Massimo Centini



«Nei menhir e nei dolmen definiti la Roche-aux-fées, pietre delle fate, sopravvive il ricordo della Dea Madre. La fata, con tutto il suo splendore d'incantesimo e di fiaba, non è altro che una tarda derivazione della Grande Dea. Lo rivela già la sua etimologia dal latino fatua, la vaticinatrice, e dal fate del latino popolare, la dea del destino» (F. Baumer, La grande Madre – Genova 1995, p. 70). L'enfatica affermazione di Franz Baumer ci conduce in direzione di una connessione molto diffusa nel folklore nordico: il legame tra megalitismo e fate. Tale connessione non dovrebbe avere origini molto antiche e può essere considerata frutto di una tradizione popolare tendente a legare aree e opere considerate anomale, diverse o pericolose.

Il piccolo popolo, con i suoi personaggi, è spesso protagonista di tale legame, ma è soprattutto la fata a prevalere, perché? Le risposte possono essere più di una, ma certamente la figura mitica femminile meglio si inquadra tra gli echi di culti litici in cui prevalgono le pratiche connesse ai rituali legati alla fertilità.
Alcuni di questi luoghi delle fate sono contrassegnati da una struttura particolarmente articolata, come la tomba megalitica costituita da due stanze circolari con una galleria di quarantacinque metri che si trova nei pressi di Arles. Vi sono poi esempi di grande suggestione come il menhir Henher-Hroech (Pietra delle fate) di Locmariaquer che misurava oltre venti metri (ma che è stato spezzato da un terremoto nel 1722 in quattro enormi pezzi – nota mia).



La Pietra delle Fate di Locmqriaquer (Grand menhir brisé)


Le Pietre delle fate erano anche parte dell'ampia ritualità popolare connessa all'amore: tra Vitré e Chateaubriand, «sino a non molto tempo fa, nelle buie notti di luna nuova, i fidanzati venivano alla Roche-aux-fées per avere un responso oracolare facendo la conta dei blocchi che la compongono. Il matrimonio sarebbe stato felice solo se i due avessero ottenuto lo stesso risultato. Era tollerata una piccola differenza. Se però il numero delle pietre contate risultava troppo diverso, era consigliabile astenersi dal matrimonio» (F. Baumer, opera citata, p. 70).

In questa pratica non sembrerebbero assenti echi di tradizioni connesse ai riti di fertilità presenti in molte culture e che hanno nella pietra un elemento catalizzatore di notevole valore simbolico. L'azione fecondatrice poteva estrinsecarsi non solo mediante pratiche divinatorie, ma attraverso veri e propri riti che coinvolgevano dilettamente il masso. Una tra le azioni più diffuse era la cosiddetta «scivolata» sulle pareti dei megaliti effettuata per favorire la fertilità. In altri casi troviamo le cosiddette «pietre con la pancia», massi la cui conformazione era tale da ricordare il ventre dilatato di una donna incinta: su queste pietre le giovani spose o le donne sterili si appoggiavano per ottenere magicamente una futura maternità.

«L'idea implicita in tutti questi riti è che certi sassi possono fecondare le donne sterili, sia grazie allo spirito dell'antenato che vi abita, sia in virtù della loro forma o della loro origine. La teoria che diede origine a queste pratiche o le giustificò, non sempre si è conservata nella coscienza di chi ancora continua a osservarle. Talvolta la teoria originaria è stata sostituita o modificata da una teoria diversa; qualche volta è completamente caduta in dimenticanza, in seguito a qualche rivoluzione religiosa» (M. Eliade, Trattato di storia delle religioni – Torino 1976, p. 228).





La Roche-aux-fées di Essé (Ille-et-Vilaine)


Altre esperienze del folklore europeo, praticate intorno e sui megaliti e inerenti la fertilità, riguardano l'accensione di piccoli fuochi nelle cavità naturali dei massi o nelle coppelle, in alcuni periodi dell'anno. In questi casi si possono scorgere delle convergenze con il calendario celtico. Molto diffuse erano anche le danze intorno ai menhir nei giorno dell'Ascensione, come quelle praticate a Fouventle-Haute in Haute-Saône, o quelle di Guernesey effettuate nel giorno di san Giovanni.

Ancora nella metà del XIX secolo, intorno al grande dolmen di Poitiers, i fedeli effettuavano tre giri di danza e quindi lo baciavano: il rito aveva un ruolo protettivo e serviva per allontanare le malattie. Questo tipo di protezione era offerto anche attraverso piccole parti di pietra tratte dal megalite e conservate in casa per tutto l'anno. La pratica di prelevare frammenti di pietra da massi considerati sacri e di conseguenza provvisti di valore apotropaico è molto diffusa nel folklore di numerosi paesi.

In certi casi, nel passato, anche le chiese locali non riuscivano a sottrarsi alla forte valenza sacrale collettivamente riconosciuta alle pietre: «Prima della Rivoluzione, il clero andava in processione al dolmen de La Madeleine, nella Charente, cristianizzato da una croce; nella stessa epoca veniva detta una messa in arca, al di sopra delle pietre druidiche che si scorgevano sotto il mare vicino a Guilvinec, nel Finistère» (P. Sèbillot, Riti precristiani nel folklore europeo – Milano 1990, pp. 209-210).


Massimo Centini, Il megalitismo - Luoghi sacri di potere
(Xenia Edizioni, pag. 112 e seguenti)