domenica 30 gennaio 2011
Christian De Sica e Trockij
Il rivoluzionario Lev Trockij
L'attore Christian De Sica
Jaime Ramón Mercader del Río Hernández (Barcellona, 7 febbraio 1914 – L'Avana, 18 ottobre 1978) è stato un agente segreto spagnolo operante nel NKVD durante il governo di Josif Stalin nell'URSS. Divenne noto unicamente per essere stato l'assassino di Lev Trockij.
Era fratello dell'attrice Maria Mercader, cognato dell'attore e regista Vittorio De Sica, e zio di Christian e Manuel De Sica.
La sala di meditazione delle Nazioni Unite
La sala della meditazione delle Nazioni Unite è costruita a forma di piramide tronca.
Nel centro vi è un altare fatto di magnetite, il più grande frammento naturale di magnetite mai estratto.
Il murales misterioso aiuta inoltre i “fedeli” ad entrare in contatto con energie esoteriche, ed aiuta a raggiungere uno stato di coscienza alterato.
E'una sala carica di suggestione e a mio parere non è prerogativa della sola massonerie, ma è un luogo sacro e magnetico dove l'anima vibra!
Lo svedese Dag Hjalmar Agne Carl Hammarskjöld e lastanza di quiete.
Dag Hjalmar Hammarskjold 2 volte segretario di stato delle NU, Nell'immediato dopoguerra il neonato Consiglio Mondiale delle Chiese e il Movimento dei Laici Cristiani fecero pressioni sull'ONU per istallare la "CAMERA DI MEDITAZIONE" nel complesso delle NU , in via di costruzione a New York su progetto di Max Abramovitz e del celebre architetto Wallace Harrison , molto vicino ai Rockefeller, per i quali costrui viicino al Rockefeller center, da lui progettato, una statua di Prometeo.
Il progetto definitivo fu di Dag Hjalmar Agne Carl Hammarskjöld.
La Camera di Meditazione, o stanza della quiete, e' una saletta aperta al pubblico, sita in prossimita' dell'ingresso al piano terra del palazzo di vetro. Per accedervi occorre oltrepassare una porta di cristallo sorvegliata da 2 poliziotti, percorrere quasi al buio circa 6 metri di corridoio e girare a dx dove inizia la stanza. La stanza e' insonorizzata e si presenta priva di finestre, a forma di tronco di piramide adagiato su un fianco con la base minore occupata da un disegno composto da 22 triangoli. Il trapezio che costituisce il pavimento della Camera , a sua volta ha le seguenti misure; base maggiore lunghezza 6 mt, base minore lunghezza 3 mt e altezza 9 mt. Prolungando idealmente i due lati obliqui del trapezio oltre lo spazio dell'affresco, essi si incrociano a definire il vertice di un triangolo la cui altezza rispetto alla base, con semplice figurazione geometrica, si ricava essere 18 mt. Il numero 18 secono E. Levi rappresenta il dogma religioso che e' tutto poesia e mistero.
Nel centro geometrico della stanza giace un blocco monolitico di magnetite perfettamente squadrato , dono del re di Svezia ad Hammarskjold , del peso di 6,5 tonnellate e dimensioni all'incirca di ; m 1,70x1,20x0,60. Si tratta di un grosso magnete naturale, che si appoggia su un basamento posto in contatto con la roccia della fondazione onde formare un corpo unico con la terra. La camera e' illuminata debolmente per far si che risalti la luce di una sorgente luminosa nascosta che, dal soffitto, proietta un fascio di luce sulla superficie piana lavorata della pietra.
Ci sono 10 posti a sedere, il che richiama alla simbologia del 10 e alla tetractis pitagorica. Il 22 invece ci riporta ai 22 arcani maggiori.
La stanza e' stata visitata da Giovanni Paolo II, dall'attuale papa, e da capi di stato di ogni nazione.Dalai Lama compreso! Io non ci sono stato, ma il luogo esiste e puoi fare una ricerca per conto tuo se vuoi. Ne parlano gli stessi massoni in alcuni testi da loro redatti.
La pietra squadrata e' un simbolo prettamente massonico, e su questo non ci puo' essere il benche' minimo dubbio.
venerdì 7 gennaio 2011
Addio Freud
Addio a Freud: le ragioni di Jung
di Marco Garzonio - 04/01/2011
Fonte: Corriere della Sera
Se c’era bisogno di una conferma che Jung non fu allievo di Freud,
ecco la prova provata: la testimonianza del protagonista, Jung. Di lui
Bollati Boringhieri ha pubblicato l’attesissimo Libro rosso (pp. 371
+XXII, e 150), l’inedito a ragione definito evento editoriale. Per
numerosi motivi. Tecnici innanzi tutto: mole e formato da tomo
enciclopedico; stampa a colori in facsimile del codice pergamenaceo
rilegato in pelle rossa (di qui il titolo) in cui tra il 1913 e il
1930 Carl Gustav Jung trascrisse le sue esperienze in caratteri
antichi, con capilettera miniati e disegni potenti; traduzione,
apparati introduttivi e note indispensabili per comprendere un
materiale tanto vasto nei riferiment i e s t u p e f a c e n t e p e r
vulcanicità. Nei contenuti, dal punto di vista storico l’avvio
dell’opera risale alla rottura con Freud. In realtà alla vigilia dei
40 anni Jung decise di ritirarsi in se stesso ed avviò un drammatico
confronto con l’inconscio: sogni, immagini, fantasie, che lo
invadevano col rischio di travolgerlo. Abbandonò lo «spirito del
tempo» , valori e codici ispirati a riconoscimenti esterni
(«Appartenevo alle persone e alle cose. Non appartenevo a me stesso» )
e scelse di ascoltare lo «spirito del profondo» . Nel «cercare la
propria via» ebbe come ispiratori due antichi filoni del sapere: il
«conosci te stesso» della classicità e il monito evangelico «rinnega
te stesso» se vuoi seguire la via del Signore e ritrovarti. Una
discesa dolorosa agli inferi che ha per modello Dante e, più prossimo
per cultura e tempi, Nietzsche; con una differenza però rispetto a
quest’ultimo: Zarathustra inneggia alla morte di Dio; in Jung, invece,
v’è la scoperta della rinascita di Dio. Certo, un Dio non
confessionale, realtà numinosa e potenza spirituale universale più che
persona come vuole il Cristianesimo; comunque dimensione trascendente
che dà spessore alla ricerca di senso del singolo e accomuna gli
uomini. Non è un caso che il vero titolo dell’opera (sottotitolo del
volume) è Liber novus, cioè annuncio di trasformazione interiore e
rinascita, conquista dell’ «uomo nuovo» . L’intero drammatico viaggio
di Jung per ritrovare se stesso, la sua soggettività, il «chi sono io»
, è il prototipo del «processo di individuazione» , un’avventura
personale che assurge a schema psicologico dotato di validità
generale, uno dei fondamenti della psicologia analitica. Nel testo,
negli apparati straordinari messi a punto dal curatore Sonu Shamdasani
v’è la riprova che quando va da Freud a Vienna (1907) Jung è studioso
e terapeuta già formato. Vanta convinzioni sue sull’avventura onirica
(il sognatore che svolge più parti come in un dramma), sull’inconscio
(non è solo rimosso), sul principio trascendente e vitale (l’anima).
Riconosce maestri Goethe, Schopenhauer, Nietzsche; in psicologia si
sente debitore verso Flournoy, Bleuler, Janet; ha frequentazioni coi
movimenti dadaista e simbolista. Alle spalle fondanti sono gli anni
universitari a Basilea, i riferimenti al concetto di coscienza
individuale di Lutero e al filone umanistico-rinascimentale di
Burkhardt, teso a ricostruire il nesso tra senso della storia e
sviluppo della psiche. Resta la domanda, come mai Freud e Jung che a
prescindere l’uno dall’altro han costruito ipotesi su origini della
nevrosi, senso della sofferenza e della cura, metodo di analisi,
nozione di inconscio e di libido, abbiano subito un’attrazione
reciproca così forte da rendere tanto fragorosa poi la rottura. La
risposta non sta nelle teorie, ma nei rapporti umani e nelle
proiezioni che innescano; da esse i fondatori non erano vaccinati
evidentemente. Freud, fiero delle sue scoperte («La psicoanalisi è una
mia creazione» ) investì su Jung e lo designò erede; Jung, bisognoso
di legittimazioni dopo l’esempio devastante del padre (persa la fede
continuò il ministero di pastore), gradì il ruolo di figlio, salvo poi
cercar di liberarsene alla sua maniera, uomo d’ingegno ma d’un
carattere che gli farà confessare in Ricordi, sogni, riflessioni: «Ho
offeso molta gente» . V’è da augurarsi ora che Bollati Boringhieri
realizzi un’edizione praticabile, in 8 ° , con testo, introduzione,
note e una cinquantina di immagini, rendendo il Libro rosso
accessibile a un pubblico vasto, oltre gli specialisti o i cultori di
emozioni superficiali e svianti (s’è parlato di «santo Graal
dell’inconscio» o di «nuova Bibbia» !). Occorre voltar pagina e
ripartire dalle scoperte di Jung su di sé. Egli rivendicò di essere un
empirico (il Libro lo prova), non guru né fondatore di una religione,
nemmeno l’anti Freud, perché la psicologia del profondo è plurale.
Sulla scia di Jung che pone il «fantasticare» accanto al «pensare
indirizzato» , logico e verbale, si schiudono orizzonti nuovi per la
portata immaginifica, plastica, creativa della psiche.
giovedì 6 gennaio 2011
Il cavallo più raro e prezioso del mondo
Il cavallo dal manto d'oro l'Akhal -tekè
"Il cavallo d'oro", "l'atleta dal mantello di seta", "l'unico purosangue veramente puro", "il più
bel cavallo del mondo" : impossibile parlare di lui senza ricorrere in superlativi. Sicuramente
l'akhal tekè è un animale straordinario. Diverso dagli altri cavalli almeno quanto il levriero,
ad esempio, è diverso dagli altri cani.
E' originario del Turkmenistan, ex repubblica sovietica dell'Asia centrale, ricca di immense
riserve di gas naturale, situata fra il Mar Caspio e l'Afghanistan, confinante a nord con
l'Uzbekistan e a sud con l'Iran. La sua culla d'origine è un'oasi prospera sorta in mezzo al
deserto del karakum, la valle dell'Akhal, il cui capoluogo reca un nome, Ashkabad,
traducibile con " città dell'amore". Questo paradiso è il feudo di una tribù turcomanna, i
Tekè, poco numerosi ma noti da sempre per la qualità dei loro ricami, monili e tappeti.
La loro impresa più riuscita, la loro più splendida creazione, tuttavia, non è un prodotto
artigianale, bensì un cavallo. Un cavallo non molto alto (da 1.60 a 1.65 m) ma slanciato,
fine, aggraziato, aristocratico, dal mantello serico, dai riflessi metallici, dalle andature
flessuose. Un cavallo dalle lunghe gambe, dall'incollatura assai rilevata, con la testa espressiva
e il ciuffo quasi inesistente.
"Un cavallo a cui si darebbe volentieri del Lei " spiegava Maria Cerkezova, una russa stabilitasi a Ashkabad e soprannominata "la madre degli Akhal Tekè" per aver dedicato la vita intera ( morì nel 2003) alla salvaguardia di questa magnifica razza, che rischiava l'estinzione per effetto di una natura inclemente ( Ashkabad fu devastata due volte, nel 1924 e nel 1948, da violenti terremoti) ma anche della stupidità umana : ritenendo che il cavallo dovesse far posto alla meccanizzazione, il potere sovietico aveva deciso, negli anni '50, di fare dell'Akhal Tekè un animale da macello !
Sarebbe stata una triste fine per un animale così fantastico, un cavallo dal passato così prestigioso. I Turkmeni, infatti, ritengono senza ombra di dubbio che il loro cavallo - che oggi campeggia al centro dello stemma della loro repubblica- sia l'antenato di tutti i cavalli. E' certo che fu la cavalcatura degli Sciiti, dei Parti e persino delle Amazzoni. Sicuramente Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, era un Akhal Tekè. Sicuramente i famosi "cavalli celesti" degli imperatori cinesi erano anch'essi akhal tekè.
Di sicuro senza il coraggio di esperti appassionati, come Maria Cerkezova, o Vladimir Shamborant (zootecnico sovietico di origine francese), che si opposero al massacro, la razza si sarebbe probabilmente estinta. Oggi, fortunatamente, è oggetto di amorevoli cure, non soltanto nel suo territorio di origine ma anche nei paesi attigui, principalmente in Russia, in Germania e persino, da poco tempo a questa parte, negli Stati Uniti. Nonostante questa diffusione oramai mondiale, l'akhal tekè resta un animale raro: in tutto il mondo se ne contano poco più di tremila esemplari.
Apprezzato nei secoli per le sue prodigiose doti di fondo e resistenza, il cavallo turkmeno si è rilevato particolarmente dotato per il dressage: Absent è stato uno dei cavalli più premiati nella storia dei Giochi Olimpici. Questa facilità di apprendimento, sommata alla sua straordinaria bellezza, ne fa un animale ricercato anche dai circhi di tutto il mondo.
Testo di Jean-Louis Gouraud
Dal libro fotografico "CAVALLI" di Yann Arthus-Bertrand
domenica 2 gennaio 2011
Dalla conferenza stampa tenuta presso il comune di Verona
Alla scoperta della Stonehenge di Verona Turisti sulle tracce di antichi riti e punti sacri
VERONA - Verona ha una sua Stonehenge da .svelare, Una città magica fatta di pietre allineate ai punti di solstizio, come nel sito inglese, in base ad antichi riti; sacre misure e allineamenti astrologici. Provare per credere il 21 dicembre o il 21 giugno, in piazza Erbe o in via Pellicciai: ci si accorgerà di una linea retta tra la nascita del sole al Pilotòn (prima di Montorio) al punto di tramonto che coincide con la chiesa di Santa Lucia extra. Una geometria concepita dai romani per motivi tutti da scoprire. Lo vuole fare la presidente della commissione Cultura Lucia Cametti, con l'aiuto degli studiosi Luigi Pellini ed Enrico Scognamiglio, andando a riscoprire le tracce di una Verona romana inesplorata; da lanciare come percorso turistico in antitesi ai dozzinali tragitti di massa Leggi finto balcone. di Giulietta Lo spunto, spiega la Cametti, arriva da Umberto Grancelli, morto nel 1970, nipote dello studioso Luigi Simeoni da cui assorbì la sete di conoscenza che lo portò a sondare le origini di Verona. «Nel suo libro "il piano di fondazione di Verona romana definì Verona magica, con pietre che parlano non solo delle geometrie legate al cardo e al decumano, ma di una creazione allineata ai luoghi del sole - dice la consigliera -. Segreti affascinanti, come quelli di Stonehenge o delle Piramidi d'Egitto, che meritano di essere proposti come richiamo per un turismo esoterico. Un appeal enorme per i giovani, attratti dall'occulto».
Pellini lancia l'ipotesi di una Verona concepita dai romani come un cerchio mandalico, che unisce città antica e nuova: «Come nella fondazione di Roma, anche in riva all'Adige i romani seguirono probabilmente liturgie rituali e tradizionali per la sua creazione, orientandola nel senso del cammino annuale del sole o verso le costellazioni - ipotizza -. Verona appare composta di cerchi e allineamenti tuttora rintracciabili. C'è una geometria concepita per restare immutata nei secolli».
Verona città megalitica, come ipotizza lo studio del fisico Giulio Magli Scognamiglio invita ad approfondire le tracce di una simbologia inesplorata: «Il percorso ideale partirebbe dall'Arce, sommità e viscere di Castel San Pietro, legato alla dualità di un Dio bifronte. Quindi la discesa verso l'0rphanum di San Giovanni in Valle, con le colonne a forma di carro solare e a Santa Maria in Solaro (attuale Duomo), al balneum (la zona termale) e alla chiesa di Santo Stefano Cavalieri. Un giro che consentirebbe di toccare con mano l'antico allineamento, camminando in mezzo ad un enigma».
(L.Lor. )
Fonte: da il Corriere del Veneto edizione Verona di mercoledì 22 dicembre 2010
Link. http://corrieredelveneto.corriere.it/verona/
Dalla conferenza stampa tenuta presso il comune di Verona
Verona: Itinerari esoterici sotto la «guida» del sole
Niente a che vedere con correnti New age o con la «fissa» attuale per maghi e vampiri. Ma forse la «Verona magica» scoperta nel secolo scorso dallo studioso Umberto Grancelli (1904-1970) potrebbe aprire la frontiera inesplorata del turismo esoterico. Magari con successo. Un percorso culturale alternativo, che abbraccia in un cerchio la città romana, con il colle San Pietro, primo insediamento abitativo, come punto di partenza e di arrivo. A far da guida, il sole.
L'idea è di Lucia Cametti (An-Pdl), presidente della commissione consiliare per la cultura, incoraggiata dall'assessore Erminia Perbellini e affiancata da Enrico Scognamillo e Luigi Pellini, due cultori di storia locale e dei suoi risvolti esoterici. L'anteprima dell'iniziativa, che sarà a breve approfondita in un convegno, è stata presentata ieri a Palazzo Barbieri, non a caso nel giorno del Solstizio d'inverno.
«La Verona romana è perfettamente allineata al percorso del sole in cielo, caso unico al mondo. O meglio: anche Vicenza possiede lo stesso orientamento, ma "sbagliato" di qualche grado», spiegano Scognamillo e Pellini. «Grancelli intuì per primo che la nostra città rispondeva alle regole vitruviane per sfruttare al meglio il calore solare. La struttura urbanistica si sviluppa tra il punto in cui l'astro sorge nel Solstizio d'estate, cioè il Piloton dietro al castello di Montorio, e il punto in cui tramonta al Solstizio d'inverno, che coincide con la chiesa di Santa Lucia Extra. In mezzo, passa una retta ideale in direzione nord-sud, che coincide con il Cardo romano». Sole nascente e sole morente: metafora della vita umana in chiave astronomica e geografica.
Metafora che si ripete nella mappa esoterica, sulle orme di uno sconosciuto eroe fondatore della città, sviluppata lungo una circonferenza sull'asse del Cardo. Partenza, il colle San Pietro: luogo sacro per i romani, che vi avevano costruito il tempio di Giano, dio bifronte, «padre del mattino». La luce tocca poi l'abside di San Giovanni in Valle, che sorge sui resti dell'Orphanum, torrione con otto colonne, simbolo della ruota solare. Le altre tappe: l'Organum, edificio romano in zona militare, sostituito dalla chiesa di Santa Maria in Organo; via Stella, sede dei magazzini dei cereali, quindi luogo di nutrimento; Santa Maria in Solaro, ovvero il Duomo, allora zona termale per la purificazione; infine la chiesa di Santo Stefano ai Cavalieri, sede di un cimitero, simbolo della fine terrena, che però risorge, come il sole.
«Penso che una formula turistica esoterica, puntata sulla cultura e non sul dozzinale gusto del macabro, risulti accattivante anche per i giovani», commenta Cametti. Eppure non manca il tocco di mistero. Raccontano gli studiosi: «Grancelli, sepolto al Cimitero Monumentale, volle una tomba anonima». (L.CO.)
Fonte: da L’Arena di Verona di Mercoledì 22 Dicembre 2010, CRONACA, pagina 9.
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