Pavimento cosmatesco cattedrale di Anagni
martedì 27 febbraio 2024
martedì 20 febbraio 2024
La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio
di Marco Aime - Einaudi, 2014
Tenere d'occhio l'orologio, controllare il calendario, iniziare una frase con l'espressione "ai miei tempi", riconoscersi nelle esperienze di un coetaneo, confrontare le generazioni presenti e passate, sono tutte azioni che compiamo abitualmente e che passano sotto traccia nell'esperienza quotidiana di ognuno. In realtà, non solo il concetto di tempo è culturalmente prodotto, ma la misurazione delle diverse età della vita cambia in funzione dei gruppi umani come pure all'interno di una stessa società seguendo il mutare degli eventi storici.
Tra nascita e morte, le comunità culturali hanno distinto più o meno rigidamente una serie variabile di fasi dell'esistenza, caratterizzate dall'attribuzione progressiva di diritti e doveri, e segnalate da precisi "riti di passaggio". Il più diffuso, e probabilmente il più significativo, rito di passaggio è quello che permette la transizione dall'infanzia all'età adulta, da una dimensione protetta e dipendente dalla famiglia a una situazione di autonomia decisionale ed economica riconosciuta dall'intero gruppo sociale.
L'importanza del rituale - pubblico, simbolico e condiviso - dipende dal fatto che l'abbandono della condizione infantile durante l'adolescenza costituisce un momento cruciale di costruzione dell'identità e quindi, sottolinea Aime, «è quanto mai necessario che la comunità da un lato stabilisca in modo chiaro il confine tra il mondo dei giovani e quello degli adulti, e che dall'altro ne "protegga" il passaggio, collocando segnali, punti di riferimento ben visibili».
Nell'immaginario occidentale i riti di passaggio sono associati a epoche passate, premoderne, oppure alle narrazioni derivate dagli studi etnografici di società altre, che descrivono riti di iniziazione solitamente legati al corpo: prove di forza, di coraggio e di sopportazione del dolore, per gli uomini; il primo ciclo mestruale o la prima gravidanza, per le donne.
Il saggio di Marco Aime sovverte tale immaginario, interrogando direttamente le pratiche culturali di misurazione dell'età nella società italiana contemporanea: quali sono i nostri riti di passaggio? E qual è, oggi, la loro funzione?
Fino a qualche decennio fa, era possibile identificare nel servizio militare obbligatorio il rito di passaggio maschile più comune, che imponeva ai diciottenni un anno di distacco dalle famiglie e richiedeva l'obbedienza a rigide regole di comportamento. Allo stesso modo il matrimonio, soprattutto nel cerimoniale cattolico, segnalava attraverso un rituale preciso il passaggio a un nuovo status sociale e la nascita di una famiglia. Inoltre, grazie alla sempre maggiore scolarizzazione della popolazione italiana, l'esame di maturità ha assunto i connotati di un vero e proprio rito di passaggio, affrontato contemporaneamente e collettivamente da migliaia di giovani ogni anno. Infine, l'ingresso nel mondo del lavoro, preceduto da un periodo di apprendistato, rappresentava il momento di transizione all'autonomia economica e quindi a un nuovo potere negoziale all'interno della società.
Fatta eccezione per l'esame di maturità, le mutate condizioni politico-economiche hanno messo a repentaglio l'effettiva realizzazione di questi rituali, determinando forme di dipendenza prolungata dalla famiglia e allungando quello «stato liminale» in cui all'avvenuta maturazione biologica non corrisponde il riconoscimento della maturazione psico-sociale.
Attraverso un'analisi acuta e a tratti pungente, Aime mette in evidenza le ragioni politiche, istituzionali e sociali che hanno condotto alla progressiva dissoluzione del confine tra giovani e adulti, depotenziando il carattere rituale del passaggio tra due mondi esistenziali e lasciando l'adolescente privo di punti di riferimento definiti.
a scuola dai Lakota
Si insegnava ai bambini a restare seduti immobili e a prenderci gusto. Si insegnava loro a sviluppare l'olfatto, a guardare là dove, apparentemente, non c'era nulla da vedere, e ad ascoltare con attenzione là dove tutto sembrava calmo.
lunedì 19 febbraio 2024
Il vecchio selvadego che tiene il sole
“Il sole è nuovo ogni giorno”
Le cattedrali dei celti
"Per i Celti, la divinità non poteva essere rinchiusa in un recinto o in un tempio. Era nella natura e nei boschi, e dentro di noi: nel Nemeton, il centro, il bosco sacro
domenica 11 febbraio 2024
Janua coeli
Quella che vedete è una parte dell'antico tempio greco di Apollo sull'isola di Naxos, assomiglia ad una "porta sull'infinito", la sapevano lunga gli antichi greci
lunedì 5 febbraio 2024
L'Albero (o Quercia) di Thor era un antico albero sacro per la tribù germanica dei Catti e uno dei più importanti luoghi sacri dei popoli germanici pagani dell'Assia, nel cuore della Germania.
sabato 3 febbraio 2024
Il dio Krodo
I suoi simboli sono una ruota (ruota del sole, o ruota dell'anno), un secchio pieno di fiori e altre piante (fertilità; le ricchezze della terra), una fascia ondeggiante (caldi venti estivi, o bel tempo) e una pescare. Non è del tutto chiaro cosa significhino questi simboli, poiché non se ne parla nelle fonti medievali. Alcuni credono che i simboli rappresentino il bel tempo e i doni della Terra e dei fiumi, mentre altri pensano che potrebbero rappresentare i quattro elementi. Sebbene le terre sassoni (Germania nord-occidentale) furono brutalmente cristianizzate durante le guerre sassoni (772-804 d.C.) dall'impero franco, il culto di Krodo continuò almeno fino all'XI secolo in regioni isolate, come i profondi boschi dell'Harz -montagne. Oggi in questa zona si trova la città di Bad Harzburg; dove Krodo è molto famoso nel folklore locale. Vicino alla città c'è il "Burgberg" (montagna del castello), e si dice che una volta ci fosse un santuario del dio in cima alla montagna. Così nel 2007 vi è stata ricostruita una statua di Krodo.
venerdì 2 febbraio 2024
Evola antisemita?
Ricordo a Palazzo Barberini a Roma circa 30 anni fa, e più, ci fu un incontro su Evola, partecipava anche Sgarbi che parlava dell'Evola pittore. Servadio, che era fra i relatori, espresse questo concetto preciso premesso che il psicologo era di origine ebraica: <<Durante le leggi razziali a Roma, sono sicuro, che se avessi bussato alla porta di casa per chiede se poteva nascondermi Evola non avrebbe esitato un secondo e mi avrebbe accolto!>>
Il nato dall'urina degli dei
...la familiare sagoma di Orione, il gigante cacciatore, nato dalla pelle di un bue sulla quale avevano fatto pipi' insieme, fianco a fianco, Zeus e Ermes, o forse era stato suo padre ubriaco di ambrosia… comunque il profumo soave di quell’urina psichedelica aveva pervaso Orione, persino nell’etimologia del suo nome, facendo perdere come si sa la testa anche a femmine navigate come Alba, l’aurora, che infatti arrossisce ogni giorno al ricordo di quella notte d’amore trascorsa a Delo con quel bell’imbusto strafatto di funghi. È da lì che è nata l’espressione «s’è fatta l’alba».