Agostino Arrivabene, pittore alchemico..
Agostino non è un artista che ama il vociare dei vernissage alla moda, a questi preferisce di gran lunga il silenzio e la riflessione solitaria. In una sorta di rifiuto dal mondo, sceglie di vivere in un edificio a destinazione agricola vicino Pandino, che diventerà sua abitazione e atelier. E’ qui che si rifugia per osservare la vita, con distacco e quiete. La sua casa diventerà la sua wunderkammer, come l’atelier-abitazione di Gustave Moreau, e la riempie di oggetti morbosi come teschi, animali impagliati, feticci perché tutto è simbolo e potrebbe essere fonte di visioni inaspettate, epifanie estatiche. Ogni oggetto può essere osservato in dettaglio come fa con le sue Nature Morte. Esercizi di stile, ma anche personalissimi motivi di vanitas. I classici elementi dell’effimero come teschi, farfalle e fiori sono assemblati in maneria totalmente inusuale da costituire opere compiute a tutti gli effetti. Vanitas per eccelenza è però l’autoritratto, che Agostino ripropone riprendendosi in vari momenti: quello poeticissimo tra le lucciole, quello in estasi col volto evanescente.
E’ in questi anni che Agostino elabora quelli che si potrebbero definire “i miti dello strappo o della perdita”: Persefone e Orfeo, temi che riprenderà sempre nel corso della sua carriera. Due miti in cui il protagonista è destinato suo malgrado a scendere nell’Ade, Persefone per inganno e Orfeo per amore, entrambi divisi per sempre l’una dalla madre l’altro dall’amante. La pittura per Agostino non è che questo, discesa agli Inferi alla ricerca di ciò che si è perso. L’Arte è la soglia da attraversare, limen iniziatico per iniziare la ricerca. “L’arte mi permette di esternare i miei lati più oscuri”, una reimmersione continua nell’oscurità, come Il nuotatore degli abissi....
Agostino non è un artista che ama il vociare dei vernissage alla moda, a questi preferisce di gran lunga il silenzio e la riflessione solitaria. In una sorta di rifiuto dal mondo, sceglie di vivere in un edificio a destinazione agricola vicino Pandino, che diventerà sua abitazione e atelier. E’ qui che si rifugia per osservare la vita, con distacco e quiete. La sua casa diventerà la sua wunderkammer, come l’atelier-abitazione di Gustave Moreau, e la riempie di oggetti morbosi come teschi, animali impagliati, feticci perché tutto è simbolo e potrebbe essere fonte di visioni inaspettate, epifanie estatiche. Ogni oggetto può essere osservato in dettaglio come fa con le sue Nature Morte. Esercizi di stile, ma anche personalissimi motivi di vanitas. I classici elementi dell’effimero come teschi, farfalle e fiori sono assemblati in maneria totalmente inusuale da costituire opere compiute a tutti gli effetti. Vanitas per eccelenza è però l’autoritratto, che Agostino ripropone riprendendosi in vari momenti: quello poeticissimo tra le lucciole, quello in estasi col volto evanescente.
E’ in questi anni che Agostino elabora quelli che si potrebbero definire “i miti dello strappo o della perdita”: Persefone e Orfeo, temi che riprenderà sempre nel corso della sua carriera. Due miti in cui il protagonista è destinato suo malgrado a scendere nell’Ade, Persefone per inganno e Orfeo per amore, entrambi divisi per sempre l’una dalla madre l’altro dall’amante. La pittura per Agostino non è che questo, discesa agli Inferi alla ricerca di ciò che si è perso. L’Arte è la soglia da attraversare, limen iniziatico per iniziare la ricerca. “L’arte mi permette di esternare i miei lati più oscuri”, una reimmersione continua nell’oscurità, come Il nuotatore degli abissi....
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