Nel XVII secolo – il Seicento è un
secolo in cui tra alchimisti ed esoteristi si risveglia l’interesse per
le arti occulte, di cui l’Egitto è vessillo simbolico a pieno titolo –
troviamo a Roma due eccentrici e coltissimi personaggi che hanno legato
il proprio nome ai primi abbozzi dell’egittologia intesa come
esordiente materia di studio. Si tratta dell’aristocratico viaggiatore
romano, PIETRO DELLA VALLE (Roma, 1586-1652) e del gesuita ATHANASIUS KIRCHER (Turingia, 1602-Roma, 1680).
In Europa, fin dalla metà del XVI secolo,
la polvere di mummia era utilizzata a scopo terapeutico. In antico,
infatti, gli Egizi usavano nell’imbalsamazione dei cadaveri, un asfalto
naturale – chiamato in arabo mumiya (da cui derivò in seguito la parola
mummia) – dalle particolari virtù medicamentose. L’asfalto, sotto forma
di mummia, passò dalle tombe egizie alle farmacie europee dove lo si
troverà fino agli inizi del XIX secolo. Ormai persasi la distinzione fra
mummia e mumiya, infatti, i cadaveri venivano ridotti in polvere e
propinati a ricchi malati.
Nel 1615, Pietro della Valle scopre a Saqqarah le prime due mummie.
In alto: Pietro della Valle a Saqqarah (inc. 1674)
Rampollo della nobile famiglia romana, si
era recato in Egitto nella speranza di riportare a Roma reperti capaci
di soddisfare la sua curiosità archeologica e la sua educazione basata
sui classici latini e greci.
Egli vorrebbe soprattutto qualche mummia,
di cui, a differenza degli altri ricercatori di quel periodo, conosce
bene l’intrinseco valore storico.
Le due mummie, riportate a Roma nella metà
del Seicento, saranno vendute, nel 1728, dagli eredi. Per questo motivo
oggi si trovano nel museo di Dresda. Il della Valle così descrive le
sue scoperte (P. della Valle, Viaggio in Levante, Roma 1650; edizione a cura di L. Bianconi, Viaggio in Levante, Sansoni, Firenze1942):
“… nella parte alta del corpo, v’era
dipinto il volto di un giovane uomo, senza dubbio si trattava del
ritratto del defunto…l’elemento più curioso era quella specie di
cintura, su cui era scritto EYTYXI, che, come sappiamo, in greco
significa BUONA FORTUNA… Entusiasta di ciò che avevo visto,
diedi subito il denaro che mi aveva chiesto, e domandai se ci fossero
altre mummie come questa… La seconda era davvero bella come la
prima, curata allo stesso modo. Questa volta, però, si trattava del
ritratto di una donna…Gli occhi erano ugualmente grandi e spalancati, ma
le ciglia sembravano truccate, forse con l’antimonio, come tuttora
usano in oriente…Entrambi i ritratti non sembrano opera di un grande
artista, piuttosto mi ricordano certe immagini di santi che si possono
vedere a Roma e che risalgono ad epoche inferiori, o, come dire,
incolte.”
Dagli inizi del secolo XVII numerosi
manoscritti copti cominciano a circolare in Europa . Alcuni giungono fra
le mani del gesuita Athanasius Kircher, il cui volume Lingua Aegyptiaca Restituta,
pubblicato nel 1643, segna il punto di partenza per lo studio del
copto. L’occasione gli viene offerta da un glossario copto-arabo che il
della Valle aveva riportato dalla sua trasferta egiziana.
In alto: da Oedipus Aegyptiacus, di A. Kircher vol. III (1654)
Giunto a Roma nel 1633, il dotto prelato
insegnante di matematica, astronomia ed ebraico al Collegio Romano,
viene incaricato dall’amico Nicolaus Fabricius, regio senatore di
Aquisgrana, di tradurre in latino quel vocabolario.
link:
Per lo studio dei geroglifici gli fu d’aiuto e supporto anche la cosiddetta Mensa Isiaca,
una tavola bronzea istoriata in suo possesso, oggi al Museo Egizio di
Torino. C’è però da dire che i suoi tentativi di traduzione sono
rudimentali e fantasiosi, senza alcun serio riscontro scientifico.
Bisognerà attendere Champollion e la Stele di Rosetta per una reale,
effettiva impresa linguistica.
In alto: Mensa Isiaca (inc. 1654)
Erano comunque quelli del Kircher gli anni
inimitabili del salotto accademico di Cristina di Svezia, esule nella
Città Eterna, che l’intraprendente religioso apostrofò come “Iside
rinata”.
Tra la fine del Settecento e il primo Ottocento, ci fu un vero e proprio rifiorire della cosiddetta Egittomania.
In età napoleonica le truppe francesi riportarono dalla campagna
d’Egitto la prima dettagliata descrizione iconografica dei luoghi e
delle vestigia della terra dei Faraoni. Si diffuse in tutta Europa la
mania di decorare boudoir, soffitti e pareti con fregi, glifi, profili e
architetture ispirate al misterioso Egitto. Ma anche mobilio,
porcellane, oreficeria.
In realtà primi sporadici esempi di stile
egizio si erano avuti già fra gli architetti della Roma manierista, con
Pirro Ligorio e Giacomo della Porta che potevano attingere alle numerosi
sfingi che si rinvenivano negli scavi cittadini.
In alto: G. della Porta, fontana del Campidoglio
E alla metà del Settecento Giovanni Battista Piranesi
proponeva un cospicuo repertorio di motivi egittizzanti, dai decori
della piazza dei Cavalieri di Malta agli ornamenti per i camini delle
case patrizie.
In alto: G. B. Piranesi, piazza dei Cavalieri di Malta
In alto: G. B. Piranesi, disegno a motivi egizi (1769)
Con l’affermarsi del neoclassicismo,
unitamente agli influssi della tradizione egizia promulgati dalla
nascente massoneria, si moltiplicarono le sale, decorate con affreschi
alla maniera alessandrina, in una commistione di stili
greco-romani/egizi mutuata da Villa Adriana a Tivoli, ove raccogliere
statue e reperti della civiltà faraonica. Nella Capitale pontificia,
esemplari in questo senso sono la villa urbana dei Borghese
(direttamente imparentati con il Grande Còrso, di cui il principe
Camillo aveva sposato la sorella Paolina) con la sala egizia ideata da Antonio Asprucci e il supporto pittorico di G. B. Marchetti e T. Conca (1782); i monumentali propilei egizi nel parco progettati da Luigi Canina
(1828); le sale del museo egizio al Vaticano voluto da papa Gregorio
XVI (1839). Nel cimitero monumentale del Verano sul finire
dell’Ottocento fu realizzato il cosiddetto Tempietto Egizio, destinato a
cerimonie di tipo laico. Qui furono temporaneamente conservate le
ceneri di Luigi Pirandello che, morto nel 1936, aveva disposto di essere
cremato (scelta assai insolita per il tempo). Nel dopoguerra furono
trasportate nella città natale.
In alto: A. Asprucci, sala egizia, 1782 (Museo di Villa Borghese)
In alto: sedia a decori egittizzanti (Museo di Villa Borghese)
In alto: L. Canina, Propilei egizi, Villa Borghese (1828)
In alto: Musei Vaticani, Museo egizio
In alto: Cimitero del Verano, il tempietto egizio
IN COPERTINA: G. B. Piranesi, piazza dei Cavalieri di Malta
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Il Nilo lambisce Roma (parte I):
Il Nilo lambisce Roma (parte III):
arch. Renato Santoro – Roma, 10 settembre 2016
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