sabato 4 maggio 2019

La teoria newtoniana e la teoria dei colori di Goethe, tra scienza e mistero

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di Francesco Lamendola - 29/11/2010

Fonte: Arianna Editrice

Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) è stato giustamente definito come
l’ultimo genio rinascimentale: non solo grande poeta, ma pittore,
scienziato, pensatore.
Un lato dei suoi interessi culturali e scientifici, che gli
illuministi, i positivisti e i loro attuali eredi non gli hanno mai
potuto perdonare, è quello rivolto al mistero e al soprannaturale; fra
le altre cose, egli si accostò con sincero interesse alle dottrine
mistiche di Emanuel Swedenborg, dileggiato – invece - da filosofi come
Kant: segno di una indipendenza di giudizio e di una apertura sul
reale a trecentosessanta gradi, insofferente di ogni moda e di ogni
pregiudizio.
Goethe fu anche autore di opere scientifiche, che già ai suoi tempi
incontrarono perplessità e incomprensioni e che, a tutt’oggi,
rimangono pressoché ignorate dal grande pubblico, se non come
documenti di una personalità indubbiamente ricchissima, ma in certo
qual modo anacronistica; solo i suoi biografi si sono presi la briga
di studiarle, a parte dagli antroposofi che, sulle orme di Rudolf
Steiner, ne hanno fatto una componente essenziale delle loro
concezioni cosmologiche, psicologiche e pedagogiche.
Gli interessi scientifici di Goethe andavano dalla botanica, alla
mineralogia, alla fisica; ma è nel campo dell’ottica che egli diede il
meglio di sé, scrivendo, in polemica contro Newton, quella «Teoria dei
colori» («Zur Farbenleher»😉 che, pubblicata a Tubinga nel 1810,
avrebbe dovuto consacrare, nelle sue intenzioni, un nuovo modo di
intendere non solo l’ottica e la fisica, ma la scienza in generale; e
che, invece, non scosse affatto l’establishment scientifico del tempo,
né, tanto meno, come si è detto, quello a noi contemporaneo.
In che cosa consiste la novità della concezione scientifica di Goethe?
Nel fatto che, in opposizione al modello dominante della cosiddetta
Rivoluzione scientifica del XVII secolo, per essa il compito della
conoscenza non è quello di conquistare e soggiogare la natura ai
voleri dell’uomo (secondo la famigerata formula baconiana «sapere è
potere»😉 bensì di ascoltarla amorevolmente, di porsi in sintonia con
essa e di ritrovare, attraverso la meditazione su di essa, la via
perduta dell’unità con tutte le cose (e qui traspare un certo influsso
non solo delle teorie di Swedenborg, ma anche del panteismo di
Spinoza).
La polemica antinewtoniana sulla natura della luce e dei colori non è
che un caso esemplare di questa nuova concezione goethiana delle
finalità e della stessa essenza del sapere scientifico: perché, per
Goethe, il colore non è semplicemente una manifestazione della luce,
che l’osservatore riceva passivamente, ma anche una elaborazione
dell’occhio e, quindi, della mente. Fenomeno attivo e non solo
passivo, di cui entrano a far parte la psicologia, la simbologia, la
spiritualità; ed è quasi inutile evidenziare come in tale concezione
vi sia, «in nuce», anche l’approccio cromoterapico alla malattia, non
a caso esso pure bandito dal filone principale della scienza
accademica contemporanea).
Per Goethe, ogni cosa tende alla totalità, alla reintegrazione
nell’Essere; ogni cosa tende all’armonia e alla completezza: mentre la
scienza newtoniana è oppositiva, aggressiva, utilitarista e
riduzionista; non cura la ricerca olistica, ma persegue piuttosto il
dominio sulle cose.
Goethe ricorda una espressione del filosofo Plotino: «Un occhio non
avrebbe mai visto il sole se non fosse simile al sole; ugualmente,
l’anima non potrebbe vedere il bello, senza divenire essa stessa
bella».
Questa, probabilmente, è la chiave di lettura per comprendere e
valutare tutta la portata della concezione scientifica di Goethe: per
lui, l’occhio che osserva e studia la natura non può prescindere dallo
spettacolo della bellezza e non può porsi davanti ad essa che in
atteggiamento nobilmente pensoso e conscio del mistero che in essa si
cela.
Per la scienza moderna, invece, da Francesco Bacone a Newton, e
passando per Galilei, non vi è alcun mistero, ma ci sono soltanto dei
problemi in attesa di essere risolti; e l’ammirazione per la bellezza,
se pure ha parte nella ricerca, non è mai scevra da intenti
utilitaristici, perché non si spoglia mai dai panni del Logos
strumentale e calcolante, che non vede nelle cose se non il proprio
utile ed il proprio tornaconto.
Per quanto riguarda i colori, Goethe ritiene inammissibile ridurne la
fenomenologia ad una pura e semplice manifestazione ottica; nella
percezione dei colori vi è una componente soggettiva e il riduzionismo
newtoniano, contro il quale si scaglia nella seconda parte dell’opera,
a suo dire ha «sepolto un lavoro di secoli», cioè ha cancellato la
visione antica, secondo la quale i fenomeni fisici sono sempre, anche,
dei fenomeni spirituali.
Quella di Goethe è una vera e propria rivolta contro la matematica, o
meglio, contro la pretesa della matematica di porsi come supremo o
magari come unico criterio di verità nella conoscenza della natura;
pretesa, possiamo osservare, che da un lato risale alla “nuova
scienza” del secolo XVII, dall’altro al razionalismo cartesiano, dal
quale - peraltro - lo stesso Spinoza non era certo rimasto immune, se
è vero che quest’ultimo aveva preteso di spiegare perfino l’etica con
i procedimenti logici che sono propri della geometria.
Scrive, dunque, Goethe a proposito dell’effetto sensibile e morale del
colore (in: J. W. Goethe, «Dalla Teoria dei colori», traduzione di
Giuseppina Quattrocchi, Demetra Editrice, 1995, pp. 136-140):

«758. Dato che il colore occupa un posto tanto elevato nella serie
delle manifestazioni naturali originarie, in quanti riempie con decisa
molteplicità il semplice cerchio assegnatogli, non ci stupiremmo di
venire a sapere che esercita un’azione sul senso degli occhi. Ad esso
il colore è specificamente legato e ,tramite la sua mediazione, è
legato all’animo in tutte le sue manifestazioni elementari più
generali, senza riferimento alle caratteristiche o alla forma di un
materiale, sulla cui superficie viene recepito. Un’azione specifica,
se considerata nella sua singolarità, in parte armonica in parte
caratteristica, e spesso anche disarmonica, se combinata ad altre, ma
sempre decisa e significativa, che si collega direttamente
all’elemento morale. Per questo quindi il colore, considerato come
elemento dell’arte, può venire considerato come elemento che coopera
ai sommi scopi estetici.
759. In generale gli esseri umani trovano grande piacere nel colore.
L’occhio ne ha bisogno, come ha bisogno della luce. Ci si ricordi il
sollievo che dà il sole in una giornata cupa quando illumina uno
squarcio di paesaggio dando risalto ai colori. […]
835. Selvaggi, popoli primitivi e fanciulli hanno grande predilezione
per i colori particolarmente vivaci e quindi soprattutto per il
rosso-giallo. Hanno anche una propensione per il variopinto, che ha
origine quando vengono affiancati colori vivaci senza squilibrio
armonico. Quando c’è questo equilibrio, per istinto o per caso, il
risultato è gradevole. Ricordo di un ufficiale dell’Assia, che veniva
dall’America. Si dipinse il volto come i selvaggi e il risultato
finale era di un insieme piacevole.
836. I popoli dell’Europa del sud indossano abiti dai clori molto
vivaci. I tessuti di seta, che essi hanno la possibilità di acquistare
a buon mercato, favoriscono tale propensione. Soprattutto le donne con
i loro corpetti e nastri vivaci, nell’impossibilità di superare lo
splendore del cielo e della terra, sono almeno sempre in armonia con
l’ambiente.
838. I colori, così come influiscono sugli stati d’animo,così si
adattano a stati d’animo e circostanze. Popoli vivaci come i francesi,
ad esempio, amano particolarmente i colori intensi del lato attivo.
Genti più misurate come gli inglesi e i tedeschi preferiscono il
giallo-cuoio o giallo.-paglia che accostano al blu. Le genti che
tengono in considerazione la dignità, come gli italiani e gli
spagnoli, scelgono per il mantello un rosso che tende al lato passivo.
839. Il vestito riferisce il carattere del colore al carattere della
persona. Si può quindi osservare il rapporto tra i singoli colori e la
loro composizione con il colore del volto, l’età e la condizione
sociale. [...]
848. Dall’azione sensibile ed estetica dei colori, presi singolarmente
o in composizione,quale abbiamo sin qui descritta, si dedurrà ora
l’effetto estetico che essi hanno sull’artista. Anche in questo caso
diamo le notizie più indispensabili dopo avere trattato la luce e
l’ombra. […]
915. Si è dimostrato per esteso che ogni colore produce sull’essere
umano una particolare impressione manifestando a quella stregua la sua
natura all’occhio e all’animo. Ne consegue direttamente che il colore
può venire usato per determinati scopi sensibili, morali ed estetici.
916. Si potrebbe definire simbolico un impiego pienamente in accordo
con la natura, in cui il colore viene usato in relazione al suo
effetto e un autentico rapporto esprime direttamente il significato.
Se per esempio si stabilisce che il porpora rappresenta la maestà, non
ci saranno dubbi che sia stata trovata la corretta espressione, come
si è già detto esaurientemente e particolareggiatamente prima.
917. Strettamente affine a questo è un altro uso del colore, che
potrebbe venire definito allegorico. In esso vi è una componente più
occasionale e arbitraria, si può addirittura dire convenzionale, in
quanto prima di capire cosa significa, come si comporta, come nel caso
del verde che è assegnato alla speranza, deve prima venirci dato il
significato del simbolo.
918. È facile supporre da ultimo che il colore consenta pure
un’interpretazione mistica. Dato infatti che lo schema in cui può
venire rappresentata la molteplicità del colore accenna a simili
rapporti originari che fanno parte sia della visione umana sia della
natura, non vi è alcun dubbio che, volendo esprimere i rapporti
originari che non cadono in modo tanto deciso e vario sotto i sensi, ,
ci si possa servire anche delle loro relazioni come di un linguaggio.
Il matematico apprezza il valore e l’uso del triangolo; i mistici ne
hanno un’alta considerazione; alcuni suoi aspetti , tra cui le
manifestazioni di colore, possono venire schematizzati in modo tale da
ottenere, per raddoppiamento e incrociamento, l’antico e misterioso
esagono.
919. Se si coglie in modo corretto la divergenza tra giallo e azzurro,
ma si è notato soprattutto il suo intensificarsi nel rosso che
consente agli opposti di tendere l’uno verso l’altro e di riunificarsi
dando vita a un terzo, si avrà senza dubbio una segreta intuizione,.
Si potrebbe cioè supporre alla base di queste due entità separate e
opposte tra loro un significato spirituale e vedendo sorgere in basso
il verde e in alto il rosso ci si tratterrà a stento dal pensare là
alle creazioni terrestri degli Elohim e qui a quelle terrestri.
920. In sede conclusiva è comunque meglio non esporsi al sospettosi
essere inclini alle fantasticherie, tanto più che, se la nostra teoria
dei colori incontrerà consensi, non le mancheranno certo, nello
spiriti del tempo, applicazioni e interpretazioni allegoriche
simboliche e mistiche.»

Una scienza olistica, a misura d’uomo e capace di riconoscere lo
splendore del mondo; una visione organica, nella quale ogni elemento
tende all’armonia e alla reintegrazione nella totalità; una
spiritualità che non scorda mai le ragioni ultime del sapere e del
nostro stesso essere nel mondo: questi i capisaldi del pensiero
scientifico di Goethe, dal quale ci giunge una ricchissima lezione di
umiltà e, al tempo stesso, di audacia speculativa.
La scienza cui tende Goethe non è meramente quantitativa e non vede
nelle cose della semplice materia bruta, la «res extensa» cartesiana;
non è neppure una scienza brutalmente pragmatica e utilitaristica, che
mira allo sfruttamento e alla sottomissione del mondo naturale,
declassato al rango di deposito di “risorse” ad uso esclusivo
dell’uomo: ma è una scienza rischiarata da una vivida luce interiore,
che volge i suoi passi sulla via del ritorno all’Essere e che ovunque
scorge i segni della presenza del divino.
Sorge perciò spontanea la domanda se la scienza moderna oggi dominante
- quantitativa, riduzionista, meccanicista - costituisca davvero un
progresso o non rappresenti, invece, un regresso ed una involuzione,
che ci stanno allontanando sempre di più dalla verità delle cose e da
noi stessi.

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