ROMA - La pietra non suda. E quindi il Papa ancora
non muore, ma intanto la sua agonia richiama qui sparuti visitatori che
non si fidano dei bollettini medici, ombre che s' affacciano,
esoteristi e curiosi che impudicamente si inchinano a osservare meglio.
Chi allunga la mano e la passa sul marmo policromo, chi stropiccia i
piedi sul pavimento a losanghe nere e grigie e poi si guarda la suola
delle scarpe. Nella basilica di San Giovanni in Laterano, addossata al
secondo pilastro della navata di destra, c' è la tomba di Silvestro II,
al secolo Gerberto di Aurillac, il Papa mago e alchimista dell' Anno
Mille. «Pochi posti come questo simboleggiano meglio a Roma la
continuità della funzione papale e il senso della caducità della
persona del papa»: così si apre «Il successore» (Laterza, 1997), il
libro che Giancarlo Zizola, uno dei più accreditati scrittori di cose
vaticane, ha dedicato appunto alla successione di Papa Wojtyla. Ed ecco
la ragione del singolare pellegrinaggio: «Secondo una leggenda, la
tomba emette del sudore allorché viene il tempo della morte del
Pontefice romano». Vatti a fidare delle leggende nell' era della
trasparenza tecnologica e dei romanzi di Dan Brown. Insomma: muore o
non muore? A Roma, da secoli, ogni agonica incertezza non solo s'
involtola attorno alle più incredibili bizzarrie, ma finisce per
renderle tutte abbastanza plausibili, per poi addirittura ributtarle in
caciara, a ciclo continuo. Così, davanti alla tomba magica, ma
certamente secca di Silvestro II, si resta sgomenti e in qualche modo
anche speranzosi. Ma invano. C' è un ragazzo con barba, zainetto e
macchina fotografica che si ferma. L' approccio è necessariamente
delicato: «Scusi, siamo forse qui per la stessa ragione?». Sì, e
sottovoce spiega come su Internet abbondano i documenti su Gerberto,
cui si attribuisce l' introduzione, forse pure l' invenzione di quel
codice binario che è alla base dei moderni sistemi elettronici: «Aveva
rapporti con il mondo arabo e indiano. E' stato anche un precursore
della robotica». E vabbè: tutto può essere, soprattutto oggi, nella
Città Eterna. Ma intanto, di nuovo, a parte Silvestro II e le sue
divinazioni idriche: muore o non muore? «A ogni morte di Papa» s'
intitola un libro di Giulio Andreotti (Rizzoli, 1981). L' autore, uno
che ha il piacere di definirsi «un popolano romano», ma che Roma ha
conosciuto anche come uomo pubblico, non è tipo da girare per sepolcri
che sudano. E tuttavia pochi altri riescono a rendere meglio di
Andreotti l' atmosfera insieme triste e smaniosa che segna gli ultimi
giorni del pontificato, l' innocente morbosità che accompagna lo
scrutinio fisico e patologico, l' inevitabile insistenza sulla carne e
sul corpo del Vicario, sulla sua condizione, ormai, di malato
terminale. E poi sulla sua stessa morte, con le dovute e macabre
incombenze. Persino i serial della tv - si pensi ai due Giovanni XXIII
mandati in onda negli ultimi anni - si sforzano di restituire quel
clima di mesta eccitazione e inconsapevole crudeltà ispettiva. E a
lungo s' indulgeva, pure nella fiction, sul dolore di Roncalli; c' era
perfino Valdoni che visitava; ed esami clinici sempre più drammatici, e
addirittura un cardinale ostile che di nascosto osservava le
radiografie di un Papa che nella realtà - lo testimonia Andreotti -
nemmeno sapeva di avere un tumore. Toccò al cardinal Lercaro il triste
incarico di dirglielo, ma non ce la fece. Anzi, dato che soffriva anche
lui di stomaco, si sentì consigliare dall' eminentissimo degente
alcune pastiglie di magnesia. E invece era Papa Giovanni che stava per
morire. I romani lo sanno. Prima o poi arriva il momento in cui, di
colpo, la persona del Papa appare destinata a diventare puro involucro,
materia inanimata, cadaverica, mucchio di pelle e ossa. Ma la storia
insegna: mai troppa fretta. E il pensiero corre all' agonia di Pio XII
nel palazzo di Castelgandolfo, alla furia grottesca di annunciarne per
primi la morte. Era l' ottobre del 1958. Alcuni cronisti si misero d'
accordo con qualche prelato, forse lo pagarono. Si convenne un segno
convenzionale: l' apertura della finestra come l' avviso che Papa
Pacelli era spirato. Ma poi quella stessa finestra venne aperta
casualmente da un domestico che faceva le pulizie. I giornalisti
scattarono, edizione straordinaria. E insomma il Messaggero, il Tempo,
il Giornale d' Italia e il Momento Sera, in pratica tutti i quotidiani
di Roma, uscirono dando morto Pio XII, che era ancora vivo. Il Momento
Sera gli mise in bocca anche un' ultima frase: «Benedico l' umanitÃ
tutta, prego pace, pace, pace, benedico Roma». Fu inutile, poi, far
ritirare tutte le copie dagli strilloni. Quelle che arrivarono a
Castelgandolfo vennero bruciate in piazza. Ma intanto lì dentro l'
archiatra pontificio, dottor Riccardo Galeazzi Lisi, stava giÃ
documentando con una minuscola macchina fotografica gli ultimi momenti
del Papa. C' è una terribile istantanea che lo ritrae con il termometro
in bocca: oltraggio visivo ante litteram, ma anche indizio più umano
di antiche leggende su pietre sudanti. san giovanni in laterano Sopra,
la lapide che, a San Giovanni in Laterano, copre il sepolcro di
Silvestro II, il pontefice morto nel 1303. Secondo la leggenda quando
un Papa muore, la lastra di pietra inizia a sudare. A sinistra, la
salma di Pio XII nella camera ardente di Castelgandolfo, nel 1958
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