giovedì 25 febbraio 2010
Le maledizioni
Come le maledizioni dei rabbini provocano la morte dei loro nemici
di Francesco Lamendola - 21/02/2010
Forse non sono in molti a sapere, o a ricordare, che il primo ministro israeliano Ytzhak Rabin, prima di cadere assassinato da un estremista di destra nel 1995, era stato il destinatario di una “pulsa danura” (in aramaico: “frusta di fuoco”), decisa da una corte di rabbini ultraortodossi: vale a dire di una solenne maledizione, scagliata secondo i procedimenti della magia nera e derivante da una nozione presente nella Kabbalah, quella della parola dotata di potere autonomo e infallibile; in questo caso, il potere di uccidere.
Infatti, si ritiene che chiunque venga colpito dalla “pulsa danura” debba morire entro un anno, oppure subire danni gravissimi alla salute, tali da metterlo totalmente e irreversibilmente fuori combattimento. Essa, infatti, non è una maledizione puramente umana: secondo coloro che la utilizzano, le forze che vengono evocate sono gli angeli della distruzione, e il loro scopo è abbattersi su colui che è stato giudicato empio, scatenando su di lui tutte le maledizioni presenti nell’Antico Testamento, e specialmente nel Libro dei Salmi.
Nel caso di Rabin, la sua “colpa” era stata, agli occhi dei rabbini ultraortodossi, quella di aver firmato, sotto gli auspici del presidente Clinton e della diplomazia statunitense, gli storici accordi di Oslo del 20 agosto 1993, con i quali Israele riconosceva, in linea di principio, il diritto dei Palestinesi all’autogoverno nei territori occupati durante la guerra dei Sei Giorni del 1967; accordi in seguito ai quali lui e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Yasser Arafat, avevano ricevuto il Premio Nobel per la Pace.
E forse non sono in molti a sapere, o a ricordare (e la memoria corta sovente non è il frutto della distrazione, ma di un piano minuziosamente predisposto da parte di chi è in grado di esercitare un controllo, diretto o indiretto, sull’informazione televisiva o a mezzo stampa) che il primo ministro israeliano Ariel Sharon, prima di essere colpito da un ictus nel dicembre 2005, e poi, irreversibilmente, da una emorragia cerebrale nel gennaio 2006, era stato a sua volta oggetto di una “pulsa danura” da parte dei rabbini ultraortodossi.
In questo caso, ciò che non gli perdonarono era stato il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza, nell’estate del 2005, e la decisione di rimpatriare, con le buone o con le cattive, gli ottomila coloni israeliani che si erano stabiliti in venticinque villaggi di quel territorio, nel corso dei precedenti trentotto anni; coloni i quali, nati in quel luogo o essendovisi stabiliti da lungo tempo, lo consideravano ormai definitivamente acquisito allo Stato ebraico.
La “pulsa danura” è la forma estrema dell’esclusivismo, dell’intolleranza e del fanatismo zelota del giudaismo; e, se è vero che in tutte le religioni si può trovare una tendenza estremista e potenzialmente violenta nei confronti dei “non credenti”, è altrettanto vero che nel giudaismo, proprio in ragione della rigidezza del suo monoteismo, associata all’orgoglio di considerarsi oggetto di una elezione divina, a preferenza (e a discapito) di tutti gli altri, tali tratti sono più accentuati e, almeno tendenzialmente, più distruttivi.
La storia dei difficili rapporti che hanno caratterizzato, durante la Diaspora, la convivenza tra gli Ebrei e le società nelle quali si erano stabiliti, ha fatto il resto, accrescendo da entrambe le parti la diffidenza, il sospetto e il disprezzo.
Tuttavia, a voler essere spassionati, non si può negare che già nella storia dell’antico Israele esiste una tendenza violentemente razzista e zelatrice, che contraddistingue, ad esempio, la conquista della Palestina e lo sterminio dei Cananei: uomini, donne, bambini, neonati e animali, fino all’ultimo individuo, come ribadisce più volte il Libro di Giosuè.
Tale tendenza era ben nota ai Greci e ai Romani e ve ne sono tracce anche nel Libro dell’Apocalisse, che - come lo definì l’insigne storico Theodor Mommsen - è essenzialmente un documento dell’odio giudaico contro Roma, che trasuda da ogni verso e da ogni riga il compiacimento per l’attesa distruzione della Grande Babilonia e per la salvezza e la gloria che, invece, saranno riservate ai soli figli di Gerusalemme.
Dicevamo della Kabbalah e del Libro dei Salmi.
Per quanto riguarda la Kabbalah, sarà appena il caso di ricordare come la fisica dei quanti abbia confermato certe intuizioni del sapere esoterico, ad esempio il fatto che esiste una stretta correlazione fra il livello energetico delle particelle sub-atomiche e lo stato di benessere o di malessere di un individuo, perché la materia non è che una forma di energia, o meglio: i quanti sono pacchetti di materia/energia o di energia/materia.
I Salmi denominati “imprecatorî” sono particolarmente dieci: 7, 35, 55, 58, 59, 69, 79, 109, 137, 139; ma in quasi tutti non si fa certo fatica a scorgere un fondo di odio implacabile contro gli “empi”, vale a dire i nemici della giustizia e quindi di Jahwé.
Anche se i teologi cristiani, da sempre, si arrampicano sugli specchi per minimizzare questo aspetto, insistendo su altri aspetti quali la misericordia e l’amore divini, resta il fatto che la misericordia e l’amore sono rivolti sempre al giusto o, quanto meno, al peccatore che si pente; mentre contro chi non si ravvede sono scagliate le più atroci maledizioni (con buona pace del motto cristiano: «condanna il peccato, ma non la persona del peccatore»).
Nel Salmo 7, ad esempio, l’autore si scaglia con ira implacabile contro gli empi, invocando da Dio la massima durezza verso costoro (traduzione da «La Bibbia di Gerusalemme», 7, 11-14):
«Sorgi, o Signore, nel tuo sdegno,
levati contro il furore dei nemici,
alzati per il giudizio che hai stabilito. […]
La mia difesa è nel Signore,
egli salva i retti di cuore.
Dio è giudice giusto,,
ogni giorno si accende il suo sdegno..
Non torna forse ad affilare la spada,
a tendere e puntare il suo arco?
Si prepara strumenti di morte,
arroventa le sue frecce.»
A ciò si aggiunga che esistevano ed esistono dei libri segreti, simili a grimori, gelosamente tramandati all’interno di cerchie ristrette, illustranti le tecniche specifiche per utilizzare i Salmi come delle vere e proprie fatture di morte da scagliare contro qualcuno.
Né bisogna pensare che questo atteggiamento rancoroso, implacabile, spietato, nei confronti degli «empi», identificati “tout-court” con i propri nemici (sottintendendo la perfetta giustizia di colui che prega, ovvero che maledice), faccia capolino solo in quei versi dei Salmi in cui lo zelo per Jahwé prende il sopravvento su ogni sentimento di umana compassione.
Al contrario, esso è una costante di tutto l’Antico Testamento; e, se è vero che nell’Antico Testamento non vi è solo questo, ma vi sono anche pagine bellissime, piene di delicatezza e di misericordia, ve ne sono però innumerevoli altre che rivelano una chiusura tetragona verso tutto ciò che è considerato empio, nonché una volontà di distruggere materialmente e moralmente non solo le opere del malvagio, ma la persona stessa di colui che è giudicato tale.
Fra i tanti, possiamo ricordare l’episodio in cui il profeta Elia, dopo aver vinto la prova celeste davanti ai quattrocentocinquanta sacerdoti di Baal sul Monte Carmelo, si fa condurre costoro e li scanna di sua mano, dal primo all’ultimo, sulle rive del torrente Cison (1 Re, 40).
Tagliare la gola a quattrocentocinquanta uomini, da solo, guardandoli negli occhi prima di dar loro la morte, non è cosa da poco, nemmeno per gli standard dell’antichità; in confronto, i carnefici nazisti delle Fosse Ardeatine, che “lavoravano” con le armi automatiche, agivano in gruppo dietro ordini superiori e si facevano coraggio con generose bevute di alcolici, appaiono meno che dei timidi e inesperti dilettanti.
Questi profeti dell’antico Israele non conoscevano la pietà, ma solo la legge del taglione, e l’applicavano con la massima durezza; salvo, poi, levare a Jahwé altissimi lamenti e atroci invocazioni di vendetta, allorché, nelle continue contese con i popoli vicini e con i loro culti religiosi, si trovavano ad avere la peggio.
La conclusione di tutto ciò ci riconduce, inevitabilmente, all’importanza della consapevolezza spirituale e alla stretta relazione esistente fra la nostra chiarificazione interiore ed il nostro stato di benessere e di salute generale, sia fisica che psichica.
Come un elettrone che “salta” su un livello energetico superiore, anche noi possiamo decidere di compiere il “salto” ad un livello di consapevolezza superiore, il che farà vibrare automaticamente con maggiore frequenza il nostro campo energetico. L’amore produce alte frequenze, l’odio produce basse frequenze.
Nell’epoca in cui stiamo vivendo, particolarmente ricca di forti chiaroscuri, poderose forze energetiche si stanno risvegliando, sia di segno positivo che di segno negativo. Aumentano le pressioni di coloro che hanno scelto la Via della Mano Sinistra e si sono votati alla causa del Male; ma aumentano anche, simultaneamente, le influenze positive di quanti hanno imboccato la Via della Mano Destra e si prodigano per diffondere nel mondo la consapevolezza ed il suo inseparabile compagno, l’amore.
L’odio, la vendicatività e la volontà deliberata di nuocere che animano i rabbini maledicenti sono solo una delle numerose espressioni delle forze malefiche che sembrano scatenate alla conquista del mondo e che si servono di cento e cento strumenti, controllano e manipolano l’informazione e la cultura, si associano in perverse società segrete e praticano le forme più abominevoli di magia nera, allo scopo preciso di preparare l’avvento di una società mondiale dominata dalla menzogna, dal ricatto e dalla paura; una società in cui vengano incoraggiati e scatenati i peggiori istinti dell’egoismo, della sopraffazione, del sadismo e in cui la bontà, l’amore, la capacità di perdonare siano ridicolizzate, bandite e cancellate.
Al tempo stesso, però, si stanno risvegliando possenti flussi di energia positiva, sostenuti e incoraggiati dai Maestri spirituali i quali, mescolati in mezzo a noi e indossanti i panni delle persone comuni, pregano intensamente e insegnano tutto ciò che può aiutare gli esseri umani a innalzarsi verso le regioni superiori della Mente, ove l’anima si purifica e diventa assetata e desiderosa solamente di verità, di bontà e di bellezza.
Dobbiamo renderci conto che non siamo isolati e abbandonati a noi stessi; che ciascuno di noi può farsi tramite di poderose forse benefiche, che non dipendono da noi, ma che noi possiamo accogliere, assecondare, coltivare sia con la meditazione, sia con la preghiera, sia con uno stile di vita sobrio, essenziale, rivolto alla pienezza e alla beatitudine dell’Essere.
Potenti sono le forze malvagie, ma ancora più potenti sono quelle benevole; anzi, la lotta non si svolge su un piano di parità, come immaginavano gli antichi Manichei, ma le secondo sono infinitamente più forti e destinate a uscire sicuramente vittoriose.
Quel che resta da vedere è da che parte noi vogliamo schierarci.
L’attrattiva e la seduzione delle forze del male deriva dalla facilità apparente con cui esse sono in grado di ricompensare quanti accettano di mettersi al loro servizio, nonché dalla rapidità con cui sembra a costoro di raggiungere, grazie ad esse, i traguardi agognati del potere, del denaro, del piacere sessuale.
I doni inestimabili che le forze del bene elargiscono ai propri seguaci sono meno spettacolari, almeno esteriormente, e, in genere, meno rapidi: perché, quando ci si lascia pervadere dalla luce dell’Essere, è tutta l’anima che vive una radicale esperienza di trasformazione e rigenerazione, al termine della quale non sarà più la stessa, per divenire a sua volta una scintilla di luce ineffabile.
Fonte: Arianna Editrice - http://www.ariannaeditrice.it/artico...articolo=30755
venerdì 19 febbraio 2010
Perchè ti hanno ucciso Claretta?
Perché tanta cattiveria? Che colpe potevi avere, Claretta?
Come la Maddalena ti hanno ucciso, perché hai amato con tutta te stessa.
Uccisa più volte dal demone collettivo che pretende il sangue la la morte degli innocenti come tributo insostituibile.
Un sacrificio consumato lentamente, uccisa e sacrificata più volte sull'ara dell'amore.
Non conoscevi l'odio, ma ti hanno sacrificata per il nulla; questa è la loro più grave colpa.
Sei la vittima di quell'orgia collettiva che cercava il sangue, che perseguiva il dolore, il male, un omicidio rituale!
Nonostante le sofferenze che ha subito prima di morire, la tua bellezza è incontaminata. Lo testimonia l'immagine riportata sopra. Parecchi misteri sono legati a questa violenta vicenda. Questa morte ha moltissimi lati oscuri, conditi da intrecci dei vari servizi segreti. Cosa effettivamente è successo durante la II Guerra Mondiale. Pensiamo a quando Winston Churchill cercava di coinvolgere Aleister Crowley affinché entrasse nei servizi segreti inglesi, a fianco della grande collaboratrice: Dion Fortune. Ma Aleister Crowley partegiava per i nazisti e da essi era pagato.
giovedì 11 febbraio 2010
Giardini e broli veneti 1
Anche nel mondo romano assistiamo ad una evoluzione del giardino inteso come orto con funzione prevalentemente produttiva, ma che già abbozza anche una funzione estetica e sensoriale dato che era compreso in questi spazi concepiti dentro alla domus, nelle aree scoperte e di solito poste nella parte posteriore della casa. Spazi verdi che si trasformano in “giardini ameni”, i viridaria, luoghi concepiti per il corpo e per lo spirito, costituiti da un equilibrato insieme di specie arboree e da fiore coltivate a fini decorativi, simbolici e contemplativi, abbelliti spesso da grotte, corsi d’acqua, fontane, statue mitologiche che formavano precisi percorsi filosofici.
La storia della Villa Veneta nasce a Roma. E’ infatti proprio il mondo romano che genera la “cultura di villa”, la cultura di abitare in campagna, che andrà poi a dissolversi con la caduta dell'Impero Romano.
L’’Oriente concepì questi luoghi magici creati per la mente e per lo spirito, il mondo romano fu pronto ad importarli assieme alle divinità sublimi e terribili, così approdò nella romanità anche la sapienza greca, i miti, come i paesaggi fuori dal tempo che solo le raffinate culture legate all’acqua sapevano realizzare, e il Mediterraneo fu il laboratorio e il crogiolo dove approdarono e furono elaborati i saperi più diversi, le conoscenze più profonde, le teologie tese all’immortalità. I giardini come i broli sostituirono i salotti culturali, i templi dove adorare le nuove divinità frutto di sincretismi elaborati, pensiamo ai Giardini Boboli o al Girdino Giusti a Verona luoghi magici dove le rappresentazioni teatrali si trasformavano in riti e liturgie collettive dove lo spettatore divenivail credente e i guitti i sacerdoti della nuova religione legata indissolubilmente alla potenza della madre natura.
L’acqua fu il ponte che uni indissolubilmente Venezia all’Oriente, per certi versi il potere navale della Roma Imperiale che permane, sotto mentite spoglie, per tutto il medioevo.
l'esperienza prenda forma e la prenderà nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, con la villa che Giuliano da Sangallo progettò per I Medici a Poggio a Caiano, alla metà degli anni Ottanta del Quattrocento.
"Dopo l'esperienza fiorentina è nella Roma dei primi decenni del Cinquecento che la volontà di far rinascere la villa antica ritrova le forme pienamente desunte dall’antica architettura del passato, con Villa Madama:il Rinascimento è proteso alla rivisitazione della sapienza del passato legato alla sapienza e alla religiosità filosofica greca. Con la bonifica dei territori paludosi del Veneto, inizia la costruzione delle Ville in campagna per un maggior controllo sull'operazione di bonifica". Così nuove ville sulla base delle esperienze romane, vengono realizzate nel Veneto quasi a preparare l’opera di Palladio: anche il Michele Sanmicheli con la villa Soranza, e Jacopo Sansovino con villa Garonzi di Pontecasale e Gianmaria Falconetto con Villa dei Vescovi portano il nuovo modo di concepire la prestigiosa residenza agricola che apre alla nuova economia focalizzata nel contensto di una agricoltura innovativa che produce ricchezza attraverso le nuove copiose culture cerealicole legate al riso e al governo delle acque. Sempre la dimora del nuovo padrone prevede e attua un giardino brolo dove il Signore trova refrigerio per lo spirito e alimenti per il corpo.
Fino ad arrivare a Palladio, il giovane che da scalpellinaio divenne architetto, fu in grado di mettere in pratica la brillante intuizione di Alberti: è in campagna che l’architetto può sperimentare al meglio e realizzare la buona architettura, poiché là non è vincolato a strutture preesistenti né circondato da strade e case vicine.
Dimore legate indissolubilmente alla religiosità pagana che il popolo veneto ha inseguito da sempre, e ha mantenuto indissolubilmente vive nel cuore anche se la religione monoteista imposta da Roma ha cercato di dominare un popolo di grandi bestemmiatori che portano la grazia nell’istinto
Fra le terre pedemontane dove affiorano polle d’acqua sorgiva purissima o acque termali segni della presenza di divinità legate alla terra, Quelle ville erette con tanta grazia sono dei partenoni, dei templi, delle case per accogliere e venerare gli dei del luogo per ingraziarli di questa terra e dei abbondanti frutti che essa dispensa da secoli nel segno della fecondità e dell’abbondanza.
La Rocca Pisana edificio di incomparabile bellezza ideato dallo Scamozzi posta sull’apice di un colle domina dall’alto in un grande respiro la cittadina di Lonigo posta ai piedi dei Berici. Costruita sopra i resti di un tempio dedicato a Zeus può essere ancora considerato una casa degli dei. Era stata concepita come casina estiva della Famiglia Pisani costruita nel 1574.
Venezia uno -stato anfibio- che alla scoperta delle Americhe è già incamminato verso la terraferma veneta e lombarda. La sconfitta di Agnadello, del 1509 spinge la Serenissima non più ad investire sul mare, ma bensì nell’agricoltura, nella gestione e nel governo delle acque fluviali e di resorgiva e la razionalizzazione delle paludi:dove la coltura del riso riuscirà a produrre ricchezza e a debellare l’atavica fame. La -venezianità- si fondò anche in terra ferma sull’organizzazione delle acque, la bonifica delle paludi attuata sia realizzando nuovi canali di sgrondo e di irrigazione.
Opere che determinarono, con le nuove ville volute dalla nobiltà veneziana, il paesaggio che perdurerà per tutta la prima metà del Novecento quando la città -uscirà- investendo indiscriminatamente tutto il territorio per toccare il degrado totale negli anni ottanta con l’inondazione di case e capannoni, in una informe -megalopoli padana-.
Nonostante tutto il territorio riesce ancora a salvare l’eredità del suo passato, la memoria dell’armonia e della bellezza lasciataci dalla Civiltà veneziana.
E’ la villa veneta l’elemento fondante che riesce a mantenere anche una validità economico agricola per tutto l’Ottocento, costituendo anche una identità sociale, culturale, storica e paesaggistica.
L’assetto polifunzionale della villa veneta prevede che essa sia dotata di tutta una serie di edifici, come barchesse, magazzini, stalle, connessi con le esigenze agricole del fondo. Soprattutto nel Settecento, questo aspetto pratico della villa perde di significato e la residenza di campagna finisce per diventare esclusivamente il luogo di delizie della villeggiatura
Il nucleo centrale della Villa è la dimora patrizia del signore che controlla, coordina e organizza il lavoro e il giardino non mancherà mai, luogo legato ai ludici ozi del signore concepito anche per intrattenere e meravigliare gli ospiti, quasi sempre immerso nel contesto bucolico che infonde anche al misero contadino una possibile speranza per il suo lacerante e faticosissimo lavoro.
La specificità del progetto palladiano è di riunire gli annessi agricoli e la casa padronale in un’unica composizione in modo da creare un effetto più imponente e unitario, con una composizione architettonica di grande efficacia sia funzionale che visiva, ispirata alle forme dell’architettura antica. La lunga storia della villa veneta dopo Palladio è ricca e complessa a partire dall’allievo di Palladio, Vincenzo Scamozzi, sino ad arrivare a quell’innovativo tradizionalista (o innovatore tradizionalista) veneto che fu Carlo Scarpa.
Potremo anche parlare di un giardino veneto, con un suo stile “sobrio” ma sempre legato all’armonia e come luogo di serenità dove come osservava Ovidio: la bellezza deve sempre coniugarsi all’utilità e così il giardino veneto estende questi principi anche alla villa di città dove anche se in aree più ristrette non mancherà l’area dedita alle piante da frutta e l’orto per produrre la verdura necessaria alla casa.
A delimitare quasi sempre la forma quadrangolare sono quasi sempre le siepi che armoniosamente si integrano con l’ambiente intorno. Quasi sempre si sfruttano pendii o si creano artificialmente e cosi le acque possono scorrere leggere in piccoli rivi alimentando i zampilli delle fontane o mantenendo il ricambio delle peschiere.
Forse il prototipo della villa veneta è la casa del poeta Francesco Petrarca ad Arquà, collocata nella lussureggiante natura dei colli vulcanici Euganei, chi visita questi luoghi rimane sorpreso per la stretta somiglianza che questo paese possiede alla natura e ai dolci borghi toscani Con Francesco Petrarca, che abbandona Padova per ritirarsi in campagna, fa rinascere la "cultura di villa" come ideale letterario". Il Poeta non a caso scelse questo paese, per la forte similitudine ai luoghi della sua infanzia. Secondo l’uso medioevale il giardino antistante l’abitazione era coltivato a fiori e piante aromatiche. Sul retro vi era la corte e l’orto delimitati da mura e fuori da esse vi era un brolo di sette campi con vigne, piante da frutto e ulivi per il fabbisogno familiare.
Nel contesto della villa veneta si tende a legare ed a integrare l’architettura con il giardino e il paesaggio. L’architettura della villa trova nel giardino il collegamento con i campi coltivati creando un preciso paesaggio quasi a comporre un percorso che integra e riprende un nuovo ordine.
Per chiarezza bisogna spiegare l’etimo
di brolo e ricollocare questa parola un tempo diffusa in tutta l’Italia settentrionale e in Toscana che oggi è ormai in disuso, anche se rimane come toponimo di molte località.
Come termine dialettale veneto è ancora in uso e designa il piccolo frutteto composto da tante varietà di piante da frutta situato nei pressi dell’abitazione dove si è soliti consociare la coltivazione di verdure per uso e consumo della famiglia. Un modo intelligente di usare il giardino decidendo di usare piante che oltre a soddisfare sotto un punto di vista ambientale possano dare anche dei succulenti frutti che scalarmente possano maturare e così permetterci di avere dalla primavera all’estate la possibilità di consumarli o di poterne farne marmellate con i frutti in eccesso. Passo ad accennare le più comuni piante coltivate nei broli veneti.
Giardini e broli 2
Le piante principi sono i meli e le pere con tutti quella miriade di varietà, scegliendo quelle più rustiche e più resistenti alle malattie anche se piccole e magari non belle. Le pesche da scegliere frale migliaia di varietà si consigliano quelle antiche e ancora il cotogno indispensabile per legare le marmellate e fondamentale per poter produrre una classica mostarda di sapore antic. L’olivo principe del mediterraneo che da secoli occupa le nostre colline venete esposte al sole, è una pianta sempreverde che dona anche nell’inverno un segno di vitalità nonostante che l’insieme delle piante siano spogliate dalle foglie. Il nespolo che non mancava mai e che purtroppo oggi non è più consumato ne commercializzato. Il melograno pianta rustica e forte che dona dei frutti ricchissimi di ferro prontamente disponibile per le persone che portano delle gravi carenze. Il giggiuìolo con le sue giugiole che alcuni vivaisti stanno riproducendo anchesso rustico e frugula non abbisogna di grandi cure. L’azzeruolo bello davedere per il suo folto e particolare fogliame e dai bei frutti rossi. Non dobbiamo dimenticare i Kachi il fico, ma potremo anche inserire frutti “nuovi” come il Kiwi succoso e ricchissimo di vitamine inpalcato come la vite che non dovrà mai mancare anche se siamo astemi potremo inserire le numerose varietà da tavola come o piantare gli ibridi produttori diretti che non abbisognano di trattamenti contro la peronospora.
Pensando alla frutta secca dovremo scegliere l’arbusto del nocciolo, come il mandorlo con i suoi bei fiori, non dimenticando la noce anche se ha qualche parassita noioso come il verme, ma la maestosità della pianta adulta ci agevola la scelta. Come ultima non può mancare la bella e gustosa ciliegia che un tempo le giovani ragazze usavano per adornarsi i capelli.
I piccoli frutti come le more e i lamponi non potevano mancare
.
DUE ESEMPI DI GIARDINI: L’URBANO E IL RURALE.
Nel Veneto di grandi ville con annesso giardino ne conosciamo parecchie, solo per citarle tutte credo sarebbero necessari numerosi libri, così il nostro interesse si focalizzerà su due giardini specifici. Prenderemo in esame una villa urbana ubicata ai piedi di Castel San Pietro, posta nel centro di Verona: Villa Francescati. L’altro è il vasto giardino di villa Valsanzibio, nel comune di Battaglia Terme in provincia di Padova.
Parte della villa di Valsanzibio
Villa Barbarigo di Valsanzibio, incastonata su piccole colline, ha mantenuto intatto fino ad ora il suo fascino e la sua bellezza.
Valsanzibio, sui colli Euganei, una villa ricca di simboli che propone al visitatore attento e preparato una serie di percorsi legati a tematiche alchemiche che con molta probabilità conducono ai segreti dei Beneandanti. Il percorso del giardino si conclude proprio nelle prossimità della villa dove si erge un enorme fungo di marmo, in origine colorato: l’amanita muscaria.
Un vero e proprio viaggio iniziatico che conduce l’uomo alla conoscenza, con una serie di tappe che segnano il percorso e lo caricano di significati attraverso simboli arcaici in parte di difficile interpretazione.
I momenti significativi di questo viaggio esoterico sono rappresentati dall’Isola dei Conigli, dalla Statua del Tempo, dallo splendido labirinto in bosso (tra i pochi ancora in buone condizioni), dalla Fontana dell’Iride ed altri ancora sino ad arrivare al fungo di marmo. Questo strano giardino è un cammino dello spirito, e Zolla dal suo libro :- Le Verità Nascoste Esposte in Evidenza-, lo sottolinea indagando con la solita impertinente e sagace intelligenza insensibile al potere.
Così scrive Sulla traccia degli enigmi veneti Giovanna dal Bon riferendosi proprio agli studi del grande anglista e storico delle religioni:
--Il gran parco che circonda la villa si rivela un pullulio di enigmi noti a quella porzione
eletta del patriziato veneziano iniziata ai saperi “uranici” di riflesso mediceo e della
dottrina di Marsilio Ficino……
……..La conca in cui si specchia il padiglione forma un bagno di Diana, motivo frequente
nei giardini seicenteschi, per i neoplatonici veneziani simbolo della vita
contemplativa.
Azzarda decifrazioni misteriche, Zolla, scovando continui rimbalzi tra i testi di Ficino
e bassorilievi, statue raffiguranti venti, fontane, nicchie.
Sprofonda nella “lettura” degli ultimi labirinti sopravvissuti nel Veneto,
quello di Villa Barbarigo e il dedalo iniziatico di Villa Pisani a Stra rievocato da
D’Annunzio nel Fuoco:
“sta forse a significare che la sola conoscenza
senza l’estasi è un cammino tormentoso”. Secondo questa interpretazione,
i labirinti sarebbero attestati incontrovertibili del contatto delle élite veneziane con
confraternite misteriche come quelle locali dei “benandanti”, contadini
dediti alla trance sciamanica avvicinabili ai rituali eurasiatici.
Dopo la primavera del 1575 con l’Inquisizione di Aquileia queste e altre dottrine
sincretiste vennero stanate e cancellate in tutto il territorio dai tribunali ecclesiastici….>>
Il percorso finisce proprio su quel fungo che era in origine l’amanita muscaria un veicolo di trascendenza mistica per i salvatori delle biade che lo inghiottivano per volare o meglio per uscire dal corpo.
Attraverso decifrazione di simboli, analisi etimologiche, studi linguistici e indagini filologiche, John Allegro giunse alla conclusione che le origini del Cristianesimo (e anche dello stesso Giudaismo) siano da ricercare nei culti preistorici della fecondità del vicino Oriente antico, strettamente legati alla sessualità e all'utilizzo di sostanze psicotrope. Quale luogo più indicato, di un meraviglioso giardino, per ricordare con una “statua” il fungo dell’estasi.
Al fine di poter chiarire in poche righe l’importanza di questo vegetale che per secoli fu usato anche dai Benenandanti, ma anche da sette eretiche guidate da uomini di grande potere come Antonio Barbarigo, procuratore di San Marco colui che concepì e realizzò il giardino esoterico di Valsanzio. Riporto un piccolo brano di
John Allegro,dal suo saggio "Il fungo sacro e la croce"- Cesco Ciapanna Editore - 1970- pag. 69
<Il notissimo gioco di parole in matteo 16:18: "tu sei Pietro (Petros) e sopra questa pietra (petra) edifichierò la mia chiesa..." può assumere oggi una ben maggiore rilevanza per il culto di un semplice gioco sul titolo di Pietro-Cefa e la parola aramaica cheindica pietra, Kepha. Il vero interesse di tutto il brano sta nel gioco di parole sul nome del fungo sacro che "Pietro" rappresenta. Il conferimento di autorità: "io ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto e tutto ciò che sarà sciolto sulla terra sarà sciolto dei cieli" (Matteo, 16:19) ha le sue basi verbali in un importante nome che i Sumeri davano al fungo: MASh-BA(LA)G-ANTA-TAB-BA-RI, letto come "Tu sei l'arbitro (quello che permette, autorizza) del regno".
Grazie ad un gioco su tre o quattro parole aramaiche estratte dal titolo sumerico. Si tratta probabilmente, come per quasi tutte le direttive e omelie, della storia apparente, di una cosa che non ha nessun significato reale. Meno che mai si può pensare che i membri del culto interpretassero quel brano nel senso che uno di loro avrebbe assunto su di sé l'autorità spirituale indicata dall'interpretazione superficiale del testo. Soltanto Dio ha la facoltà di "legare" e "sciogliere", per gli adoratori del sacro fungo, la deità si trova in questo ed offriva ai suoi servi la "chiave" per una nuova e meravigliosa esperienza mistica. Era questa "rinascita", come veniva chimata, che rimeteva i debiti del passato e offriva la premessa di un futuro libero dal "peccato" culturale che impediva la comunicazione diretta dell'iniziato con Dio."
Giardino di Villa Francescati a Verona un esempio di giardino urbano (come giardino Giusti) esempio di raffinato giardino ricco di piante esotiche, rare e secolari
Il giardino di Villa Francescati
Ai piedi della parte orientale del colle di San Pietro nella vicinanza di orti privati, sorge una villa con un annesso giardino che crea in quel particolare luogo un’oasi per il corpo e la mente. Il giardino oltre ad avere piante secolari e di grande importanza botanica, possiede parecchie grotte scavate dentro il colle con molta probabilità frutto dell’estrazione della pietra galina ( o gialina) che veniva largamente usata nel passato come base per la costruzione degli edifici. Fra queste grotte ne risalta una in particolare per la grandezza e la fattura estremamente raffinata: la grotta dove l’entrata è costituita dalla bocca di un grande mascherone, una faccia di pietra con una espressione terribile, alla maniera delle antefisse etrusche che probabilmente doveva anch’esso assolvere anche ad una funzione apotropaica. La grotta-mascherone è sovrastata da un terrazzo- belvedere riparato da balaustra, dove era in uso posizionare i musici affinché allietassero gli invitati nelle feste che l’importante famiglia solevano dare nel giardino. Questo luogo, ci fa sapere lo studioso Umberto Grancelli nel suo “Piano di fondazione di Verona romana”, era in origine un tempio dedicato al sole ( o ad Apollo). Chi si avvicina alla grotta può effettivamente notare che la sua entrata è stata trasformata, come parte della grotta è stata nel tempo manomessa, oggi destinata a ripostiglio, ma rimane nel complesso il rigore costruttivo: sembra di entrare in un tempio. Un tempio posto nelle viscere di quel colle che ha dato origine alla città di Verona. In fondo alla raffinatà cavità si vede una grande nicchia dove, sempre secondo il Grancelli, in epoca pre-cristiana si trovava una statua dedicata al dio sole. Il giardino è formalmente ripartito su più terrazzamenti con scalinate per il superamento dei pendii. Le vecchie limonaie, due piccole serre con vetrate, sono oggi adibite a lavanderia per l’ostello e a zona ristoro con distributore automatico di bibite e caffè.
Il giardino ed in parte la villa incastonati in un luogo unico ha subito numerosi rifacimenti ma tuttora rimangono inalterati il fascino e la bellezza di entrambi.
Pensando alla frutta secca dovremo scegliere l’arbusto del nocciolo, come il mandorlo con i suoi bei fiori, non dimenticando la noce anche se ha qualche parassita noioso come il verme, ma la maestosità della pianta adulta ci agevola la scelta. Come ultima non può mancare la bella e gustosa ciliegia che un tempo le giovani ragazze usavano per adornarsi i capelli.
I piccoli frutti come le more e i lamponi non potevano mancare
.
DUE ESEMPI DI GIARDINI: L’URBANO E IL RURALE.
Nel Veneto di grandi ville con annesso giardino ne conosciamo parecchie, solo per citarle tutte credo sarebbero necessari numerosi libri, così il nostro interesse si focalizzerà su due giardini specifici. Prenderemo in esame una villa urbana ubicata ai piedi di Castel San Pietro, posta nel centro di Verona: Villa Francescati. L’altro è il vasto giardino di villa Valsanzibio, nel comune di Battaglia Terme in provincia di Padova.
Parte della villa di Valsanzibio
Villa Barbarigo di Valsanzibio, incastonata su piccole colline, ha mantenuto intatto fino ad ora il suo fascino e la sua bellezza.
Valsanzibio, sui colli Euganei, una villa ricca di simboli che propone al visitatore attento e preparato una serie di percorsi legati a tematiche alchemiche che con molta probabilità conducono ai segreti dei Beneandanti. Il percorso del giardino si conclude proprio nelle prossimità della villa dove si erge un enorme fungo di marmo, in origine colorato: l’amanita muscaria.
Un vero e proprio viaggio iniziatico che conduce l’uomo alla conoscenza, con una serie di tappe che segnano il percorso e lo caricano di significati attraverso simboli arcaici in parte di difficile interpretazione.
I momenti significativi di questo viaggio esoterico sono rappresentati dall’Isola dei Conigli, dalla Statua del Tempo, dallo splendido labirinto in bosso (tra i pochi ancora in buone condizioni), dalla Fontana dell’Iride ed altri ancora sino ad arrivare al fungo di marmo. Questo strano giardino è un cammino dello spirito, e Zolla dal suo libro :- Le Verità Nascoste Esposte in Evidenza-, lo sottolinea indagando con la solita impertinente e sagace intelligenza insensibile al potere.
Così scrive Sulla traccia degli enigmi veneti Giovanna dal Bon riferendosi proprio agli studi del grande anglista e storico delle religioni:
--Il gran parco che circonda la villa si rivela un pullulio di enigmi noti a quella porzione
eletta del patriziato veneziano iniziata ai saperi “uranici” di riflesso mediceo e della
dottrina di Marsilio Ficino……
……..La conca in cui si specchia il padiglione forma un bagno di Diana, motivo frequente
nei giardini seicenteschi, per i neoplatonici veneziani simbolo della vita
contemplativa.
Azzarda decifrazioni misteriche, Zolla, scovando continui rimbalzi tra i testi di Ficino
e bassorilievi, statue raffiguranti venti, fontane, nicchie.
Sprofonda nella “lettura” degli ultimi labirinti sopravvissuti nel Veneto,
quello di Villa Barbarigo e il dedalo iniziatico di Villa Pisani a Stra rievocato da
D’Annunzio nel Fuoco:
“sta forse a significare che la sola conoscenza
senza l’estasi è un cammino tormentoso”. Secondo questa interpretazione,
i labirinti sarebbero attestati incontrovertibili del contatto delle élite veneziane con
confraternite misteriche come quelle locali dei “benandanti”, contadini
dediti alla trance sciamanica avvicinabili ai rituali eurasiatici.
Dopo la primavera del 1575 con l’Inquisizione di Aquileia queste e altre dottrine
sincretiste vennero stanate e cancellate in tutto il territorio dai tribunali ecclesiastici….>>
Il percorso finisce proprio su quel fungo che era in origine l’amanita muscaria un veicolo di trascendenza mistica per i salvatori delle biade che lo inghiottivano per volare o meglio per uscire dal corpo.
Attraverso decifrazione di simboli, analisi etimologiche, studi linguistici e indagini filologiche, John Allegro giunse alla conclusione che le origini del Cristianesimo (e anche dello stesso Giudaismo) siano da ricercare nei culti preistorici della fecondità del vicino Oriente antico, strettamente legati alla sessualità e all'utilizzo di sostanze psicotrope. Quale luogo più indicato, di un meraviglioso giardino, per ricordare con una “statua” il fungo dell’estasi.
Al fine di poter chiarire in poche righe l’importanza di questo vegetale che per secoli fu usato anche dai Benenandanti, ma anche da sette eretiche guidate da uomini di grande potere come Antonio Barbarigo, procuratore di San Marco colui che concepì e realizzò il giardino esoterico di Valsanzio. Riporto un piccolo brano di
John Allegro,dal suo saggio "Il fungo sacro e la croce"- Cesco Ciapanna Editore - 1970- pag. 69
<
Grazie ad un gioco su tre o quattro parole aramaiche estratte dal titolo sumerico. Si tratta probabilmente, come per quasi tutte le direttive e omelie, della storia apparente, di una cosa che non ha nessun significato reale. Meno che mai si può pensare che i membri del culto interpretassero quel brano nel senso che uno di loro avrebbe assunto su di sé l'autorità spirituale indicata dall'interpretazione superficiale del testo. Soltanto Dio ha la facoltà di "legare" e "sciogliere", per gli adoratori del sacro fungo, la deità si trova in questo ed offriva ai suoi servi la "chiave" per una nuova e meravigliosa esperienza mistica. Era questa "rinascita", come veniva chimata, che rimeteva i debiti del passato e offriva la premessa di un futuro libero dal "peccato" culturale che impediva la comunicazione diretta dell'iniziato con Dio."
Giardino di Villa Francescati a Verona un esempio di giardino urbano (come giardino Giusti) esempio di raffinato giardino ricco di piante esotiche, rare e secolari
Il giardino di Villa Francescati
Ai piedi della parte orientale del colle di San Pietro nella vicinanza di orti privati, sorge una villa con un annesso giardino che crea in quel particolare luogo un’oasi per il corpo e la mente. Il giardino oltre ad avere piante secolari e di grande importanza botanica, possiede parecchie grotte scavate dentro il colle con molta probabilità frutto dell’estrazione della pietra galina ( o gialina) che veniva largamente usata nel passato come base per la costruzione degli edifici. Fra queste grotte ne risalta una in particolare per la grandezza e la fattura estremamente raffinata: la grotta dove l’entrata è costituita dalla bocca di un grande mascherone, una faccia di pietra con una espressione terribile, alla maniera delle antefisse etrusche che probabilmente doveva anch’esso assolvere anche ad una funzione apotropaica. La grotta-mascherone è sovrastata da un terrazzo- belvedere riparato da balaustra, dove era in uso posizionare i musici affinché allietassero gli invitati nelle feste che l’importante famiglia solevano dare nel giardino. Questo luogo, ci fa sapere lo studioso Umberto Grancelli nel suo “Piano di fondazione di Verona romana”, era in origine un tempio dedicato al sole ( o ad Apollo). Chi si avvicina alla grotta può effettivamente notare che la sua entrata è stata trasformata, come parte della grotta è stata nel tempo manomessa, oggi destinata a ripostiglio, ma rimane nel complesso il rigore costruttivo: sembra di entrare in un tempio. Un tempio posto nelle viscere di quel colle che ha dato origine alla città di Verona. In fondo alla raffinatà cavità si vede una grande nicchia dove, sempre secondo il Grancelli, in epoca pre-cristiana si trovava una statua dedicata al dio sole. Il giardino è formalmente ripartito su più terrazzamenti con scalinate per il superamento dei pendii. Le vecchie limonaie, due piccole serre con vetrate, sono oggi adibite a lavanderia per l’ostello e a zona ristoro con distributore automatico di bibite e caffè.
Il giardino ed in parte la villa incastonati in un luogo unico ha subito numerosi rifacimenti ma tuttora rimangono inalterati il fascino e la bellezza di entrambi.
giovedì 4 febbraio 2010
I misteri della finanza del dopoguerra e la tomba dell'eretica
Il risveglio del sublime dagli inferi della finanza
La finanza Italiana è pregna di esoterismo del più macabro.
Persone come Mattioli, Cuccia, Sindona, Calvi hanno gestito per anni e anni l'economia Italiana. Persone legate ad ambienti cattolici e allo stesso tempo massonici che agiscono nell'occulto condizionando le vite di un popolo e di una nazione. Forse possono essere mossi anche da intenti positivi, ma questi atteggiamenti come li possiamo spiegare?
Quel che colpisce è che Raffaele Mattioli (il grande banchiere della Comit) abbia scelto come sua tomba il sepolcro sito nell'Abazzia di Chiaravalle vicino a Milano, che aveva occupato per nove anni circa l'eretica Guglielmina che fu condannata al rogo.
Questa vicenda inizia nel 1300, quando l’inquisitore Guido da Cocconato «successore di S. Pietro Martire» aprì un processo contro i guglielmiti e mandò al rogo il Saramita, Maifreda assieme al cadavere dissotterrato di Guglielmina:
Ogni venerdì 27 luglio all’abbazia di Chiaravalle per la messa rigorosamente in latino, in ricordo di (Don)Raffaele Mattioli si ritrovavano i grandi Banchieri italiani quasi a officiare una liturgia MassonicoCristiana.
davanti alla cappella di Guglielmina si trova una tomba abbastanza recente: è quella di Raffaele Mattioli, il banchiere, amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana, morto nel 1973, che aveva chiesto ed ottenuto di essere sepolto proprio davanti a questa cappella.
SI SONO APERTE LE PORTE DEll'INFERNO
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