domenica 12 gennaio 2020

IL NILO LAMBISCE ROMA (Parte I)


Il fascino che l’Egitto ha da sempre esercitato sull’Occidente, e su Roma in particolare, ha radici antichissime, bimillenarie. Tutto comincia con un attempato Giulio Cesare che si lascia irretire dagli abbracci lussuriosi della seduttrice alessandrina per eccellenza, la giovanissima regina tolemaica Cleopatra VII Filopatore. L’Egittomania nella capitale dell’Impero esplode con l’arrivo della sovrana nell’Urbe, per far conoscere al popolo di Roma il figlio che era riuscita a dare al condottiero latino. La concubina egiziana del potente Cesare fissa la sua dimora in una villa transtiberina.
E proprio al finire del I secolo a.C. data la diffusione del culto isiaco nei nostri lidi, da Pompei a Roma.
Morto Cesare, è Marcantonio a tuffarsi tra le braccia invitanti della ammaliatrice sirena orientale. I due avranno ben tre figli: i gemelli Elio e Selene[1] e Tolomeo Filadelfo.
Ottaviano – sconfitta ad Azio la flotta egiziana guidata da Cleopatra e dal triumviro romano antagonista – nel 30 a.C, riduce l’Egitto ad una provincia romana. Di ritorno dall’Africa portò con sé il primo obelisco di granito che veniva innalzato a Roma.
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Obelisco di Montecitorio
Si tratta del monolite di granito risalente a Psammetico II (XXVI dinastia, VI sec. a.C.) che oggi sorge davanti Palazzo Montecitorio ma che in origine era stato eretto in corrispondenza dell’Ara Pacis voluta da Ottaviano Augusto per celebrare il suo principato. Fungeva da gnomone di un complesso orologio solare messo a punto da astronomi greco-alessandrini coordinati dal matematico Facondo Novio; alto 22 metri proiettava la sua ombra a mo’ di enorme meridiana sul lastricato di un vasto piazzale antistante l’Ara, segnando così a terra sia l’ora diurna sia il percorso zodiacale. La faccia dell’obelisco era orientata in modo da salutare il sole nascente alla data del 21 aprile, giorno del Natale di Roma.
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La sua ubicazione era poi stata studiata in modo tale che il giorno equinoziale del 23 settembre, coincidente con il genetliaco di Augusto, questo singolare enorme gnomone di pietra al tramonto allungasse la sua ombra fino al centro dell’Ara Pacis stessa.
Ara Pacis e obelisco si trovavano in Campo Marzio, precisamente nei pressi di piazza in Lucina. L’Ara Pacis fu  trovata al di sotto di Palazzo Fiano, all’angolo con via del Corso, l’antica Via Lata che tagliava longitudinalmente il centro dell’Urbe.
Augusto, insieme a quello di piazza Montecitorio, portò anche l’obelisco di piazza del Popolo. Proveniente anch’esso da Heliopolis, in granito, alto 24 metri, era stato collocato sulla spina del Circo Massimo.
In seguito quasi ogni imperatore romano, di ritorno dall’Egitto, volle portare con sé da quelle esotiche ed esoteriche terre obelischi da innalzare al centro di circhi o piazze. Al punto che Roma è divenuta la città che conta il maggior numero di obelischi al di fuori dell’Egitto stesso.
Sulla spina del Circo Massimo svettava, alto oltre 25 metri, anche l’obelisco oggi a piazza San Pietro, le cui facce di granito sono prive di iscrizioni geroglifiche.  Già ad Heliopolis e da qui trasportato ad Alessandria dove ornava il Forum Iulii, fu inviato a Roma da Caligola (I sec. d.C.).
Gli obelischi Esquilino (S. Maria Maggiore) e Quirinale, alti oltre 14 metri, furono realizzati al tempo di Domiziano (I sec. d.C.) ad imitazione dei modelli antichi ed erano posti ai lati del mausoleo di Augusto. Anch’essi senza incisioni, provengono dalle cave di granito rosso di Assuan.
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Obelisco del Quirinale
Di medesima origine e periodo è l’obelisco di piazza Navona, alto oltre 16 metri, istoriato con geroglifici copiati dai modelli originali egizi. Lo stesso Domiziano imbarcò per Roma, provenienti da Heliopolis, altri quattro obelischi di epoca ramesside, in granito e minori dimensioni (poco più di 6 metri), rialzati a Roma nel Campo Iseo. Sono quelli che oggi sono collocati a piazza della Minerva, a piazza del Pantheon, nella aiuole fra Termini e l’Esedra. Il quarto, già a Villa Medici, si trova a Firenze, nei giardini di Boboli. Nella villa romana della nobile famiglia fiorentina fu lasciata una copia ottocentesca.
Dal tempio di Iside al Campo Marzio si suppone provenga anche l’obelisco di Urbino. Di epoca tarda (XXVI dinastia saitica, VI sec. a.C.), costituito da blocchi di granito, fu donato nel 1737 alla città marchigiana – di cui era nativo – dal cardinal Albani, raffinato collezionista nella città dei Papi.
Dell’età di Ramesse II è l’obelisco di Villa Celimontana, appartenuto alla famiglia Mattei, proveniente dall’Iseo del Campidoglio e qui ricostruito. Originale è solo il segmento apicale, di 2 metri e 70 centimetri. Per le affinità con l’obelisco di piazza della Rotonda, stimandolo proveniente anch’esso da Heliopolis, è possibile che facesse parte degli obelischi importati nella capitale dell’Impero nel I sec. d.C. al tempo di Domiziano.
L’obelisco oggi al Pincio, alto oltre 9 metri, fu realizzato nelle cave di granito dell’Alto Egitto in onore di Antinoo, favorito di Adriano, morto nelle acque del Nilo. Fu trasportato a Roma da Elagabalo (III sec. d.C.) per adornare  il Circo Variano nella sua residenza suburbana. Rinvenuto nel Cinquecento fuori Porta Maggiore, dopo vari traslochi trovò l’attuale sistemazione nel XIX secolo.
Presumibilmente del periodo di Adriano è anche l’obelisco di Trinità dei Monti, già negli Horti Sallustiani. La lussuosa e smisurata villa dello storico Sallustio (I sec. a.C.) era divenuta demanio imperiale e Adriano, che gradiva soggiornarvi, ne promosse ampliamenti e restauri. L’obelisco, alto 14 metri circa,  con geroglifici trascritti sulla falsariga dei prototipi esistenti di età faraonica, era forse collocato lungo la spina di un ippodromo.
Infine, l’obelisco del Laterano, il più alto di tutti, con i suoi quasi 32 metri, ed anche il più antico, risalendo a Thutmosis III (XV sec. a.C); l’ultimo ad essere trasportato a Roma, nel 357 d.C., da Costanzo II per essere issato al centro del Circo Massimo, accanto a quelli qui portati da Augusto e da Caligola. L’attuale ubicazione risale alla sistemazione urbana cinquecentesca di Sisto V. Erano due gli obelischi del tempio di Karnak che Costanzo II aveva trasferito ad Alessandria, ma solo uno fu imbarcato per Roma; l’altro rimase nella città egiziana sino a quando l’imperatore d’Oriente Tedosio non lo indirizzò a Costantinopoli, l’odierna Istanbul, dove si trova sulla spina dell’ippodromo.
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Obelisco del Laterano
Diversi furono anche i Templi innalzati in onore di Iside, se ne conoscono almeno due. Tutt’oggi alle spalle di via Labicana, all’angolo con via Merulana, Via e Piazza Iside e i ruderi che là sono conservati, testimoniano l’esistenza di un sacrario dedicato a quella benevola dea. Altro importante Iseo si trovava al Campo Marzio, noto appunto come l’Iseo Campense, fra il Pantheon e S. Maria Sopra Minerva.
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Ruderi in via Iside (via Labicana)
La moda egittizzante alla fine del I sec. a.C. rese possibile la costruzione di tombe ispirate alle piramidi di Gizah, anche se rispetto alle omologhe costruzioni faraoniche quelle nostrane hanno una angolazione più svettante, e son simili piuttosto a quelle meroitiche,  più meridionali e tarde della Nubia.
Delle quattro piramidi innalzate in età augustea se ne conserva solo una, quella di Caio Cestio a Porta San Paolo. Ne esistevano però due gemelle a Campo Marzio, poste a guisa di propilei all’imbocco della via Lata, così come oggi vi si trovano le due chiese berniniane di S. Maria in Monte Santo e Santa Maria dei Miracoli.
Infine va ricordata quella di Borgo, nei pressi di San Pietro, che originariamente affiancava il Circo Neroniano e che fu demolita da papa Alessandro VI per spianare l’ingresso al quartiere oltretevere. Nel medioevo era erroneamente ritenuta tomba di Romolo (Meta Romuli), così come la Cestia, anch’essa erroneamente, era detta Meta Remi.
La piramide del septemviro Caio Cestio, realizzata tra il 18 ed il 12 a.C. rivestita in candido marmo apuano, recentemente restaurata, ha una base quadrata di 30 metri per lato ed è alta 36 metri.
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in copertina: Piramide Cestia (Porta S. Paolo) in una foto di fine Ottocento
Grandi utilizzatori di marmi provenienti da ogni regione dello smisurato Impero, i Romani attinsero a mani basse dall’Egitto. Da qui venivano i graniti, nelle colorazioni grigia (dal Mons Claudianus) e rossa (da Syene), delle cui diverse qualità sono esempi le colonne grigie e rosa nel pronao del Pantheon, le colonne di granito rosa a S. Maria degli Angeli o quelle di granito grigio del foro Traiano.
I Latini chiamavano il granito grigio Psaronius perché la colorazione ricordava il piumaggio dello storno (che in greco viene detto, per l’appunto, psaròs). Molto bella la qualità di granito “bianco e nero” di Siene che troviamo a Santa Prassede.
Né va dimenticato il porfido rosso, o Lapis Porphirites, una pietra durissima di origine vulcanica effusiva (colonne del portale del tempio del Divo Romolo al foro, Battistero del Laterano).
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S. Maria degli Angeli, colonne di granito rosa
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Santa Prassede, granito bianco e nero
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Battistero di S. Giovanni, colonne di porfido
LINKS:
Il Nilo lambisce Roma (parte II):
Il Nilo lambisce Roma (parte III):
arch. Renato Santoro – Roma 9 settembre 2016 
NOTE
[1] Selene, figlia di Antonio e Clepatra, fu condotta prigioniera a Roma e qui fu affidata ad Ottavia, sorella di Augusto e moglie ripudiata di Antonio. Sarà poi darà in sposa al re Giuba di Numidia. Tolomeo Cesarione invece, il figlio che la regina ebbe da Cesare, erede e scomoda presenza per Ottaviano, fu subito eliminato dal romano vincitore

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