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Ed eccolo, quell’articolo su Repubblica contro Giovanni
Falcone
Abbiamo recuperato l'introvabile articolo di Sandro Viola
che nel gennaio 1992 si scagliava contro Giovanni Falcone, accusandolo di
essere un "guitto televisivo". Qualche giorno dopo sullo stesso
giornale Giuseppe D'Avanzo difendeva il giudice antimafia: "Non ha mai
avuto una vita facile".
ULTIME NOTIZIE 23 MAGGIO 2012 13:42 di Ciro Pellegrino
È il 9 gennaio del 1992, un giovedì. Il quotidiano la
Repubblica in quel periodo vende mediamente circa 750mila copie. Nella pagina
dedicata ai commenti viene pubblicato un articolo dal titolo "Falcone, che
peccato…" vergato da Sandro Viola, firma di punta del quotidiano fondato
da Eugenio Scalfari. L'argomento del commento è il giudice antimafia che Viola
prende di mira per via della sua esposizione mediatica. Un pezzo durissimo che
oggi, a vent'anni dalla strage di Capaci che fece saltare in aria Falcone, la
moglie e la scorta, ritorna a galla con la violenza d'una
colpa. L'articolo, introvabile nell'archivio online di Repubblica, è
oggetto di discussione in queste ore sulla Rete, ma nessuno l'ha pubblicato
integralmente, in maniera da consentire al lettore un'autonoma valutazione.
L'articolo contro Giovanni Falcone
Eccolo, l'articolo, in versione integrale: recuperato grazie
all'Emeroteca Tucci di Napoli. Che ognuno faccia le sue valutazioni dopo averlo
letto.
Viola attacca definendo Giovanni Falcone "magistrato
che alla metà degli anni Ottanta inflisse alcuni duri colpi alla mafia".
Una definizione quanto meno riduttiva per l'anima del maxi-processo di Palermo,
per colui che, lo dicono i suoi colleghi magistrati, individuò nuove tecniche e
nuovi metodi per l'approccio alla questione mafiosa. Continua Viola: "da
qualche tempo sta diventando difficile guardare al giudice Falcone col rispetto
che s'era guadagnato".
Poi, l'accusa di essere diventato una sorta di esternatore,
al pari dell'allora Capo dello Stato, il "picconatore" Francesco
Cossiga: "Egli è stato preso – scrive Viola su Repubblica – infatti, da
una febbre di presenzialismo. Sembra dominato da quell'impulso irrefrenabile a
parlare, che oggi rappresenta il più indecente dei vizi nazionali. Quella
smania di pronunciarsi, di sciorinare sentenze sulle pagine dei giornali o
negli studi televisivi, che divora tanti personaggi della vita italiana – a
cominciare, sfortunatamente per la Repubblica, dal Presidente della
Repubblica".
La preoccupazione dell'editorialista è che Giovanni Falcone
abbia perso il suo equilibrio. Gli chiede di lasciare la magistratura viste le
sue rubriche sulle pagine dei giornali: "Perché nessun paese civile ha mai
lasciato che si confondessero la magistratura e l'attività pubblicistica".
"Quel che temo, tuttavia – continua il pezzo – è che a
questo punto il giudice Falcone non potrebbe più placarsi con un paio di
interviste all'anno. La logica e le trappole dell'informazione di massa, le
sirene della notorietà televisiva tendono a trasformare in ansiosi
esibizionisti anche uomini che erano, all'origine, del tutto equilibrati".
Poi si passa all'analisi, anzi alla demolizione, del libro ‘Cose di cosa
nostra' scritto da Falcone con la giornalista francese Marcelle Padovani pure lei
nel mirino della penna al vetriolo di Viola: "E scorrendo il
libro-intervista di Falcone ‘Cose di cosa nostra' s'avverte (anche per il
concorso di una intervistatrice adorante) proprio questo: l'eruzione di una
vanità, d'una spinta a descriversi, a celebrarsi, come se ne colgono nelle
interviste del ministro De Michelis o dei guitti televisivi".
Nel finale, Viola, pur ammettendo di trovarsi davanti ad un
"valoroso magistrato" si chiede "come mai desideri essere un
mediocre pubblicista". Il giornalista ignorava che il giudice aveva
intuito qualcosa: la necessità di comunicare ad una platea più vasta, da
magistrato, la mentalità mafiosa. Inoculare il virus ai giovani come un
vaccino, in maniera da renderli resistenti al fascino della cultura dell'omertà
e della morte.
"Non ha mai avuto una vita facile e anche stavolta c'è
chi farà di tutto per rendergliela difficile": qualche giorno dopo, dalle
colonne della stessa Repubblica, qualcuno scriveva questa frase, riferendosi a
Giovanni Falcone. Quel qualcuno si chiamava Giuseppe D'Avanzo.
continua su:
http://www.fanpage.it/ed-eccolo-quell-articolo-su-repubblica-contro-giovanni-falcone/
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