venerdì 31 gennaio 2020

Il santuario di Giunone Gabina a Gabii ( San Vittorino - Agro Romano - Roma)

 Il santuario a differenza degli altri non presenta terrazzamenti accentuati ma si trova comunque su una piattaforma ottenuta modificando l’orografia del terreno; il santuario intorno al 150 a.C. viene intitolato a Giunone ma prima la zona era occupata da un culto oracolare ed animistico, come dimostrano le risultanze archeologiche. Consiste nell’insieme di una porticus triplex che va a cingere l’area sacra, al centro di questa area, sull’asse di simmetria, si colloca un tempio periptero sinepostico che si eleva su un basamento che permette un accesso solo frontale ed è presente un giro di colonne avente interasse variabile, le quali formano una peristasi che si conclude nelle ali, dentro troviamo la cella dove vi era la statua della divinità ; in asse con il tempio, l’altare ed una gradinata semicircolare che permetteva di sedersi nel momento in cui si assisteva ad una rappresentazione scenica di carattere religioso. All’interno dell’area erano presenti una serie di buche, il loro significato si riscontra nel fatto che l’area sacra era una specie di piazza alberata, questi alberi non erano stati inseriti per scopi estetici ma avevano la funzione di riprodurre quello che doveva essere l’originaria configurazione di questo luogo di culto, infatti in origine in questo luogo vi era un bosco sacro , all’interno del quale è stato individuato un nemus, ovvero una radura sacra nella quale si manifesta la presenza del divino. In particolari tra questi alberi ve ne era uno che era l’albero verso l quale veniva praticato il culto dell’albero, si tratta quindi di un culto che viene reinterpretato in chiave architettonica.

giovedì 30 gennaio 2020

SAVONAROLA passioni di un frate

Risultato immagini per Savonarola


Firenze - Sono passati cinquecento anni dalla morte di Savonarola. Nel mezzo millennio che ci separa dalla impiccagione e cremazione di fra Girolamo, il 23 maggio 1498, la sua figura s' è prestata alle più varie interpretazioni. Chi ha visto in lui un eroe. Chi un martire. Chi un profeta democratico. Chi un ciarlatano. Chi un santo. Chi un terrorista. Si sono alternate, sul suo nome, frettolose glorificazioni e ribadite scomuniche. Non è mancato chi, con vari gradi di verosimiglianza, s' è visto assegnare la patente di suo erede. Ma chi era davvero Savonarola? A quale cultura attingeva il suo appassionato attivismo? Che cosa ha significato la sua esplosiva vicenda nella vita fiorentina e italiana alla fine del Quattrocento? E' illuminante parlarne con Eugenio Garin, massimo studioso dell' umanesimo fiorentino. "Molto spesso i dotti", esordisce Garin, "indagando sulla ispirazione ideale di Savonarola, vanno a cercarne le tracce nelle lezioni di filosofia sistematica che egli impartiva ai novizi nel convento domenicano di San Marco. E' un errore: in quelle lezioni fra Girolamo si tratteneva negli argini della cultura tradizionale. Ciò per cui egli ha pesato nella moderna cultura europea va individuato altrove. Fra Girolamo non è affatto un essere spaesato nel mondo in cui vive. Meno che mai va visto come un predicatore anacronistico". Quando, nel 1482, il frate ferrarese si stabilisce per la prima volta a Firenze come "lettore" a San Marco, la vita culturale fiorentina è in piena fioritura. Con Lorenzo il Magnifico, il potere dei Medici è al culmine, in un clima di edonismo raffinato. Come si concilia, in un ambiente simile, la presenza di Girolamo, un quaresimalista ossessionato dal peccato? "Io ribadisco che Savonarola è molto meno fuori tempo di quanto possa sembrare. Nel profondo, certe sue posizioni sono chiaramente legate alla vita culturale di Firenze. I suoi legami con Giovanni Pico della Mirandola e con Angelo Poliziano, la sua conoscenza di Marsilio Ficino, non lasciano dubbi in proposito. Un altro umanista, Pietro Crinito, ha sceneggiato in una lettera questi incontri: essi si svolgevano, di sera, nella biblioteca di san Marco, dove Pico e Poliziano andavano a trovare il frate". Che cosa avevano in comune, il frate ferrarese e questi grandi dotti? "Discorrevano di filosofia. S' influenzavano a vicenda. Si scambiavano idee, curiosità, umori anticonformistici. E' per iniziativa di Savonarola che viene trascritto e poi tradotto in latino un codice che contiene una raccolta completa delle opere scettiche del pensatore e medico greco Sesto Empirico. Gian Francesco Pico della Mirandola, nipote di Giovanni, nella sua opera intitolata Examen vanitatis doctrinae gentium e largamente diffusa in Europa, applicherà sistematicamente lo scetticismo a tutte le branche del sapere. Questo vademecum della dottrina scettica avrà enorme influenza: lo si trova citato anche in qualche testo classico della pornografia, come le Vite delle dame galanti di Brantôme. Ecco l' humus culturale in cui viveva fra Girolamo". Insomma, altro che "monaco zoccolante", come lo raffigurano certi stereotipi. Ma che cosa rappresentava, in concreto, questa vicinanza alla cultura scettica per un predicatore di Santa Romana Chiesa? "Vi si coglie una profonda insoddisfazione per le filosofie antiche. Fra Girolamo non ne segue nessuna. Al pari dei suoi interlocutori, è un uomo curioso, informato, come dimostrano tanti suoi "appunti di lettura" ancora inediti. Condivide con Giovanni Pico della Mirandola l' interesse per la cultura cabalistica di tradizione ebraica e, insieme, per la tradizione islamica. Giovanni Pico compra testi ebraici e se li fa tradurre. Sostiene di aver tradotto in proprio le opere dello scienziato e filosofo arabo Ibn Khaldun". Ma parliamo dei rapporti di Savonarola con Lorenzo de' Medici. "Il frate e il Magnifico si consideravano con rispetto. In una sua lettera Angelo Poliziano racconta la morte di Lorenzo, l' 8 aprile 1492. E' in agonia quando accanto al suo letto arriva Savonarola. C' è anche Pico della Mirandola. Fra Girolamo impartisce al morente una specie di assoluzione". Non si tratta dunque di un frate "terribile", diffusore di profezie agghiaccianti? "Era certo un uomo che sosteneva le sue tesi con impeto e passione. Quanto alla sua terribilità, bisogna considerare con cautela certe esasperazioni polemiche che si collocano temporalmente dopo la morte di Lorenzo, la cacciata dei Medici da Firenze e l' arrivo del re di Francia Carlo VIII. In una lettera che invia ad Aldo Manuzio poco prima della condanna di fra Girolamo, Marsilio Ficino racconta d' essersi chiuso in casa, impaurito per le violenze dei "savonaroliani". Sono stati d' animo che vanno collegati a un momento drammatico che attraversa Firenze. Tempi di lotta asperrima, di estrema complessità politica". Le violente rampogne che egli scaglia contro la Chiesa di Roma ("ribalda", "lussuriosa", "meretrice") non trovano un precedente in luminosi sfoghi danteschi? In breve, Savonarola incarna un mondo medievale scomparso o può considerarsi un uomo del Rinascimento? "Quelle sue invettive anticipano l' esigenza di una riforma. Non bisogna dimenticare che, nel secondo periodo della predicazione di Savonarola, sul soglio pontificio sedeva un Borgia, Alessandro VI. E a Firenze non c' era più Lorenzo, ma la Signoria. Il Quattrocento è pieno di Dante e di Petrarca. Ma segna, insieme, una trasformazione che investe le scienze, le tecniche e le arti, considerandole un tutt' uno. Secondo me, Savonarola è un uomo del Rinascimento. E il Rinascimento sorge da una profonda trasformazione della cultura medievale". Uno storico di spiriti laici e positivistici, Pasquale Villari, considerò quel frate un eroe perseguitato. "Concordo pienamente con Villari. Amo inoltre la biografia che a Savonarola ha dedicato Roberto Ridolfi, autore di una trilogia - Machiavelli, Guicciardini e Savonarola, appunto - che considero una bella e grande opera di storia. Non apprezzo invece la stroncatura di fra Girolamo firmata dal giurista Franco Cordero in un' opera edita da Laterza. Sì, Savonarola fu, come voleva Villari, un eroe perseguitato. Lo ammiro, nonostante i suoi eccessi moralistici e apocalittici. Nonostante "il rogo delle vanità" che predicava e attuava. Mi è simpatico - ripeto - il suo scetticismo, che significa la rimessa in discussione di tutto. Che cos' è d' altronde l' umanesimo - senza il quale non si spiegherebbe Savonarola - se non la nascita del pensiero moderno?" Quale eredità ha lasciato fra Girolamo nel cattolicesimo fiorentino? "Ha fatto affiorare qualcosa di profondo che esisteva nella tradizione cristiana. Una figura come Giorgio La Pira, per fare un esempio, sarebbe inimmaginabile in un luogo diverso da Firenze e dal convento di San Marco". La predicazione di Savonarola sulla libertà religiosa assume anche dei risvolti "civili"? "Certamente. Risale a lui il tentativo di instaurare un governo popolare a Firenze. Gli eredi dei Ciompi che reggono la città come rappresentanti delle arti: ecco un ideale generoso e inattuato". Il priore di San Marco come un Lutero "avant-la-lettre? "Le differenze fra i due sono profonde. Ma entrambi esprimono un' acre insoddisfazione verso la Chiesa di Roma. Muore Savonarola, e di lì a poco il Concilio di Trento bloccherà non pochi spunti assai fecondi offerti dal Rinascimento. Poi bruceranno Giordano Bruno, condanneranno Galileo. Occorre essere un po' stupidi per sottovalutare il nesso fra questi eventi". A mezzo millennio dal suo supplizio, la memoria di fra Girolamo è ancora viva? "E' viva. Ma fra tante distorsioni, tanti errori. Il più grave consiste nel considerare il priore di san Marco l' anti-Umanesimo, l' anti- Rinascimento, una voce contraria alla Firenze "progressiva". E' vero il contrario: se non avessero ucciso e bruciato Savonarola, forse Firenze sarebbe stata la Ginevra d' Italia".
di NELLO AJELLO

mercoledì 29 gennaio 2020

San Cristoforo

In Oriente San Cristoforo era adorato sotto forma di un soldato dalla testa di cane. In Europa invece era un gigante colossale scolpito a guardia delle chiese. Esiste una risposta plausibile a queste stranezze? Pierre Saintyves, il padre dell'etnografia francese, ne diede una geniale agli inizi del secolo scorso. Scrisse che gli Dei pagani non erano morti e si mise a indagare come i poteri degli Dei fossero sopravvissuti nel culto di ogni Santo. I suoi studi furono messi sotto silenzio dalla Chiesa di Pio X....

martedì 28 gennaio 2020

Aquileia


Duemiladuecento anni. Tanti ne sono trascorsi da quando, nel 181 avanti Cristo, al centro della piana del Friuli, in vista delle Alpi Giulie, nacque Aquileia; ma la gestazione era cominciata cinque anni prima, ed era stata frutto del metus, della paura. Nel 186 avanti Cristo un gruppo di Galli, da oltralpe, passò nei territori dei Veneti con il proposito di insediarsi su quelle terre; e scelse, trovandola incolta e deserta (inculta per solitudines) l’area su cui sarebbe poi sorta Aquileia. Il fatto non piacque ai Romani, che, quando lo appresero, ne furono spaventati. Quel movimento pareva inserirsi in un quadro geostrategico globale: nel 188, nelle acque d’Asia Minore, era stata arsa, dopo il trattato di Apamea, l’ultima grande flotta mediterranea, quella del re di Siria, annullando la minaccia di una futura invasione via mare dell’Italia; e il 187 aveva visto nascere con la via Emilia, lungo il confine politico della penisola, l’Appennino, una linea difensiva — prefigurazione dei futuri limites dell’impero? — destinata entro pochi anni a collegare ben sei colonie militari, da Rimini a Piacenza. L’arrivo degli intrusi allarmò così un senato afflitto dalla paranoica paura postannibalica, che temette forse un pericolo più grave del reale; e, diffidando della smania revanscista del macedone Filippo V, che si diceva fosse pronto a muovere i barbari Bastarni dalle sedi balcaniche per scagliarli contro l’Italia, credette trattarsi di un’avanguardia dell’invasione.
A dissipare l’incubo bastò un’ambasceria oltre le Alpi. Avendo appreso che il passaggio in Italia era stata una decisione spontanea dei nuovi venuti, il senato intimò loro di andarsene, e mosse le legioni (183 a.C.). Fu il console Marcello a distruggere il nascente insediamento celtico, etiam invito senatu secondo Plinio (Naturalis historia, III, 131). Dopo avere comunicato loro che la cerchia alpina doveva rimanere inviolata, verso i Galli si mostrò però una certa indulgenza; e li si ricondusse incolumi alle loro sedi. Si decise allora la deduzione di una nuova colonia latina; e a fondarla furono inviati i triumviri Publio Cornelio Scipione Nasica, Gaio Flaminio e Lucio Manlio Acidino, ricordato in un’iscrizione aquileiese di età repubblicana. Grazie alle condizioni della regione si poterono allettare i tremila coloni (per una popolazione forse di diecimila anime in tutto) offrendo loro cospicui lotti di terra: 50 iugeri per ogni colono, 100 per i centurioni, 140 per i cavalieri.
L’origine di Aquileia è interamente romana: le terre occupate dai Celti erano inculta per solitudines e del loro insediamento, impianto provvisorio e non città, nulla sembra essere rimasto, mentre l’unico luogo che il mito classico rivendichi al Friuli più antico non è una polis, come la troiana Padova, ma la sede di un culto naturale, lo sbocco del Timavo al mare. Non distante a sua volta dall’Adriatico, in una zona paludosa lungo il fiume Natisone, a dieci anni dalla fondazione Aquileia non aveva ancora completato il circuito delle mura; tanto che Marco Cornelio Cetego, cui si deve anche la bonifica del luogo, vi dedusse nel 169 a.C. un secondo nucleo di 1.500 coloni, portando gli abitanti al numero di circa 15 mila.

Rito di fondazione della città. Rilievo, calcare locale. Aquileia, Museo Archeologico Nazionale.

Rosoni simbolici

Un rosone nell'eremo delle carceri, ad Assisi, e l'orbita di Venere rispetto alla Terra...

lunedì 27 gennaio 2020

La chiesa di Nôtre-Dame de Marceille e la Madonna Nera


Citata in un capitolo intero del saggio "La Vraie Langue Celtique" di Henri Boudet, un testo per molti versi enigmatico che fa parte della complessa mitologia che si è sviluppata attorno all'abate Sauniere ed all'affaire di Rennes-le-Château, la cittadina di Limoux sorge nel dipartimento dell'Aude, tra verdi vallate, attraversate dal fiume omonimo, e rigogliosi vigneti, destinati alla produzione vinicola. Qui, infatti, viene prodotto il rinomato "Blanquette de Limoux", delicato spumante annoverato nel gruppo dei cosiddetti "Vins de Pays Cathare", prodotti, cioè, in quelle zone che un tempo furono territorio dei Catari, prima che venissero perseguitati dalla Chiesa come eretici. L'aura di fascino e di mistero avvolge ancora questi territori, e ben lo sanno i produttori di vino, che hanno scelto come logo per i loro vini un calice avvolto tra le spire di una vite, foggiata a mo' di serpente: un richiamo al simbolismo del Santo Graal ed al Serpent Rouge contenuto nei "Dossiers Secrets", pilastro fondamentale del mito plantardiano del Priorato di Sion.
La chiesa di Nôtre-Dame de Marceille sorge alla periferia del paese, circondata dai vigneti. La zona era stata abitata sin dal periodo paleolitico, e si ritiene che la chiesa stessa sia stata eretta su di un antico sito megalitico. Come spesso accade in questi casi, le origini della chiesa si perdono nella leggenda e sono strettamente legate alla Madonna Nera che in essa si conserva. Si tramanda, quindi, che un giorno un umile contadino era intento ad arare il proprio campo, quando all'improvviso i buoi che tiravano il suo aratro si fermarono bruscamente, irremovibili. Il contadino allora decise di scavare in quel punto, ed ecco che trovò al di sotto una statua della Madonna dalla carnagione scura. Dopo averla ripulita, il buon uomo portò la statua a casa sua, ma la notte stessa la statua sparì e fu ritrovata il mattino seguente nell'orto, nello stesso punto in cui era stata trovata. L'evento venne giudicato miracoloso ed interpretato come la ferma volontà della Madonna di un santuario e lei dedicato in quel punto. Fu così che nacque il primo nucleo della chiesa di Nôtre-Dame de Marceille.
L'interno della chiesa è di grande impatto visivo, e colpiscono soprattutto le 22 formelle colorate apposte sui muri laterali, decorate con motivi di grande interesse simbolico. All'interno si conservano anche alcuni pregiati dipinti, fra cui spicca una Tentazione di Sant'Antonio. L'attenzione del visitatore, comunque, è tutta guidata verso la cappella ove è posta la statua sorridente della Madonna Nera che, racchiusa in una grata dorata, appare ricoperta di abiti preziosamente ricamati. Alla fine di settembre dello stesso anno, degli ignoti vandali si sono introdotti nella chiesa ed hanno decapitato la statua, asportandone via, oltre alla testa, anche il mantello. Le indagini avviate subito dopo dalla gendarmerie francese non hanno dato nessun frutto.
Al di fuori della chiesa, una sorgente d'acqua ritenuta miracolosa sin dai tempi più antichi, riversa il suo rivolo argenteo in ogni periodo dell'anno, indipendentemente dall'abbondanza o meno delle precipitazioni. Henri Boudet scrive nel già citato "La Vraie Langue Celtique" che furono proprio questi poteri taumaturgici che diedero al luogo il suo toponimo. Si riteneva, infatti, che la fonte avesse il potere particolare di sanare le malattie degli occhi. Dall'unione del verbo celtico to mare, guastare, o danneggiare, e to seel (sil), chiudere, che darebbero il senso di occhi "danneggiati e chiusi" per una malattia, si avrebbe avuto il termine marsil che successivamente, dall'errata pronuncia marseel avrebbe dato origine al nome francese "Marceille". Indipendentemente dalla fondatezza o meno di questa teoria, è significativo osservare che una grande maggioranza di santuari mariani, specialmente quelli associati ad una Madonna Nera, sorgono vicino ad una fonte d'acqua dai poteri miracolosi. Dal punto di vista simbolico, non s'ignori che la "malattia agli occhi" e la sua guarigione rappresenta un simbolo del raggiungimento dell'illuminazione, ovvero il compimento del cammino iniziatico. A Nôtre-Dame de Marceille, l'edicola che circonda la fonte è sormontata da una lapide che riporta la seguente iscrizione latina:
MILLE MALI SPECIES VIRGO LEVAVIT AQUA
È stato fatto notare che la lettera "Q" di AQUA è di fatto costituita da una "P" specularmene rovesciata… forse un modo di alimentare ulteriormente il novero delle "stranezze" iconografiche di cui il mito di Rennes-le-Château pullula, tra "N" inverse e lettere errate, misteriosi crittogrammi e scritte indecifrabili…

Cesare visto da Plutarco

"[Dopo la fuga di Pompeo da Roma, Cesare] Trovò la città più ordinata di quanto si aspettava, con un gran numero di senatori, ai quali fece un discorso benevolo e conciliante, esortandoli a mandar messi a Pompeo per un ragionevole accordo. Ma tutti si rifiutarono, vuoi perché temevano che Pompeo potesse vendicarsi per essere stato abbandonato, vuoi perché credevano che Cesare la pensasse diversamente e si servisse di quelle belle parole per nascondere le sue reali intenzioni. Fatto sta che quando Metello, tribuno della plebe, cercò d’impedirgli di attingere denaro dalle casse dello Stato, citando alcune norme in proposito, esclamò: «In tempo di guerra leggi di guerra. Se quel che faccio non ti sta bene, fuori dai piedi!». E aggiunse: «La guerra non consente libertà di parola: quando saremo giunti ad un accordo e avrò deposto le armi, allora potrai fare il demagogo. E bada che così facendo rinuncio ai miei diritti, in quanto tu e tutti gli altri siete nelle mie mani». Ciò detto, si avviò verso la porta della stanza in cui giaceva il tesoro, ma le chiavi le avevano i consoli, e allora, chiamati dei fabbri, ordinò di spezzare i battenti. Ancora una volta Metello, spalleggiato da alcuni, cercò di opporsi, al che Cesare, alzando la voce: «Ragazzino, se non la smetti d’infastidirmi ti ammazzo! E tu sai che mi è più facile farlo che dirlo». Metello, spaventato, si tirò indietro e lasciò che fosse dato subito e agevolmente a Cesare ciò che gli bisognava per la guerra."
(Plutarco, Cesare, 35)

Carlo Magno l'usurpatore

In questo mio intervento nella trasmissione Border Nights parlo dei Merovingi e della discendenza di Maria Maddalena. Dagoberto II fu l'ultimo re merovingio e venne assassinato. In seguito Carlo Magno operò la damnatio memoriae nei confronti dei Merovingi: la loro storia, infatti, è stata occultata e distorta. Vennero chiamati "re fannulloni", ma in realtà avevano una grande formazione spirituale ed erano anche re taumaturghi: guarivano con l'imposizione delle mani. Si dedicavano alla contemplazione, viaggiavano allo scopo di istruire i sudditi, e durante il loro regno fiorirono i monasteri.

Alessandria d'Egitto con un riferimento astronomico alla posizione del sole all'alba del giorno di nascita di Alessandro Magno 20-21 Luglio

Secondo Giulio Magli, archeoastronomo del Politecnico di Milano, la città di Alessandria d’Egitto, sede di una delle sette meraviglie del mondo antico, potrebbe essere stata costruita con un riferimento astronomico al suo fondatore: la principale strada che attraversa la città da est a ovest non segue la costa, ma segna la posizione del Sole all’alba nel giorno della nascita di Alessandro Magno nel IV secolo a.C. “Con un leggero spostamento del giorno, il fenomeno è visibile ancora oggi”, spiega lo studioso.
L’antica Alessandria venne progettata intorno a un asse longitudinale principale chiamato “Via Canopica”. Questa però non era parallela alla costa ma, nel giorno della nascita di Alessandro Magno, il 20 luglio 356 a.C., il Sole nasceva “in allineamento quasi perfetto con la strada”.
Anche la “stella dei re”, Regolo, della costellazione del Leone, sorgeva in allineamento quasi perfetto con la Via Canopica, ma da allora l’orbita della Terra è cambiata abbastanza che questo fenomeno non succede più.
L’architettura realizzata grazie all’astronomia era comune nel mondo antico, dice Magli. La Grande Piramide di Giza, per esempio, è in linea con incredibile precisione lungo i punti cardinali, al punto da richiedere l’utilizzo delle stelle come punti di riferimento. Gli egizi, che Alessandro conquistò, associavano da tempo il dio del sole Ra con i loro faraoni.
“Allineare la città [di Alessandria] al Sole nel giorno della nascita di Alessandro era un modo di incarnare nel progetto architettonico un esplicito riferimento al suo potere”, precisa Magli.
I ricercatori Magli e Luisa Ferro stanno attualmente esaminando altre città fondate da Alessandro e da governanti successivi per vedere se il modello solare ebbe altre applicazioni.
I risultati potrebbero aiutare i cercatori della tomba perduta di Alessandro. I testi antichi sostengono che il corpo del re fu posto in una bara d’oro in un sarcofago d’oro, poi sostituito con il vetro. Della tomba, che si trova da qualche parte in Alessandria, si sono perse le tracce.

"1 Luglio

domenica 26 gennaio 2020

La trinità divina adorata a Palmira

Il Louvre conserva questo fantastico altorilievo con la trinità divina adorata a Palmira nel primo secolo...
Al centro Baalshamin, il Signore che governa i cieli.
Alla sua destra il dio Sole Malakbel; alla sua sinistra è invece il dio lunare Aglibol.
Le tre persone divine governano il cielo con attributi diversi, ma sono poste sullo stesso piano perché dotate di poteri equipollenti. ...

PERÙ, SCOPERTI 143 NUOVI DISEGNI GIGANTI NEL DESERTO DI NAZCA: MERITO DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE




Le Linee di Nazca, quei disegni giganti che l'Unesco ha dichiarato patrimonio mondiale nel 1994, si arricchiscono di nuove figure. Un team di ricercatori giapponesi della Yamagata University, guidato dal professore Masato Sakai, è riuscito a localizzare e individuare 143 nuovi geoglifi nella parte occidentale del deserto di Nazca. La scoperta è frutto di oltre dieci anni di lavoro, condotto attraverso lo studio sul campo e il supporto di immagini satellitari e non solo.

Per la prima volta è stata utilizzata anche l'intelligenza artificiale, cui va il merito di aver riconosciuto il geoglifo più piccolo dei 143 scoperti. Secondo i ricercatori, i nuovi disegni sono databili tra il 100 a.C e il 300 d.C. e sono stati realizzati dalla società preincaica dei Nazca rimuovendo le pietre scure del deserto, lasciando così esposta la sabbia più chiara.



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Il Dio Bes

Già che ci sono voglio restare ancora per un po sull'Olimpo degli dei antico egizi per parlare ancora della loro affascinante, misteriosa ed intrigante religione. Oggi parlerò di un dio abbastanza conosciuto, forse però non molto approfondito dai più, il dio nano Bes. Le sue funzioni apotropaiche lo resero molto celebre a Tebe durante il Nuovo Regno quale dio della danza e di tutte le occupazioni gioiose. Era pure considerato il “patrono del sonno” perché teneva lontani gli incubi notturni dando serenità al dormiente, a questo proposito era spesso usato come ornamento per i letti. Va precisato che alcuni studiosi asseriscono che il dio Bes fosse originario del centro Africa, cosa che giustificherebbe la sua rappresentazione come un pigmeo. Su questa ipotesi sono stati avanzati molti dubbi, Bes veniva rappresentato con aspetto grottesco, il corpo deforme con piume tra i capelli, il suo viso si presentava con una enorme smorfia ed una lunga e larga lingua che ricadeva su una barba a ventaglio. Il suo aspetto faceva sorridere ma aveva il compito di terrorizzare gli esseri maligni che circondavano le creature umane. In effetti la rappresentazione di Bes non corrisponde a quella di un pigmeo che in forma ridotta rispetta però le proporzioni umane, Bes è piccolo, possiede arti corti, ma la testa ed il torace sono di dimensioni normali. Secondo gli studiosi che hanno effettuato un'indagine medica attuale, parrebbe che Bes fosse colpito da “acondroplasia” ovvero distrofia congenita che comporta tali deformazioni non riconducibili al nanismo vero e proprio. Ovviamente queste sono supposizioni basate sulla sola rappresentazione del dio non su di un essere umano, come tali non possono certo riflettere il pensiero di coloro che lo rappresentavano. Inizialmente Bes era associato al clan del dio Seth, nemico di Osiri, e gli venivano attribuiti gli stessi istinti bestiali della natura di Seth, Avvenne poi che la dea Tueret si dissociò da Seth e lo abbandonò, Bes seguì la dea, la sposò divenendo così il più fedele guardiano di Horo. Non c'era casa che non custodisse una statuetta del dio, considerato patrono della famiglia e dei bambini, infatti veniva associato ai divertimenti ed era anche patrono delle danzatrici, assisteva le donne durante il parto e vigilava sui neonati. Divinità protettrice dal malocchio e dalle forze del male e dio della casa, dio della musica, della salute, della fertilità e del matrimonio. Bes era anche il dio della toilette ed in quanto tale la sua forma veniva data agli astucci per cosmetici. A volte veniva raffigurato con in mano una clava ed uno scudo per spaventare i malvagi. In epoca tolemaica venne assimilato al dio Ra, ma venne anche associato al culto dei morti con proprietà demoniache. Nel tempio di Dendera è rappresentato un corteo dove compaiono numerosi Bes, anche con nomi diversi, i quali suonano e danzano. Durante la XVIII dinastia lo si ritrova in alcuni casi con con le ali, forse in relazione al culto solare. Bes venne anche recepito dai romani come un guerriero con corazza, scudo e spada. Per qualche tempo Bes resistette anche al cristianesimo per poi trasformarsi in un demone che terrorizzava gli uomini, come tale venne assimilato ad un “discepolo” del primo patriarca copto Shenuda, nemico dei pagani e distruttore di templi. Trovo perlomeno curioso che a volte si cerchi la bellezza in un dio buono per poi trovare la bontà in un dio brutto.
(Fonti e bibliografia:
Mario Tosi, “Dizionario Enciclopedico delle divinità dell'Antico Egitto”, Ananke, 2004
Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell'antico Egitto”, De Agostini, 2005)
Piero Cargnino

venerdì 24 gennaio 2020

Dalla "Cabala del Cavallo Pegaseo 1565" in lode all'asino

"O sant'asinità, sant'ignoranza, Santa stolticia e pia divozione, Qual sola puoi far l'anime sí buone, Ch'uman ingegno e studio non l'avanza."
Giordano Bruno

giovedì 23 gennaio 2020

I mitrei di Aquincum,budapest

Il villaggio romano di Aquincum era un antico castrum romano che sorgeva alla periferia dell'attuale città di Budapest, in Ungheria, nel distretto di Óbuda. Il toponimo deriva probabilmente da quello del villaggio celtico precedente, fondato dalla tribù degli Eravisci, che avevano chiamato il luogo Ak-Inc, cioè "ricco di acque", data l'abbondante presenza di sorgenti termali. Sorto alla fine del I sec. d.C. per contrastare l'espansione delle tribù germaniche e sarmatiche, divenne nel 106 la capitale della provincia della Pannonia Inferiore. Ai quei tempi l'abitato era soltanto un piccolo villaggio, mentre il castrum era già di dimensioni considerevoli. Quando venne completata l'abitazione del luogotenente, era talmente imponente da poter ospitare degnamente anche gli imperatori di passaggio. La residenza non durò a lungo, perché qualche tempo dopo venne trasferita nel vicino villaggio di Gorsium , mentre Aquincum rimase attiva come centro militare. Con l'avvento del Medioevo, il villaggio sorto sopra l'antico castrum continuò a svilupparsi in direzione dell'attuale Buda, mentre dall'abitato sorto sulla riva opposta del Danubio iniziò a svilupparsi la futura città di Pest.
I primi scavi vennero effettuati grazie alla scoperta fortuita di alcuni resti da parte di un vinaio, nel 1778. Da allora dell'antica città romana sono venuti fuori numerosi resti, tra cui un anfiteatro, il foro, un acquedotto, alcune terme, nonché numerosi altari votivi, sarcofagi, stele funerarie e statue religiose. Il sito archeologico, che all'epoca della massima espansione copriva un'area pari a circa 23 ettari, oggi risulta ancora in corso di scavi. L'attiguo museo ospita una collezione di circa 1200 reperti tra vasellame, statue e frammenti lapidei. Tra questi, va annoverato anche un esemplare del Quadrato del SATOR, trovato inciso su una tegola nella variante che comincia con la parola "Rotas", come tutti i palindromi di epoca romana.

mercoledì 22 gennaio 2020

Rapiti dagli Dei

"Quando gli dei arrivano sul palcoscenico tutto diventa silenzioso e le palpebre si chiudono. Immersi nell'oblio da questa esperienza, si riemerge senza sapere esattamente cosa e' accaduto, si sa soltanto che si e' stati trasformati".
(James Hillman)
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