venerdì 31 maggio 2019

I Greci in India - Arte Indo-Greca

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"Ma è nel teatro che alcuni hanno pensato di potere percepire in modo più consistente il modello greco. Se ci furono insediamenti Greci in India, ci furono anche rappresentazioni di drammi greci in India. Non è pensabile che, tra tutti i Greci, solo i Greci che abitavano in India rinunciassero alle rappresentazioni di drammi o ai festival drammatici [100]. Del resto, i drammi greci erano rappresentati anche al di fuori dell’ambito culturale greco se, come ci attesta Plutarco [101], la testa di Crasso dopo la battaglia di Carre poté essere usata a Susa come appropriato attrezzo scenico per una rappresentazione delle Baccanti di Euripide. Siamo alla corte regale dei Parti, non siamo nel mondo greco, ma anche qui la produzione teatrale greca evidentemente è conosciuta e viene apprezzata. Del fatto che il teatro greco, e in particolare le tragedie di Sofocle, fosse noto in India abbiamo la certezza documentaria: a Peshawar è stato trovato un frammento di vaso (oggi conservato nel museo di Lahore) fabbricato in loco sul quale è rappresentata una scena dell’Antigone (Emone che prega Creonte di non condannare a morte Antigone). Secondo quanto notava Weber, nell’esercito di Alessandro c’erano mimi, giocolieri, artisti da circo, che Alessandro intendeva usare come “mezzo per l’ellenizzazione dell’Oriente” [102]. Tra dramma indiano e commedia nuova sembrano sussistere dei legami. Non è solamente la presenza delle yavanī, le raffinate danzatrici greche (o forse rinomate etere, da cui le colleghe indiana, a quanto pare, avrebbero avuto molto da imparare) che nei drammi di Kālidāsa fan sempre parte del séguito del re, o il fatto che yavanikā ‘greca’ sia il nome dato al tendaggio che fa da sfondo alla scena, a motivare questa impressione. Sta di fatto che sia la nea sia il dramma indiano hanno una consonanza singolare nella formulazione degli intrecci: le vicende amorose di una coppia, che per una qualunque motivo si separa, le peripezie che portano allo scioglimento dell’azione e al ritrovarsi dei due amanti, e soprattutto, spesso il riconoscimento dell’identità dell’altro per mezzo di un oggetto che era stato smarrito. Anche la presenza di personaggi fissi che presentano caratteristiche somiglianti (p.es. lo schiavo della commedia greco-romana e il vidūṣaka, un brahmano compagno di sollazzi, e soprattutto di pranzi, del protagonista) è un’altra coincidenza importante [103]. Nella Śakuntalā riconosciuta di Kālidāsa, per citare il più apprezzato esempio di dramma indiano e il più noto anche nella tradizione occidentale, l’oggetto indispensabile per il riconoscimento è l’anello che il re Duėyanta aveva lasciato alla donna nel momento di allontanarsi da lei e che viene perso durante un’abluzione rituale, così che la donna non può opporre all’amante, immemore di lei per le conseguenze di una maledizione, lo strumento che farebbe cadere il velo d’oblio che gli offusca la memoria: l’anello ricomparirà in séguito, pescato nel ventre di un pesce, e la sua vista riporterà alla memoria del re l’episodio della donna che ha colpevolmente abbandonato insieme col bambino che aveva in seno. La conclusione positiva (dal momento che il dramma indiano presuppone sempre una conclusione positiva e aborrisce qualunque situazione violenta o sanguinosa) avverrà in questo caso per altra via. Ma si è visto che anche nel Mudrārakṣasa, che pure ha una posizione anomala nella storia del teatro indiano, è l’anello col sigillo del ministro, perso dalla sua consorte, a costituire il fulcro essenziale della trama. Sarebbe indubbiamente semplicistico e riduttivo attribuire semplicemente all’imitazione del teatro greco la nascita di una tradizione teatrale in India [104]. Altre ipotesi sono state fatte: dal progressivo sviluppo di situazioni dialogate quali si hanno fin dagl’inni vedici, alla crescente popolarità di un teatro di ombre o di un teatro di marionette che si svolge sulle pubbliche piazze, alle rappresentazioni di mimi. Senza pervenire a conclusioni eccessive, si può benissimo pensare a un’azione catalizzatrice che il dramma greco poté avere sul nascente teatro indiano. Tra i più antichi autori di drammi si annoverano il già citato Aśvaghoṣa e Bhāṣa: autore di drammi apprezzati e citati nel periodo antico (Kālidāsa lo nomina espressamente come uno dei suoi predecessori), quest’ultimo ha conosciuto un lungo periodo d’oblio, e solamente all’inizio del XX secolo sono tornati alla luce alcuni dei suoi drammi. Purtroppo l’impossibilità di determinare delle coordinate cronologiche precise (per Bhāṣa si suppone un’epoca che va dal II sec. a.C. al II sec. d.C.) non consente neppure di stabilire se tra la definitiva maturazione del teatro indiano e la presenza dei Greci in India c’è o meno un rapporto cronologico. L’ipotesi dell’influsso greco fu formulata fin dalle prime stampe occidentali della Śakuntalā di Kālidāsa: Weber nel 1851, poi Windisch nel Congresso degli Orientalisti tenutosi a Berlino nel 1881, poi altri studiosi avevano osservato alcune coincidenze tra dramma indiano e la commedia nuova; l’ipotesi poi trovò sempre meno consenso tra gli studiosi [105]. Se si potesse in qualche modo avvalorare la tesi di Lévi, secondo cui la forma definitiva del dramma indiano sarebbe stata fissata a Mathurā nel I sec. a.C. [106], l’ipotesi di un influsso greco sulla nascita del teatro indiano farebbe un grosso balzo in avanti. Purtroppo questa ipotesi, benché affascinante, ha poche probabilità di essere provata in modo definitivo, e così il problema del possibile rapporto greco continua ad essere, per chi si pone nella prospettiva dell’India, nient’altro che una questione irritante [107]." FONTE: I GRECI IN INDIA http://www.rivistazetesis.it/India.htm

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