mercoledì 23 aprile 2025

San giorgio un santo mai esistito


 

lunedì 21 aprile 2025

SE VOLETE CAPIRE PERCHE' IL PANTHEON E' BUCATO, DOVETE ANDARE A S. MARIA DELLA STRADA DI MATRICE


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Il Pantheon



L’ascensione al cielo era sempre apparsa all’uomo come sfida sublime al potere indiscusso che appartiene solo alle deità libere di vagare a loro piacimento tra le nuvole. Non potendo materialmente toccare il cielo, più d’uno aveva tentato di creare il cielo sulla terra. Così pure la grande sfera celeste era considerata come il limite estremo della ragione umana e poterla traforare, per raggiungere l’Olimpo, non per tutti fu impresa ardua.
C’era riuscito con facilità Romolo , a Campo Marzio, quando lasciò gli umani mortali salendo al cielo durante un improvviso temporale di un lontano 13 maggio, affascinando a tal punto non solo i suoi contemporanei, che forse non ebbero nemmeno il tempo di vedere bene come ciò potesse accadere, quanto piuttosto i posteri assenti, che dell’avvenimento ebbero sempre chiara la visione. E quella storia era apparsa così veritiera che Marco Agrippa, genero di Augusto, concepì di sintetizzarla in una grandiosa opera di architettura che rappresentasse il tutto ed oltre il tutto: il Pantheon , un grande cielo sulla terra bucato dal passaggio di Romolo.
E come la palla scagliata da Anastasio Globerwik, il Pantheon, la più grande sfera dell’antichità, vagava da duemila anni alla ricerca dei raggi del sole che ogni anno proprio nel giorno di questa finale mondiale, riescono a penetrare attraverso il grande foro centrale per raggiungere esattamente il monumentale portale a ricordare a tutti che il 21 giugno cade il solstizio d’estate.
Il solstizio d’estate, una delle quattro tempora dell’anno, insieme a quello d’inverno e agli equinozi di primavera e di autunno. Giorni di digiuno per coloro che vedono in essi gli assi apocalittici del tempo..."
(da F. Valente. Incipit Apocalypsis)
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Il Rosone di S. Maria della Strada


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E’ perfettamente circolare con 12 raggi a forma di colonne con capitello collegate nella parte centrale con altrettanti archi a doppia ghiera che formano una fascia continua tangente all’oculo. Tra colonna e colonna sono posizionati 12 oculi anch’essi perfettamente circolari.
L’elemento originale di questo rosone sta nella particolare posizione degli archi di collegamento tra le colonne che convergono al centro e non sono posti sul perimetro esterno come accade sempre nelle monofore circolari di altre chiese, prescindendo dalla loro datazione.
A parte i generici e scontati riferimenti sulla corrispondenza del numero delle colonne al numero degli apostoli, credo che valga la pena fare qualche ulteriore ragionamento che rende il rosone di S. Maria della Strada un elemento simbolico che si collega strettamente alla iconografia sottostante.
In genere il rosone, visto dall’interno, è semplicemente una sorgente di luce che si arricchisce di motivi decorativi che hanno un valore simbolico slegato dal resto degli elementi compositivi della facciata. Anche quando sono collocati rispettando principi armonici o rapporti geometrici in genere determinati dalla necessità di conservare una centralità o una simmetria.
Nel nostro caso ancora una volta il riferimento all’Apocalisse è obbligato.
Nei rosoni è consueto il ricorso alle colonnine per mantenere la cornice dell’oculo centrale. Si tratta sempre di colonnine normali e dal fusto regolare.
Il rosone di S. Maria della Strada risponde, invece, alla necessità di creare un effetto prospettico. Cioè chi lo realizzò non si preoccupò solo di garantire la penetrazione della luce ponendo in maniera simmetricamente ripetitiva 12 raggi, ma volle creare un effetto analogo a quello che si percepisce ponendosi al centro di una basilica a pianta centrale limitata da 12 colonne e guardando verso l’alto.
La scelta della colonna rastremata, dunque non è casuale, ma predeterminata dalla necessità di esprimere tecnicamente un concetto teologico.
Non ci vuole molto per capire che questo pezzo della facciata è la sintesi formale della Gerusalemme celeste così come viene descritta nell’Apocalisse e i dodici oculi non sono altro che le dodici porte della città la cui circolarità ricorda la forma delle perle: Aveva un muro grande e alto munito di dodici porte, presso le quali vi erano dodici Angeli; vi erano scritti dei nomi che sono quelli delle dodici tribù dei figli d’Israele. Il muro della città ha dodici fondamenta e sopra di esse dodici nomi, quelli dei dodici apostoli dell’Agnello (...). Le dodici porte sono dodici perle; ogni porta è fatta di una sola perla. La piazza della città è d’oro puro, come cristallo trasparente. (Apocalisse 21, 12-21).
In conclusione il rosone simboleggia la grande copertura della Gerusalemme celeste e la parte centrale non è altro che il grande foro attraverso cui passa la Luce di Dio che illumina la piazza dorata della Città santa.
Nella storia dell’architettura abbiamo un esempio analogo, ma in un contesto, anche religioso, totalmente diverso: il Pantheon di Roma.
La grande cupola, che è la sintesi della sfera celeste, è forata al centro. Simbolicamente sintetizza la porta circolare attraverso la quale il corpo di Romolo, secondo la tradizione romana, ascese al cielo davanti al suo popolo: Si racconta, infatti, che Romolo, durante un’adunanza del popolo nel Campo Marzio, fosse stato avvolto da una nube, e che da quel momento nessuno lo avrebbe più visto sulla terra. La luce del sole si sarebbe offuscata, sarebbe calata una notte che non era placida né serena, ma agitata da terribili tuoni e scossa da ogni parte da raffiche di vento e da pioggia scrosciante. Allora la folla, che era accorsa numerosa, si sarebbe dispersa, mentre i potenti si radunarono l’uno accanto all’altro; quando la bufera cessò e tornò la luce, il popolo convenne nel luogo di prima alla ricerca del re, pieno di rimpianto; ma i potenti non permisero che si affannassero a cercarlo; invece invitarono tutti a onorare e venerare Romolo poiché era stato innalzato tra gli dèi: da buon re sarebbe divenuto per loro un dio propizio.

domenica 20 aprile 2025

In principio era il Verbo, la parola, il suono che crea e guarisce

 Tutte le forme di magia hanno custodito l’energia segreta della parola, così come hanno fatto quelle più arcaiche di medicina magica.

I primi medici sono stati i sacerdoti e gli sciamani, che con il simbolo avevano grande familiarità. La consapevolezza della natura simbolica della malattia richiedeva doti di profonda capacità di osservazione e interpretazione della realtà, che intessevano un dialogo complementare alla conoscenza delle risorse della terra e della sua farmacia spontanea al servizio dell’uomo: questa era densa di significati magici e veniva onorata da riti di raccolta accompagnati dal segreto controcanto della preghiera. Herba et verba sono stati i pilastri su cui si è costruito l’orizzonte della medicina magica, confluita in seguito nel vasto bacino del sapere popolare. Il soffio della parola incantata era il mezzo di attivazione del principio terapeutico insito nella natura: un’espressione divina che prendeva forza proprio dalla sinergia tra farmaco e incantesimo, strumenti dotati della capacità intrinseca di agire in senso trasformativo. Di questo primitivo approccio religioso anche la filosofia greca si è avvalsa per formulare la sua riflessione sulla salute dell’uomo. Ne parla Platone nel dialogo intitolato Carmide, dove Socrate rivela di essere a conoscenza di un rimedio contro il mal di testa che consiste in un farmaco efficace solo accompagnato da una formula magica. ...
Nei testi medici di epoca classica si trovano ancora molti esempi di formule terapeutiche, che provano la sopravvivenza di residui del più antico approccio religioso anche nella tradizione colta, la quale continuò a lungo a inglobare l’ampio orizzonte magico precedente. La parola aveva anche valore di esorcismo, in linea con la convinzione che la malattia fosse il risultato di uno stato di disequilibrio alterato dall’intervento di forze avverse, e che questo meccanismo fosse mosso da un’intrusione esterna, una volontà antagonista, un malocchio. In risposta a questa azione ostile, l’intervento curativo aveva il compito di espellere, oppure di sciogliere, qualunque nodo o legamento.


Nei trattati antichi è possibile trovare molti altri esempi di rimedi che prevedono il ricorso a formule magiche, amuleti e incantesimi: ed è nel III secolo, tra le pagine del “Liber medicinalis” di Quinto Sereno Sammonico, che fa la sua comparsa il primo “abracadabra”, che di fatto si rivela essere un talismano terapeutico.
L’antico paradigma dell’incantare ha attraversato indenne il passaggio dal paganesimo alla cristianità, trovando forme di accomodamento che ne hanno consentito la sopravvivenza. Le preghiere agli antichi dèi hanno lasciato spazio a un nuovo breviario, dove ad assumere il patronato dell’universo vegetale sono i santi, Gesù o la Vergine Maria. Nel medioevo, nelle tradizioni di medicina popolare sono sopravvissute memorie in parte inconsapevoli delle antiche preghiere rivolte alle stelle o alla luna e delle invocazioni alle erbe, residui di liturgie perpetuate da un riproporsi ininterrotto. La commistione di elementi di dottrina colta, sapere erboristico e magia sarebbe rimasta la cifra peculiare dell’intera tradizione europea medievale, in una ricca miscellanea di approcci e tradizioni, fatta di rimedi erboristici, incantamenti e formule di guarigione….

Orfeo crocifisso

L'archeologo Eduard Gerhard comprò in Italia quest'amuleto, in esso vi è rappresentato Orfeo crocifisso. 


Questo monile detenuto a Berlino scomparì misteriosamente durante la fine della seconda guerra mondiale. Questa è la foto di repertorio con tanto di scritta che identifica la natura orfica del medaglione, Orfeo Bacchico. Il racconto ufficiale vuole che Orfeo di ritorno dai tre anni passati in montagna fu incrociato dalle baccanti, le quali lo accusarono di aver tradito Dioniso e lo uccisero per mezzo dello σπαραγμός, traduzione: dilagnamento. Diodoro Siculo racconta che quando Dioniso venuto in terra catturò il re trace lo punì crocifiggendolo (usa la parola σταυρός, traduzione: palo, croce)( Diodoro Siculo, Biblioteca Historica 111,5 ). Ergo, sebbene ci muoviamo in un contesto senza fonti, possiamo ipotizzare che la ragione della crocifissione in questo monile sia sempre connessa ad una morte voluta in un modo consono alla dimensione dionisiaca ( appoggiandoci a Diodoro Siculo ). Riflettevo poi sulla parola σταυρός che viene interpretata come crocifisso ma che al suo interno ha la parola ταυρός toro. Probabilmente l'assonanza nel pronunciare questa parola era percepita dai greci. Tanto che si può notare le due corna crescenti ( forse della luna ) in cima alla croce, un epiteto ripetuto nell'immaginario magico orfico. Ricordiamoci anche che il Toro è la forma d'animale con la quale Zagreo ( la seconda forma di Dioniso ) viene mangiato dai Titani.

Grandi Cisterne di Albalonga (oggi Albano)

La cisterna fu progettata e costruita 
dagli architetti della legione per 
rifornire d'acqua l'accampamento e 
gli edifici circostanti.La pianta è 
approssimativamente rettangolare, con 
i lati lunghi di 47,90 m e 45,50 m e i 
lati corti di 29,62 m e 31,90 m. Parte 
della cisterna fu ricavata direttamente 
dal banco roccioso e il resto fu 
realizzato in muratura. È divisa in

 
cinque navate con copertura a volta 
sostenuta da 36 pilastri e rivestita 
da un intonaco impermeabile (opus 
signinum). La cisterna di Albano non 
è degna di nota solo per le sue 
dimensioni, essendo molto ampia e 
potendo contenere oltre 10.000 metri 
cubi d'acqua, ma anche perché è ancora 
oggi funzionante, essendo alimentata 
da condotte romane con acqua proveniente
da sorgenti alle pendici del lago 
Albano.

sabato 19 aprile 2025

Luoghi tra sogno e realtà

A strapiombo sulla gola scavata dal torrente Ciuffenna, sorge un piccolo borgo dalle origini antichissime: Loro Ciuffenna.


Considerato uno dei borghi più belli e particolari di Italia, Loro Ciuffenna (Arezzo) colpisce innanzi tutto per il singolare toponimo, che affondare le radici nel suo passato antico: Loro deriverebbe infatti dal latino laurus e Ciuffenna è ricondotto da alcuni all’etrusco cefa (cerva) e da altri a Clufennius, personaggio romano di origini etrusche….Le case del borgo di affacciano sulla tortuosa gola erosa nella pietra dalle veloci acque del torrente e attraversata da un ponte medievale ancora conservato. Oltre la bella torre dell’orologio e le strette viuzze lastricate ciò che ci ha colpito di più è stato il vecchio mulino, che ancora al giorno d’oggi viene acceso per macinare la farina di castagne ed è forse il più antico della Toscana ancora funzionante.

La tomba del figlio di Massenzio

Mausoleo di Romolo, figlio dell'imperatore Massenzio

Circa 300 metri dopo la Basilica di San Sebastiano, poco prima del Mausoleo di Cecilia Metella, sulla 

sinistra della Via Appia Antica si possono osservare i resti del grande complesso residenziale della Villa dell'imperatore Massenzio.

Il Mausoleo di Romolo (non il fondatore di Roma, ma il figlio di Massenzio) è la sua Tomba circolare che fa parte dei tre edifici che compongono la Villa Imperiale di Massenzio: il mausoleo; il Circo e i resti del Palazzo Imperiale.

Il grandioso edificio del Mausoleo, probabilmente a due piani, doveva avere l'aspetto di un piccolo Pantheon ed era circondato da un imponente quadriportico che lo collegava al palazzo costruito sulla collina retrostante.



Della sua costruzione originaria restano solo la base circolare e la cripta, con un grande pilastro centrale e un corridoio anulare in cui venivano aperte le nicchie per la deposizione dei sarcofagi. Dal corridoio anulare si accede ad un ampio vestibolo quadrangolare, che probabilmente serviva per raggiungere il piano superiore.



Era il luogo destinato a contenere le sepolture dei membri della famiglia, tra cui certamente anche il povero giovane figlio dell'imperatore, morto nel 309 d.C.

La Tomba di Romolo è stata recentemente riaperta al pubblico.

 

Due chiese lontane, ma con caratteristiche similari

Questa è la chiesa dell'Assunzione di Nostra Signora o chiesa di Santa Maria è una chiesa romanica situata a Rieux-Minervois, nel dipartimento francese dell'Aude nella regione dell'Occitania.


Similare alla chiesa posta nella Bassa veronese di San Pietro in Valle ubicata nel comune di Gazzo Veronese

 



Mausoleo Sergianni Caracciolo

La meravigliosa Cappella del Sole di Sergianni Caracciolo,questa bellissima cappella rinascimentale fu voluta da Sergianni Caracciolo al suo interno oltre al bellissimo mausoleo di Sergianni realizzato da Andrea da Firenze ci sono una serie di affreschi meravigliosi e di simbologie esoteriche che si rifanno ai simboli dell'Antico Egitto anche il pavimento è meraviglioso una volta la cupola anch'essa era affrescata e bellissima con i simboli del sole che rappresentano il ramo di Sergianni nella famiglia Caracciolo ma purtroppo fu distrutta nei bombardamenti della seconda Guerra Mondiale e quella di oggi è una ricostruzione,presso chiesa di San Giovanni a Carbonara Napoli




giovedì 17 aprile 2025

Il cristianesimo affonda le sue radici nell'universa religione pagana

 L'abbazia di San Giovanni in Venere fu costruita sul tempio pagano di Venere Conciliatrice



Sopra una eminenza selvosa che domina l'Adriatico, poco lungi dalla foce del Sangro, verso nord, si ammira la monumentale chiesa di San Giovanni in Venere con belle colonne marmoree ed altri materiali preziosi provenienti dall'antico tempio pagano di Venere, sulle cui rovine venne edificata da Trasmondo, conte di Chieti.
Il tempio pagano, dedicato a Venere Conciliatrice, celebre per l'oracolo, presso il quale si componevano le liti coniugali, era in forma ottagonale con mura di pietre riquadrate e mattoni larghi. Davanti alla porta si schiudeva un vestibolo sorretto da sei colonne; l'interno era ricco di dipinti, di altari per sacrifici, dì vestiboli per gli oracoli, di nicchie e di camerette per il riposo e nel sottosuolo, si aprivano ambulacri di cui oggi si ha ancora tenue, traccia.
Si ha traccia della fondazione dell'Abbazia nel secolo VI, ma in documenti solo nell’VIII secolo, per poi essere ampliata e munita di fortificazioni nel scc. XI. Venne ricostruita nel sec. XII dopo i duri saccheggi patiti da fra' Moriale e dal conte Lando da cui venne irrimediabilmente rovinata. Sulle basi del tempio pagano nel 1165 il conte Trasmondo fece edificare la chiesa in forme cistercensi. con l'annesso monastero, impiegando le belle colonne di cipolline e granito, i marmi pregiati e le pietre scolpite a mano. Nello stesso posto il monaco Martino, seguace, di S. Benedetto, fece la cappella ed il cenobio dedicato a San Giovanni ed alla Vergine Maria. La chiesa, come, si presenta oggi aperta al culto, è a forma di basilica romana con tre. navate divise da pilastri- colonnati che sorreggono archi a tutto sesto. Ciascuna navata termina con un'abside accessibile per mezzo di 14 gradini. Le pareti lasciano ancora intravedere residui di affreschi che le ornavano….

L'altra Roma

 Massimo Brando

Ecco, foto rielaborata al volo quindi mi perdonerai le imprecisioni
A. Carandini (a cura di), Atlante di Roma Antica, Roma 2013
Tavola 247, Regio XIV Transtiberim fra il 27 a.C e il 14 d.C.
I numeretti rossi sono miei
1) La villa cosiddetta della Farnesina (proprietà di Agrippa)
2) Il Nemus Caesarum (il bosco sacro dei Cesari, cioè Gaio e Lucio)
3) Il mio scavo di Via Sacchi (Hortus di età augustea, ante 15 d.C.)
4) Horti Caesaris (gli Horti di Cesare, dalle parti di Stazione Trastevere)
il grande bacino rettangolare è la Naumachia Augusti


Il santuario dedicato a Zeus

 A Dodona, un luogo oracolare consacrato a Zeus, esisteva una vecchia quercia fronzuta che veniva interrogata dal pellegrino ansioso di conoscere il proprio destino. Il sacerdote/veggente aveva il dono di un orecchio finissimo che poteva cogliere il “sottotesto” dettato dal vento nell’agitare quei rami. Nell’arte della divinazione, Dodona ,situata in Epiro nella catena montuosa del Pindo, non lontano dall’odierna Ioannina,,, è anche più antica rispetto all’altro caposaldo della mantica greca: Delfi. Lo racconta Erodoto che raccoglie le sue informazioni da fonti egizie. Nel viaggio di formazione in Egitto, cioè alle radici della cultura sapienziale, gli viene raccontato che due grandi sacerdotesse, rapite da predoni fenici, erano state vendute una alle porte del deserto libico e qui nacque l’oracolo di Amon a Siwa; l’altra in Grecia proprio a Dodona dove sorse il santuario dedicato al culto del padre degli dei dell’Olimpo....



domenica 13 aprile 2025

Tra abilita umana e arte

Ogni poro, ogni capello, ogni muscolo — scolpiti non dalla natura, ma dalle mani dell’uomo che rappresenta.
Nel 1885, credendo di essere vicino alla morte a causa della tubercolosi, lo scultore giapponese Hananuma Masakichi realizzò questo doppio in legno a grandezza naturale come ultimo dono per la donna che amava.
Costruita con fino a 5.000 strisce di legno intrecciate tra loro, senza una sola giuntura visibile, la scultura è tenuta insieme solo da colla, perni e incastri a coda di rondine.
Laccata per imitare la pelle, con occhi di vetro fatti a mano e capelli inseriti uno a uno, confonde il confine tra corpo e creazione.
Non è solo una somiglianza: è l’addio dello scultore, sospeso nel legno.



Solo il mistico Boni poteva fare questi ritrovamenti

Il Lapis Niger e l’Heroon di Romolo
Dove si provava il Lapis Nioger rispetto alla Curia Iulia
Come appariva, prima dei lavori, il luogo dove si celava il Lapis Niger
Al centro del cerchio era ubicato il Lapis Niger

A partire dal 1898 la direzione degli scavi al Foro Romano venne affidata all’archeologo Giacomo Boni, posto a capo della spedizione dell’Università La Sapienza di Roma. Boni fu il primo a rendersi conto che il terreno era composto da strati di epoche diverse, e per tanti applicò per la prima volta il metodo dello scavo stratigrafico e delle fotografie aeree. Il 10 gennaio 1899 durante gli scavi nell’area del Comizio (tra la Curia Iulia e la piazza del Foro), tornò alla luce una pavimentazione in marmo nero, separata dalla pavimentazione augustea in travertino mediante una transenna in marmo bianco. La scoperta venne associata ad alcuni passi degli scrittori Sesto Pompeo Festo e Valerio Flacco, che raccontavano della presenza di un “Niger Lapis in Comitio”, ovvero di una pietra nera del Comizio, che per gli antichi era il luogo di sepoltura di Romolo o il luogo della sua morte. Scavando al di sotto della pavimentazione in marmo nero venne trovata un’area sacra monumentale, composta da una piattaforma su cui giaceva un’altare a tre ante a forma di U, dotato di basamento e di un piccolo cippo posto tra le ante, e due basamenti minori che reggevano rispettivamente un cippo a tronco di cono (forse il basamento di una statua) e un cippo piramidale. Quest’ultimo presentava un’iscrizione bustrofedica (ovvero un’iscrizione le cui linee vanno alternativamente da sinistra a destra e da destra a sinistra allo stesso modo in cui si muovono i buoi nei lavori d'aratura) in latino arcaico con caratteri etruschi, la più antica testimonianza scritta del latino, databile tra il 575-550 a.C. L’altare possiede lo stile classico della prima Età Repubblicana: la sagoma della base è a doppio cuscino sovrapposto, ma si conserva solo lo scalino inferiore. Sotto e intorno ai basamenti furono rinvenuti ex-voto in ceramica etrusco-corinzia e in bronzo, assieme ad ossa di sacrifici. L’attribuzione dell’altare è ancora oggetto di discussione; risale sicuramente al VI secolo a.C. (durante il periodo della monarchia etrusca). Alcuni hanno associato il sito al santuario del Volcanal, descritto da Dionigi di Alicarnasso presso l’area del Comizio, dove sorgeva una statua di Romolo e un cippo con scritte in greco. Tuttavia il cippo rinvenuto non ha parole greche ma latine, riferite alla maledizione scagliata contro chiunque avesse violato il luogo sacro (Qui Hunc Lovum Violavit Sacer Sit). Altre ipotesi vogliono che questo luogo sia stato creato dai re etruschi per alimentare il mito di Romolo, facendo inoltre costruire una tomba fittizia rinvenuta da Giacomo Boni sotto la Curia Iulia. La tomba non era altro che un Heroon, ovvero uno spazio funebre finto usato solo per il culto, tanto che di fronte al sarcofago furono rinvenute ossa di sacrifici animali, tra cui ossa di avvoltoi.

Sotto la Velia

Il Compitum Acilium


Nel 1932 durante i lavori per l’apertura della nuova Via dell’Impero (oggi Via dei Fori Imperiali), ebbe inizio lo sbancamento della Velia, l’altura che univa in antichità il Palatino al Colle Oppio. Durante gli sterri a nord del Tempio di Venere e Roma tornarono alla luce i resti di un piccolo santuario dei Lares Compitales di Età Augustea, fatto costruire da un membro della Gens Acilia. In antichità questi tipi di santuari, chiamati Compita (Compitum al singolare), venivano costruiti in corrispondenza di importanti incroci stradali o terminazioni di strade importanti, che solitamente costituivano il confine di un quartiere (un Vicus). L’edicola sorgeva su un podio rivestito di marmo alto 1,40 metri, largo 2,38 e profondo 2,80. Sul lato anteriore si trovava una scala di quattro gradini che consentiva l’accesso al podio. La piccola cella aveva una profondità di 1,56 metri. Dell’edicola furono rinvenuti un frammento di colonna e i resti della trabeazione. Quest’ultima consisteva in un architrave a due arcate, la cui fascia superiore leggermente sporgente era sostenuta da una barra decorata. Sull’edicola era riportata l’iscrizione: [Imp(eratore) Cae]sare Augusti(!) pontif(ice) max{s}(imo) trib(unicia) potest(ate) XVIII [imp(eratore) XIV L(ucio) Cor]nelio Sulla co(n)s(ulibu)s mag(istri) secun(di) vici compiti Acili Licinius M(arciae) Sextiliae l(ibertus) Diogenes / L(ucius) Aelius L(uci) l(ibertus) Hilarus / M(arcus) Tillius M(arci) l(ibertus) Silo. Da questo riferimento ad Augusto e Lucio Cornelio Silla, si ricava che il Compitum venne costruito nel 5 a.C. In seguito alla scoperta e alla sua descrizione ad opera di Guglielmo Gatti, il Compitum Acilium venne distrutto per proseguire i lavori.

giovedì 10 aprile 2025

LEGGENDE, LA CITTA' DI CARPANEA



Una leggenda del Basso Veronese, di quel territorio un tempo ricoperto per gran parte di paludi, chiamato ‘Grandi Valli’. Un tempo però, si racconta che al posto delle paludi esistesse una città con sette ordini di mura, difesa da cento torri altissime. Attorno, fiumi e fossati, regolate da dighe. Alle spalle della città, un lago conteneva le acque disordinate. Sulla parte più alta, sorgeva un tempio in onore del dio delle acque Appo, che proteggeva la città e la collina su cui sorgeva dalla forza devastante delle acque circostanti. Il tempio era incredibilmente grande ed il re della città, accompagnato dal suo popolo, doveva portate quotidianamente cibi e bevande in offerta al dio, per placare le sue ire. Ma un giorno, il re, pensando che così facendo i sacerdoti del tempio sarebbero ben presto divenuti più potenti e ricchi di lui, smise di perpetuare tale rito e il popolo lo imitò. I sacerdoti, compreso che quella sarebbe stata la loro fine, istigarono il popolo contro il proprio re: il dio Appo avrebbe con la propria ira causato sventure infinite alla città, fu quindi catturato, e messo in un’umida prigione.
Qui, vi meditò la sua vendetta e una notte, favorito dalle tenebre e dal sonno dei guardiani, fuggì, penetrò nel tempio e rapì la statua del dio. I sacerdoti, accortesi del furto, incitarono la folla contro di lui, colpevole di sacrilegio. Il re, vistosi perduto, corse verso il lago e vi gettò la statua e approfittando dello sbigottimento generale, fuggì nei boschi che sorgevano a fianco della città di Carpanea e corse poi al palazzo reale. La folla, esasperata dal fatto, in parte si gettava nel lago per cercar di recuperare il simulacro, affogandovi miseramente. Alcuni si precipitarono sulle dighe, aprendole con l’intento di prosciugare il lago. Ma così facendo, le acque improvvisamente inondarono il tutto, creando un immane gorgo. Così, tra le grida di disperazione, le genti di Carpanea scomparvero, mentre il re, dall’alto del pinnacolo del tempio, osservava lo scempio del suo popolo e fu anch’egli colto da disperazione. Cominciò a suonare la campana del tempio in un disperato tentativo di richiamare la folla sulla collina, ma anche questa, erosa dall’impeto delle acque, sprofondò nel gorgo. E’ così, che si formarono le Grandi Valli.
E la notte, chi percorre l’argine delle paludi, può udire ancora il pianto disperato che proviene dal profondo della terra. E la notte di Pentecoste, al lamento vi si aggiunge un suono lugubre che si spande su tutta la Valle: è la campana del tempio…

Scalinata all'estremità orientale dell'ingresso Tempio di Zeus a Olimpia.


 

Il Maetro


  Aurèle Robert, svizzero nato nel 1805 e morto nel 1871.

mercoledì 9 aprile 2025

La persecuzione del paganesimo

 "9 aprile 423 (l'anno in cui morì Onorio)


Imperatori Onorio e Teodosio ad Asclepiodoto, prefetto del pretorio: i pagani che ancora rimangono, benché crediamo che non ve ne siano, rinuncino a compiere ciò che da tempo è stato vietato."