venerdì 29 aprile 2016

Trascendere la quotidianità

« Almeno due volte al giorno ognuno di noi ha una esperienza metafisica: al momento del risveglio e quando si assopisce. L’esperienza metafisica è il momento di comunione col tutto, quando l’individuo dimentica la propria biografia, le illusioni della storia, della propria stessa identità, della propria decadenza e partecipa del respiro universale. »
Elémire Zolla

mercoledì 27 aprile 2016

L'ordine nascosto

"In ogni caos c'è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto." C.G.JUNG

mercoledì 20 aprile 2016

Al di la del pensiero prammatico......





« Dove c’è Scrittura, c’è una pluralità di significati. E il motivo è chiaro: la conoscenza della Scrittura nel contesto cristiano è sovrarazionale, un’illuminazione della mente mediante la grazia. Non può essere afferrata sul piano della ragione, ma soltanto su quello più alto dell’intuizione noetica. […] Il tentativo di ridurre i sacri testi a un senso solo produce sempre una sua falsificazione e lo stesso vale, propriamente parlando, per le traduzioni dalle lingue sacre originali, a quelle moderne, aventi struttura analitica e associativa. »
Tratto da 'Nel mondo delle Icone. Dall’India a Bisanzio' di J. Lindsay Opie
Palazzo Barberini Roma scalone elicoidale del Borromini

martedì 19 aprile 2016

Come nelle cattedrali anche nel mondo egizio erano presenti i "Guardiani della Soglia"



Catacombe egizie di Kom El Shuqafa, II secolo d.C. I due "guardiani della soglia" sono legianori romani con la testa del dio Anubi

Il cristianesimo gnostico e i romani




Questa è una sfera magica di origine romana, ritrovata in un tumulo danese ad Årslev e risalente circa al 300 d.C.

Vi è inciso ΑΒΛAΘANAΛBA, che starebbe per ablana(th)analba, un palindromo esoterico (si può leggere in entrambe le direzioni in modo uguale). La scritta ablana/analba è conosciuta da diversi amuleti magici di quel periodo e dovrebbe significare "tu sei nostro padre", in riferimento al Dio Abraxas.

Gli spiriti degli alberi



albero nella zona di Diyar, sulla catena Himalayana, venerato in quanto abitato da una Jogni, uno spirito silvestre il cui nome mi sembra una versione locale di "yogini". 
All'albero vengono offerte stoffe rosse e oggetti di metallo, perlopiù tridenti e falcetti.

Madonne e antiche divinità femminili



Statua della Madonna composta da spighe di grano durante il Dożynki, la festa del raccolto polacca, in cui la vergine cristiana è stata fusa probabilmente con una divinità slava

Il mondo infero nell'antichità classica


L’Ade venne considerato sin dalla remota tradizione ellenica il Mondo Infernale, aperto in un’immensa caverna sotterranea e comunicante con il mondo “supero” attraverso numerose porte e voragini spaventose. Ade è “ l’invisibile, o ciò che rende invisibile, o forse originariamente soltanto il luogo tenebroso” (Naglesbach-Autenrieth, Gruppe, Griech Mytol.)L’immensa caverna sboccherebbe all’occidente dei confini “dell’Oceano”, tuttavia nell’Odissea la tradizione rimanda ad un mondo infero locato all’estremo occidente mentre nell’Iliade sarebbe locato sotterraneo, anche se le diverse leggende vennero fuse e contaminate già nei poemi omerici stessi.
Doveroso è che io ricordi a questo proposito il fatto che la disposizione ad occidente del regno dei morti si può riscontrare con molti popoli antichi, indoeuropei e non (come le tribù degli indiani d’America), ed oltre ai defunti rivolti con la faccia da occidente anche i sacrari degli eroi erano consacrati ad occidente e nel’templum etrusco pure la disposizione degli Dèi della Morte, ma potrei continuare all’infinito con altri numerosi esempi. Occidensinfatti in latino deriva dal verbo “occidere” -“morire”, ed è appunto il “luogo” in cui il sole tramonta e pertanto “muore”. Ade stesso nel significato di Dio degli Inferi è “colui che chiude saldamente le porte dell’inferno” ( Odissea XI, 277), è il Dio a cui gli Argivi scavano nella fossa un nero montone per richiamare Dioniso nel mondo supero (Plutarco, Is, 35.) Il nome Acheronte invece si suppone fosse di origine fenicia e valeva come “occidentale”(Lewy, Sem.Fremdw.229) ed i greci l’interpretarono come “ Fiume del Pianto”, poi nella tradizione poetica posteriore troviamo altri fiumi infernali come nell’Eneide l’Eridano ( il fiume Po’, ritenuto in tal modo sacro anche dalle popolazioni italiche), l’Alibas o il Lete che risale ad antichissime trazioni riguardanti il mondo infero, ignorate dalla letteratura antica ma riscoperte in quella successiva per influenza delle dottrine orfiche e pitagoriche, che insegnando la migrazione delle anime dovevano spiegare anche il perché l’anima dimenticasse completamente le vite precedenti ( Brelich, Le Iniziazioni) . Ed a proposito di dimenticanza, ricordo che l’Ade era per antonomasia il “Regno dell’Oblio”, infatti le Anime si potevano abbeverare presso due fonti: la Memoria o la Dimenticanza. Esse si trovavano anche nel famoso Antro di Trofonio Τροϕώνιος, di cui Pausania(Descrizione della Grecia, IX 37,39.) ci dona una descrizione. Trofonio era venerato in una profonda grotta di Lebadea nella Beozia ed era considerato come un’infallibile divinità oracolare, presso l’antro, in mezzo a un bosco sacro, si trovava il tempio di Zeus Trofonio per il quale Prassitele aveva eseguito la statua del culto. Il Devoto che si recava nell’antro era condotto dai ministri, e dopo un periodo di ritiro e digiuno il consultante era ammesso a compiere sacrifici a Trofonio, successivamente veniva portato a bere a due sorgenti, la prima di Lethe, per dimenticare la vita umana, la seconda di Mnemosyne, per conservare in memoria ciò che apprenderà nell’altro mondo. A questo punto penetra nella “bocca oracolare” introducendovi prima i piedi e poi le ginocchia; il resto del corpo è “tirato a forza”. Dopo qualche tempo in stato di semi-incoscienza il devoto veniva tratto fuori dai preposti all’oracolo e fatto sedere sul trono della Memoria. Infine esce dallo stato comatoso, riprende la facoltà di ridere e può uscire con il suo responso. Evidente è il carattere di rito di iniziazione: una sorta di “clausura” iniziale, l’entrare in un mondo estraneo (il mondo del sonno ha nella cultura greca forti legami con la morte e l’acqua di Lethe è quella che bevono le anime dei morti) e poi far ritorno dalla “Pianura dell’Oblio” alla quotidianità, “rinati“. (M. Detienne, Maestri di verità della Grecia arcaica, Laterza, Roma-Bari, 2008 – E. Rohde, Psiche, Laterza, Roma-Bari, pp. 115-120) I poeti rappresentano le Anime nell’Ade come intente a compiere le stesse gestualità che compivano in vita, sia nell’Odissea che nell’Eneide e come dimenticare Orazio (Carm, II, 13, 24-28) che ci racconta di Saffo ed Alceo che continuavano a cantare nell’Ade, l’una degli amori con le fanciulle di Lesbo e l’altro delle traversie della navigazione, della guerra e delle fughe! Gli antichi vogliono dirci che le passioni della vita seguono gli uomini anche nella morte <> (Virgilio, Eneide, VI, 653-5), ed anche presso Platone (Repubblica, X, 619)si ritrova la credenza popolare in cui le Anime scelgono di compiere nell’aldilà le medesime
occupazioni che loro furono care nella vita. Tuttavia, i morti non rimangono sempre assorti nelle loro occupazioni infernali! Spesso salgono sulla terra ed intervengono nelle faccende dei viventi, vaticinano notizie tristi e liete, distolgono da un’opera o danno consigli, aiutano i vivi in qualche faccenda ma più spesso gli spaventano e turbano oppure li minacciano come ci racconta Lucano nel terzo libro delle Pharsalia, chiedono vendetta o reclamano, giustamente, una degna sepoltura. Stazio ci racconta persino che di notte si impegnano fra loro in paurose zuffe! Per non pensare alle arti magiche, ed alle azioni delle streghe e dei negromanti che richiamano dagli inferi spiriti dei defunti per utilizzarli nelle loro azioni ( di quest’argomento parlerò in un articolo successivo). In tutti i santuari posti presso i numerosi accessi infernali si evocavano le Ombre per placarle con offerte specifiche (ricordate nel mio precedente articolo sugli Dèi Mani). La vita dell’oltretomba era una continuazione ideale della vita terrena pertanto la sorte riservata alle anime dei defunti non dipendeva dalle azioni “buone o cattive” perpetuate nelle vita terrena, bensì dall’ira o dal favore degli Dèi. Caronte, il vecchio traghettatore delle anime, connesso conCharopòs “dagli occhi luminosi” come ricordato da Virgilio nel VI libro dell’Eneide “ con gli occhi di brace”, aveva caratteristiche comiche ed oscure, molto grato al popolo come si nota nei dialoghi di Luciano, assieme all’obolo che si poneva in bocca al morto come prezzo del tragitto. Eppure la leggenda si sviluppò tardivamente nella parte in cui anche le anime dei morti che di notte si aggiravano nella terra dei vivi venissero traghettate dal fosco nocchiero. Sarebbe fuori luogo addentrarsi nell’origine di questa mitica figura , eppure Diodoro Siculo lo faceva provenire dall’Egitto, moderni studiosi propongono che esso si fosse infuso da Nord nelle popolazioni italico-pelasgiche , altri lo identificano con“Mantus” degli etruschi che era indicato anche con il nome di “Charus o Charùn” , con tratti a volte regolari ed altre volte “diabolici”. Curioso è ricordare come la prima menzione di questa figura si trova nella “Miniade”, un poema poco conosciuto del VI sec.a.C. L’Orcuslatino fu una figura molto popolare che in poco tempo prese i tratti del Caronte etrusco ma per influenza greca perse i caratteri primigeni della sua figura mitica che venne identificata di volta in volta con la Morte stessa. Ennio negli Annales lo chiama Mortis Thesauri come nell’epigramma di Nevio è detto Orci Thesaurus. Orcus è il “Dio dei luoghi inferi”e compare come divinità stessa della morte in Plauto, Lucrezio ed Orazio che lo presenta come un “dio che miete le sue vittime in alto ed in basso e non si lascia vincere da loro” (Epistole, II, 2, 178) . Primitivo e genuino significato di Orcus quale divinità della morte rivive nelle frasi “mittere/ demittere Orco” ( Orazio, Carmen, III, 4) (Virgilio, Eneide. II, 389) (Livio IX,40). Apuleio nel VI libro delle Metamorfosi ci descrive la sua reggia, chiamata anch’essa Orcus. Agostino nel Civitate Dei VII, 3,1 accenna Orco assieme a Marte, uno come “receptor mortium” e l’altro come “ effector mortium”. Per effetto della mitologia greca, si parlò anche in quella romana delle nozze di Orco con Cerere, del ratto di Proserpina etc. Dedicato ad Orcus sorgeva a Roma un tempio nel luogo dove in seguito Eliogabalo costruì un tempio dedicato al suo dio (fatto a mio avviso personale abbastanza divertente). Egli è rapitore di uomini << Sic erimus cuncti postquam nos auferet Orcus>> dice il Trimalcione di Petronio guardando uno scheletro d’argento e rapisce ciò che vuole quando vuole perché di << Fortis tanquam Orcus>> forte tanto quanto Orco, non c’è nessun altro! Egli è pallidus, formidabilis, vola attorno al mondo con ali nere, è enorme ed ha lunga barba e lunghi capelli. Il Tartaro aveva anche i suoi guardiani, rappresentati nei monumenti , da Briareo guardiano delle porte bronzee ed i suoi fratelli dalle cento braccia Gyes e Kottos, al giovane indicato come“ianitor” in una pittura parietale di Ostia, accanto a Cerbero che è il guardiano per eccellenza, lo “Ianitor Orci” della tradizione poetica dell’Eneide. Cerbero è sia cane a tre teste che serpente, figure proprie del guardiano-custode, l’uno per la sua indole e l’altro per l’attaccamento alla Terra nascondendosi nei suoi recessi segreti, entrambi simboli del regno dei morti e tormentatori dei defunti. I serpenti sono anche nelle mani delle Erinni . Degno di curiosità è il poemetto pseudo-vergiliano “ Culex ” in cui si dice che Persefone col suo corteo di eroine armate di torce, respinge l’anima della zanzara che non ha avuto degna sepoltura e non può essere
ammessa agli inferi. Persefone spesso viene rappresentata come colei che tiene incatenato Cerbero e tiene lontane le anime profane tramite torce infiammate. Menzione dovuta è anche alla figura della dea Ecate, somma psicopompa e dea che presiede alle entrate degli inferi (di cui tratterò in maniera approfondita in un altro articolo ). Interessante è scoprire assieme quali piante, secondo gli antichi, avessero misteriosi rapporti con il mondo dei morti e che le maghe e streghe sapessero sapientemente utilizzare per le loro malie. Sin dall’età omerica, l’asfodelo era considerato pianta infernale e veniva piantato nelle tombe, mentre alberi funerei furono e son tutt’oggi considerati il pioppo nero, il pioppo bianco ed il salice, poiché questi alberi gettano la loro ombra nei boschetti di Persefone, sorgono alle entrate verso gli inferi, sorgono nei luoghi delle sepolture e della memoria dei morti, mentre vennero piantati a Roma nel Campo Marzio dove arse il rogo di Augusto. Il cipresso ovviamente era ed è da sempre caratterizzato da un’aura funebre, già da Plinio Hist.Nat. XVI, 139) viene descritto il carattere ostile dell’albero, dalla sua difficile coltivazione, il lento sviluppo, la natura infeconda, la fioritura selvatica e soprattutto l’ombra esile e spettrale. Nella tradizione Orfica viene anche menzionato un misterioso “cipresso bianco” che in natura non esiste e sarebbe il mitico Cipresso dell’Ade. L’olivo selvatico veniva piantato nei cimiteri ed i suoi rami servivano ad aspergere l’acqua ai presenti nelle cerimonie funebri. Per i romani il pino divenne simbolo della Morte stessa poiché il rogo veniva circondato dai suoi rami ( Plinio, Hist.Nat. XVI, 40) mentre Ovidio nelle Metamorfosi (IV, 432)e Lucano ci ricordano che il ramo di pino si poneva innanzi alla porta del defunto. Nelle foglie del tasso e del giacinto si credeva di poter leggere il lamentevole grido dei superstiti. Il melograno invece è il vero e proprio “frutto dell’Ade”, il frutto che Plutone diede da mangiare a Persefone poiché i chicchi ingeriti gli avrebbero assicurato un ritorno certo della fanciulla nell’Ade. Il mirto invece era dedicato a Venere, albero indicante gioia di vivere ma anche con cui si incoronavano le tempie dei partecipanti ai sacrifici funebri e che si offriva ai morti. Esso faceva parte dei “Sacri Misteri” di Venere- Afrodite e la corona di mirto indicava la partecipazione a cerimonie mistiche riguardanti la parte più oscura ed infera di Venere-Melania, Venere “oscura”(L.Varoli, Prima di Eva). Sovrani del mondo Infero sono Plutone e Persefone, cui culto prese grande diffusione dal VII secolo in poi (in terra Greca) specialmente per influenza dei Misteri Orfici ed Eleusini e prese il sopravvento sul suo infernale sposo tanto più che il culto dei Misteri aveva sostituito ad Ade, Dioniso ed a Persefone venne dato il potere di mettere un termine al ciclo delle terrene esistenze purificando l’anima dalla sua “colpa”(frammento orfico 226). Interessante è notare che nelle tavolette orfiche i nomi di Ade e Persefone non venissero neppure nominati perché di cattivo augurio. Persefone- Proserpina è la Signora del Mondo Infero e della Morte, è divinità funesta ai mortali ma a pari merito è anche benefica perché fa prosperare ogni rigoglio della Terra. Tutte le divinità ctonie hanno un duplice aspetto ( fatto spesso troppo dimenticato da sedicenti “neo-pagani” ): son terribili e spaventose ma anche elargitrici di fecondità terrestre e dei suoi prodotti agricoli. Persefone stessa com’è noto dal famosissimo mito , è benefica in quanto in stretta relazione con la madre Demetra –Cerere, divinità della terra e dell’agricoltura, ma quest’aspetto benefico le venne dato solamente dopo il culto misterico orfico perché in origine essa era terribile e triste. Come non menzionare Diana ed Apollo, divinità luminose ma anche oscure che in quanto tali devono ricevere sacrifici espiatori, Bacco- Dioniso è un dio infero e Signore delle Ombre ma anche un dio campestre, Nettuno- Poseidone è parimenti dio ctonio terribile, a cui si offrono in sacrificio animali sommergendoli nelle onde e la succitata Venere-Melania. Nella Grecia antica persino i Venti erano divinità infere. A tutte queste divinità si dovevano celebrare culti di espiazione, soddisfacendo e placando le loro brame offrendo in sacrificio animali. Solamente Ecate e le Erinni mantengono sempre il loro carattere infero. Plutone- Ade era il Re degli inferi, “notturno”, “nero” “invisibile”, “dio del Vespro”, egli è Giove sotterraneo, colui che regna presso l’Acheronte, inesorabile e comune a tutti perché da lui nessun mortale può sfuggire, eppure anche lui è domato dalla potenza di Venere! Mercurio-Hermes è il ministro degli Dei Inferi, dalle
due facce e dalle due anime, giudice e condottiero, intermediario non solo fra gli Dei ed i mortali, ma anche psicopompo verso gli inferi, ovvero conduceva verso gli inferi le anime che dovevano essere condotte per volere di Giove, oppure secondo la versione pitagorica egli è custode delle anime, le può portare sia nelle regioni beate che dalle Erinni. Questa versione di Mercurio è riscontrabile parimenti nelle tradizioni greche, romane ed etrusche. Altro abitante degli inferi nel mondo latino è il Dis Pater, o Ditis Pater che compare come marito di Proserpina ed assieme a lei menzionato nelle lapidi sepolcrali. Nel famoso monumento di Vibia, si vede la donna innanzi al trono del Dis Pater e di Aera Cura, l’antica Proserpina, Dea di forma mitica ed arcaica pari alla Magna Mater Terra. Altre abitatrici del mondo Infero furono le Erinni, le Furie, le Arpie, divinità vendicatrici che dovevano riportare “il giusto equilibrio”. La divinità della morte ebbe nel mondo romano diversi nomi: Mors, Letus, Fatum. Letus è quasi un Genio della morte stessa, mentre Mors è citata in Ennio come colei che presiede a tutte le Ombre, è l’abitatrice delle case eternamente dominate dall’ombra << Perpetuas sine fine domos Mors incolit atra. Aeternosque levis possiedet umbra Lares.>> ( Iscrizione funebre, Carmina Epigrafica, 1339.) Stazio la rappresenta seduta sulle vedette a spiare le sue vittime, Seneca invece la dipinge come colei che spinge i vivi verso i Mani, Silio Italico la descrive come “lurida e con nero ghigno” . Il Dio della Morte era un violento rapitore, come Morte stessa , che per invidia e desiderio delle virtù e dei beni mortali traggono presso di loro i mortali. Così presso un epitaffio della via Latina a Roma si legge che è la Dea Fortuna che rapisce invidiosa la povera vittima, mentre le Parche o le Fataavventano le loro mani per ghermire la preda. Oppure sono gli stessi Dei Mani che rapiscono la vita prematuramente, la stessa Invidia è divinizzata e resa rapitrice di vite innocenti. Concludo questo rapido viaggio con un poesia di Tibullo, in cui trepidamente invoca la nera Morte di tenere lontane le sue mani << Abstineas avida Mors, modo, nigra manus! Abstineas, Mors atra precor! >> . 

domenica 17 aprile 2016

L'idea dell'anima e il suo fluire

"La grande anima sia oggetto d'investigazione di un'altra anima...liberata dall'inganno e da quanto incanta le altre anime, in una condizione di tranquillità. Tranquillo sia non solo il corpo che la circonda e i flussi del corpo, ma anche tutto ciò che le è intorno: tranquilla sia la terra, tranquilli il mare e l'aria, e il cielo stesso taccia. Pensi quindi che l'anima, come venendo da fuori e riversandosi ovunque in questo universo immobile, vi scorra internamente e penetri e illumini ovunque. "
(Plotino, Enn. V 1 (10); 2. UTET, Torino 1997, traduzione C. Guidelli)

venerdì 15 aprile 2016

L'acropoli di Pietravairano come il complesso del poggio di San Pietro costruito da Augusto a Verona


























Il complesso dell'acropoli costituito del teatro con al vertice il residuo del tempio di Petravairano



Situazione pressoché simile a Verona dove vediamo a destra la ricostruzione del complesso
del poggio di San Pietro costituito dal teatro con al vertice il tempio probabilmente dedicato
a Giano.

Il grande filosofo che si oppose ai Patti Lateranensi e che fu ucciso dai G.A.P.

GIOVANNI GENTILE, gigante del pensiero, profeta dell'Umanesimo del Lavoro, troppo grande per qualcuno che si illuse di "fermarlo" con i roventi proiettili di una pistola il 15 aprile del 1944.
 Ranuccio Bianchi Bandinelli, sembra partecipasse all'organizzazione dell'agguato mortale nonostante avesse uno scambio epistolare con il filosofo dove emergeva un rapporto di profonda amicizia fra i due!

"I patti firmati all'atto della capitolazione non consentiranno agli italiani ne' di essere liberi ne' di lavorare liberamente ne' addirittura di chiamarsi liberi...Con me ho il vivo ricordo dell' Italia del tempo di pace durante gli anni del deprecato Fascismo, con un popolo che,pur tra le spire d'un regime a me inviso,non poteva dirsi schiavo e il cui lavoro incontrava ovunque rispetto e considerazione." 
B.Croce 

Così si espresse l'antifascista filosofo Benedetto Croce non appena dimessosi come ministro del governo Bonomi il 27 luglio del 1944 ,già scosso per l'assassinio del filosofo,collega e avversario Giovanni Gentile vigliaccamente ucciso il 19 aprile del '44 dall'eroico partigiano Bruno Fanciullacci al quale Firenze gli intitolerà addirittura pure una piazza!

Emanuele Severino ribadisce la ‘centralità’ del pensiero gentiliano. 
“La vita del soggetto (osserva) è nella sua relazione intrinseca con l’oggetto; e viceversa. Scindete questa relazione, e non avrete più la vita, ma la morte.” (Opere filosofiche, Garzanti, 1991)
In Gentile vive l’idea di poter ‘governare’ la relazione soggetto/oggetto e di non poter mai ‘congelare’ il divenire di tale relazione. La sua Teoria generale dello spirito come atto puro (1916) indica la possibilità di gestire il divenire delle relazioni, senza scappare in un passato a-storico.
E’ sempre coinvolgente ripetere che “In fondo all’Io c’è un Noi”– Genesi e struttura della società, op. post. 1946 -; un Noi comunitario che istruisce un rifiuto storico dell’individualismo. Il mite professore di Castelvetrano oggi sarebbe il primo a denunciare il bieco ragionamento del Pensa a te stesso! Al tuo giardino! Salva solo il tuo clan! Gli altri non esistono!

mercoledì 13 aprile 2016

Ermanno Pungilupo da santo a eretico


216024933Spesso la storia ci ripropone fatti realmente accaduti, ma tanto assurdi che, visti attraverso la nostra ottica di cittadini del XXI secolo, hanno veramente dell’incredibile. In quest’occasione parleremo di una vicenda, ambientata agli albori del ‘300, dai risvolti talmente grotteschi, pur se tragici, da sembrare a primo acchito quasi una burla: un processo che, iniziato come proposta di sicura beatificazione, dopo trentadue anni si trasformava in … condanna per eresia!
Di questa vertenza postuma che vedeva quale imputato “contumace” un eretico del tutto particolare, Ermanno (o Armanno) Pungilupo, hanno scritto, pur se con differenti sfumature, numerosi storici e letterati, fra i quali i nostrani Riccobaldo, Prisciani, Guarini, Melchiorri, Dino Tebaldi e, più recentemente, monsignor Antonio Samaritani.
Nel Duomo di Ferrara, fino al 1301, a sinistra dell’Altar maggiore, nei pressi della tomba di papa Urbano III Crivelli, esisteva una sepoltura con tanto di altare circondato da numerosi “ex voto”, segno, questo, che chi vi giaceva doveva ben essere in “odore di santità”. Quell’anno, infatti, il marchese Azzo VIII d’Este dovette faticare non poco per sedare “una sommossa popolare per la distruzione delle spoglie di Armanno Pungilupo, dopo la sentenza inquisitoriale di condanna” (Storia di Ferrara, vol. V, Corbo Ed., 1987).
Ma ecco la vicenda: il ferrarese Pungilupo, che viveva molto modestamente con la moglie Maria nell’attuale via Romiti, il 17 dicembre 1269 morì in Ravenna, dove si trovava occasionalmente, e “fu sepolto con magnifica pompa, perché credevasi dal popolo un gran Beato o Santo, nella tomba che in Ravenna fu fatta per Teodosio Imperatore (certamente Teodorico, Teodosio morì a Milano), e fu trasmessa a Ferrara, come racconta il Riccobaldi” (D.M. Federici,"Istoria de’ Cavalieri Gaudenti", Venezia, 1787). “Quivi (in Cattedrale) anche venne sepolto, con opinione universale di Santo, Armanno detto prima Pungilupo, al quale si eresse un Altare e vi si appesero voti in grandissima quantità, ricorrendosi ad esso ne’ maggiori bisogni privati e pubblici” (M.A. Guarini). E, “mentre dal Vescovo (forse il Pandoni o il successore) e canonici si faceva il processo per la santità di lui (…) dal 1270 al 1300 gl’ Inquisitori non mancarono di secretamente inquirere sopra la vita di Pungilupo sospettato Eretico” (Federici).
Determinanti per il risultato furono Goffredo Baldissera e Vittorio Vassuri, dimoranti nell’attuale via Centoversuri, “cittadini avuti in considerazione (che) testimoniarono contro l’eretico (…);il cadavere di lui, venerato in Duomo, come santo, della setta dei Cattari (ma, secondo il Guarini dei “Fraticelli” di Fra’ Dolcino, messo al rogo nel 1307),chiuso poi il lunghissimo processo, fu tolto dalla Cattedrale; e infranto l’altare e distrutte le immagini, arso alle rive del Po la notte del 22 marzo 1301” (G. Melchiorri), “le ceneri gettate al vento, e rimosse tutte le immagini e memorie, che avessero qualsivoglia modo riguardo al suo nome, si come tutto fu fatto” (Guarini).
Ma c’è di più: secondo il Federici, che attribuisce il merito delle indagini all’Ordine militare della B.V. Maria Gloriosa, ovvero dei “Cavalieri Gaudenti”, il Pungilupo era già stato scoperto fin dal 1254 per Eretico, ma abiurò gli errori, e promise di vivere, e credere cattolicamente. Ma non così, operò in segreto, benché in pubblico il dimostrasse. Seguiva la vita de’ Poveri di Lione, Eretici condannati e nella loro setta morì.
"Compiuto il processo, arsi i resti mortali di quell’eretico smascherato e dispersa la setta, la via fu denominata dell’Inferno” (Melchiorri). Novant’anni dopo (1391) il marchese Alberto V d’Este faceva costruire nei pressi la sua sontuosa dimora che, forse per “esorcizzare” il luogo, volle chiamare Palazzo del Paradiso; la strada, successivamente, prese l’attuale denominazione in ricordo dell’antico romitorio, del piccolo convento, che vi era ubicato.
Dall’analisi dei fatti si può dedurre che il Pungilupo era un eretico del tutto particolare. Infatti, consultando le varie fonti, emerge la figura di un uomo indefinibile, certamente non alla ricerca degli onori terreni e delle ricchezze, ma dedito alla carità (nonostante la modestia familiare) e all’amore per il prossimo: comportamento condiviso e continuato dalla moglie anche dopo la di lui morte e prima della sua condanna. A conferma, ecco quanto riporta monsignor Samaritani (nel suo Pellegrinaggi, Crociate, Giubilei: “il 13 dicembre 1247 era giornata di pellegrinaggio (…) alla chiesa di Santa Lucia di Roncodigà sul Volano (…) in quella data vi si era portato pure l’eretico”; poi: “la stessa vedova dell’eretico cataro Armanno Pungilupo, Maria, assai povera, il 14 maggio 1276 lascia all’ospedale di San Leonardo una coltricella e due lenzuoli per la sua anima”; ed ancora: “il 14 maggio 1276 al presbitero della stessa (chiesa di San Giuliano di Tresigallo) ‘suo padrino’, la moglie dell’eretico Armanno Pungilupo, Maria, lascia 3 soldi ferr. (ferraresi), per cantar messe”.
Il giudizio … al lettore!

di Paolo Sturla Avogadri
28 Settembre 2004

L'arena e il rogo dei Catari

Nell’Arena di Verona gli eretici furono bruciati
Chissà se Celentano l’eretico, stasera all’Arena per il doppio concerto, sa che l’anfiteatro veronese è la Montségur italiana. A Verona gli eretici erano di casa: la pianura padana era zona franca per i catari, che se la prendevano con le gerarchie della Chiesa. Ma in Arena gli eretici venivano a...
di Giulio Saletti
8 Ottobre 2012 - 11:31


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Chissà se a Celentano l’eretico, stasera sul palco dell’Arena per il doppio concerto monstre a 18 anni dall’ultimo live, qualcuno avrà detto che l’anfiteatro veronese è la Montségur italiana. Se a lui, al re degli ignoranti che al festival di Sanremo ha strapazzato preti e frati (salvando solo don Gallo, un altro in odore di eresia), qualcuno avrà raccontato cosa accadde in riva all’Adige settecento anni fa. Quando, nel febbraio del 1278, il rogo di decine e decine di catari rischiarò a giorno la notte. Chissà. Perché in quel tempo, a Verona e nel contado, gli eretici erano di casa. Curioso antefatto per una città che oggi passa per bigotta e clericale.
Eppure, specie negli anni di Ezzelino da Romano (l’amico prediletto del demonio, lo definirà Salimbene de Adam) e Oberto Pallavicino, la pianura padana era zona franca per il catarismo occidentale, e il territorio veronese una sorta di Eden. Fovea haereticorum, la tana di tutti i ‘dissidenti’ religiosi. Luogo di passaggio e d’arrivo dei fuoriusciti occitani dopo i massacri della crociata albigese bandita da Innocenzo III e l’implacabile durezza dell’inquisizione. Le fonti parlano di una domus di Spata nei pressi di piazza Erbe e di una chiesa catara attiva in contrada san Nicolò; ma è soprattutto sulle sponde del Garda che gli eretici si compattano.
Desenzano è una delle sei chiese catare in Italia, una delle più radicali e importanti. Portavoce di un dualismo esasperato, la comunità è organizzata, ha scuole e magistri, vescovi e diaconi. Possiede strutture di ‘pastorale domestica’ per il sacramento del battesimo (il consolament) agli aspiranti ‘perfetti’, per l‘accoglienza e la raccolta di risorse. Secondo buona parte degli storici – ma tra gli eresiologi la polemica sul punto è feroce – è una vera e propria ‘antichiesa’, dalla portata eversiva e antagonista. Ma con la discesa in campo di Carlo d’Angiò e la vittoria delle milizie filopapali (in quella guerra di fazioni che si intreccia con il movimento comunale e squassa l’Italia nel basso medioevo), il vento della storia cambia direzione. La morte di Ezzelino, il ‘tradimento’ di Oberto, il decollo dell’inquisizione sono un cataclisma per gli eretici padani. D’improvviso si rovescia il quadro politico e salta ogni protezione e tolleranza. E il castrum di Sirmione, dove peraltro la presenza di caçari è attestata dal 1193, si trasforma nel rifugio fortificato dello stato maggiore dell’eresia.
A Sirmione, la venusta Sirmio di Catullo, in quegli anni – a sentire l’esule francese Guillaume Raffart – si trovano Enrico d’Arusio, vescovo della chiesa catara di Desenzano, Guglielmo Pietro da Verona, vescovo degli eretici di Francia, Bernard Olieu, vescovo originario di Verdun-Lauragais, e numerosi altri credenti e ‘perfetti’ italiani e occitani. E proprio contro Sirmione, il 12 novembre 1276, si scatena la repressione antiereticale. Una vera spedizione armata, con largo impiego di cavalieri e fanti. Guidata dal vescovo di Verona Timideo, dall’inquisitore francescano Filippo Bonacolsi affiancato dal padre Pinamonte (capitano generale di Mantova), e da Alberto della Scala, fratello di Mastino signore di Verona. È una caccia aperta all’eretico, come registra Ubertino de Romano, testimone più che attendibile in quanto vicinissimo al potere scaligero, che finirà con 166 arresti. Due anni dopo, il 13 febbraio 1278, circa duecento patareni, segno che l’operazione di cattura è nel frattempo proseguita, saranno legati su una catasta di legna al centro dell’Arena e bruciati vivi. Come a Montségur, l’ultimo centro di resistenza catara in Linguedoc, una trentina d’anni prima.
Ovviamente c’è anche molta politica dietro l’annientamento della devianza religiosa. I della Scala sono ghibellini, Verona è sotto scomunica e interdetto per l’ospitalità e l’aiuto accordati nel 1267 a Corradino di Svevia e agli imperiali, l’azione contro i catari serve a pacificarsi con il papa. E tra l’altro, a conferma di quanto stretti siano al tempo i legami tra politica e religione (e di come dunque spesso prevalga un uso politico dell’accusa di eresia), vale un precedente. A Verona, infatti, c’era già stata un’esecuzione pubblica esemplare. Nel 1233, nell’anno del movimento dell’Alleluia guidato dal ‘paciere’ fra’ Giovanni da Vicenza, il 21 luglio per tre giorni furono arsi sessanta dei ‘migliori’ cittadini. Donne e uomini. Giustiziati, come scrive il cronista Parisio da Cerea, in foro et glara, non in Arena (come pure qualcuno sostiene) ma in piazza Erbe e forse in piazza Bra o in un campo vicino. Dettagli, resta il fatto che l’eresia trova fertile terreno nelle famiglie ghibelline. E si diffonde al punto che il domenicano Pietro da Verona, celebre predicatore e inquisitore massacrato nel 1252 a colpi di falcastro da sicari eretici in agguato nella boscaglia di Seveso, è in realtà figlio di catari.
Si convertirà a Bologna durante gli anni di studio. Per il suo martirio sarà santificato a tempo record da Innocenzo IV quale simbolo della lotta contro l’eretica pravità. C’è da stupirsi, a questo punto, che l’inquisizione il suo atto di fondazione l’abbia avuto proprio a Verona durante l’incontro, nell’ottobre del 1184, tra Lucio III e Federico Barbarossa? Quello tra il papa e l’imperatore è un convegno importante perché sfocia nella decretale Ad Abolendam, il primo atto ufficiale di criminalizzazione del dissenso: la chiesa cambia marcia e regole d’ingaggio, restringe i confini dell’ortodossia e abbozza, affidandola (per ora) ai vescovi, una prima versione dell’inquisitio ecclesiastica. Basterà poi solo qualche altro decennio per calibrare definitivamente un apparato e una procedura di micidiale efficacia.
Ecco, chissà se all’Adriano nazionale questa storia l’avranno raccontata. I catari forse gli piacerebbero: in fondo se la prendevano anche loro con i preti e le gerarchie ecclesiastiche, e disprezzavano il mondo e la vita materiale contrapponendogli la purezza dello spirito e la semplicità evangelica, e accusavano la chiesa e il papa ("è veramente un papa perché tutto si pappa"’, sferzava l’eretico Guillaume Bélibaste) di ipocrisia, avidità, malvagità. Di fornicare insomma con il potere e il denaro, anziché occuparsi di anime. E poi erano anche frugali e parsimoniosi. Il che, in tempo di crisi e di Rock Economy, non guasta.

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martedì 12 aprile 2016

In una chiesa di Sirmio la pietra miliare del tempo dell'Imperatore Giuliano




Pietra miliare dedicata al terzo anno consolare dell'imperatore Giuliano l'Apostata riutilizzata come colonna nel porticato d'ingresso della chiesa di Santa Maria Maggiore a Sirmione




Non comprate più Parmalat! sta rovinando i produttori di latte Italiani

Parmalat dice no al latte genovese e va a comprarlo in Cina

Gli allevatori genovesi sono in protesta da giorni. Sui social si boicotta la Parmalat
Da Ii Giornale




La Parmalat nel mirino degli allevatori genovesi. L’azienda lattiero casearia, di proprietà della francese Lactalis dal 2011, è accusata di aver deciso di non rinnovare il contratto con i produttori della cooperativa Val Polcevera preferendo andare a comprare il latte nell’Est Europa e in Cina.
È per questo motivo che gli allevatori locali, quasi un centinaio, da alcuni giorni gettano via 60 quintali di latte delle proprie mucche sui prati. Questa decisione provoca danni ingenti. Ci sono molti giovani che avevano rifatto le stalle, anche con impianti fotovoltaici, indebitandosi con mutui stellari. E ora?", si chiede Bianca Maria Lombardo, proprietaria di un agriturismo a Rossiglione, in valle Stura, intervistata da primocanale.it. Nelle valli genovesi, vicine al Piemonte e all'Emilia Romagna, ci sono 60 aziende riunite in cooperativa che rischiano la chiusura. "La Parmalat, anche contraddicendo rassicurazioni del passato, ignora le conseguenze sociali ed economiche delle proprie scelte sul nostro territorio", affermano Comune e Città Metropolitana di Genova in una nota congiunta.
Sui social, intanto, sta montando la protesta e alcuni cittadini invitano a boicottare i prodotti Parmalat, mentre il Pd locale promette che "si attiverà in ogni sede a difesa delle aziende produttrici locali affinché vengano tutelati la genuinità del prodotto, la sua rigorosa tracciabilità e la seria professionalità degli Allevatori liguri, fattori di indiscusso valore che la produzione di latte proveniente da alcuni Paesi europei ed extraeuropei non garantisce". Secondo il Movimento Cinquestelle anche la focaccia di Recco subirà gravi ripercussioni perché, per le sue caratteristiche “deve contenere formaggio proveniente dalle valli liguri”. “Siamo stufi – dicono i grillini - di assistere impotenti mentre un'altra parte importante della nostra filiera corta sta per ricevere un altro colpo di grazia da una grande distribuzione aliena e cinica". Intanto i produttori locali ricordano "che è già possibile acquistare il latte locale presso la rete di distributori presenti sul territorio. "Portatevi una bottiglia e assaporate il sapore del latte di una volta", dicono.