giovedì 30 gennaio 2020

SAVONAROLA passioni di un frate

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Firenze - Sono passati cinquecento anni dalla morte di Savonarola. Nel mezzo millennio che ci separa dalla impiccagione e cremazione di fra Girolamo, il 23 maggio 1498, la sua figura s' è prestata alle più varie interpretazioni. Chi ha visto in lui un eroe. Chi un martire. Chi un profeta democratico. Chi un ciarlatano. Chi un santo. Chi un terrorista. Si sono alternate, sul suo nome, frettolose glorificazioni e ribadite scomuniche. Non è mancato chi, con vari gradi di verosimiglianza, s' è visto assegnare la patente di suo erede. Ma chi era davvero Savonarola? A quale cultura attingeva il suo appassionato attivismo? Che cosa ha significato la sua esplosiva vicenda nella vita fiorentina e italiana alla fine del Quattrocento? E' illuminante parlarne con Eugenio Garin, massimo studioso dell' umanesimo fiorentino. "Molto spesso i dotti", esordisce Garin, "indagando sulla ispirazione ideale di Savonarola, vanno a cercarne le tracce nelle lezioni di filosofia sistematica che egli impartiva ai novizi nel convento domenicano di San Marco. E' un errore: in quelle lezioni fra Girolamo si tratteneva negli argini della cultura tradizionale. Ciò per cui egli ha pesato nella moderna cultura europea va individuato altrove. Fra Girolamo non è affatto un essere spaesato nel mondo in cui vive. Meno che mai va visto come un predicatore anacronistico". Quando, nel 1482, il frate ferrarese si stabilisce per la prima volta a Firenze come "lettore" a San Marco, la vita culturale fiorentina è in piena fioritura. Con Lorenzo il Magnifico, il potere dei Medici è al culmine, in un clima di edonismo raffinato. Come si concilia, in un ambiente simile, la presenza di Girolamo, un quaresimalista ossessionato dal peccato? "Io ribadisco che Savonarola è molto meno fuori tempo di quanto possa sembrare. Nel profondo, certe sue posizioni sono chiaramente legate alla vita culturale di Firenze. I suoi legami con Giovanni Pico della Mirandola e con Angelo Poliziano, la sua conoscenza di Marsilio Ficino, non lasciano dubbi in proposito. Un altro umanista, Pietro Crinito, ha sceneggiato in una lettera questi incontri: essi si svolgevano, di sera, nella biblioteca di san Marco, dove Pico e Poliziano andavano a trovare il frate". Che cosa avevano in comune, il frate ferrarese e questi grandi dotti? "Discorrevano di filosofia. S' influenzavano a vicenda. Si scambiavano idee, curiosità, umori anticonformistici. E' per iniziativa di Savonarola che viene trascritto e poi tradotto in latino un codice che contiene una raccolta completa delle opere scettiche del pensatore e medico greco Sesto Empirico. Gian Francesco Pico della Mirandola, nipote di Giovanni, nella sua opera intitolata Examen vanitatis doctrinae gentium e largamente diffusa in Europa, applicherà sistematicamente lo scetticismo a tutte le branche del sapere. Questo vademecum della dottrina scettica avrà enorme influenza: lo si trova citato anche in qualche testo classico della pornografia, come le Vite delle dame galanti di Brantôme. Ecco l' humus culturale in cui viveva fra Girolamo". Insomma, altro che "monaco zoccolante", come lo raffigurano certi stereotipi. Ma che cosa rappresentava, in concreto, questa vicinanza alla cultura scettica per un predicatore di Santa Romana Chiesa? "Vi si coglie una profonda insoddisfazione per le filosofie antiche. Fra Girolamo non ne segue nessuna. Al pari dei suoi interlocutori, è un uomo curioso, informato, come dimostrano tanti suoi "appunti di lettura" ancora inediti. Condivide con Giovanni Pico della Mirandola l' interesse per la cultura cabalistica di tradizione ebraica e, insieme, per la tradizione islamica. Giovanni Pico compra testi ebraici e se li fa tradurre. Sostiene di aver tradotto in proprio le opere dello scienziato e filosofo arabo Ibn Khaldun". Ma parliamo dei rapporti di Savonarola con Lorenzo de' Medici. "Il frate e il Magnifico si consideravano con rispetto. In una sua lettera Angelo Poliziano racconta la morte di Lorenzo, l' 8 aprile 1492. E' in agonia quando accanto al suo letto arriva Savonarola. C' è anche Pico della Mirandola. Fra Girolamo impartisce al morente una specie di assoluzione". Non si tratta dunque di un frate "terribile", diffusore di profezie agghiaccianti? "Era certo un uomo che sosteneva le sue tesi con impeto e passione. Quanto alla sua terribilità, bisogna considerare con cautela certe esasperazioni polemiche che si collocano temporalmente dopo la morte di Lorenzo, la cacciata dei Medici da Firenze e l' arrivo del re di Francia Carlo VIII. In una lettera che invia ad Aldo Manuzio poco prima della condanna di fra Girolamo, Marsilio Ficino racconta d' essersi chiuso in casa, impaurito per le violenze dei "savonaroliani". Sono stati d' animo che vanno collegati a un momento drammatico che attraversa Firenze. Tempi di lotta asperrima, di estrema complessità politica". Le violente rampogne che egli scaglia contro la Chiesa di Roma ("ribalda", "lussuriosa", "meretrice") non trovano un precedente in luminosi sfoghi danteschi? In breve, Savonarola incarna un mondo medievale scomparso o può considerarsi un uomo del Rinascimento? "Quelle sue invettive anticipano l' esigenza di una riforma. Non bisogna dimenticare che, nel secondo periodo della predicazione di Savonarola, sul soglio pontificio sedeva un Borgia, Alessandro VI. E a Firenze non c' era più Lorenzo, ma la Signoria. Il Quattrocento è pieno di Dante e di Petrarca. Ma segna, insieme, una trasformazione che investe le scienze, le tecniche e le arti, considerandole un tutt' uno. Secondo me, Savonarola è un uomo del Rinascimento. E il Rinascimento sorge da una profonda trasformazione della cultura medievale". Uno storico di spiriti laici e positivistici, Pasquale Villari, considerò quel frate un eroe perseguitato. "Concordo pienamente con Villari. Amo inoltre la biografia che a Savonarola ha dedicato Roberto Ridolfi, autore di una trilogia - Machiavelli, Guicciardini e Savonarola, appunto - che considero una bella e grande opera di storia. Non apprezzo invece la stroncatura di fra Girolamo firmata dal giurista Franco Cordero in un' opera edita da Laterza. Sì, Savonarola fu, come voleva Villari, un eroe perseguitato. Lo ammiro, nonostante i suoi eccessi moralistici e apocalittici. Nonostante "il rogo delle vanità" che predicava e attuava. Mi è simpatico - ripeto - il suo scetticismo, che significa la rimessa in discussione di tutto. Che cos' è d' altronde l' umanesimo - senza il quale non si spiegherebbe Savonarola - se non la nascita del pensiero moderno?" Quale eredità ha lasciato fra Girolamo nel cattolicesimo fiorentino? "Ha fatto affiorare qualcosa di profondo che esisteva nella tradizione cristiana. Una figura come Giorgio La Pira, per fare un esempio, sarebbe inimmaginabile in un luogo diverso da Firenze e dal convento di San Marco". La predicazione di Savonarola sulla libertà religiosa assume anche dei risvolti "civili"? "Certamente. Risale a lui il tentativo di instaurare un governo popolare a Firenze. Gli eredi dei Ciompi che reggono la città come rappresentanti delle arti: ecco un ideale generoso e inattuato". Il priore di San Marco come un Lutero "avant-la-lettre? "Le differenze fra i due sono profonde. Ma entrambi esprimono un' acre insoddisfazione verso la Chiesa di Roma. Muore Savonarola, e di lì a poco il Concilio di Trento bloccherà non pochi spunti assai fecondi offerti dal Rinascimento. Poi bruceranno Giordano Bruno, condanneranno Galileo. Occorre essere un po' stupidi per sottovalutare il nesso fra questi eventi". A mezzo millennio dal suo supplizio, la memoria di fra Girolamo è ancora viva? "E' viva. Ma fra tante distorsioni, tanti errori. Il più grave consiste nel considerare il priore di san Marco l' anti-Umanesimo, l' anti- Rinascimento, una voce contraria alla Firenze "progressiva". E' vero il contrario: se non avessero ucciso e bruciato Savonarola, forse Firenze sarebbe stata la Ginevra d' Italia".
di NELLO AJELLO

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