La Basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio è l’edifico sacro cristiano a pianta centrale meglio conservato e più antico di Roma. Fondata, sopra i Castra Peregrinorum ed il loro Mitreo, negli anni finali del pontificato di papa Leone I e consacrata da papa Simplicio , la chiesa ha una storia lunghissima e complessa.
Fu frequentata da Gregorio Magno che vi tenne alcune prediche, nel VII secolo fu arricchita con l’aggiunta di una cappella contenente le reliquie dei Santi Primo e Feliciano che divenne luogo di accoglienza di pellegrini e nel medioevo fu restaurata e variamente modificata. Nel Rinascimento papa Niccolò V commissiona al Rossellino la ristrutturazione della chiesa ed affida l’edificio all’ordine paolino ungherese, grazie al confessore romano e procuratore dell’ordine paolino, Kapusi Bálint, che era in buoni rapporti con il pontefice..
Fra gli alti e i bassi della storia, la vita della chiesa rimarrà sempre legata alla Nazione Ungherese, dalla fondazione del convento dei paolini e del loro luogo di sepoltura fra il 1454 ed il 1580 e la nascita del Collegio Germanico ed Ungarico nel 1580. E’ in questo periodo che due degli esponenti di spicco del Manierismo Romano, Niccolò Circignani detto il Pomarancio ed Antonio Tempesta ricevettero l’incarico di affrescare il muro che chiudeva l’ambulacro con scene di martirio. Il Martirologio inizia con la Strage degli Innocenti, continuando con la Crocifissione di Gesù, a cui segue il martirio di Santo Stefano, con sullo sfondo le raffigurazioni dei supplizi degli Apostoli. I dipinti sono forniti di didascalie in latino e in italiano e costituiscono un esempio inusitato ed eclatante, con la loro esplicita violenza, del più estremo patetismo manierista. Un vortice di sensazioni “forti” che tanto ha impressionato illustri protagonisti del Grand Tour come Stendhal, Goethe e De Sade…..
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