Il
27 ottobre del 1553 a Ginevra fu messo al rogo dai calvinisti come
eretico MICHELE SERVETO (Miguel Servet y Reves, 42 anni) teologo,
umanista e medico spagnolo.
Serveto
nasce a Villanueva (Spagna), un piccolo villaggio a novanta chilometri
da Saragozza, in una famiglia di un notaio, rigorosamente cattolica e
abbastanza agiata. In un primo momento Serveto era stato destinato al
sacerdozio, cosa che non avvenne, ed ebbe una solida cultura umanistica,
sviluppando un’ottima conoscenza di latino, greco, ebraico, filosofia e
matematica.
A
14 anni Serveto si mise al servizio di Juan de Quintana, un francescano
minorita, docente all’Università di Parigi e interessato alla figura di
Erasmo da Rotterdam. Serveto
completò poi i suoi studi all’Università di Tolosa (Francia). Viaggiò
al seguito di Quintana e nel 1530 assistette a Bologna all’incoronazione
di Carlo V (di cui Quintana era divenuto, da poco, confessore) da parte
del papa Clemente VII. Incoronazione che siglò la pace tra Impero e
Chiesa, mettendo fine alle guerre d’Italia.
Nel
frattempo, cominciando la sua attività di teologo e non essendo
riuscito a stabilire una forma di dialogo con alcuni teologi
Riformatori, Serveto decise di pubblicare direttamente le proprie idee
in un libro, De trinitatis erroribus (Gli errori sulla
Trinità), nel 1531. Il libro riportava il nocciolo del pensiero di
Serveto: la natura di Dio non era divisibile e le tre persone divine
(un vero ostacolo per la conversione di ebrei e mussulmani alla
Cristianità) erano soltanto tre suoi aspetti.
Il
libro ebbe una certa diffusione e gettò nello scompiglio i pensatori
protestanti: da Lutero (che lo definì “un libro abominevolmente
malvagio”) a Melantone a Bucero. Quest’ultimo gridò dal proprio pulpito
che l’autore avrebbe meritato di essere squartato! Messo
sotto pesante pressione da parte dei Riformatori svizzeri, Serveto
pubblicò l’anno seguente una parziale ritrattazione sotto il titolo di Dialoghi sulla Trinità: tuttavia la ritrattazione era puramente di facciata e gli argomenti esposti rinforzarono il suo precedente pensiero.
Sempre
nel 1532 attirò anche l’attenzione dell’Inquisizione cattolica di
Saragozza (Spagna), che istituisce un primo processo contro di lui e a
Tolosa verrà emesso un decreto per il suo arresto. Ma
lui riuscirà a sottrarsi: isolato, senza soldi ed in pericolo di
essere accusato d’eresia, letteralmente scomparve emigrando a Parigi
dove visse sotto uno pseudonimo.
Si
mise, in seguito, a fare il correttore di bozze a Lione e, nel
correggere libri di medicina, si appassionò alla materia tanto da
ritornare a Parigi e iscriversi alla facoltà di medicina, dove studiò
per quattro anni con Andrea Vesalio (1514-1564) fino alla laurea e dove
scoprì l’importanza della circolazione polmonare del sangue (alla fine
del XIX secolo, Robert Willis (1799- 1878) un medico ricercatore
scozzese, scrisse che gli studi di Serveto in questo campo erano da
considerarsi «eccellenti»).
Serveto
fu attirato dallo studio della circolazione sanguigna perchè il sangue
nella Spagna del suo tempo era concepito come il veicolo dell’impurità
dei marrani ( gli ebrei convertiti a forza) e il sigillo della nobiltà
dei cristiani in quanto nutriti del corpo stesso di Cristo. Per Serveto
non c’era separazione tra ricerche mediche e discussioni teologiche:
parlando del sangue e del processo di respirazione e inspirazione egli
parlava, nello stesso tempo, il linguaggio della fisiologia e quello
della religione per combattere pregiudizi e superstizioni: Serveto quindi univa, tra i primi, ricerca scientifica e pensiero teologico cercandone un rapporto di arricchimento reciproco. Studiò
anche matematica all’università di Parigi per due anni con ottimi
risultati che gli permisero di insegnare nell’ateneo. Inoltre tenne
lezioni sulla geografia e astrologia molto apprezzate.
Nel
1540 andò a Vienne (Francia) invitato dall’arcivescovo, che lo
conosceva fin dai tempi parigini e che lo volle come medico personale.
Serveto avrebbe potuto trascorrere una tranquilla vita di provincia,
tuttavia egli si mise pericolosamente in vista scrivendo un’analisi
critica di testi dell’antico Testamento (i Salmi e i Profeti), dove
contestò l’interpretazione corrente che considerava alcune frasi dei
testi come profezie della venuta del Cristo. Queste sue note furono
successivamente iscritte nel famigerato Index librorum prohibitorum cattolico del 1557.
Serveto
mostrava capacità esegetiche della Bibbia molto avanti nei tempi e
assolutamente non accettate dalle varie istituzioni religiose.
Inoltre
si mise in contatto con Giovanni Calvino (1509- 1564) per discutere con
lui di argomenti dottrinali, ma la corrispondenza degenerò ben presto
in rissa verbale, dalla quale il riformatore ginevrino si chiamò fuori
non rispondendo più alle provocazioni, richieste e sollecitazioni
espresse sotto forma di trenta lettere del medico spagnolo. Anzi
Calvino fece di più: informò vari suoi discepoli che se mai Serveto si
fosse recato a Ginevra, egli avrebbe fatto di tutto affinchè Serveto
non lasciasse vivo la città.
All’inizio del 1553 Serveto fece pubblicare con immense difficoltà a Vienne, in forma anonima, la sua opera principale Christianismi restitutio
(La restaurazione del Cristianesimo), basato sui due libri precedenti e
sulle trenta lettere scritte a Calvino, che profetizzava la fine del
regno dell’Anticristo (il Papa).
Ma
a Vienne, nel 1553, è arrestato, processato e condannato. Un errore
dello stampatore Frellon di Vienne fu fatale: questi infatti mandò
sbadatamente una copia del libro a Calvino. Il riformatore ginevrino
allora, attraverso suoi conoscenti di Lione, avvertì il nuovo
arcivescovo locale, il cardinale François de Tournon, della presenza a
Vienne ( che si trovava nella diocesi lionese) del noto eretico Michele
Serveto, sotto le mentite spoglie del medico Michel de Villeneuve.
Calvino
aiutò perfino l’inquisitore domenicano Mathieu Ory inviando prove
documentali della colpevolezza di Serveto, che venne arrestato ma che
riuscì ad evadere corrompendo delle guardie. Serveto venne quindi
condannato per il momento, in contumacia, al rogo della sua effige con
tutti i suoi libri.
Egli era ancora libero ma senza un posto dove andare e per
quattro mesi non si ebbero più notizie precise di lui: egli sarebbe
rimasto qualche tempo in Spagna e di qui avrebbe deciso di raggiungere
Napoli per via di terra. Dopo aver pernottato in Savoia, arrivò a
Ginevra il 13 agosto 1553, prese una stanza in un albergo per
poi, con un traghetto domenicale, attraversare il lago di Ginevra,
giungere nell’Italia settentrionale e, infine, recarsi a Napoli. Sembra
che, essendo domenica, abbia giudicato più prudente, per non farsi
notare, assistere – come tutti facevano obbligatoriamente – alle
cerimonie religiose, entrando così nella chiesa della Maddalena. Purtroppo fu immediatamente riconosciuto ed arrestato.
Calvino
aveva finalmente l’occasione d’oro per sbarazzarsi di un pericoloso
dissidente, che, libero, avrebbe potuto, tra l’altro, essere utile
all’agguerrita opposizione interna alla sua chiesa riformata,
rappresentata dal partito dei libertini o guglielmini, molto critica con la sua gestione teocratica e dittatoriale della città. Il
processo si rivelò una battaglia persa in partenza per Serveto, contro
il quale Calvino usò ogni mezzo, coinvolgendo nel giudizio finale le
chiese riformate di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa.
Serveto
capì che il suo destino era definitivamente segnato. Chiese di essere
ucciso «con la spada», perché aveva paura di cedere alla sofferenza e di
ritrattare tutto. Neanche questo gli fu concesso. Il 27 ottobre del
1553 fu condotto, nel rione di Champel di Ginevra, su «una catasta di
legno ancora verde», sulla testa gli fu messa una corona di paglia e
foglie cosparsa di zolfo e gli fu dato fuoco insieme ai suoi libri. Morì
dopo lunghe sofferenze e molti tra i ginevrini presenti aggiunsero
legna alla pira.
Serveto
morì con dignità sul rogo e fedeltà alle sue idee, avendo rifiutato
anche l’estremo tentativo del pastore di Neuchatel, Guglielmo Farel, di
salvargli la vita in extremis, se avesse ammesso per iscritto i suoi errori. I resti di Serveto andarono dispersi.
Serveto
fu un martire della libertà di pensiero ( 50 anni prima di GIORDANO
BRUNO) bruciato vivo non già da cattolici oscurantisti obbedienti alla
Chiesa di Roma, ma dal principe dei riformatori, Giovanni Calvino. Cattolici, luterani e calvinisti si unirono in una strana alleanza per perseguitare e condannare
la sua ricerca teologica, biblica, medica e geografica tesa a superare
pregiudizi e oscurantismi religiosi e scientifici: la sua libertà di
pensiero e di ricerca faceva paura a qualsiasi chiesa…
Nel
1903, la città di Ginevra fece erigere in Place Champel (il luogo
dell’esecuzione), come espiazione e riabilitazione, un cippo alla
memoria dell’eroico teologo-medico Miguel Servet.
Sebastien Castellion (1515- 1563) umanista e teologo francese, tra i primi sostenitori della tolleranza religiosa, scrisse “ Contro il libello di Calvino”
per confutare le tesi che Calvino aveva enunciato in un suo “libello”
per giustificare l’esecuzione di Serveto. Così scrisse Castellion:
“Uccidere
un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo. Quando i
ginevrini hanno ucciso Serveto non hanno difeso una dottrina, hanno
ucciso un uomo. Non spetta al magistrato difendere una dottrina. Che ha
in comune la spada con la dottrina? Se Serveto avesse voluto uccidere
Calvino, il magistrato avrebbe fatto bene a difendere Calvino. Ma poiché
Serveto aveva combattuto con scritti e con ragioni, con ragioni e con
scritti bisognava refutarlo. Non si dimostra la propria fede bruciando
un uomo, ma facendosi bruciare per essa.”
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