sabato 6 luglio 2019

Ipotesi azardate sui Dischi di Dropa

I Dischi di Pietra di Dropa – datati 12.000 a.c



I dischi di Dropa ( da non confondere con i “classici” dischi BI molto comuni, e chissà tradizione derivata da quelli di Dropa), sono 716 reperti di litio di granito , con un’alta concentrazione di cobalto e di altre sostanze metalliche sulla cui superficie si trovano incisi una serie di simboli. I dischi furono scoperti nel 1938 da una spedizione di archeologi cinesi sulle montagne di Bayan-Kara-Ula, tra la Cina e il Tibet in una caverna contenente anche una quantità di piccoli scheletri. Le tombe furono trovate in un’intricata rete di gallerie interconnesse, ordinatamente allineate, e appartenevano ad una razza che appariva alquanto particolare: esseri umani di dimensioni molto minute, eccetto i teschi, sproporzionatamente grandi.
All’inizio, gli scienziati credettero che le grotte fossero tane di scimmie ma il loro dirigente, il professore di archeologia Chi Pu Thei, sottolineò di non aver mai sentito parlare di scimmie che inumano i loro morti. Durante il disseppellimento dei corpi, un archeologo recuperò un disco di pietra dal fondo di una fossa. Gli studiosi si raccolsero attorno all’artefatto, rigirandolo in ogni direzione, cercando di interpretarne il significato. Un foro circolare nel mezzo e una spirale incisa verso l’interno o l’esterno erano le uniche apparenti caratteristiche. Un’ispezione più accurata mostrò che le scanalature, in realtà, erano una linea di piccole incisioni, o segni. Ogni disco poteva, quindi, essere un “libro litico” ma, all’epoca della loro scoperta, nessuno possedeva un dizionario capace di interpretarlo. Tutti i 716 dischi vennero raccolti assieme ad altri reperti ritrovati nell’area e portati a Pechino. All’inizio non si vide ragione di considerarli speciali, erano solo bizzarri.
Nel 1947 l’archeologo Karyl Robin-Evans ricevette da un certo professor Lolladoff un disco di pietra che credeva fosse stato trovato in Nepal. L’oggetto sembrava essere appartenuto ad una tribù, i “Dzopa”, che lo usavano nelle cerimonie religiose. Il disco aveva il raggio di 12 centimetri e lo spessore di cinque e, secondo Robin-Evans che lo aveva posto su di una bilancia, aveva la caratteristica di aumentare e diminire di peso nel giro di poche ore. Robin-Evans si mise in viaggio verso le montagne della Cina, alla ricerca della tribù Dzopa. Dapprima passò attraverso Lhasa, nel Tibet, dove venne ricevuto dal 14° Dalai Lama, che allora aveva 12 anni. Nel 1947 il Tibet era ancora indipendente, solo nel 1950, quando il Dalai Lama si rifugiò nel nord dell’India, i cinesi si impadronirono del paese. La regione di Bayan-Kara-Ula, situata in un territorio impervio, lungo il confine cino-tibetano, non risenti molto dell’invasione. Il luogo sembrava incutere timore persino ai tibetani, tant’è vero che, una volta arrivati in alta montagna, le guide di Robin-Evans non volevano proseguire. Avevano paura. Un atteggiamento che spiega perché la regione di Bayan-Kara-Ula fosse stata scarsamente esplorata fino al 1947, eccezion fatta per la spedizione scientifica del decennio prima. Robin-Evans riuscì comunque a raggiungere la sua meta e a guadagnarsi la confidenza della gente Dzopa.
Aveva con sé un linguista, che gli insegnò i rudimenti della lingua Dzopa, e Lurgan-La, il capo religioso degli Dzopa, gli raccontò la storia della tribù, il cui pianeta natale si trovava nel sistema di Sirio. Lurgan-La spiegò che due missioni erano state inviate sulla nostra Terra: la prima più di 20.000 anni fa, la seconda nel 1014 prima di Cristo. Durante quest’ultima visita alcune astronavi precipitarono e i sopravvissuti non furono in grado di lasciare la Terra: gli Dzopa sarebbero stati i discendenti diretti di queste genti. È importante stabilire se i “Dropa” (altra tribù in cui si raccontava sulle incisioni) e gli “Dzopa” costituissero una sola tribù, oppure appartenessero a nuclei differenti, una controversia di cui Robin-Evans sembra fosse al corrente. Sebbene il termine ‘Dropa” rappresentasse la corretta sillabazione, “Dzopa”, o piuttosto “Tsopa” era più vicino alla pronuncia esatta della parola. Per questo Robin-Evans preferì scrivere “Dzopa” nel suo resoconto che però fu pubblicato solo nel 1978, quattro anni dopo la sua morte.

Il problema dei dischi di pietra di Bayan-Kara-Ula venne proposto per la prima volta all’attenzione generale alla fine degli anni Cinquanta dallo studioso Vyacheslav Zaitsev, membro dell’Istituto delle Letterature dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, ma fu solo nel 1962, che un archeologo cinese, Tsum Um Nui, ritenne di aver svelato il mistero. La sua interpretazione, a parte la datazione, è molto simile alla storia raccontata dal capo religioso degli Dzopa: i simboli incisi sui 716 dischi trovati nella grotta rappresenterebbero la storia degli abitanti di un altro mondo bloccati circa 12.000 anni fa nelle montagne della zona di Bayan-Kara-Ula. Le intenzioni pacifiche di questi esseri non furono comprese dalla popolazione locale. Molti di loro vennero inseguiti e uccisi dai membri della tribù degli Han, che vivevano nelle grotte vicine. Secondo la traduzione di Tsum Um Nui “…i Dropa (Dzopa secondo Robin-Evans, n.d.w.) sbucarono dalle nubi con i loro aeroplani. Gli uomini, le donne e i bambini si nascosero nelle grotte per dieci volte. Quando alla fine capirono i segni del linguaggio dei Dropa, realizzarono che i nuovi arrivati avevano intenzioni pacifiche…” In un’altra parte del testo si racconterebbe del rammarico degli Han per il fatto che i Dropa fossero precipitati in quella zona impervia e che non fossero stati più in grado di costruire un nuovo veicolo per ritornare sul loro pianeta.
Il rapporto sulla traduzione dei dischi venne pubblicato nel 1964, ma le teorie di Tsum Um Nui non furono ben accolte dai suoi colleghi. Tale atteggiamento indispettì il professore, che decise di trasferirsi in Giappone, dove morì qualche anno dopo. Intanto altri privati ed organizzazioni di ricerca se ne stavano interessando. Dall’Unione Sovietica giunsero richieste da parte di scienziati, i quali volevano che alcuni dischi venissero loro inviati per esaminarli, cosa che i cinesi fecero. I sovietici, dopo aver condotto varie analisi chimiche, rimasero di stucco nel constatare che i dischi contenevano quantità piuttosto alte di cobalto e altri metalli. Il dottor Viatcheslav Saizev scrisse sulla rivista sovietica “Sputnik” di aver messo i dischi su una macchina simile ad un grammofono. Una volta attivato il dispositivo, i dischi “vibravano” come se una carica elettrica fosse passata attraverso il disco ad un ritmo particolare o, come disse lo scienziato, “essi facessero parte di un circuito elettrico”.
Era forse la prova che, in qualche modo, un tempo i dischi erano stati esposti ad elevate cariche elettriche. Tali scoperte, comunque, avevano poco a che fare con gli altri dischi che rimanevano in Cina e con i simboli incisi. Altre spedizioni di archeologi avevano raccolto nuovi elementi sul sito dove era stata effettuata la scoperta, in base ai quali la storia come appariva nella traduzione di Tsum Um Nui poteva risultare corretta. Leggende, che ancora circolavano a quel tempo, parlavano di uomini bassi, senza capelli, di colorito giallo, che “erano discesi dalle nubi molto tempo prima”. Questi esseri avevano grosse e nodose teste su corpi piccoli ed erano mostruosi a vedersi, secondo gli abitanti locali che li avevano inseguiti a cavallo. La descrizione coincideva con le caratteristiche dei corpi che il professor Chi Fu Thei aveva recuperato nel 1938. All’interno delle grotte vennero ritrovate pitture murali che indicavano il sorgere del Sole, la Luna, stelle non identificate e la Terra, tutte interconnesse da linee punteggiate. I dischi e i contenuti delle grotte furono datati a circa 10.000 anni prima di Cristo; le grotte erano ancora abitate da due tribù che si autodefinivano Han e Dropa, questi ultimi alquanto strani. Alti a malapena un metro e 30, non erano né cinesi né tibetani e gli esperti brancolavano nel buio in merito all’individuazione del loro ceppo etnico.

Nel 1974 l’ingegnere austriaco Ernst Wegerer si imbatté in due dischi nel Museo Banpo di Xian e li fotografò. Il divulgatore di paleoastronautica Erich von Daniken seppe dei dischi e delle foto di Wegerer e ne scrisse su uno dei suoi libri, senza ottenere molto credito. Fu Hartwig Hausdorf a cambiare la situazione. Nel marzo 1994, assieme a Peter Krassa, amico di von Daniken, parti per la Cina. Più tardi Hausdorf dichiarò: “Nello Xian visitammo il Museo Banpo, cercando i dischi che Wegerer aveva fotografato venti anni prima. Ma il nostro ottimismo non venne ripagato. Non riuscivamo a trovare in nessun posto alcuna traccia dei dischi. Wegerer si era forse inventato l’intera storia? Non ci sembrava possibile. Chiedemmo alle nostre guide e al professor Wang Zhijun, direttore del museo. All’inizio negarono l’esistenza dei dischi! Dopo avergli esibito le foto dei dischi per un’ora, Thijun disse che uno dei suoi predecessori aveva dato a Wegerer il permesso di fotografarli, che i dischi esistevano, o come minimo erano esistiti.
Poco dopo aver concesso a Wegerer di fotografarli, il direttore era stato costretto a dimettersi e di lui non si seppe più nulla. Krassa, compatriota di Wegerer, aveva tutte e quattro le fotografie. Il direttore Zhijun ci mostrò – dopo aver capito che non ce ne saremmo andati senza ottenere quello che volevamo – un libro di archeologia in cui erano riprodotte le foto dei dischi. Più tardi ci portò in un edificio vicino, dove gli artefatti del museo venivano puliti e catalogati. Su una sedia stava una copia ingrandita di un disco di pietra. Alluse che pochi anni prima arrivarono indicazioni ‘dall’alto’, dai suoi superiori, che tutte le tracce dei dischi dovevano essere fatte sparire e che si doveva dire che tutto quell’argomento era una grossa montatura.”
Hartwing Hausdorf si è mosso per poter ricevere il permesso di entrare nella zona delle montagne di Bayan-Kara-Ula per cercare la popolazione Dzopa, se ancora esiste. Dato che l’esistenza della tribù è accertata fino al 1947, è probabile che vi siano dei discendenti viventi ancora oggi, a meno che l’ordine del 1965 di “far sparire tutte le tracce dei dischi di pietra” abbia occultato ogni prova. Hausdorf, scorrendo l’ultima lista del 1982 delle minoranze nazionali riconosciute in Cina, ha riscontrato che i Dzopa non sono riconosciuti come minoranza nella loro provincia, Qinghai. Che forse non esistano più? La lista specifica che 880.000 persone non sono riconosciute come minoranza etnica. Si tratta di 25 tribù. Potrebbero essere registrate sotto nome differente, stando alla trascrizione Hanyu-Pinyin, che traduce certi nomi in modo completamente diverso rispetto al passato.
Altro mistero con cui Hausdorf si è trovato alle prese è il nome del archeologo Tsum Um Nui, che non era cinese e sulla cui stessa esistenza sono sorti dei dubbi. Ma un amico asiatico di Hausdorf gli disse che il nome Tsum Um Nei era un misto di cinese e giapponese. La pronuncia giapponese era stata scritta in cinese, così come in tedesco il nome “Schmidt” può essere detto “Smith” in America. “Ovviamente il tipo era giapponese”, realizzò Hausdorf, il che spiega come il professore sia potuto rientrare in Giappone raggiunta la pensione.
I dischi di Bayan-Kara-Ula sembrano presentare analogie con altri reperti antichissimi dalla forma discoidale. Si è parlato del disco del professor Lolladoff ritrovato in Nepal e risalente, presumibilmente, a 4000 anni fa. Esso mostra delle anomalie di rilievo: oltre ad avere la capacità di perdere peso e riguadagnarlo, senza alcuna spiegazione scientificamente valida, percosso, genera un acuto suono vibrante. Inoltre sulla sua superficie vi sono delle figure in basso-rilievo su cui si nota un umanoide macrocefalo, che molti hanno accostato a quello del filmato dell’autopsia reso noto da Santilli. Alcuni ricercatori hanno ritenuto di aver trovato somiglianze anche con i rottami a doppio T dello stesso filmato, ovvero i “geroglifici” presenti accanto alla figura umanoide. Uno di questi simboli, precisamente la “V” rovesciata a doppio segmento, è presente anche nei rottami a doppio T dello stesso video-documentario.
Quanto questo possa essere frutto del caso non è possibile dirlo, ma sullo stesso piatto di Lolladoff è presente la raffigurazione di qualcosa che potrebbe essere un classico disco volante. Un’altra analogia potrebbe esserci con le scoperte di Festo, nell’isola di Creta (Grecia). Nel 1908, nel corso di uno scavo in questa località, una spedizione archeologica italiana scoprì un disco d’argilla di medie dimensioni, risalente al II millennio a.C., sulle cui facce sono presenti numerosi simboli. La decifrazione della sua enigmatica scrittura ideografica ha interessato, fino ai giorni nostri, molti studiosi senza giungere però ad alcuna conclusione logica e definitiva. È stato anche ipotizzato che i simboli, come quelli di Bayan-Kara-Ula, narrerebbe dell’arrivo sul nostro pianeta di una popolazione extraterrestre, in questo caso proveniente dalle Pleiadi. Questa teoria verrebbe supportata dalla presenza, sul disco, di un ideogramma, ripetuto per ben 17 volte, dall’aspetto di scudo circolare con sette protuberanze, raffiguranti le sette stelle delle Pleiadi, e da un altro simbolo che, presente una volta sola, ricorda un disco volante. Ipotesi suggestiva ma ci sono troppo pochi gli elementi per dare un reale consistenza all’ipotesi extraterrestre.
fonte: nibiru2012.it

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