(Pontoise, fl. 1330 – Parigi, 1418) fu uno scrivano pubblico, libraio e alchimista francese.
La reputazione di Flamel come alchimista nacque dopo la sua morte, quando venne collegato alla leggenda della pietra filosofale da una serie di opere alchemiche, pubblicate nel XVII e a lui attribuite, ma considerate apocrife. Flamel visse a Parigi nel XIV e XV secolo. Condusse due negozi come scrivano e sposò una vedova di nome Perenelle, più vecchia di lui e dotata di buon patrimonio, che morì nel 1397. I due avevano diverse proprietà ed effettuavano cospicue donazioni alla Chiesa, comprese le commissioni di diverse sculture. Una delle abitazioni appartenute a Flamel è ancora esistente, al 51 di rue de Montmorency. È considerata la più antica casa in pietra di Parigi.
A Parigi gli è stata dedicata una strada nei pressi del Museo del Louvre, rue Nicolas Flamel, che interseca rue Pernelle, dedicata alla moglie.
Nel 1410 Flamel progettò la propria pietra tombale, scolpita con immagini del Cristo, di San Pietro e San Paolo, conservata al Museo Nazionale del Medioevo (nell’Hôtel de Cluny) a Parigi. Tale dettaglio sarà oggetto di numerose interpretazioni successive. In questo periodo, Flamel contribuì anche nel restauro del vecchio Cimitero degli Innocenti di Parigi, per la realizzazione di strutture arcate poste sopra le murate, al fine di contenere le ossa dei cadaveri in eccesso. Il suo testamento, datato 22 novembre 1416, indica una certa agiatezza ma non la straordinaria ricchezza vantata nelle leggende alchemiche posteriori. Del resto, al di là dei testi apocrifi, non ci sono altre testimonianze che il Flamel storico abbia effettivamente esercitato l’alchimia, la medicina o la farmacia. [4] [1] Fu sepolto a Parigi, nel 1418, al Museo di Cluny, verso la fine della navata della vecchia Chiesa di Saint-Jacques-de-la-Boucherie.
Il mito del Flamel alchimista
La leggenda sul Flamel alchimista eccelso, che riuscì ad ottenere la pietra filosofale e l’immortalità, è basata in primo luogo su pubblicazioni del XVII secolo. L’opera centrale è Le livre des figures hiéroglyphiques , pubblicato a Parigi nel 1612 e, come Exposition of the Hieroglyphical Figures, a Londra nel 1624.
Si tratta di una collezione di disegni per un timpano del Cimetière des Innocents, presumibilmente recuperata dopo una lunga scomparsa. Nell’introduzione l’editore descrive gli sforzi di Flamel per venire a capo dei contenuti di un misterioso libretto di 21 pagine da lui acquistato dopo un sogno in cui gli avrebbe fatto visita un angelo, indicandoglielo. Flamel attorno al 1378 si sarebbe recato in Spagna per cercare aiuto, incontrando sulla via del ritorno un sapiente che avrebbe riconosciuto nel libro una copia del grimorio “la magia sacra di Abramelin il mago”. Flamel e la moglie negli anni successivi, anche tramite lo studio di testi cabalistici, sarebbero riusciti a decifrarne il contenuto, ottenendo la pietra filosofale, capace di tramutare i metalli comuni in oro, e l’Elisir di lunga vita.
Il fondamento di tale storia venne contestata già nel 1761 da Etienne Villain. Questi sosteneva che l’ideatore della leggenda era lo stesso editore dell’opera, P. Arnauld de la Chevalerie, che si sarebbe nascosto con lo pseudonimo di Eiranaeus Orandus. [4] Tuttavia la storia di Flamel l’alchimista era ormai stata adottata da diversi autori attivi nel campo dell’occulto e del fantastico, che l’avevano ulteriormente arricchita di dettagli.
Riferimenti alla leggenda appaiono ad esempio in scritti di Isaac Newton noto per gli interessi alchemici. La figura di Flamel tornò alla ribalta nel diciannovesimo secolo. Viene ad esempio menzionato da Victor Hugo nel romanzo Notre-Dame de Paris e da Albert Pike in Morals and Dogma of the Scottish Rite of Freemasonry. Viene citato come figura ispiratrice da André Breton nel “secondo manifesto surrealista”. Ha poi trovato ampia adozione nella letteratura popolare e nei media negli ultimi decenni.
La reputazione di Flamel come alchimista nacque dopo la sua morte, quando venne collegato alla leggenda della pietra filosofale da una serie di opere alchemiche, pubblicate nel XVII e a lui attribuite, ma considerate apocrife. Flamel visse a Parigi nel XIV e XV secolo. Condusse due negozi come scrivano e sposò una vedova di nome Perenelle, più vecchia di lui e dotata di buon patrimonio, che morì nel 1397. I due avevano diverse proprietà ed effettuavano cospicue donazioni alla Chiesa, comprese le commissioni di diverse sculture. Una delle abitazioni appartenute a Flamel è ancora esistente, al 51 di rue de Montmorency. È considerata la più antica casa in pietra di Parigi.
A Parigi gli è stata dedicata una strada nei pressi del Museo del Louvre, rue Nicolas Flamel, che interseca rue Pernelle, dedicata alla moglie.
Nel 1410 Flamel progettò la propria pietra tombale, scolpita con immagini del Cristo, di San Pietro e San Paolo, conservata al Museo Nazionale del Medioevo (nell’Hôtel de Cluny) a Parigi. Tale dettaglio sarà oggetto di numerose interpretazioni successive. In questo periodo, Flamel contribuì anche nel restauro del vecchio Cimitero degli Innocenti di Parigi, per la realizzazione di strutture arcate poste sopra le murate, al fine di contenere le ossa dei cadaveri in eccesso. Il suo testamento, datato 22 novembre 1416, indica una certa agiatezza ma non la straordinaria ricchezza vantata nelle leggende alchemiche posteriori. Del resto, al di là dei testi apocrifi, non ci sono altre testimonianze che il Flamel storico abbia effettivamente esercitato l’alchimia, la medicina o la farmacia. [4] [1] Fu sepolto a Parigi, nel 1418, al Museo di Cluny, verso la fine della navata della vecchia Chiesa di Saint-Jacques-de-la-Boucherie.
Il mito del Flamel alchimista
La leggenda sul Flamel alchimista eccelso, che riuscì ad ottenere la pietra filosofale e l’immortalità, è basata in primo luogo su pubblicazioni del XVII secolo. L’opera centrale è Le livre des figures hiéroglyphiques , pubblicato a Parigi nel 1612 e, come Exposition of the Hieroglyphical Figures, a Londra nel 1624.
Si tratta di una collezione di disegni per un timpano del Cimetière des Innocents, presumibilmente recuperata dopo una lunga scomparsa. Nell’introduzione l’editore descrive gli sforzi di Flamel per venire a capo dei contenuti di un misterioso libretto di 21 pagine da lui acquistato dopo un sogno in cui gli avrebbe fatto visita un angelo, indicandoglielo. Flamel attorno al 1378 si sarebbe recato in Spagna per cercare aiuto, incontrando sulla via del ritorno un sapiente che avrebbe riconosciuto nel libro una copia del grimorio “la magia sacra di Abramelin il mago”. Flamel e la moglie negli anni successivi, anche tramite lo studio di testi cabalistici, sarebbero riusciti a decifrarne il contenuto, ottenendo la pietra filosofale, capace di tramutare i metalli comuni in oro, e l’Elisir di lunga vita.
Il fondamento di tale storia venne contestata già nel 1761 da Etienne Villain. Questi sosteneva che l’ideatore della leggenda era lo stesso editore dell’opera, P. Arnauld de la Chevalerie, che si sarebbe nascosto con lo pseudonimo di Eiranaeus Orandus. [4] Tuttavia la storia di Flamel l’alchimista era ormai stata adottata da diversi autori attivi nel campo dell’occulto e del fantastico, che l’avevano ulteriormente arricchita di dettagli.
Riferimenti alla leggenda appaiono ad esempio in scritti di Isaac Newton noto per gli interessi alchemici. La figura di Flamel tornò alla ribalta nel diciannovesimo secolo. Viene ad esempio menzionato da Victor Hugo nel romanzo Notre-Dame de Paris e da Albert Pike in Morals and Dogma of the Scottish Rite of Freemasonry. Viene citato come figura ispiratrice da André Breton nel “secondo manifesto surrealista”. Ha poi trovato ampia adozione nella letteratura popolare e nei media negli ultimi decenni.
Nessun commento:
Posta un commento