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Nel 753 a.C. avviene la fondazione di Roma: L'Aventino è il colle scelto da Remo in contrapposizione al Palatino scelto da Romolo. Così dice la leggenda, con quel che segue.
Per tutta l'epoca repubblicana l'Aventino fu il rifugio dei plebei, e divenne gradualmente centro di mercanti, per la presenza del sottostante porto fluviale sul Tevere; c'erano anche due edifici termali lungo le sue pendici. Poi, al tempo dell'impero, fu scelto come abitazione da famiglie patrizie, fino alla distruzione apportata dai Goti di Alarico nel 410 d. C. Sembrava che fosse finita la storia millenaria non solo dell'Aventino ma di tutta Roma. Ma già si erano diffusi i luoghi di culto dei cristiani, all'inizio in case private, e così sull'Aventino c'era una ecclesia domestica, “Titulus Sabinae”, così denominata dal nome della matrona che la ospitava. Il nome poi si riferì ad una martire cristiana dei tempi dell'imperatore Adriano, Santa Sabina appunto. E appena dodici anni dopo Alarico comincia la storia della basilica di Santa Sabina, edificata sul “Titulus Sabinae”. Diverse grandi chiese cristiane hanno avuto una origine del genere, ed in alcuni casi è stato possibile recuperare i locali originari, così piccoli e modesti rispetto alla grandiosità delle basiliche successive.
Pietro d'Illiria, un sacerdote dalmata che poi divenne vescovo, iniziò la costruzione della basilica sotto il papato di Celestino I (422-432). La chiesa fu consacrata durante il pontificato di Sisto III (432-440). Nei secoli successivi la basilica è oggetto di assidue cure: al tempo di Eugenio II (824-827) viene scavata una cripta per raccogliere le reliquie di Sabina e di altri martiri, poi, sotto Alberico I (915-925) la chiesa fu incorporata nelle fortificazioni a difesa dell'Aventino, che divennero le rocche dei Crescenzi e dei Savelli. E fu proprio un papa Savelli, Onorio III (1216-27) a prendere una decisione assai importante per il futuro della chiesa: nel 1222 l'affidò ai Domenicani, che si trasferirono da Bologna a Roma, e che apportarono notevoli modifiche: il convento e il chiostro in particolare. Ancora oggi viene mostrata la pianta d'aranci di San Domenico, che la portò dalla penisola iberica e non lontano da Santa Sabina c'è il Giardino degli Aranci, uno dei luoghi più suggestivi di Roma. Oltre a San Domenico, grandi domenicani soggiornarono nel convento di Santa Sabina, fra gli altri San Tommaso d'Aquino. Nei Bei Momenti sono inserite altre due chiese ancora oggi accudite dai domenicani: San Domenico a Bologna e San Clemente a Roma. Le modifiche a Santa Sabina continuarono anche nei secoli successivi, sino al massiccio intervento dell'architetto Domenico Fontana alla fine del XVI secolo, che chiuse quasi tutte le finestre lungo la navata della chiesa, immergendola in una penombra controriformistica. Nel secolo scorso le finestre furono riaperte e Santa Sabina è ridiventata una chiesa luminosa, prediletta dai matrimoni romani.
Fra le grandi bellezze della chiesa vanno ricordate le ventiquattro colonne della navata principale sormontate da archi a tutto sesto. Le colonne non sono di spoglio ma furono realizzate appositamente ai tempi della costruzione della chiesa, e così è per la decorazione marmorea che sormonta gli archi.
Nella chiesa di Santa Sabina c'è un unicum assoluto: la porta lignea, coeva anch'essa alla costruzione della chiesa. In origine erano 28 riquadri e ne sono rimasti 18. E' di legno di cipresso ed è incredibile che sia giunta sino a noi, sia pure con alcuni restauri e con l'aggiunta successiva (intorno al secolo XI, ed anche in restauri successivi) della fascia decorativa a grappoli e foglie d'uva, fascia che circonda i singoli riquadri. Vi sono rappresentate scene dall'Antico e dal Nuovo Testamento fra cui le storie di Mosè (il roveto ardente, il passaggio del Mar Rosso, la caduta della manna), di Elia, Eliseo ed Abacuc, l'Epifania, i miracoli di Cristo, la Crocifissione e l'Ascensione. Nella disposizione attuale le storie sono mischiate, non c'è una parte relativa all'Antico Testamento ed una al Nuovo.
Nella porta lignea operano due artisti assai diversi fra di loro: uno di ispirazione classico-ellenistica, l'altro di ispirazione popolare tardo-antica. Di questo secondo artista si guardi il riquadro con la Crocifissione (che è la prima rappresentazione di Cristo fra i due ladroni). Cristo è rappresentato più grande come dimensioni, a significare la sua superiorità morale. Non c'è nessuna ricerca prospettica, le figure poggiano su una parete che simula dei mattoni, e le croci si intuiscono solo dietro la testa e le mani dei ladroni: nei primi tempi del Cristianesimo c'era il divieto di rappresentare Cristo nel suo supplizio. Analogamente nei miracoli di Gesù: le Nozze di Cana, il risanamento del cieco-nato, la moltiplicazione dei pani e dei pesci: un'arte semplice, schietta, rivolta alla emozione del riguardante, senza cura per le proporzioni e la disposizione spaziale e prospettica. Si noti la singolare disposizione dei pani e dei pesci. Un'arte sommaria, ad intaglio secco, molto diretta.. Mentre nel ratto di Elia in cielo è all'opera l'altro artista, quello di cultura classico-ellenistica: completa padronanza del mezzo espressivo, senso del movimento e del collegamento delle figure di Eliseo, Elia e dell'angelo.  Una composizione che sale a spirale, in cui l'artista si prende anche il gusto di sottigliezze, come le rocce, le nuvole e il ramarro, tipico dell'arte ellenistica. Analogamente fa lo stesso artista nella rappresentazione di Cristo con la Chiesa, tema a forte valenza simbolica, tradotta in un linguaggio colto ma chiarissimo.
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