lunedì 20 agosto 2018

L'aedo Borges


FUNES O DELLA MEMORIA
Jorge Luis Borges
Noi, in un’occhiata, percepiamo: tre bicchieri su una tavola. Funes: tutti i tralci, i grappoli e gli acini d’una pergola. Sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882, e poteva confrontarle, nel ricordo, con la copertina marmorizzata d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevò un remo, nel Rio Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. Questi ricordi non erano semplici: ogni immagine visiva era legata a sensazioni muscolari, termiche, ecc. Poteva ricostruire tutti i sogni dei suoi sonni, tutte le immagini dei suoi dormiveglia. Due o tre volte aveva ricostruito una giornata intera; non aveva mai esitato, ma ogni ricostruzione aveva chiesto un’intera giornata. Mi disse: – Ho più ricordi io da solo, di quanti non ne avranno avuti tutti gli uomini insieme, da che mondo è mondo – Anche disse: – I miei sogni sono come la vostra veglia – E anche: – La mia memoria, signore, è come un deposito di rifiuti – Un cerchio su una lavagna, un triangolo rettangolo, un rombo, sono forme che noi possiamo intuire pienamente; allo stesso modo Ireneo vedeva i crini rabbuffati d’un puledro, una mandria innumerevole in una sierra, i tanti volti d’un morto durante una lunga veglia funebre. Non so quante stelle vedeva nel cielo

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