bruttechiese..
con le circa cinquemila nuove chiese costruite in Italia nella seconda metà del Novecento non si sono in genere costruite e non si stanno più edificando "chiese nuove" - come erano "chiese nuove" le barocche dopo le rinascimentali, le rinascimentali dopo le gotiche, le gotiche dopo le romaniche e le romaniche dopo le paleocristiane - ma "chiesoidi", come Gillo Dorfles chiama "fattoidi" gli incongrui, arbitrari nuovi "fatti" creati con le loro "installazioni" dagli artisti odierni, utilizzando il suffisso "oide", che in psichiatria designa forme cliniche che presentano sintomi di quadri morbosi tipici, e che nel linguaggio comune sta a indicare caratteri o atteggiamenti sgradevoli o almeno discutibili: artistoide, intellettualoide. Dunque per queste chiese laiche di oggi potrebbe andar bene "chiesoide", e, per le tante e strane "novità" che alcuni artisti disseminano spacciandole per opere d'arte potrebbe andar bene "novoidi", ossia "cose simili al nuovo, ma che, non essendolo in nulla, solo malamente lo scimmiottano".
Ogni pensiero infatti, dopo essere nato dai dati offerti dalla memoria, è "originale" perché "fatto e costruito in quel tal modo proprio e solo da quell'intelletto lì". Ecco realizzata qui la adaequatio rei et intellectus che si diceva, la corrispondenza perfetta tra Io e realtà che sta alla base dell'amore, lo permette e lo suscita. Se non si potesse realizzare tale eguaglianza ) tra intelletto e realtà, che germoglia dalla conoscenza, tutto diverrebbe arbitrario, tutto diverrebbe relativo, dubitabile, incerto.
La realtà, all'interno della quale soltanto si muovono Bellezza e Verità, vive di entrambe le sponde: tradizionalismo e audacia, e la caduta di uno dei due argini, qualunque sia dei due, esonda l'intelletto nell'irrealtà, per cui bisogna tenerli entrambi.
Ma i vogliosi di indipendenza, di libertà, che fanno? Buttano via la storia, che è tradizione, che è memoria, e si attaccano alla sola originalità, perché, a causa di ciò che abbiamo visto prima, hanno "l'orrore di veder entrare la storia nel proprio oggi", hanno orrore, dalla cosa antica, di farne una cosa anche nuova, che diverrebbe però così capace, come tutte le cose belle e vere che la gente si ferma a guardare o a sentire ammirata, di percorrere gli anni, i secoli, i millenni, fino all'oggi e per sempre.
Nel 1400 Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, che non odiavano né l'antico né il nuovo, ma li amavano entrambi, coraggiosamente presero l'antico, lo colsero con garbo da Roma e da Atene, e lo rifondarono "di nuovo" con somma cura a Firenze. Essi sono l'esempio del coraggio che ha un vero amante della tradizione: fare Rinascimento, ossia saper trasportare l'antico nel proprio oggi con la capacità inventiva di trasfondere nel nuovo l'antico, il tutto con quel quid che solo l'artista possiede per compiere la cosa come si deve, ossia facendo una cosa "bella ad arte".
Il misoneismo culturale e religioso che ci affligge sarà vinto e superato dal ripristino, in primo luogo, del metodo della vita, il quale metodo, come indicato da Amerio, discende direttamente dal ripristino anticartesiano della corretta disposizione da dare all'ordine delle essenze trinitarie: prima, sul trono che gli spetta, il Lògos, poi l'amore. Soltanto così "vengono tirate fuori dal tesoro cose vecchie e cose nuove" , essendo le cose nuove, ogni volta e in ogni tempo, la realizzazione delle vecchie, delle antiche, nel proprio oggi, e divenendo ciò tanto più bello, se tanto più compiuto con arte, col genio artistico.
In secondo luogo, ciò fatto, torneremo a fare Bellezza usando i tre termini che sempre l'hanno fatta: il canone classico, i materiali, la proporzione aurea.Bisogna saperla cogliere. Ma ciò dipende sia dalla propensione dell'artista a inclinarsi a compiere entrambi quei due atti che si dicevano per realizzare una vera, bella e anche buona "novità", sia dal suo talento. Bisogna però averlo, il genio, per incantar le folle.
con le circa cinquemila nuove chiese costruite in Italia nella seconda metà del Novecento non si sono in genere costruite e non si stanno più edificando "chiese nuove" - come erano "chiese nuove" le barocche dopo le rinascimentali, le rinascimentali dopo le gotiche, le gotiche dopo le romaniche e le romaniche dopo le paleocristiane - ma "chiesoidi", come Gillo Dorfles chiama "fattoidi" gli incongrui, arbitrari nuovi "fatti" creati con le loro "installazioni" dagli artisti odierni, utilizzando il suffisso "oide", che in psichiatria designa forme cliniche che presentano sintomi di quadri morbosi tipici, e che nel linguaggio comune sta a indicare caratteri o atteggiamenti sgradevoli o almeno discutibili: artistoide, intellettualoide. Dunque per queste chiese laiche di oggi potrebbe andar bene "chiesoide", e, per le tante e strane "novità" che alcuni artisti disseminano spacciandole per opere d'arte potrebbe andar bene "novoidi", ossia "cose simili al nuovo, ma che, non essendolo in nulla, solo malamente lo scimmiottano".
Ogni pensiero infatti, dopo essere nato dai dati offerti dalla memoria, è "originale" perché "fatto e costruito in quel tal modo proprio e solo da quell'intelletto lì". Ecco realizzata qui la adaequatio rei et intellectus che si diceva, la corrispondenza perfetta tra Io e realtà che sta alla base dell'amore, lo permette e lo suscita. Se non si potesse realizzare tale eguaglianza ) tra intelletto e realtà, che germoglia dalla conoscenza, tutto diverrebbe arbitrario, tutto diverrebbe relativo, dubitabile, incerto.
La realtà, all'interno della quale soltanto si muovono Bellezza e Verità, vive di entrambe le sponde: tradizionalismo e audacia, e la caduta di uno dei due argini, qualunque sia dei due, esonda l'intelletto nell'irrealtà, per cui bisogna tenerli entrambi.
Ma i vogliosi di indipendenza, di libertà, che fanno? Buttano via la storia, che è tradizione, che è memoria, e si attaccano alla sola originalità, perché, a causa di ciò che abbiamo visto prima, hanno "l'orrore di veder entrare la storia nel proprio oggi", hanno orrore, dalla cosa antica, di farne una cosa anche nuova, che diverrebbe però così capace, come tutte le cose belle e vere che la gente si ferma a guardare o a sentire ammirata, di percorrere gli anni, i secoli, i millenni, fino all'oggi e per sempre.
Nel 1400 Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, che non odiavano né l'antico né il nuovo, ma li amavano entrambi, coraggiosamente presero l'antico, lo colsero con garbo da Roma e da Atene, e lo rifondarono "di nuovo" con somma cura a Firenze. Essi sono l'esempio del coraggio che ha un vero amante della tradizione: fare Rinascimento, ossia saper trasportare l'antico nel proprio oggi con la capacità inventiva di trasfondere nel nuovo l'antico, il tutto con quel quid che solo l'artista possiede per compiere la cosa come si deve, ossia facendo una cosa "bella ad arte".
Il misoneismo culturale e religioso che ci affligge sarà vinto e superato dal ripristino, in primo luogo, del metodo della vita, il quale metodo, come indicato da Amerio, discende direttamente dal ripristino anticartesiano della corretta disposizione da dare all'ordine delle essenze trinitarie: prima, sul trono che gli spetta, il Lògos, poi l'amore. Soltanto così "vengono tirate fuori dal tesoro cose vecchie e cose nuove" , essendo le cose nuove, ogni volta e in ogni tempo, la realizzazione delle vecchie, delle antiche, nel proprio oggi, e divenendo ciò tanto più bello, se tanto più compiuto con arte, col genio artistico.
In secondo luogo, ciò fatto, torneremo a fare Bellezza usando i tre termini che sempre l'hanno fatta: il canone classico, i materiali, la proporzione aurea.Bisogna saperla cogliere. Ma ciò dipende sia dalla propensione dell'artista a inclinarsi a compiere entrambi quei due atti che si dicevano per realizzare una vera, bella e anche buona "novità", sia dal suo talento. Bisogna però averlo, il genio, per incantar le folle.
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