Portale
in calcare, con nicchie in cui sono collocati crani umani (circa I sec.
a.C.), proveniente da Roquepertuse, antico centro religioso celtico nei
pressi della città di Velaux, in Provenza, ora al Musée-Borély di
Marsiglia, Francia.
La presenza di teste separate dal corpo, anche nella scultura, è un tratto molto ricorrente nell’arte celtica, che ha fatto pensare a una sorta di “culto delle teste”. È probabile infatti che le teste di guerrieri morti in battaglia venissero conservate: gli autori latini riferiscono (con raccapriccio) l’usanza delle popolazioni germaniche di appendere le teste dei nemici uccisi accanto alla capanna dei capi o alle briglie dei cavalli dei guerrieri vittoriosi. Nell’epica irlandese, l’eroe Cu Chulainn ritorna dalla battaglia recando nove teste in una mano e dieci nell’altra. Le tradizioni mitiche enfatizzano inoltre la sacralità della testa, riferendo come la testa di alcuni eroi, come il gallese Brân il Benedetto, continuassero a parlare per lungo tempo dopo essere state recise dal corpo.
Sembra che i Celti percepissero i confini tra mondo dei vivi e mondo dei morti come tenui e permeabili: alcuni luoghi, come il focolare o la tomba erano considerati punti di passaggio, attraverso i quali i defunti potevano ritornare in contatto con il mondo che avevano lasciato con la morte. Nel periodo più antico i Celti continentali praticavano l’inumazione dei cadaveri, ma nel periodo più tardo iniziarono a cremare i morti, forse su influenza dei costumi romani. Tra i Celti insulari, tuttavia, non vi sono tracce di inumazione prima del I sec. a.C., un indice del fatto che i defunti venivano cremati o lasciati decomporre all’aperto. Sembra che i morti non occupassero un mondo radicalmente separato da quello dei viventi, ma che esistesse una certa contiguità, che consentiva ai morti di entrare periodicamente in relazioni con i vivi. Questo era consentito soprattutto durante la festa di Samhain, il primo novembre, quando lo schermo che separava i due mondi si assottigliava fino a svanire per un breve periodo. Luoghi marginali, liminari, come grotte o paludi, erano considerati vie di accesso attraverso le quali si poteva penetrare in questa “altra dimensione”, in cui vivevano i morti, le divinità e gli spiriti, e che esisteva a fianco di quella degli uomini. In questo mondo alternativo, il tempo scorreva in modo diverso rispetto al nostro, per cui un breve soggiorno al di là del confine tra i mondi poteva significare un periodo di centinaia di anni nel mondo umano. Questo spiegava perché coloro che vivevano nel mondo invisibile non erano soggetti all’invecchiamento e alla morte. Tale mondo era chiamato in vari modi: Mag Mell (“Pianura del Miele”), Tir Na Nog (“Terra della Giovinezza”) o Avalon ...
La presenza di teste separate dal corpo, anche nella scultura, è un tratto molto ricorrente nell’arte celtica, che ha fatto pensare a una sorta di “culto delle teste”. È probabile infatti che le teste di guerrieri morti in battaglia venissero conservate: gli autori latini riferiscono (con raccapriccio) l’usanza delle popolazioni germaniche di appendere le teste dei nemici uccisi accanto alla capanna dei capi o alle briglie dei cavalli dei guerrieri vittoriosi. Nell’epica irlandese, l’eroe Cu Chulainn ritorna dalla battaglia recando nove teste in una mano e dieci nell’altra. Le tradizioni mitiche enfatizzano inoltre la sacralità della testa, riferendo come la testa di alcuni eroi, come il gallese Brân il Benedetto, continuassero a parlare per lungo tempo dopo essere state recise dal corpo.
Sembra che i Celti percepissero i confini tra mondo dei vivi e mondo dei morti come tenui e permeabili: alcuni luoghi, come il focolare o la tomba erano considerati punti di passaggio, attraverso i quali i defunti potevano ritornare in contatto con il mondo che avevano lasciato con la morte. Nel periodo più antico i Celti continentali praticavano l’inumazione dei cadaveri, ma nel periodo più tardo iniziarono a cremare i morti, forse su influenza dei costumi romani. Tra i Celti insulari, tuttavia, non vi sono tracce di inumazione prima del I sec. a.C., un indice del fatto che i defunti venivano cremati o lasciati decomporre all’aperto. Sembra che i morti non occupassero un mondo radicalmente separato da quello dei viventi, ma che esistesse una certa contiguità, che consentiva ai morti di entrare periodicamente in relazioni con i vivi. Questo era consentito soprattutto durante la festa di Samhain, il primo novembre, quando lo schermo che separava i due mondi si assottigliava fino a svanire per un breve periodo. Luoghi marginali, liminari, come grotte o paludi, erano considerati vie di accesso attraverso le quali si poteva penetrare in questa “altra dimensione”, in cui vivevano i morti, le divinità e gli spiriti, e che esisteva a fianco di quella degli uomini. In questo mondo alternativo, il tempo scorreva in modo diverso rispetto al nostro, per cui un breve soggiorno al di là del confine tra i mondi poteva significare un periodo di centinaia di anni nel mondo umano. Questo spiegava perché coloro che vivevano nel mondo invisibile non erano soggetti all’invecchiamento e alla morte. Tale mondo era chiamato in vari modi: Mag Mell (“Pianura del Miele”), Tir Na Nog (“Terra della Giovinezza”) o Avalon ...
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