lunedì 3 dicembre 2018

Oppio e letteratura!

L'USO DELL'OPPIO A FINI TRASCENDENTALI
Nel 1925 Matgioi scrisse con lo pseudonimo di Nguyen-Te-Duc, un libretto sull’oppio, Physique et Psychique de l’Opium, un vero e proprio manuale ad uso di chi volesse avviare se stesso all’assunzione di quella droga. Il conte francese era infatti già da trent’anni un accanito consumatore, anche se precisava di non esserne per nulla asservito. La prima parte del libro offre una descrizione della preparazione della droga e degli strumenti per fumarla, mentre la seconda, dispiega una teoria psichica dell’oppio cui segue una teoria psicologica. Sullo stesso argomento egli aveva pubblicato nel 1903 L'Esprit des races jaunes. L'opium, sa pratique, Paris, édition de "l'Initiation". In Physique et Psychique de l’Opium l’autore, in alcuni passaggi, ha fatto intendere che il suo consumo era finalizzato alla realizzazione di esperienze iniziatiche, spirituali, e che il suo lungo tirocinio fosse una pratica ricevuta in seno alla società segreta taoista di cui faceva parte. Ciò traspare anche da alcuni versi di una sua poesia:
Non son di quelli che un pò di droga stordisce.
So che c’è un gran mistero in fondo a questo gioco,
e quando la notte è calma e ardente, in mezzo
alle volute senza fine che il mio maestro consuma,
subitamente trasale in me il viluppo blù
dell’avorio. Sento che divento un uomo
e che l’uomo che fuma con me si fa dio.
Ecco i brani relativi:
In un arco di tempo lungo trent’anni, ho sperimentato gli effetti dell’oppio e posso dividere questo periodo in tre fasi, in base all’oggetto al quale mi ero riferito di preferenza durante ognuno di essi. Il primo fu consacrato a rendere il corpo perfettamente invulnerabile a tutti gli effetti dell’oppio; non solamente effetti fisici esteriori, i quali, per la loro volgarità e fastidio ricordano quelli del mal di mare complicato da vertigine ascensionale, ma anche effetti interiori che possono produrre l’eccessivo assorbimento di un tossico stupefacente (…) Nel secondo periodo studiai, approfonditamente, tutti gli effetti che la droga manifesta in una persona (…) Nel terzo periodo, infine, sicuro sulle mie basi, corazzato dai primi esercizi, sicuro degli stati psichici consolidati da una seconda serie di esercizi, considerai l’oppio come un mezzo per avere curiose esperienze. Libero ormai di trasportarmi volontariamente in un tale stato d’essere perfettamente conosciuto in anticipo, sicuro di poter sviluppare la mia volontà con l’acutezza e la tenacia che la droga dona ai suoi adepti, approfittai di queste felici attitudini per, in momenti accuratamente stabiliti, tentare una certa serie di esperienze, di cui la scienza orientale mi aveva reso familiare la nomenclatura, e per tentare, grazie a quell’onnipotente coadiuvante, di realizzare certi stati, essenzialmente transitori e fuggevoli, nei quali la volontà esacerbata dello sperimentatore è il migliore e più attivo ed anche il solo risolutivo responsabile dei fattori.

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