domenica 16 dicembre 2018

La mafia autoctona del Nord Est, oltretutto impunita.....

Giancarlo Cunial 13 DICEMBRE, IL GIORNO DI CRISTINA
(attenzione: in questo post ci sono contenuti sensibili)
Ci ho pensato su qualche giorno prima di pubblicare questo post perché il suo contenuto è un po' delicato, "sensibile" avremmo detto qualche anno fa.
Prima mi sono consultato.
Poi mi sono detto che vale la pena comunque di pubblicarlo, perché voglio recuperare la memoria di una ragazza, Cristina Pavesi, trevigiana di Conegliano, vittima prima della mafia del Brenta (non è la "mala" del Brenta, no: quella è la Mafia del Brenta) e poi dell'oblio.
Ed è un oblio tutto veneto, terribilmente veneto, quello che non ha mai voluto riconoscere il radicamento e la diffusione di associazioni mafiose, provenienti dal sud Italia, e ramificate non solo lungo la riviera del Brenta ma anche ad Eraclea, a Caorle, a Venezia, a Mestre...
In breve, questa è la storia di Cristina, una di noi: il giorno di santa Lucia del 1990, Cristina Pavesi, ragazza di Conegliano, ventidue anni, studentessa universitaria.
Tornava, in treno, a casa quel giorno dopo aver concordato la tesi con il suo relatore. Ore 18.30: un rumore assordante, un'esplosione secca.
Poi una lunga eco per la campagna padovana. L’odore del bruciato misto al fumo, acre e intenso: un ordigno aveva coklpito il diretto Bologna-Venezia partito da Venezia e momentaneamente fermo nella campagna padovana, a Barbariga di Vigonza.
In quel punto, i treni iniziano tutti a rallentare, perché si attivano numerosi scambi e coincidenza a una decina di chilometri dalla città del Santo.
E su quel punto di rallentamento agirono i mafiosi (i mafiosi, appunto, non i malavitosi) agli ordini di Felice Maniero, la Faccia d'Angelo, capo della Mafia del Brenta, l’organizzazione criminale nata lungo la Riviera.
Il treno avrebbe dovuto rallentare, infatti, ma quella sera era stato proprio bloccato del tutto: erano quelli di Maniero che l'volevano bloccato per dare l'assalto al vagone portavalori delle poste.
I passamontagna calati sui volti, gli assalitori diedero il via alla sparatoria con gli uomini della polfer mentre due di loro prepararono la carica del tritolo, piazzato sui binari, per spezzare in due il convoglio e impadronirsi dei valori chiusi nel vagone blindato.
Nel momento della deflagrazione, passava l’altro treno, quello di Cristina Pavesi, quello che non sarebbe mai giunto a destinazione.
L’esplosione ferì alcune persone. Invece Cristina morì sul colpo.
Inutili i soccorsi. Si trovava al momento sbagliato nel posto sbagliato. Una morte senza un perché.
I mafiosi riuscirono a impossessarsi del bottino e a sparire nella fredda e ormai buia campagna circostante, mentre i le carcasse dei vagoni sventrati rimanevano fumanti nell'oscurità di santa Lucia.
Secondo me, io che non so né leggere né scrivere, Cristina è una vittima di mafia (l'unica vittima di mafia nel Trevigiano).
Invece quello che seguì fu la negazione del dramma.
Quell'omicidio non venne mai contestato a Maniero e di conseguenza a nessuno della sua banda. Con quella accusa e un’eventuale condanna, infatti, poteva saltare tutto il calcolo delle pene che gli aveva permesso di diventare un collaboratore di giustizia e quindi di tornare libero... (l'analisi è di Ugo Dinello, nel libro “Mafia a Nord Est”).
Spero che non sia così, spero cioè che Ugo Dinello abbia capito male.
Perché se fosse così, come da più parti si mormora, ci sarebbe stato un, come chiamarlo?, accordo... tra Maniero e i magistrati: la morte di Cristina Pavesi da una parte e la rapina di Maniero dall'altra.
Alla faccia della Faccia d'Angelo.
Provo a ricapitolare: Maniero e i suoi uomini organizzano e attuano una rapina al vagone dei valori di un treno. Usano una carica di tritolo, che uccide Cristina e apre il blindato.
I rapinatori fuggono col bottino. Cristina resta morta sul treno.
Maniero non viene incolpato di quella morte altrimenti non avrebbe potuto avere gli sconti di pena come collaboratore di giustizia.
E tutto finisce lì.
No, secondo me non è andata così.
Non è possibile che una ragazza di 22 anni che si sta per laureare venga uccisa da un attentato al tritolo e nessuno paghi per la sua morte.
Ma poi trovo questa dichiarazione che m'ha fatto venire la pelle d'oca. Leggete anche voi: “È uno scandalo che nessuno di noi sia stato imputato per l’assassinio di Cristina Pavesi. Ci hanno contestato la rapina e io non sono mai stato condannato per quell’assassinio. Lo hanno fatto per aiutare Giulio Maniero [cugino di Felice]. Continuo ad avere un grande rimorso per la morte di quella ragazza”.
Chi parla si chiama Paolo Pattarello, uno degli uomini di Maniero che agì quella sera del 13 dicembre.
E io non ci sto: da quella sera di dicembre del 1990, quando la mafia (non la mala) uccise una giovane vita, nessuno ha mai pagato per quella morte.
I Veneti si sono dimenticati della loro mafia che era entrata nel cuore della regione.
Felice Maniero fece il pentito e venne anche lui dimenticato. Da Maniero Felice, classe 1954, protetto dallo Stato per le delazioni che ha prodotto in tribunale.
Il padre di Crsitina non si è dato pace.
E' morto un anno e mezzo dopo l'omicidio della figlia.
E Cristina nessuno l'ha uccisa.
Come se non fosse vittima di mafia.
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PROPOSTA: vorrei proporre al sindaco di Conegliano una deliberazione di intenti della città per far riconoscere nel 2019 Cristina Pavesi quale "vittima di mafia"
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foto: Cristina Pavesi

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