In viaggio tra Brescia, Verona, Trento e Mantova: quasi una “Regione della Dea”, tra toponimi e storia
di Simona Cremonini *
16/10/2014
Manerbio, Manerba del Garda, Minerf in Trentino, Minerbe, l’antica Minerbe in Valpolicella: sono solo alcuni dei luoghi della regione attorno al lago di Garda che, nel corso del tempo, probabilmente sono stati attraversati dal culto di un’unica dea, Minerva.
Ammantando con la sua presenza tutte queste terre, da Brescia a Verona, da Trento a Mantova, Minerva ha infatti lasciato la propria firma tra toponimi e altre testimonianze, facendoci tutt’oggi percepire una protezione al femminile attorno al lago.
Ognuno dei paesi citati ha una storia che
rievoca in qualche modo la dea, ognuno di essi esprime una sua eredità, e
non sempre solo nel nome: inoltre, in molti casi, questi luoghi trasudano culti femminili molto più antichi anche della romana Minerva.
In Trentino a Povo, una piccola frazione a nord-est di Trento, una località portava un tempo il significativo nome di Minerf.
Da questa zona, a rafforzamento di un legame con la dea,provengono tre
importanti testimonianze su epigrafi: si tratta di un altare risalente
al secondo o terzo secolo dopo Cristo, in cui la devozione a Minerva è
chiaramente esplicitata, e due lastre frammentate, datate al primo o
secondo secolo dopo Cristo, nelle quali sono ricordati i lavori di
restauro di un edificio sacro dedicato alla dea, che poteva essere un
tempietto o un’edicola.Venendo all’area del bresciano, colpiscono i nomi delle due località afferibili direttamente a Minerva, Manerbio nella bassa e Manerba direttamente sul lago, ma anche le numerose epigrafi rinvenute in provincia (due in città) a lei dedicate e che oggi in buona parte sono esposte al Capitolium in città a Brescia, nonché il santuario rurale identificato a Breno in Valcamonica: un luogo dedicato alla romana Minerva dietro al quale si celava, secondo gli studiosi, un culto più antico di tradizione indigena.
Nelle testimonianze epigrafiche di epoca romana a Manerbio viene menzionato il Vicus Minervius, che indicava un santuario celtico come altrove dedicato a una divinità più antica, poi assimilata alla romana Minerva, una dea depositaria e garante dei patti e delle alleanze.
Proprio quello di Manerbio, come testimoniano i reperti qui ritrovati, doveva essere un santuario di primaria importanza a cui facevano riferimento non solo i Cenomani ma anche gli altri popoli italici di origine celtica. Nel cosiddetto “tesoro di Manerbio” (il tesoretto di monete qui ritrovato) figura anche una collezione di dracma che su una facciata riportano, curiosamente, uno dei simboli proprio di Minerva: una civetta.
A Manerba del Garda l’attribuzione del toponimo alla dea non è ancora provata e riconosciuta, ma a Minerva era dedicata un’iscrizione, rinvenuta sulla sommità della Rocca, attualmente dispersa e nota oggi attraverso il Codice Parisinus del Ferrarino (fine XV secolo) e grazie a un disegno riportato nel successivo Codice Mediceo. Sempre sulla cima della collina protesa sul lago si trovava un piccolo edificio forse a lei dedicato: secondo anche i pannelli di informazione esposti lungo il crinale e le rovine, anche a Manerba doveva esistere una divinità precedente il cui culto fu assorbito dalla dea romana.
Ai piedi della Rocca, inoltre, romanticamente il lago disegna con promontori e piccoli golfi una “M” di Minerva, quasi a omaggiare la dea che, secondo una leggenda diffusa localmente e raccolta nel libro “Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda“, avrebbe dato il suo nome a questi luoghi rifugiandosi qui dopo la fuga dall’Olimpo, mentre sul Monte sacro agli dèi imperversava la distruzione del demone Tifone.
L’antico nome di Minerbe, nella bassa veronese, sarebbe stato Vicus Minervinus: nel villaggio i Romani innalzarono alla dea Minerva un tempio i cui resti sono stati identificati all’interno dell’attuale chiesa di San Zeno, santo che secondo la tradizione popolare costruì la prima chiesa del paese e predicò proprio in questa zona per combattere il Paganesimo. Il toponimo cominciò a trasformarsi nel 932 e, attraverso i documenti storici, si sa che divenne Minervae, Menervio e Menerbio, in epoca veneta Menerbe e infine l’odierno Minerbe.
Ma la dea ha forse dato anche un’altra eredità a questo paese. Lo stemma che Minerbe ha ottenuto solo nel 2001, dopo molti anni di attesa, raffigura un albero verde con in cima una colomba argentata che nel becco stringe un ramoscello d’olivo. Da documentazione risulta che il simbolo precedente fosse simile, ma che l’uccello non portasse nulla in bocca e che fosse di una specie differente, ovvero una civetta. È questo emblema ciò che la dea potrebbe averci lasciato, oltre al nome: l’ulivo e la civetta sono due degli attributi di Minerva.
A Marano di Valpolicella la frazione di Valverde, dove sorge una Chiesa di Santa Maria, un tempo portava il nome di Minerbe. L’edificio religioso era chiamato Santa Maria supra Minervam, in onore di una divinità locale di tradizione celtica o retica poi associata alla Minerva romana. Nel 1184 dei documenti riportano il toponimo Menervii.
Il tempio di Minerva di Marano, rinvenuto sul Monte Castelon nei pressi dell’attuale chiesa, doveva sorgere in un insediamento nel quale si praticavano culti legati alla natura, in particolare all’acqua e al cielo. Alla Minerva locale erano sicuramente attribuite doti profetiche e sananti come confermano anche alcune formule dedicatorie.
A Verona le fondamenta del Duomo potrebbero celare le antiche terme romane e un tempio a Minerva. Nella piazza più antica di Verona, Piazza Erbe, si trova inoltre una fontana sormontata da una statua chiamata “Madonna Verona”: in passato, prima che la testa venisse rifatta dopo l’avvento del Cristianesimo, si trattava di una statua celebrante la dea Minerva.
E infine attorno al lago possibili tracce del culto a Minerva si trovano anche nell’alto mantovano e a Mantova, dove il nome potrebbe essere collegato a Manto e alla parola greca “mantis” che significa “indovino”, a sua volta derivata dal termine indoeuropeo “men” riferito alla potenza dello spirito e a Minerva, dea legata alla sfera della mente.
Infine, a Sabbioneta la dea ha una statua dedicata in Piazza d’Armi, sistemata nel punto d’incrocio tra il cardine e il decumano della Città Ideale, e Atena (dea greca con attributi e caratteristiche simili a quelli di Minerva) svetta tra le divinità esposte al Teatro all’Antica.
Dèa della letteratura e della filosofia, ma anche del commercio e delle capacità di condurre gli affari, Minerva è divinità antica quanto moderna, in grado di incarnare nel suo mito anche il “metis”, quella intelligenza pratica che in greci associavano alla donna e che contrapponevano al “logos”, la razionalità che a loro dire era di competenza esclusiva maschile. Meti era anche il nome di sua madre, secondo il mito greco che la vide nascere direttamente dalla testa di Zeus, che aveva inghiottito Meti incinta a causa di una profezia di Rea (il figlio nato da Meti avrebbe infatti potuto rubare a Zeus il suo potere).
Minerva era una dea vergine, che non ebbe mai marito o amanti, ma strettamente legata anche al parto e alla progenie: essendo senza madre, difendeva coloro che erano orfani e indifesi, e anche in questo come divinità guerriera rappresenta ciò che di buono si può trovare nella guerra: ovvero l’attività bellica svolta per difendere le proprie terre e i propri cari e la guerra per giusta causa per aiutare altri assediati (al contrario del Marte guerriero e trucidatore).
Gli Etruschi alla divinità che corrisponde a Minerva, e che aveva nome Menrva, attribuivano le caratteristiche dell’antica dea lunare Meneswā. Il suo nome significava “colei che misura”, quasi come se i tempi e le fasi della luna e della donna potessero essere uno strumento di misurazione che valeva non solo per le donne, ma più in generale per la vita umana.
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