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SAVONAROLA passioni di un frate
Firenze - Sono passati cinquecento anni dalla morte
di Savonarola. Nel mezzo millennio che ci separa dalla impiccagione e
cremazione di fra Girolamo, il 23 maggio 1498, la sua figura s' è
prestata alle più varie interpretazioni. Chi ha visto in lui un eroe.
Chi un martire. Chi un profeta democratico. Chi un ciarlatano. Chi un
santo. Chi un terrorista. Si sono alternate, sul suo nome, frettolose
glorificazioni e ribadite scomuniche. Non è mancato chi, con vari gradi
di verosimiglianza, s' è visto assegnare la patente di suo erede. Ma
chi era davvero Savonarola? A quale cultura attingeva il suo
appassionato attivismo? Che cosa ha significato la sua esplosiva
vicenda nella vita fiorentina e italiana alla fine del Quattrocento? E'
illuminante parlarne con Eugenio Garin, massimo studioso dell'
umanesimo fiorentino. "Molto spesso i dotti", esordisce Garin,
"indagando sulla ispirazione ideale di Savonarola, vanno a cercarne le
tracce nelle lezioni di filosofia sistematica che egli impartiva ai
novizi nel convento domenicano di San Marco. E' un errore: in quelle
lezioni fra Girolamo si tratteneva negli argini della cultura
tradizionale. Ciò per cui egli ha pesato nella moderna cultura europea
va individuato altrove. Fra Girolamo non è affatto un essere spaesato
nel mondo in cui vive. Meno che mai va visto come un predicatore
anacronistico". Quando, nel 1482, il frate ferrarese si stabilisce per
la prima volta a Firenze come "lettore" a San Marco, la vita culturale
fiorentina è in piena fioritura. Con Lorenzo il Magnifico, il potere
dei Medici è al culmine, in un clima di edonismo raffinato. Come si
concilia, in un ambiente simile, la presenza di Girolamo, un
quaresimalista ossessionato dal peccato? "Io ribadisco che Savonarola è
molto meno fuori tempo di quanto possa sembrare. Nel profondo, certe
sue posizioni sono chiaramente legate alla vita culturale di Firenze. I
suoi legami con Giovanni Pico della Mirandola e con Angelo Poliziano,
la sua conoscenza di Marsilio Ficino, non lasciano dubbi in proposito.
Un altro umanista, Pietro Crinito, ha sceneggiato in una lettera questi
incontri: essi si svolgevano, di sera, nella biblioteca di san Marco,
dove Pico e Poliziano andavano a trovare il frate". Che cosa avevano in
comune, il frate ferrarese e questi grandi dotti? "Discorrevano di
filosofia. S' influenzavano a vicenda. Si scambiavano idee, curiosità,
umori anticonformistici. E' per iniziativa di Savonarola che viene
trascritto e poi tradotto in latino un codice che contiene una raccolta
completa delle opere scettiche del pensatore e medico greco Sesto
Empirico. Gian Francesco Pico della Mirandola, nipote di Giovanni,
nella sua opera intitolata Examen vanitatis doctrinae gentium e
largamente diffusa in Europa, applicherà sistematicamente lo
scetticismo a tutte le branche del sapere. Questo vademecum della
dottrina scettica avrà enorme influenza: lo si trova citato anche in
qualche testo classico della pornografia, come le Vite delle dame
galanti di Brantôme. Ecco l' humus culturale in cui viveva fra
Girolamo". Insomma, altro che "monaco zoccolante", come lo raffigurano
certi stereotipi. Ma che cosa rappresentava, in concreto, questa
vicinanza alla cultura scettica per un predicatore di Santa Romana
Chiesa? "Vi si coglie una profonda insoddisfazione per le filosofie
antiche. Fra Girolamo non ne segue nessuna. Al pari dei suoi
interlocutori, è un uomo curioso, informato, come dimostrano tanti suoi
"appunti di lettura" ancora inediti. Condivide con Giovanni Pico della
Mirandola l' interesse per la cultura cabalistica di tradizione
ebraica e, insieme, per la tradizione islamica. Giovanni Pico compra
testi ebraici e se li fa tradurre. Sostiene di aver tradotto in proprio
le opere dello scienziato e filosofo arabo Ibn Khaldun". Ma parliamo
dei rapporti di Savonarola con Lorenzo de' Medici. "Il frate e il
Magnifico si consideravano con rispetto. In una sua lettera Angelo
Poliziano racconta la morte di Lorenzo, l' 8 aprile 1492. E' in agonia
quando accanto al suo letto arriva Savonarola. C' è anche Pico della
Mirandola. Fra Girolamo impartisce al morente una specie di
assoluzione". Non si tratta dunque di un frate "terribile", diffusore
di profezie agghiaccianti? "Era certo un uomo che sosteneva le sue
tesi con impeto e passione. Quanto alla sua terribilità, bisogna
considerare con cautela certe esasperazioni polemiche che si collocano
temporalmente dopo la morte di Lorenzo, la cacciata dei Medici da
Firenze e l' arrivo del re di Francia Carlo VIII. In una lettera che
invia ad Aldo Manuzio poco prima della condanna di fra Girolamo,
Marsilio Ficino racconta d' essersi chiuso in casa, impaurito per le
violenze dei "savonaroliani". Sono stati d' animo che vanno collegati a
un momento drammatico che attraversa Firenze. Tempi di lotta
asperrima, di estrema complessità politica". Le violente rampogne che
egli scaglia contro la Chiesa di Roma ("ribalda", "lussuriosa",
"meretrice") non trovano un precedente in luminosi sfoghi danteschi? In
breve, Savonarola incarna un mondo medievale scomparso o può
considerarsi un uomo del Rinascimento? "Quelle sue invettive anticipano
l' esigenza di una riforma. Non bisogna dimenticare che, nel secondo
periodo della predicazione di Savonarola, sul soglio pontificio sedeva
un Borgia, Alessandro VI. E a Firenze non c' era più Lorenzo, ma la
Signoria. Il Quattrocento è pieno di Dante e di Petrarca. Ma segna,
insieme, una trasformazione che investe le scienze, le tecniche e le
arti, considerandole un tutt' uno. Secondo me, Savonarola è un uomo del
Rinascimento. E il Rinascimento sorge da una profonda trasformazione
della cultura medievale". Uno storico di spiriti laici e positivistici,
Pasquale Villari, considerò quel frate un eroe perseguitato. "Concordo
pienamente con Villari. Amo inoltre la biografia che a Savonarola ha
dedicato Roberto Ridolfi, autore di una trilogia - Machiavelli,
Guicciardini e Savonarola, appunto - che considero una bella e grande
opera di storia. Non apprezzo invece la stroncatura di fra Girolamo
firmata dal giurista Franco Cordero in un' opera edita da Laterza. Sì,
Savonarola fu, come voleva Villari, un eroe perseguitato. Lo ammiro,
nonostante i suoi eccessi moralistici e apocalittici. Nonostante "il
rogo delle vanità" che predicava e attuava. Mi è simpatico - ripeto -
il suo scetticismo, che significa la rimessa in discussione di tutto.
Che cos' è d' altronde l' umanesimo - senza il quale non si
spiegherebbe Savonarola - se non la nascita del pensiero moderno?"
Quale eredità ha lasciato fra Girolamo nel cattolicesimo fiorentino?
"Ha fatto affiorare qualcosa di profondo che esisteva nella tradizione
cristiana. Una figura come Giorgio La Pira, per fare un esempio,
sarebbe inimmaginabile in un luogo diverso da Firenze e dal convento di
San Marco". La predicazione di Savonarola sulla libertà religiosa
assume anche dei risvolti "civili"? "Certamente. Risale a lui il
tentativo di instaurare un governo popolare a Firenze. Gli eredi dei
Ciompi che reggono la città come rappresentanti delle arti: ecco un
ideale generoso e inattuato". Il priore di San Marco come un Lutero
"avant-la-lettre? "Le differenze fra i due sono profonde. Ma entrambi
esprimono un' acre insoddisfazione verso la Chiesa di Roma. Muore
Savonarola, e di lì a poco il Concilio di Trento bloccherà non pochi
spunti assai fecondi offerti dal Rinascimento. Poi bruceranno Giordano
Bruno, condanneranno Galileo. Occorre essere un po' stupidi per
sottovalutare il nesso fra questi eventi". A mezzo millennio dal suo
supplizio, la memoria di fra Girolamo è ancora viva? "E' viva. Ma fra
tante distorsioni, tanti errori. Il più grave consiste nel considerare
il priore di san Marco l' anti-Umanesimo, l' anti- Rinascimento, una
voce contraria alla Firenze "progressiva". E' vero il contrario: se
non avessero ucciso e bruciato Savonarola, forse Firenze sarebbe stata
la Ginevra d' Italia".
di NELLO AJELLO
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