domenica 12 gennaio 2020

IL NILO LAMBISCE ROMA (Parte II)


arch. Renato Santoro
Nel XVII secolo – il Seicento è un secolo in cui tra alchimisti ed esoteristi si risveglia l’interesse per le arti occulte, di cui l’Egitto è vessillo simbolico a pieno titolo – troviamo a Roma due eccentrici e coltissimi personaggi che hanno legato il proprio nome ai primi abbozzi  dell’egittologia intesa come esordiente materia di studio. Si tratta dell’aristocratico viaggiatore romano, PIETRO DELLA VALLE (Roma, 1586-1652) e del gesuita ATHANASIUS KIRCHER (Turingia, 1602-Roma, 1680).
In Europa, fin dalla metà del XVI secolo, la polvere di mummia era utilizzata a scopo terapeutico. In antico, infatti, gli Egizi usavano nell’imbalsamazione dei cadaveri, un asfalto naturale – chiamato in arabo mumiya (da cui derivò in seguito la parola mummia) – dalle particolari virtù medicamentose. L’asfalto, sotto forma di mummia, passò dalle tombe egizie alle farmacie europee dove lo si troverà fino agli inizi del XIX secolo. Ormai persasi la distinzione fra mummia e mumiya, infatti, i cadaveri venivano ridotti in polvere e propinati a ricchi malati.
Nel 1615, Pietro della Valle scopre a Saqqarah le prime due mummie.
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In alto: Pietro della Valle a Saqqarah (inc. 1674)
Rampollo della nobile famiglia romana, si era recato in Egitto nella speranza di riportare a Roma reperti capaci di soddisfare la sua curiosità archeologica e la sua educazione basata sui classici latini e greci.
Egli vorrebbe soprattutto qualche mummia, di cui, a differenza degli altri ricercatori di quel periodo, conosce bene l’intrinseco valore storico.
Le due mummie, riportate a Roma nella metà del Seicento, saranno vendute, nel 1728, dagli eredi. Per questo motivo oggi si trovano nel museo di Dresda. Il della Valle così descrive le sue scoperte (P. della Valle, Viaggio in Levante, Roma 1650; edizione a cura di L. Bianconi, Viaggio in Levante, Sansoni, Firenze1942):
… nella parte alta del corpo, v’era dipinto il volto di un giovane uomo, senza dubbio si trattava del ritratto del defunto…l’elemento più curioso era quella specie di cintura, su cui era scritto EYTYXI, che, come sappiamo, in greco significa BUONA FORTUNA… Entusiasta di ciò che avevo visto, diedi subito il denaro che mi aveva chiesto, e domandai se ci fossero altre mummie come questa… La seconda era davvero bella come la prima, curata allo stesso modo. Questa volta, però, si trattava del ritratto di una donna…Gli occhi erano ugualmente grandi e spalancati, ma le ciglia sembravano truccate, forse con l’antimonio, come tuttora usano in oriente…Entrambi i ritratti non sembrano opera di un grande artista, piuttosto mi ricordano certe immagini di santi che si possono vedere a Roma e che risalgono ad epoche inferiori, o, come dire, incolte.
Dagli inizi del secolo XVII numerosi manoscritti copti cominciano a circolare in Europa . Alcuni giungono fra le mani del gesuita Athanasius Kircher, il cui volume Lingua Aegyptiaca Restituta, pubblicato nel 1643, segna il punto di partenza per lo studio del copto. L’occasione gli viene offerta da un glossario copto-arabo  che il della Valle aveva riportato dalla sua trasferta egiziana.
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In alto: da Oedipus Aegyptiacus, di A. Kircher vol. III (1654)
Giunto a Roma nel 1633, il dotto prelato insegnante di matematica, astronomia ed ebraico al Collegio Romano, viene incaricato dall’amico Nicolaus Fabricius, regio senatore di Aquisgrana, di tradurre in latino quel vocabolario.
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Per lo studio dei geroglifici gli fu d’aiuto e supporto anche la cosiddetta Mensa Isiaca, una tavola bronzea istoriata in suo possesso, oggi al Museo Egizio di Torino. C’è però da dire che i suoi tentativi di traduzione sono rudimentali e fantasiosi, senza alcun serio riscontro scientifico. Bisognerà attendere Champollion e la Stele di Rosetta per una reale, effettiva impresa linguistica.
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In alto: Mensa Isiaca (inc. 1654)
Erano comunque quelli del Kircher gli anni inimitabili del salotto accademico di Cristina di Svezia, esule nella Città Eterna, che l’intraprendente religioso apostrofò come “Iside rinata”.
Tra la fine del Settecento e il primo Ottocento, ci fu un vero e proprio rifiorire della cosiddetta Egittomania. In età napoleonica le truppe francesi riportarono dalla campagna d’Egitto la prima dettagliata descrizione iconografica dei luoghi e delle vestigia della terra dei Faraoni. Si diffuse in tutta Europa la mania di decorare boudoir, soffitti e pareti con fregi, glifi, profili e architetture ispirate al misterioso Egitto. Ma anche mobilio, porcellane, oreficeria.
In realtà primi sporadici esempi di stile egizio si erano avuti già fra gli architetti della Roma manierista, con Pirro Ligorio e Giacomo della Porta che potevano attingere alle numerosi sfingi che si rinvenivano negli scavi cittadini.
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In alto: G. della Porta, fontana del Campidoglio
E alla metà del Settecento Giovanni Battista Piranesi proponeva un cospicuo repertorio di motivi egittizzanti, dai decori della piazza dei Cavalieri di Malta agli ornamenti per i camini delle case patrizie.
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In alto: G. B. Piranesi, piazza dei Cavalieri di Malta
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In alto: G. B. Piranesi, disegno a motivi egizi (1769)
Con l’affermarsi del neoclassicismo, unitamente agli influssi della tradizione egizia promulgati dalla nascente massoneria, si moltiplicarono le sale, decorate con affreschi alla maniera alessandrina, in una commistione di stili greco-romani/egizi mutuata da Villa Adriana a Tivoli, ove raccogliere statue e reperti della civiltà faraonica. Nella Capitale pontificia, esemplari in questo senso sono la villa urbana dei Borghese (direttamente imparentati con il Grande Còrso, di cui il principe Camillo aveva sposato la sorella Paolina) con la sala egizia ideata da Antonio Asprucci e il supporto pittorico di G. B. Marchetti e T. Conca (1782); i monumentali propilei egizi nel parco progettati da Luigi Canina (1828); le sale del museo egizio al Vaticano voluto da papa Gregorio XVI (1839). Nel cimitero monumentale del Verano sul finire dell’Ottocento fu realizzato il cosiddetto Tempietto Egizio, destinato a cerimonie di tipo laico. Qui furono temporaneamente conservate le ceneri di Luigi Pirandello che, morto nel 1936, aveva disposto di essere cremato (scelta assai insolita per il tempo). Nel dopoguerra furono trasportate nella città natale.
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In alto: A. Asprucci, sala egizia, 1782 (Museo di Villa Borghese)
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In alto: sedia a decori egittizzanti (Museo di Villa Borghese)
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In alto: L. Canina, Propilei egizi, Villa Borghese (1828)
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In alto: Musei Vaticani, Museo egizio
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In alto: Cimitero del Verano, il tempietto egizio
IN COPERTINA: G. B. Piranesi, piazza dei Cavalieri di Malta
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LINKS
Il Nilo lambisce Roma (parte I):
Il Nilo lambisce Roma (parte III):
arch. Renato Santoro – Roma, 10 settembre 2016

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