mercoledì 10 luglio 2019

Villon e Rabelais visti da un cattolico

In questo piccolo libro, Étienne Gilson (1884-1978), filosofo cattolico neotomista si occupa di due autori apparentemente lontanissimi dal suo campo di indagine: François Villon, il poeta francese del Quattrocento autore della celeberrima Ballata degli impiccati, ladro, malfattore, bandito, per lo più ritenuto ateo; e François Rabelais, l'autore del Gargantua e Pantagruele, letto generalmente come pre-libertino, carnale, pagano e mondano, fastidito dalla teologia proprio a causa del suo passato di frate francescano. «Bisognerebbe mettersi nelle condizioni di comprendere i testi, prima di commentarli». Sulla base di questo principio, Gilson smonta queste immagini semplificate dimostrando la familiarità di Villon e Rabelais con la Bibbia, la patristica e il lessico filosofico medievale, il che dà ancora più forza alla posizione di eccentricità scelta dai due scrittori. Basta leggere il Gargantua, dice Gilson, grattare appena la superficie delle parole e delle locuzioni, per trovarvi la ripresa di luoghi biblici e teologici, così familiari all'orecchio dell'uomo medievale, da non poter sfuggire nemmeno al più distratto dei commentatori. È una lettura che fa giustizia di tanti facili alibi storiografici, come la "frammentazione postmoderna". Non ci sono frammenti se non dove non si ha voglia di raccoglierli: questa è la sostanza del monito di Gilson, a suo modo progressivo e, nel nostro tempo, anche costruttivamente eretico.
«Dama del cielo, regina della terra,/ imperatrice delle paludi d’Inferno,/ accogli la tua umile credente,/ comprendi anche me tra i tuoi eletti,/ anche se io non valgo niente». È l’inizio di una delle più strazianti poesie del più grande poeta francese di ogni tempo, François Villon, vissuto nel turbinoso 1400 francese, nella Parigi già vasta e buia come una metropoli moderna, ma segnata da rintocchi di campane, grida di corvi sugli alberi dove oscillavano i corpi neri come tizzoni degli impiccati, quegli impiccati a cui si ispira una delle sue ballate, forse la più leggendaria accanto a quella delle Donne del tempo passato. Chi parla, sottovoce, è un’umile vecchietta analfabeta, che prega Nostra Signora, Maria, che salvi lei, povera donna. Sappiamo che è la madre del poeta, perduto nei bassifondi parigini, ladro, ruffiano, più volte condannato per vari reati tra cui un omicidio per rissa. Villon è il poeta della traboccante misericordia, dal buio dei dannati, coloro che stanno sempre in basso, nella società, nella vita quotidiana, nella vita morale, Villon scrive un’incessante, straziante preghiera a una misericordia di Dio che compensi le ingiustizie della società umana, dei re, dei nobili, dei vescovi, dei ricchi, dei giudici e dei notai che vivono indifferenti sopra il calderone della sofferenza umana. Per questo può stupire che presentando due scritti di Etienne Gilson, grande studioso del medioevo, autore di libri fondamentali , la bandella del volume edito dalla meritevole casa editrice Medusa definisca il poeta «per lo più ritenuto ateo», quando da tempo nessuno può ritenerlo tale. Arrabbiato, ostinatamente perduto, alla ricerca di una pace che il mondo non concede, ma mai ribelle contro Dio, che pure non soccorre il poeta e i suoi compagni di sventura in vita. Il volume insiste su questa lettura anche nel titolo Il Dio degli increduli, quando sia il citato Villon sia l’altro grande autore francese a cui è dedicato, Rabelais, non paiono appartenere al novero dei disincantati scettici irridenti il divino. Soprattutto il primo. Questa accentuazione è corretta se riferita all’epoca in cui, negli anni Venti, il grande medievista sostenne in due saggi i debiti dei due autori alla Bibbia e alla cultura medievale che l’aveva tradotta e drammatizzata ad uso dei talenti più fini dell’epoca, accostandola al patrimonio classico che faceva parte degli studi di ogni letterato. Quando Gilson scrive questi due articoli in Francia, è aspra la contestazione illuministica di ogni elemento di cultura medievale, e, di conseguenza, cristiana, al punto da vedere nei due autori la nascita di una modernità affrancata dal retaggio dei 'secoli bui'. Sarebbe stato opportuno marcare questa realtà storica . Gilson mostrava inequivocabilmente che senza la Bibbia l’opera di Villon e dell’ex francescano Rabelais non sarebbero state quel che sono.Ma oggi, un secolo dopo, non è più così: tutti gli studi sui due grandi autori abbondano nel riferire in tale senso. Con una differenza, che all’occhio storico e teologico di Gilson stesso credo sfuggisse: la cultura cristiana era alle spalle di Villon e di Rabelais, ma il primo è un poeta dalla fede smisurata proprio perché franta e disperata, Rabelais, intriso di medioevo nella stessa sintassi e nelle allegorie, è un uomo in crisi tra due visioni del mondo. Che non sono storiche, ma elementari: per Villon poesia e preghiera, dissonando, coincidono, per Rabelais confliggono, fruttuosamente. Non è il background biblico che sillaba la preghiera, ma uno stato di estasi dolorosa e assetata di salvezza. Villon crede, Rabelais non sappiamo, questo dicono i loro capolavori. Cento anni non sono passati invano....
Etienne Gilson IL DIO DEGLI INCREDULI Medusa. Pagine 88. Euro 10,00

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