domenica 9 febbraio 2020

Un rogo che brucia ancora


Roma, Campo dei Fiori, 17 febbraio 1600:
un rogo che brucia ancora.

(Giorgio Bouchard, Riforma, marzo 2000)
Risultato immagini per Bruno sul rogo e Bellarmino
L'Assemblea Teatro, ben nota nel nostro ambiente per il magistrale spettacolo Fuochi, ma attiva a largo raggio su tutta la scena teatrale e culturale, ci ha dato una memorabile «giornata di studio» dedicata al tema Il pensiero di Giordano Bruno (Torino, Galleria d'arte moderna, 15 febbraio).
Egregiamente presieduta da Bruno Gambarotta, la giornata ha visto alternarsi alla tribuna numerosi studiosi ed esponenti del pensiero laico, cosa rarissima in questa Italia che sembra vivere in una sorta di perpetuo «11 febbraio dello spirito» (
per chi, beato lui, non lo sapesse, ricordiamo che l'11 febbraio 1929 venivano firmati i Patti Lateranensi), ma anche per chi, come me, vive in un costante clima da «17 febbraio», la giornata è stata salutare e stimolante. Campano di Nola, Giordano Bruno (1548-1600) diventa presto frate domenicano e studia a Napoli, in San Domenico Maggiore, ma la filosofia aristotelica in cui viene immerso non può soddisfarlo: perciò egli prende la via dell'esilio, e a Ginevra passa al protestantesimo; ma anche la dura ortodossia calvinista non è fatta per lui, e Bruno passerà l'epoca più felice della sua vita nel mondo anglicano di Elisabetta I: almeno lì l'aristotelismo conta ben poco e viceversa la cultura, la scienza, l'arte moderna premono alle porte.
Ma dopo un relativamente sereno soggiorno nella Germania luterana (che anch'essa però lo considera come eretico) Bruno cadrà vittima dell'eterna tentazione di tutti i filosofi: fare la storia, e non soltanto interpretarla.
Accetta perciò una chiamata a Venezia dall'uomo che lo tradirà (il Mocenigo): forse spera di diventare professore a Padova dove insegna Galilei (che però si tiene a debita distanza); soprattutto coltiva l'eterna speranza di tutti i novatori cattolici: che l'arrivo di un nuovo papa apra degli spazi inediti alle novità del pensiero e della prassi.
E invece sarà proprio sotto il nuovo papa che avrà luogo il lungo e terribile processo di Giordano Bruno.
Per otto anni egli resiste agli interrogatori, alle proposte di compromesso (ritirarsi in convento): si troverà perfino di fronte il grande leader della Controriforma: il cardinal Bellarmino.
Ma Bruno non è disposto a cedere: vuol vivere o morire con tutta la sua filosofia, con tutta la stia libertà.
E morirà sul rogo, a Roma, in piazza Campo dei Fiori, il 17 febbraio 1600, rifiutando il crocifisso che i suoi aguzzini gli offrono mentre le fiamme già lo stanno bruciando. «Quel rogo arde ancora», ha detto giustamente Bruno Segre: ma a dire il vero, è da poco più di
un secolo che si è tornati a parlare ampiamente di Giordano Bruno (Anna Foa); prima, egli era un intellettuale sostanzialmente rifiutato da tutta l'Europa (Eugenio Co­sta) a motivo del suo panteismo: Bruno, certamente, non è un pensatore cristiano.
Forse non è il caso di seguire l'esempio di Bertrando Spaventa che in clima risorgimentale lo collocava nella scia di Prometeo e di Socrate (Enzo Baldini), ma è quasi certa la sua influenza sul poeta elisabettiano Marlowe (Gilberto Sacerdoti) e si possono riscontrare pure talune analogie con le opere successive di Shakespeare.
Bruno, oltre che filosofo, è anche un notevole scrittore, liberamente ma profondamente radicato nella grande tradizione letteraria italiana: ce lo hanno dimostrato Giorgio Bàrberi Squarotti e Guido Davico Bonino. Aldo Busi ha concluso la giornata con un intervento piuttosto provocatorio, ma non si può non concordare con la stia lapidaria valutazione: l'italiano medio di oggi non è figlio del rogo di Giordano Bruno: è figlio dell'abiura di Galileo.
Poiché (cosa rara anche questa) per la giornata era stata espressamente richiesta una partecipazione evangelica, mi sono permesso alcune precisazioni. Come credenti nel Cristo crocifisso e risorto, noi non possiamo condividere il panteismo di Bruno, pur riconoscendo che una venatura panteista ha accompagnato per secoli il moderno pensiero cristiano.
E anche se ci rechiamo spesso in «pellegrinaggio morale» a Campo dei Fiori, noi leggiamo con occhio affettuosamente critico la lapide che vi fu eretta più di un secolo fa:
«A Bruno/ il secolo da lui divinato/ qui,/ dove il rogo arse».
Il «secolo da lui divinato» doveva essere l'Ottocento, l'età del Progresso e del positivismo. Certo, quel secolo ha poi prodotto la prima guerra mondiale e tante illusioni; ma tuttavia, come ha detto il grande Hegel, la storia è storia di libertà: e di questo cammino di libertà, tortuoso ma inarrestabile, Giordano Bruno è sicuramente un martire.

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