domenica 29 aprile 2018

Berlusconi e "l'acquisto" della villa dei Casati Stampa di Soncino: Arcore villa San Martino


LA VERA STORIA DI VILLA ARCORE
Massimo Minorenti ha 25 anni quando viene ammazzato a colpi di Browning 20, in un elegante appartamento in via Puccini, ai Parioli. Ucciso mentre faceva all’amore con Anna Fallarino, bella quarantunenne, piacente e licenziosa. Anna era la moglie del Marchese Camillo Casati Stampa di Soncino. Fu lui l’autore del duplice omicidio, e si tolse la vita immediatamente dopo. Le indagini non furono complesse: delitto passionale. Ma i risvolti furono del tutto particolari. Emersero centinaia di foto osè della bella moglie del Marchese. E un diario. Sul quale Camillo Casati Stampa annotava dettagliatamente luoghi, descrizioni e partecipanti di incontri sessuali con la sua donna, cui lui assisteva accondiscendente, silenzioso e voyeurista. (“…siamo stati sul litorale di Fiumicino, in molti la guardavano. Abbiamo scelto un giovane. E’ stato appagante. Lo abbiamo ricompensato con trentamila lire…”)
Ma l’uomo non riuscì ad accettare l’idea che la sua donna si fosse innamorata di un compagno di giochi. Scoprì il tradimento “platonico” più che della carne. Lì pedinò. E quando li sorprese li uccise entrambi, senza farli neppure rivestire, con almeno 5 colpi di fucile. Era la notte del 30 agosto 1970. La stampa rosa impazzì. E con essa centinaia di migliaia di italiani che intendevano conoscere ogni minimo, pur turpe, particolare.
Stabilito attraverso la medicina legale, nonostante fosse evidente, che a morire per ultimo fu proprio il Marchese, l’immensa eredità della famiglia Casati Stampa passò alla figlia di primo letto del Marchese, Anna Maria Casati Stampa, allora diciottenne, figlia di Letizia Izzo. La ragazza, che per la legge italiana di allora era ancora minorenne, viene affidata ad un tutore nella persona dell’avvocato Giorgio Bergamasco, senatore e membro della direzione nazionale del Partito Liberale Italiano. Pro-tutore fu nominato Cesare Previti, 35 anni, avvocato, militante dell’M.S.I. Due anni più tardi Giorgio Bergamasco fu nominato ministro dei Rapporti con il Parlamento nel primo governo Andreotti, e Cesare Previti divenne ad un tempo tutore e avvocato della giovane orfana che, ormai ventenne, si era sposata nel frattempo con il Conte Pierdonato Donà dalle Rose, e si era trasferita a Brasilia. Più tardi la ragazza si sarebbe svincolata anche dalla tutela giuridica, pur mantenendo Previti come suo avvocato.
Il bene forse di maggior valore dell’eredità del Marchese Casati Stampa, era Villa San Martino. Una residenza in Brianza di 3500 mq, con una pinacoteca che ospitava opere del Quattrocento e Cinquecento e una biblioteca con circa 10.000 volumi antichi. Un parco immenso e maestoso, scuderie e piscine completavano il quadro di una tenuta storica che aveva ospitato più volte, tra gli altri, anche Benedetto Croce. Inestimabili i valori contenuti nella Villa, di per sè di valore inestimabile.
Nel 1973, pressata da esigenze economiche, Anna Maria cede alle insistenze dell’avvocato Cesare Previti, e decide di mettere in vendita la villa, dando la specifica disposizione di non vendere, assime alla tenuta, anche le opere d’arte e i volumi della biblioteca. Il rampante Silvio Berlusconi, allora niente più che un giovane imprenditore milanese, si fece avanti, offrendo l’irrisoria cifra di 500 milioni di Lire (nel 1973), dilazionati, in forma di titoli azionari di una società neppure quotata in borsa, la Edilnord s.a.s. La transazione andò a buon fine, anche grazie alle pressioni di Previti. Berlusconi ottenne una residenza il cui valore era stato stimato, in sede notarile durante le procedure per l’eredità, in un miliardo e settecento milioni di Lire (nel 1970). Tra l’altro i titoli azionari sarebbero stati monetizzati dalla Contessa solo qualche anno più tardi, al50% del loro valore, dallo stesso Berlusconi, che quindi sborsò, per la fantastica residenza di Villa San Martino, 250 milioni di lire. Contestualmente furono cedute, nella stessa transazione, e quindi alla medesima cifra, tutte le opere d’arte e i libri della Villa, contrariamente a quanto esplicitamente richiesto da Anna Maria. Nel ruolo di bibliotecario Berlusconi assume Marcello dell’Utri, e come scudiere Vittorio Mangano, criminale italiano pluriomicida legato a Cosa Nostra.
La residenza di Arcore viene giudicata, agli inizi degli anni ’80, garanzia sufficiente alle banche per elargire un prestito di 7.300.000.000 di Lire. Denaro con il quale Berlusconi avrebbe ultimato la costruzione di Milano 2 e Milano 3 e avrebbe intrapreso la sua scalata imprenditoriale sia al gruppo Mondadori. Senza dimenticare che i primi anni ’80 sono quelli durante i quali Canale 5 inizia a trasmette a livello nazionale (contravvenendo a quanto prescritto dalle leggi dell’epoca, secondo le quali le televisioni private non potevano trasmettere a livello nazionale), mentre Italia 1 e Rete 4 vengono rilevate e inserite nel gruppo Fininvest, che si allarga a macchia d’olio, fondando televisioni private in Francia, Germania, Spagna. Ma questa è un’altra storia.
di Davide Villa

sabato 28 aprile 2018

I cattivi maestri


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Il noto 'Guru' Asaram Bapu, in prigione dal 2013, è stato oggi condannato all'ergastolo a Jodhpur per un caso di violenza sessuale su una bambina. Il 'santo' maestro, che dal 1971 ha accumulato oltre settecento milioni di euro, è a capo di un organizzazione potente che ha goduto a lungo di protezione politica, ora negata.

Altre accuse ancora da discutere in tribunale includono omicidio di testimoni, sacrificio di bambini a scopo rituale (black magic), minacce e intimidazioni a membri dell'organizzazione che contestavano il suo operato e molto altro.

L'anziano baba ha gestito il suo immenso patrimonio con la famiglia, moglie, figlia e figlio, quest'ultimo anche lui in carcere per un accusa di stupro come il padre (quando si dice buon sangue non mente...)

La polizia si è preparata anticipatamente per garantire la sicurezza della città in Rajastan e negli stati dove il sant'uomo ha numeroso seguito. Il timore era quello di dover fronteggiare rivolte popolari come nello scorso anno dopo la sentenza per il 'Rock Guru'.

https://www.huffingtonpost.in/2018/0...ef=in-homepage

Retaggio del dio Anubi che pesa le anime nella psicostasia

St. Michael killing the Dragon
Josse Lieferinxe
1493-1505

iL PAGANESIMO SOTTO TRACCIA


Adorazione dell'Agnello, 1425, Jan van Eyck

L'UNIVERSO VISTO DA UN GESUITA ......

Athanasius Kircher, 1636

Quando i papi dovevano ancora venire

28 APRILE:
Augusto assume il titolo di Pontefice Massimo (12 a.C.)

E che il terrestre salga in cielo e le stelle tornino in terra, affinche tutto si fonda

"Il Cielo rivela direttamente la sua trascendenza, la sua forza e la sua sacralità. La contemplazione della volta celeste, da sola, suscita nella coscienza primitiva un’esperienza religiosa."
- Mircea Eliade

giovedì 19 aprile 2018

martedì 17 aprile 2018

Pensieri sulla morte, da un amico appena scomparso

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La Morte non è un fenomeno come qualsiasi altro ma, in certa prospettiva, è l'Evento per antonomasia poiché, sul piano fisico e biologico (e, almeno in apparenza, psichico e intellettuale), coincide con la Fine dell'individuo. Almeno così in prospettiva di mero materialismo (ben misera cosa, parola di uno che ha passato giornate in sala settoria...). 

Si comincia a morire nel momento in cui si nasce; e il decesso è come un nemico perennemente in agguato, nessuno al mondo può essere certo che non sia dietro l'angolo. Tutto questo genera inevitabile angoscia, pur rifiutata ed esorcizzata in vari modi.

Le religioni hanno dunque cercato di offrire risposta e consolazione a tale Paura suprema, con il duplice scopo di lenire la ferita sociale dovuta alla scomparsa del singolo inteso come membro della comunità e, al tempo stesso, far sì che l'esistenza di ciascuno non risulti svuotata di significato come per molti sarebbe se questa si identificasse con una corsa verso il nulla, un baratro oltre il quale nulla sopravvive se non la memoria fra i superstiti (neppure quella, per il defunto anonimo). 

Le parole iniziali dell'ultimo post di sideros tradiscono conoscenza delle tesi di Ariès (riprese e conndivise in misura più o meno ampia da vari autori in letteratura scientifica, anche dal sottoscritto nel suo infinitamente piccolo). 
Più in generale per i popoli antichi, ancora fino a tutto il Seicento e parte del Settecento, la morte era un fatto che rientrava nell'ordine naturale delle cose. Cui si cercava di porre rimedio consolatorio nei limiti del possibile, ma che era conosciuta e accettata nella sua ordinarietà. Subenrerà poi un'alterazione graduale, fino alla tabuizzazione dei giorni nostri nei quali la morte è stata fra l'altro rimossa e spostata fisicamente (dalla casa alla corsia ospedaliera, per esempio) e la cura del moribondo passa non di rado dalla famiglia (che una volta presenziava con solennità al trapasso, "partecipando") a estranei quali infermieri o badanti. 

Ma c'è di più: la morte in sé pare non esistere più. E' sempre ricondotta (anche per i centenari) a un'infinità di circostanze contingenti, patologiche o acciedentali, accomunate dal fatto che, prima o poi, saranno sconfitte. 

E' una vergogna, un oltraggio, una carcassa che ci si sforza di relegare nell'eccezionalità pur essendo, invece, quanto di più normale ci sia. E' "uno scheletro nell'armadio abbandonato nella linda, ordinata, funzionale e piacevole casa che la modernità aveva promesso di costruire" (Z. Bauman, "Il teatro dell'immortalità"). D'altronde, il canto delle sirene della scienza sembrerebbe promettere davvero se non la sconfitta della morte quanto meno la prospettiva di un formidabile aumento della vita media... In ciò vi sono esagerazioni mediatiche, ma anche possibilità reali (come quella offerta dalle ricerche sulle staminali).

E tuttavia, si riscontra un enorme paradosso: mai come adesso siamo stati sopposti a un bombardamento massmediatico di simile imponenza quanto alla morte stessa... Riferimenti abbondano ovunque, dai fumetti al cinema, dai giornali e notiziari agli spot pubblicitari al punto che qualcuno (Giovannini) ha scritto un saggio su questa capillare diffusione della "Necrocultura". 

Cacciata dalla porta, rientra dalla finestra; pur come morte "altrui".

Mauro Biglino VS Arroganza & Bigottismo [RETE4]

domenica 15 aprile 2018

sabato 14 aprile 2018

In principio fu un suono, che creo il tutto. Le teorie del musicologo M. Schneider



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La peculiare visione archetipico-simbolica del filologo e musicologo tedesco Marius Schneider è racchiusa splendidamente in questo primo capitolo de “La musica primitiva” (1960) in cui le forze divine vengono viste, attraverso la meticolosa analisi dei miti di origine delle più svariate tradizioni, innanzitutto come “potenze sonore” 


tratto da M. Schneider, “La musica primitiva, cap. I
Adelphi, Milano, 1992, pp. 13 – 22



IL SUONO CREATORE DEL MONDO
Un gran numero di informazioni sulla natura della musica e sul suo ruolo nel  mondo ci viene dai miti della creazione. Tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione. Nell’istante in cui un dio manifesta la volontà di dare vita a se stesso o a un altro dio, di far apparire il cielo e la terra oppure l’uomo, egli emette un suono. Espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale. In altri casi egli si serve di un oggetto materiale che simboleggia la voce creatrice.
La fonte dalla quale emana il mondo è sempre una fonte acustica. L’abisso primordiale, la bocca spalancata, la caverna che canta, il singing o supernatural grounddegli Eschimesi, la fessura nella roccia delle Upanisad o il Tao degli antichi Cinesi, da cui il mondo emana «come un albero», sono immagini dello spazio vuoto o del non essere, da cui spira il soffio appena percepibile del creatore. Questo suono, nato dal Vuoto, è il frutto di un pensiero che fa vibrare il Nulla e, propagandosi, crea lo spazio. È un monologo il cui corpo sonoro costituisce la prima manifestazione percepibile dell’Invisibile. L’abisso primordiale è dunque un «fondo di risonanza», e il suono che ne scaturisce deve essere considerato come la prima forza creatrice, che nella maggior parte delle mitologie è personificata negli dèi-cantori. Nei miti, la materializzazione di questi dèi, nella forma di un musicista, di una caverna nella roccia o di una testa (umana o animale) che grida è, evidentemente, soltanto una concessione fatta al linguaggio più concreto e immaginoso del mito.
In origine il termine Brahman significava «forza magica, parola sacra, inno». È dalla «bocca» di Brahmā che uscirono i primi dèi. Questi Immortali sono canti. Le Upanisad non si stancano di ripeterci che i suoni OM e AUM sono la sillaba «immortale e intrepida» creatrice del mondo. Secondo la Nādabindu Upanisad, il soffio sonoro dell’Ātman (cioè l’Ātman stesso) è simboleggiato da un uccello la cui coda corrisponde al suono della consonante M, mentre la vocale A rappresenta l’ala destra e la U l’ala sinistra. Prajāpati, il dio creatore vedico, nato anche lui da un soffio sonoro, è un canto di lode. Le sue membra e il suo tronco sono composti di inni, la sua attività è perciò puramente musicale.
« Tutto ciò che gli dèi fanno, lo fanno tramite la recitazione cantata. » (Śatapatha Brāhmana)
Gli Iakuti, come pure gli antichi Egizi e alcune tribù primitive dell’Africa, immaginano dio come un grande urlatore. Nella mitologia cinese sono numerosi gli dèi che operano essenzialmente mediante grida o strumenti musicali. I ventidue caratteri enumerati dal Sefer Yezirah sono le emanazioni sonore e creatrici di Dio.
Molto spesso il canto del creatore è identificato con il tuono. Tale assimilazione è sicuramente molto antica: la troviamo infatti già nella mitologia di popoli primitivi come i Californiani, gli Aranda dell’Australia, i Samoiedi e i Coriaki dell’Asia settentrionale. Essa esiste inoltre nell’Africa meridionale (Zulu, Bashilange), in Congo, in Niger e presso i Masai. In America, la sua diffusione è notevole e persiste nelle grandi civiltà del Vicino e dell’Estremo Oriente. In Africa e nell’Asia settentrionale, nel rumore della pioggia o del vento turbinante si riconosce la voce di Dio.
Molto spesso il creatore si presenta anche come un quadrupede ruggente (il toro vedico o persiano), un insetto ronzante, un uccello-tuono oppure un dio-cantore antropomorfo completamente bianco e splendente. Il dio Śiva è un danzatore che suonando il tamburo, il flauto, la conchiglia o la cetra fa in modo che il mondo continui a esistere. In Africa il dio creatore dei Kamba è chiamato «Mulungu», che significa «felicità, bambù cavo, flauto». In California (Kato, Pomo, Yuki) la voce tonante del creatore è prodotta da un grande rombo. Il coccodrillo (egizio e cinese) che, per mettere ordine nel caos, si percuote il ventre con la coda è un tamburo, ed è molto probabile che il dio degli Uitoto (America), il quale estrae le acque primordiali dal proprio corpo, sia anch’egli un tamburo. In Asia Minore, il dio Ea o Enki è «bulug», il tamburo («la Parola del creatore»), così come lo sono gli dèi che, guidando la creazione, si trovano incarnati in alberi parlanti (Lango, Ottentotti, Pangwe), che corrispondono ai grandi tamburi-alberi, di solito intagliati in forma di uomini o animali. Il dio Taaroa (Isole della Società) generò se stesso in una conchiglia, probabilmente una conchiglia marina. Secondo il Taitirīya Brāhmana, per dare origine ai primi ritmi del mondo (rsi) Prajāpati scosse se stesso. Prajāpati era forse un sonaglio?
In certi miti, il suono creatore non è simboleggiato direttamente da uno strumento musicale, ma da alcuni oggetti ai quali si attribuisce la capacità di risonare. È molto probabile che la canna di cui parlano i miti giapponesi fosse un flauto di bambù. Il fumo della pipa, nel quale il gran Manitù raccoglie le anime umane, simboleggia il ponte sonoro del sacrificio. Numerosi racconti californiani ci riferiscono che il mondo sorse dal canto di una penna o di una piuma. All’inizio la penna galleggiò immobile sulle acque del nord, ma presto cominciò a cantare e a volteggiare dirigendosi verso est, dove i suoi suoni fecero apparire la Terra. I riti ci inducono a supporre che il volteggiare della penna disegnasse la forma di una spirale.
L’idea del mondo generato da un canto deve avere un’origine molto remota. A dimostrarlo basterebbe la sua diffusione, ma appare antichissima anche perché non implica la preesistenza di uno strumento di lavoro più o meno perfezionato. Le civiltà tecnicamente più progredite ci mostrano spesso il creatore come un vasaio, un falegname o uno scultore il quale, dopo aver foggiato i corpi, comunica loro la vita mediante un grido, un’espirazione sonora o la saliva. […]
Se il creatore è un canto, è evidente che il mondo a cui dà vita è un mondo puramente acustico. La Chāndogya Upanisad ci dice che il ritmo gāyatrī è «tutto ciò che esiste». I ritmi o i metri enumerati dai riti vedici sono però molti di più. Tali cerimonie ci dimostrano che il suono e il ritmo peculiari a ciascun essere o il nome loro assegnato costituivano in effetti l’essenza degli dèi invocati e degli esseri creati da loro. La radice, la potenza e la forma di tutte le cose esistenti sono costituite dalla loro voce o dal nome che portano, perché tutti gli esseri non esistono se non in virtù del solo fatto di essere stati chiamati per nome.
La natura dei primi esseri è puramente acustica. I loro nomi non sono definizioni, ma nomi o suoni propri: non sono dunque solamente supporti vocali della forza vitale degli esseri, ma gli stessi esseri. Anche il dio supremo, che crea se stesso, ottiene l’esistenza pronunciando il proprio nome, salvo nel caso in cui sia lui stesso generato dal suono di una campana (Giava), di un’orchestra di tamburi (India), di una parola trasmessa con il tam-tam (Uitoto) o di un flauto di bambù (Zulu). Questi suoni costituiscono allora, nell’ordine della creazione, il più alto e antico grado sonoro concepibile.

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IL SUONO-LUCE
In un gran numero di miti si dice che i primi canti della creazione portarono il chiarore o l’aurora. I popoli primitivi attribuiscono spesso quel grido di luce al sole, al canto di un gallo divino o al ruggito di una belva affamata. Nelle grandi civiltà questa azione meravigliosa è generalmente opera di un animale domestico particolarmente venerato. Nell’antica Persia, la luce fu evocata dal toro celeste di Ahura Mazdah. La letteratura vedica ci parla del «muggito di una vacca luminosa» che simboleggia la nube gravida di pioggia. La Kāthaka Upanisad descrive l’Ātman (l’essere supremo), che si esteriorizza nella sillaba OM, come una luce intensa.
I Tahitiani credono che la luce creatrice provenga dalla bocca del dio Tane. Secondo i Maori, Dio creò l’Universo per mezzo di una parola che evocò la luce. Nei miti polinesiani, Atua cominciò il suo canto nel mezzo della notte e il chiarore se ne sprigionò soltanto verso il mattino. Quei canti sono dunque ora voci luminose, ora suoni che producono chiarore. In genere i testi non sono molto espliciti a questo proposito: in diverse leggende il creato nasce da un semplice suono o da un raggio di luce, ma forse questi testi sono incompleti. È molto probabile che la versione originale considerasse il fuoco o il sole-cantore come un elemento primordiale, inudibile e celato nelle acque tenebrose. Uscendo dal mare, quel canto (ora il creatore, ora una creatura di Dio) si unisce al canto delle acque e appare l’aurora. Se ci atteniamo al simbolismo del temporale, il pensiero creatore di Dio è il grido-lampo che produce il tuono, e soltanto dopo il temporale il canto di luce del sole comincia a irradiarsi.
La Maitrāyana Upanisad considera l’Ātman come il «primo» sole da cui emanano numerosi ritmi che, dopo aver «sfavillato, versato pioggia e cantato inni», ritornano alla «caverna» dell’essere supremo. A volte questa caverna sonora o questo sole primordiale sono simboleggiati da un uovo splendente o da una lucente conchiglia dalla quale spuntò l’astro solare. Dopo che il dio egizio Amon, sotto forma di oca, ebbe covato l’uovo solare, con la voce annunziò la luce. Secondo la Chāndogya Upanisadtutto ciò che esiste si sviluppò in un uovo munito di una fessura da cui uscì il sole cantore. Ora, simbolicamente, l’uovo con la fessura corrisponde, sul piano antropologico, a una testa la cui bocca emette il primo canto della creazione. L’Aitareya Brāhmana ci dice che l’uovo covato dall’Ātman «si aprì come una bocca» per proferire la prima parola o per dare alla luce la testa di Purusa (il gigante cosmico). Il Rg Veda ci segnala i sette Rsi, poeti mitici o metri poetici il cui canto generò la prima aurora e formò la testa di Prajāpati, incaricata di pronunziare le sillabe creatrici del mondo. Secondo un’altra versione, Prajāpati nacque da un concerto di diciassette tamburi.
L’immagine della testa come simbolo dell’uovo o della caverna può facilitare la comprensione di certe formule frequentemente usate nella descrizione di questo primo stadio, puramente acustico, della creazione. Dire che gli dèi «producono» e «fecondano» per mezzo della bocca, mentre si «nutrono» e «concepiscono» tramite l’orecchio, è soltanto un modo di esprimersi simbolico per significare che, durante il primo stadio della creazione, tutti gli atti erano di natura acustica. […] Cantando dapprima tra sé e sé, gli dèi realizzano la partenogenesi, caratteristica degli inizi della creazione. Thot, il dio creatore della musica, della danza e della scrittura, e anche il dio-sole si fecondano perciò da se stessi ridendo o lanciando un grido di luce. La scuola di Heliopolis esponeva la storia della creazione in due differenti versioni. Secondo la prima il dio-sole generò gli altri dèi per mezzo di un grido di luce. Nella seconda versione questo grido è sostituito da un atto di masturbazione o da una espettorazione del sole.
Poiché la parola, il sole o l’uovo sono dapprima immersi nella notte delle acque eterne, è evidente che quando evocano l’aurora essi sono impregnati di umidità. Nella cosmogonia dei Dogon (Africa), questa «parola umida e luminosa» interviene in tutti gli stadi della prima fase della creazione. Il ruolo di rischiaratore attribuito agli dèi-musicisti sembra implicare, fin dagli inizi della creazione, la posizione che le antiche civiltà riconoscevano anche alla musica all’interno della cultura umana. Situata fra le tenebre e la luce del primo giorno, sul piano umano la musica si trova fra l’oscurità della vita inconscia e la chiarezza delle rappresentazioni intellettuali; appartiene dunque in gran parte al mondo del sogno. Nel primo stadio della creazione, durante il quale i suoni si rivestono a poco a poco di luce, la musica precorre il linguaggio intelligibile come l’aurora precede il giorno. Essa racchiude al tempo stesso l’oscurità e la luce, le acque e i fuochi. La musica è il sole umido che canta l’aurora. Ma, via via che i suoni si precisano, questo «linguaggio» primario si divide: una parte si avvia a divenire la musica propriamente detta; un’altra si incarna nel linguaggio composto di frasi chiare e distinte, soggette al pensiero logico; la terza parte si trasforma a poco a poco in materia.
È stata rilevata più volte la strana caratteristica che questi miti hanno di menzionare spesso, agli inizi della creazione, alcuni elementi concreti (acque, fuochi, uovo, testa, penne, animali) che sono già oggetti creati. In realtà, tali elementi non sono che simboli materiali dei primi fenomeni puramente acustici. In quel mondo umido di suoni e di luce, la musica è la sola realtà, e si trasforma parzialmente in fuoco, in acqua e in altri oggetti concreti soltanto dopo l’apparizione della materia. Le tenebre e le acque simboleggiano probabilmente il suono puro, mentre la luce che precisa a poco a poco i contorni delle acque corrisponde al metro. Le «acque eterne incorporate dai raggi dell’aurora» possono essere interpretate soltanto come un simbolo della musica primordiale.

Tale musica sembra composta ora di grida o di sillabe magiche, ora di gemiti o di rumori inarticolati. Sotto questo aspetto i documenti sono contraddittori, ma è molto probabile che si tratti di un grido di gioia mescolata a dolore, dal momento che tutti questi dèi hanno una natura duplice. Nel linguaggio simbolico, il carattere ermafrodita di quella musica è espresso chiaramente dalla sua identificazione con l’aurora, poiché la fusione della notte e del giorno, delle acque e dei fuochi o della pioggia e dei raggi di sole «nel rumore delle nozze lucenti dell’aurora» (Rg Veda) è una metafora del matrimonio, ossia di un ritmo prodotto dall’unione del suono e del metro. La musica è il prototipo del principio concertante delle forze della natura. Tutti gli altri fenomeni della natura concreta che presentano due aspetti antitetici sono soltanto espressioni materiali di una legge essenzialmente musicale. Gli antichi filosofi non si stancarono perciò di usare metafore attinte alla musica, che è la prefigurazione e l’essenza del cielo e della terra.

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