialista ma sarebbe lieto se l’offerta fosse considerata ed accettata anche dal Partito di azione nel quale del resto prevalgono le correnti socialista. NON ESTENDE L’OFFERTA AL PARTITO COMUNISTA SOLO PERCHE’ LA TATTICA DI QUESTO PARTITO ESCLUDE CHE NELL’ATTUALE SITUAZIONE INTERNAZIONALE ESSO POSSA ASSUMERE IN ITALIA ATTEGGIAMENTI CHE SAREBBERO IN CONTRASTO CON IL RICONOSCIMENTO DELL’ITALIA COME ZONA D’INFLUENZA INGLESE.
La consegna si potrebbe concretare nei seguenti punti:
1° – Per ragioni di organizzazione e di tempo il trapasso dei poteri ai socialisti e dai partiti di sinistra potrebbe essere effettuato solo a Milano ed eventualmente in alcune delle città vicine (Varese, Como, Legnano, Gallarate, Saronno, Magenta, etc., nelle quali primeggia l’elemento operaio industriale).
2° – Affinché il Partito socialista, il Partito d’azione, o la sua frazione anticapitalistica, i repubblicani, ed eventualmente altre forze di sinistra che sono fuori dal C.L.A.I., possano accettare la proposta è necessario che abbiano per il domani una giustificazione di carattere contingente ma di essenziale importanza come la difesa e salvaguardia degli impianti industriali ed idroelettrici e la dichiarazione di Milano città aperta.
La salvaguardia di questi impianti, premessa della ricostruzione italiana, è sempre stata in cima ai pensieri e alle preoccupazioni di Mussolini.
3° – Il Partito socialista di unità proletaria eventualmente con il Partito d’azione e con il consenso tacito del Partito comunista prenderebbe in consegna la città da Mussolini con una aliquota della Forze Armate della Repubblica che sarebbero lasciate a Milano ai fini dell’ordine pubblico e che ubbidirebbero unicamente al Governo provvisorio.
4° – L e autorità germaniche sarebbero poi subito interpellate dal Governo provvisorio circa la precisa conferma dell’integrità della città e dei suoi impianti industriali. Di fronte alla dichiarazione che esse accedono alla richiesta e all’annunzio della evacuazione della città.
Il Governo provvisorio dovrebbe dare garanzia che esse come le Forze Armate della Repubblica, non saranno molestate da partigiani o da altri fino ad un confine da stabilirsi.
A quanto sopra sono autorizzato ad aggiungere che, come contropartita, Mussolini chiede:
A) Garanzia per l’incolumità delle famiglie dei fascisti e dei fascisti isolati che resterebbero nei luoghi di loro abituale domicilio con l’obbligo di consegna delle armi nei termini stabiliti.
B) Indisturbato esodo delle formazioni militari fasciste così come di quelle germaniche nell’intendo di evitare conflitti e disordini fra italiani e distruzioni di impianti da parte dei tedeschi e nuove rovine e lutti nella città e nelle campagne.
C) Le formazioni volontarie fasciste potrebbero impegnarsi a non assumere iniziative operative contro formazioni italiane dipendenti dal C.L.A.I. o dal Governo di Roma, essendo decisi però a continuare la lotta in Italia o altrove contro gli invasori.
Qualora non fosse possibile la consegna rivoluzionaria dei poteri al Partito socialista di unità proletaria e alle forze della sinistra del C.L.A.I. i punti A e B avrebbero pieno valore anche per una trasmissione di poteri che avvenisse tra il Governo della Repubblica sociale e il C.L.A.I.. In ogni caso, non è Mussolini ora che detta queste proposizioni ma sono io che riassumo il suo pensiero, egli preferisce rendere responsabile il C.L.A.I., piuttosto che il governo di Roma, dell’eredità repubblicana, sociale, rivoluzionaria, anticapitalista e antimonarchica della repubblica in quanto nel C.L.A.I., presto o tardi, dovranno prevalere ed imporsi le forze delle sinistre rivoluzionarie le quali non potranno non difendere la socializzazione e le altre radicali riforme di Mussolini, quali l’abolizione del commercio privato e la cooperativizzazione della produzione, come sacro patrimonio dei lavoratori italiani.
Compagni, chi vi scrive socialista nell’animo e nelle opere da quando all’età di dieci anni cominciò ad avere dimestichezza di vita con Anna Kuliscioff, con Filippo Turati, con Claudio treves, con Andrea Costa, con Camillo Trampolini, cpn Leonida Bissolati, SOCIALISTA CHE BBE LA TESSERA DEL PARTITO COME ATTESTAZIONE DI ONORE D NEL 1924 SU PROPOSTA DI FILIPPOO TURATI, DI CLAUDIOL TREVES, DI CAMILLO PRAMPOLINI
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Carlo Silvestri, socialista, antifascista, mussoliniano: in questi tre aggettivi è sintetizzata la biografia di questo personaggio minore, se paragonato ai grandi protagonisti, che finisce, però, per ritrovarsi al centro della vicenda politica in tutti i momenti cruciali di questa intensa fase della storia d’Italia. L’esistenza personale e politica di Silvestri, di professione giornalista, ricostruita tappa per tappa attraverso una ricca documentazione bibliografica e archivistica e sulla base delle sue carte private, in grandissima parte inedite, consente di ripercorrere attraverso i suoi occhi gli anni dal primo conflitto mondiale alla caduta del fascismo che segnano il drammatico passaggio dallo stato liberale al regime fascista, dalla dittatura alla democrazia. Nella sua vita entrano ed escono le figure storiche di questa epoca: Turati e Mussolini quando ancora giovane redattore del “Corriere della sera” si avvicina agli ambienti del socialismo milanese. Amendola, Bonomi e ancora Turati quando, dopo il delitto Matteotti, Silvestri diventa l’anima della campagna stampa dell’Aventino per incriminare Mussolini. Carlo e Nello Rosselli, quando, ormai consolidata la dittatura fascista, paga con lunghi anni di confino la sua militanza antifascista. Di nuovo Mussolini, quando nel drammatico tramonto del fascismo, Silvestri si Ravvicina all’amico di un tempo, il dittatore sconfitto che sempre ha avuto su di lui un fascino irresistibile. Questa amicizia fatale è la chiave di lettura del personaggio Silvestri; il suo «mussolinismo» che spiega una serie di scelte politiche, in apparenza contraddittorie, dilata il significato della sua biografia ad una intera generazione di italiani, conquistati dal mito del duce.
Gloria Gabrielli, Dottore di ricerca in storia dei partiti, è borsista post-dottorato presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università «Federico 11» di Napoli. Tra le sue pubblicazioni: La defascistizzazione nella stampa della Rsi, Fiap, Roma 1986.
Indice: Nota introduttiva
1. Nella culla del socialismo riformista
2. Tra Turati e Mussolini
3. La battaglia dell’Aventino
4. Al confino
5. Nell’Italia fascista
6. A colloquio con Mussolini

Le pietre del destino, a Oriente e a Occidente


 


JULIUS EVOLA SULLA “PIETRA DEL DESTINO” SCOZZESE
"Uno  scandalo, l’ ‘inaudito sacrilegio’ relativo al trafugamento, dall’abbazia londinese di Westminster, della pietra nera, chiamata ‘pietra del destino’ o ‘pietra magica dei Re’. Si sa ciò dalla cronaca, ma ai più, e non solo in Italia, è poco noto l’ordine di idee che, in altri tempi, avrebbe dato a tale furto un carattere di eccezionale gravità. […] Per il caso specifico, come le cose siano andate per la pietra di Westminster non è del tutto noto. Gli Scozzesi pretendono che essa abbia cessato di far da oracolo quando fu portata a Londra e alla dinastia scozzese degli Stuart subentrò quella degli Hannover. E il furto, come è stato scritto, viene appunto attribuito a degli sciovinisti scozzesi. I quali, davvero, mostrerebbero assai poca fiducia nell’autorità sovrannaturale della ‘pietra del destino’, se sono ricorsi a tale mezzo. Ciò, quando non si dovesse tener conto della tradizione, secondo cui gli oracoli, di massima, già da secoli avrebbero cessato di parlare: avrebbero cessato di parlare dal periodo in cui gli uomini han voluto ‘far da sé’ , han voluto essere liberi, sciolti da ogni connessione con forze e segni dall’alto, per imboccare la via problematica, che oggi si sta vedendo dove conduce.”
Dall’articolo del quotidiano ROMA “Biografia segreta della pietra del destino”, 3 gennaio 1951.
Informazioni da Wikipedia ed altra fonte:
“La Pietra di Scone o Pietra del Destino o Pietra dell'incoronazione (in inglese: Stone of Scone o Stone of Destiny oCoronation Stone) è una pietra a forma di grossolano parallelepipedo in Arenaria rossa sulla quale furono incoronati i sovrani scozzesi da Kenneth I di Scozia a Carlo II.
La leggenda la proclamava la pietra sulla quale Giacobbe aveva ricevuto una visione, e che la frattura che presenta fosse derivata dal colpo infertole da Mosè per renderla capace di portare acqua..
Si trovava a Scone, villaggio della Scozia centrale cui deve il nome, a nord-est di Perth: ha fatto ritorno in Scozia solo nel1996, dopo che fu trasportata a Londra da Edoardo I nel 1296 e posta sotto il trono delle incoronazioni (coronation chair) nell'Abbazia di Westminster. Ora è custodita al castello di Edimburgo.”
“Prelevata dai nazionalisti scozzesi nel 1950, la pietra fu recuperata giusto in tempo per l'incoronazione dell'attuale regina, Elisabetta II, nel 1952.”


mercoledì 26 novembre 2014

La Roma della potente tradizione Prisca, fondata sulle tombe degli Heroi

Un Impero magico-religioso, oltre che militare e politico (2)

Segue a :
La pratica consisteva in una formula magico-religiosa che solo il generale o dittatore romano, e da nessun altro, poteva e doveva recitare prima della battaglia, mentre nello stesso tempo si sacrificava un animale per sapere, grazie alla lettura delle sue viscere, quale sarebbe stata la risposta degli dei.
Esistono numerosi indizi che fanno pensare che molte divinità romane siano state acquisite nel modo descritto. Si crede, ad esempio, che tale sia stato il destino dei Dioscuri che erano eroi spartani per eccellenza, di cui il primo indomito pugilatore, mentre il secondo era un intrepido guerriero. Combatterono contro l’ateniese Teseo, aiutarono in più occasioni Giasone e parteciparono alla spedizione degli Argonauti. Per aver placato una tempesta in quella circostanza, furono considerati protettori dei naviganti. E’ assai probabile che fossero divinità venerate nel Sud Italia e poi passate nel Pantheon romano.
dioscuri
Una delle statue che ritraggono i Dioscuri nell’atto di smontare dal cavallo, sorretto da un Tritone. Sculture del V sec. a.C., dal tempio di Locri-Marasà (Reggio Calabria, Museo Nazionale
«SI DEUS SI DEA EST CUI POPULUS CIVITASQUE CARTHAGINIENSIS EST IN TUTELA, TEQUE MAXIME, ILLE QUI URBIS HUIUS POPULIQUE TUTELAM RECEPISTI, PRECOR VENERORQUE VENIAMQUE A VOBIS PETO UT VOS POPULUM CIVITATEMQUE CARTHAGINIENSEM DESERATIS, LOCA TEMPLA SACRA URBEMQUE EORUM RELINQUATIS ABSQUE HIS ABEATIS, EIQUE POPULO CIVITATI METUM FORMIDINEM OBLIVIONEM INICIATIS, PRODITIQUE ROMAM AD ME MEOSQUE VENIATIS, NOSTRAQUE VOBIS LOCA TEMPLA SACRA URBS ACCEPTIOR PROBATIORQUE SIT, MIHIQUE POPULOQUE ROMANO MILITIBUSQUE MEIS PRAEPOSITI SITIS UT SCIAMUS INTELLIGAMUSQUE. SI ITA FECERITIS, VOVEO VOBIS TEMPLA LUDOSQUE FACTURUM.» (Macrobius, Saturnalia, liber III, cap. IX.6)
Che sia un dio o una dea, sotto la cui protezione sono posti il popolo e la città di Cartagine; e soprattutto tu, che hai intrapreso la difesa di questa città; io vi prego e imploro e supplico a voi chiedo che voi abbandoniate il popolo e la città di Cartagine, e lasciate i loro luoghi, templi, cose sacre e la città, e vi allontaniate da essi, e che ne ispiriate il popolo e la città con paura, terrore e perdita del ricordo, e che uscendo veniate a Roma, a me e ai miei, e che i nostri luoghi, templi, cose sacre e città siano per voi più accettabili e graditi, e che vi disponiate per me e per il popolo romano e per i miei soldati, e che noi possiamo saperlo e capirlo. Se così avrete fatto, io faccio voto che vi consacrerò templi e solennità.
Cosa emerge da tutto questo…
1) ETRUSCHI. Tale pratica con annessa lettura delle viscere degli animali sacrificati ci riporta immediatamente agli Etruschi ed alla loro Arte Aruspicina ovvero l’arte di leggere presagi e il futuro dalle viscere di animali e non solo da questo.
2) UN PANTHEON ESPANDIBILE. Mi sembra anche di tutta evidenza la assoluta genialità romana: con la evocatio deorum il Pantheon romano si accresceva sempre più, via via che accrescevano le conquiste territoriali! Un impero, dunque, che, prima ancora che territoriale e politico, era un Impero Magico!
3) LIMES MAGICI. Non solo, ma, onde rendere più solido magicamente l’Impero, i Romani erano soliti costruire una rete di santuari, così come noi oggi faremmo con le dogane. I Romani definivano così i confini dello Stato creando una serie di santuari di divinità, cui veniva affidato il controllo del limes, ovvero del confine. In tal modo valicare un confine in armi era considerato un atto gravissimo ed irreparabile prima ancora che rispetto alle leggi dello Stato, soprattutto della religione. Per loro c’era un “confine comune agli dei ed agli uomini”, dunque un confine sacro.
stele
La stele bilingue di Vercelli.
4) UNA PROTEZIONE MAGICA SEMPRE PIU’ DENSA. Poiché Roma espandeva sempre più i suoi confini, la pratica di cui sopra comportava che se un nemico avesse avuto l’intenzione di aggredire Roma stessa, si sarebbe trovato davanti ad una rete di protezione magica sempre più densa e potente via via che si fosse avvicinato a Roma.

martedì 25 novembre 2014

L'assassinio della filosofa e matematica Ipazia d'Alessandria

Su San Cirillo, l’assassino

                            
San Cirillo di Alessandria
Patriarca di Alessandria
Patriarca di Alessandria
Vescovo e dottore della Chiesa
Noto sempre più spesso che il patriarca di Alessandria, Cirillo (370-444), assassino della filosofa Ipazia, viene difeso dai cattolici, appellandosi alla presunta assenza di prove. Mi chiedo, innanzitutto, quali prove siano necessarie. Invito a leggere i due testi di Luciano Canfora e di Diletta Grella, disponibili su internet, oltre all’interessante raccolta di fonti sul sito Maat.
Credo sia già tanto se, nonostante il periodo di ferocia cristiana, si sia avuta notizia, non soltanto di Ipazia, ma del coinvolgimento di Cirillo, che Socrate Scolastico e Filostorgio, suoi contemporanei, indicano anche se in modo velato. Così come decenni dopo faranno Damascio e lo stesso cattolico Giovanni di Nikiu, che ammette in modo indiretto la responsabilità di Cirillo:
«And when they learnt the place where she was, they proceeded to her and found her seated on a (lofty) chair; and having made her descend they dragged her (…) And they tore off her clothing and dragged her  [till they brought her] through the streets of the city till she died. And they carried her to a place named Cinaron, and they burned her body with fire. And all people surrounded the patriarch Cyril and named him ‘the new Theophilus’; for he destroyed the last remains of idolatry in the city» (The Chronicle of John, Bishop of Nikiou, translated from Zotenberg’s ethiopic text [1916]. Traduzione a cura di R.A.Charles, Christian Roman Empire series, Vol. 4, Evolution Publishing Merchantville, New Jersey 2007, p. 102).
Certo sia Damascio sia Giovanni di Nikiu vissero alcuni decenni dopo Ipazia. Questo è un buon motivo per non credere? Non è però abbastanza per rifiutare recisamente la santità di Cirillo?
Chi ha studiato la storia della chiesa cattolica sa di quali nefandezze è stata capace. Non è necessario ricordare Torquemada.
Ultima fonte che pochi conoscono, a proposito di Ipazia, è Ioannis Malalas (Antiochia, 491-578), storico bizantino, del quale vi riporto la traduzione (realizzata da me e Alberto Biuso) del testo greco di un passo che riguarda proprio Ipazia.
«L’imperatore Teodosio, in quello stesso periodo, ricostruì la grande chiesa che sta in Alessandria; che da allora è chiamata chiesa di Teodosio: fu infatti amico di Cirillo, il vescovo di Alessandria.
Gli Alessandrini, in quel periodo, autorizzati ad agire liberamente dal vescovo, uccisero, gettandola poi nel fuoco, Ipazia, l’insigne filosofa, da tutti celebrata. Era donna di antico valore».
(Ioannis Malalas, Chronographia, in “Corpus scriptorum Historiae Byzantinae”, L XIV V23 10-15 p. 35).
Qualche giorno fa, peraltro, ricercando notizie su Cirillo, ho avuto modo di notare che, anche se i testi cattolici non ne indicano direttamente le responsabilità, sono spesso giustificativi.
«Nella dura tutela del suo ufficio vescovile contro i giudei e i novaziani, non impedì purtroppo l’assassinio della docente di filosofia Ipazia (415) per opera della plebaglia della sua città. […] Egli poi giustificò il suo comportamento dispotico al concilio di Efeso nell’Apologeticus ad imperatorem […]» (AA. VV., Storia della chiesa cattolica, Edizioni Paoline, Milano 1989, p. 240)
È, altresì, interessante notare quel «docente di filosofia». «Filosofa» sarebbe stato troppo?
Andiamo poi alla catechesi di Benedetto XVI, che in parte ho riportato nel mio precendete articolo, il quale non disdegna di usare la seguente espressione per il grande Cirillo, difensore della cristianità:
«La reazione di Cirillo – allora massimo esponente della cristologia alessandrina, che intendeva invece sottolineare fortemente l’unità della persona di Cristo – fu quasi immediata, e si dispiegò con ogni mezzo già dal 429, rivolgendosi anche con alcune lettere allo stesso Nestorio».
Ultima riflessione: perché continua sempre a riproporsi il nome di Cirillo? Quali prove necessitiamo, se sono state tutte distrutte dai cattolici di allora, mentre quelli di oggi perseverano a difendere Cirillo? Basta navigare su internet e la tesi che non si hanno prove ritorna come miglior cavallo di battaglia. Il risultato è: non è stato lui.
In Italia siamo tutti garantisti. Non si fanno processi nel XXI secolo agli intoccabili, figuriamoci se non possiamo appellarci al legittimo impedimento nel caso di Cirillo, bello e defunto da millenni. In realtà, c’è stato un tempo in cui la chiesa faceva processi (897) anche ai cadaveri, Papa Formoso docet. Per non parlare di crociate, caccia alle streghe in cui anche la chiesa si dilettò (3 milioni di persone processate per stregoneria fino al 1756, 40 mila condannate a morte, l’80% donne), stragi (Clemente VII, per esempio, chiamato «il boia di Cesena», al secolo Roberto da Ginevra, aveva represso nel 1377 una rivolta nella città romagnola facendo 4 mila vittime), roghi a mai finire, torture e prigionie.
No, non sono necessarie prove per affermare che Cirillo rientra degnamente all’interno della lista dei carnefici cattolici.
È vero Amenábar ricostruisce laddove la storia tace, compreso Cirillo che legge San Paolo. Ma quanti cattolici sanno davvero che le lettere di San Paolo contengono quel passo (e molti altri dello stesso tenore)? Andiamo ad altro. Tutti, per esempio, credono che l’esperimento della nave risalga a Galilei, ma quanti sanno che invece è di Giordano Bruno (Cena de le ceneri, dialogo terzo)? Quanti sanno di Aristarco di Samo e prima di lui di Eraclide Pontico, contemporaneo di Aristotele (praticamente nato e morto negli stessi anni dello stagirita), che ancor prima ipotizzò il movimento delle Terra e la rivoluzione dei pianeti intorno al sole?
Ben vengano dunque le ricostruzioni, quando servono a stimolare anche soltanto il dubbio e per altri la ricerca.
Io però non ho dubbi sulla ferocia di Cirillo.
E per concludere riporto un passo di una bellissima pagina di Guido De Ruggiero:
«L’impresa religiosa di Giuliano passò nella vita dell’impero come una meteora. Dopo la morte di lui, una violenta reazione distrusse rapidamente tutto ciò che la sua fede aveva per un istante sorretto. Il neo-platonismo subì la stessa sorte della religione pagana con la quale aveva accomunato la propria vita, ed ebbe finanche la sua martire in Ippazia (sic), bella e intellettuale figura di donna, uccisa dal furore popolare suscitato dal vescovo Cirillo. Come scolaro di lei viene ricordato il retore Sinesio, che più tardi, convertito al cristianesimo, divenne vescovo». (Guido De Ruggiero, La filosofia greca, Laterza, Vol. II, Bari 1967, p. 302)

lunedì 24 novembre 2014

La poesia dedicata al Grande filosofo Baruch Spinoza

Il 24 novembre del 1632 nasceva il filosofo BARUCH SPINOZA. Riporto una bellissima poesia che gli dedicò J. L. Borges

                                     

Spinoza
Le diafane mani dell'ebreo
tagliano nella penombra le lenti
muore la sera tra paura e freddo.
(Le sere sono uguali a ogni altra sera ).
Ma le mani e lo spazio di giacinto
che impallidisce al confine del Ghetto
appena esistono per l'uomo quieto
che sta sognando un chiaro labirinto.
Non lo turba la fama, che è riflesso
d'altri sogni nel sogno dello specchio,
né l'amore pudico delle fanciulle.
Libero da metafora e da mito
intaglia un arduo vetro: l'infinito
ritratto di Chi è tutte le Sue stelle.
Jorge Luis Borges, Poesie (1923-1976)

domenica 23 novembre 2014

Le virtù il sociale e la politica....

Una vita sociale sana si trova soltanto, quando nello specchio di ogni anima la comunità intera trova il suo riflesso, e quando nella comunità intera le virtù di ognuno vivono.
R.STEINER

Un testo importante su un particolare percorso di uscita dal corpo...

Un libro serio ed importante, centrato sull'uso del papavero da oppio nel culto misterico eleusino di Demetra/Cerere. Il libro sarà presentato domani 24 NOVEMBRE alle 16.30 al Museo di Storia della Medicina della Sapienza Università di Roma (Viale dellUniversità 34/a).
Un libro serio ed importante, centrato sull'uso del papavero da oppio nel culto misterico eleusino di Demetra/Cerere. Il libro sarà presentato domani 24 NOVEMBRE alle 16.30 al Museo di Storia della Medicina della Sapienza Università di Roma (Viale dellUniversità 34/a).

sabato 22 novembre 2014

Un pittore poco considerato perché fascista

Mostre: Mario Sironi, un genio, un fascista. Da vedere e capire                                


Un goccio di sole nella città degli spettri. A 130 anni dalla nascita. In ritardo. Ma poco importa. Finalmente Roma e l’Italia restituiscono a Mario Sironi, il grande maestro sardo, un riconoscimento e uno spazio adeguato. Al Vittoriano. Ecco allora la grande mostra “Mario Sironi -1885-1961″ — protetta dal Genius loci che dorme nel vicino Palazzo Venezia — dedicata ad uno degli artisti più importanti ma meno compresi e più osteggiati del Novecento italiano. Perché?
di Marco Valle da Destra.it del 20 novembre 2014  destra.it
Sironi era un grande ma, dopo il 1945, divenne un reietto. Nel dopoguerra gli ex fascisti “rivoluzionari” come Guttuso e Napolitano, Bocca e Scalfari, Spadolini e Montanelli — la lista sarebbe lunghissima e imbarazzante… — , non perdonarono all’artista la grandiosità e l’originalità. Impossibile ignorarne l’opera ma come accettare gli esperimenti di “Pittura murale” (con Muzio e Terragni), podromica all’idea progressiva di rivoluzione Fascista? E, poi, le copertine per Gerarchia e la rivista del Popolo d’Italia, oppure la mostra del “Decennale”, i lavori nel Palazzo di Giustizia di Milano e negli altri edifici del potere mussoliniano?
Tutti (o quasi) rinfacciarono al Maestro la fortuna passata e la coerenza nel presente. Tutti gli chiesero d’abiurare. Loro, quasi tutti, lo avevano fatto. Guttuso per primo. Poi gli altri. Lui rifiutò. Con gran rabbia di molti, Mario Sironi rimase — con cocciuttaggine tutta sarda — fascista. Anche dopo piazzale Loreto. Dopo la fine delle illusioni. Ancora una volta perché?
Una risposta la ritroviamo nella biografia dedicata al personaggio (editata nel 2003 da Bollati Boringhieri) da Emily Braun. Nel suo libro la ricercatrice canadese ricorda che il 24 aprile 1945 — quando la RSI crollava e molti “duri e puri” indossavano lestamente divise partigiane o si rifugiavano nelle case dei pochi israeliti risparmiati dall’orrore — l’artista cercò di raggiungere Mussolini a Como «portando in braccio il suo cane, dove poi fu catturato, insieme a altri fascisti fedeli al regime, a Dongo. Quando stavano per essere fucilati, uno dei partigiani, un giovane scultore di nome Andrea Cascella, riconobbe Sironi, che fu subito sottratto alla fila dei prigionieri. Sironi eseguì subito uno schizzò dell’esecuzione”.
Sironi non dimenticò mai quel sangue. Il Maestro, consapevole della sua inattesa fortuna, non si perdonò mai quella salvezza insperata ma non richiesta. Non dimenticò mai, non volle dimenticare, i volti straziati dei suoi camerati fucilati su quella strada verso il lago. Ecco, allora, lo schizzò ricordato dalla Braun. Sopravvissuto, decise di pagare il dazio. Con orgoglio. A testa alta. Come Pound preferì il tempus tacendi. Si estraniò da tutto e da tutti. Sino alla morte nel 1961. Nulla di strano. Sironi non era un Picasso qualunque — un omino geniale ma disposto a tutto pur di sopravvivere (e dipingere e vendere) nella Parigi occupata dai tedeschi — e nemmeno un Cascella qualsiasi, l’ex comunista che negli Ottanta eresse (ben pagato) i funerei monumenti che s’innalzano tutt’oggi nelle ville berlusconiane.
Da qui, una volta di più, l’importanza della retrospettiva che il Vittoriano ha voluto dedicare a questo italiano “inattuale”. Un’occasione per ripercorrere l’avventura umana e la stagione artistica di un sardo cocciuto e geniale, di un personaggio grandioso e scomodo. Certo, negli spazi del monumento umbertino il visitatore meno distratto ritroverà dipinti, bozzetti, riviste ed un carteggio con il mondo del Novecento Italiano e tante altre cose e cosette. Storia dell’arte e frammenti dispersi. Ma vi è di più. Molto di più. Per chi vuole capire il secolo italiano — un tempo terribile e creativo, inzuppato da tensioni incredibili e ipotesi innovative — e scrollarsi di dosso schemi ideologici obsoleti e inutili nostalgie, la rassegna del Vittoriano può rappresentare un momento centrale, un momento unico. Un osservatorio inatteso per intravedere, attraverso il caleidoscopio sironiano, gli ultimi riflessi di una cometa forse troppo ambiziosa…
P.S: un piccolo consiglio. Sarebbe bella cosa se i tanti ragazzi che oggi seguono Casa Pound, FdI o gli altri segmenti della destra dispersa romana (ma non solo romana…) perdessero qualche ora della loro vita per andare al Vittoriano. Per capire Sironi e immergersi nel suo universo popolato da uomini che soffrono e che lavorano, uomini che acquisiscono dignità nell’assolvimento del proprio dovere. Delle figure umili, ma grandiose e possenti nella loro sinteticità. La sua è una pittura da intendere come “eterno presente” in quanto, oltre a rappresentare il Ventesimo secolo, ha toccato con dignità solenne luoghi ed argomenti inesauribili e momenti drammatici che si ripetono all’infinito nel testo di un’umanità in lotta perpetua. Contro la dissoluzione, il kaos. Sironi fu il Fascismo. Quello vero.
La mostra “Mario Sironi, 1885-1961″ è visitabile dal 4 ottobre 2014 all’8 febbraio 2015.
Il catalogo è edito da SKIRA (saggi di Maria Stella Margozzi, Lea Mattarella, Roberto Dulio, Luigi Cavallo e Virginia Baradel).