martedì 23 aprile 2019

Lapidi magiche in San Giovanni in Laterano

Risultati immagini per papa Gerberto mago

ROMA - La pietra non suda. E quindi il Papa ancora non muore, ma intanto la sua agonia richiama qui sparuti visitatori che non si fidano dei bollettini medici, ombre che s' affacciano, esoteristi e curiosi che impudicamente si inchinano a osservare meglio. Chi allunga la mano e la passa sul marmo policromo, chi stropiccia i piedi sul pavimento a losanghe nere e grigie e poi si guarda la suola delle scarpe. Nella basilica di San Giovanni in Laterano, addossata al secondo pilastro della navata di destra, c' è la tomba di Silvestro II, al secolo Gerberto di Aurillac, il Papa mago e alchimista dell' Anno Mille. «Pochi posti come questo simboleggiano meglio a Roma la continuità della funzione papale e il senso della caducità della persona del papa»: così si apre «Il successore» (Laterza, 1997), il libro che Giancarlo Zizola, uno dei più accreditati scrittori di cose vaticane, ha dedicato appunto alla successione di Papa Wojtyla. Ed ecco la ragione del singolare pellegrinaggio: «Secondo una leggenda, la tomba emette del sudore allorché viene il tempo della morte del Pontefice romano». Vatti a fidare delle leggende nell' era della trasparenza tecnologica e dei romanzi di Dan Brown. Insomma: muore o non muore? A Roma, da secoli, ogni agonica incertezza non solo s' involtola attorno alle più incredibili bizzarrie, ma finisce per renderle tutte abbastanza plausibili, per poi addirittura ributtarle in caciara, a ciclo continuo. Così, davanti alla tomba magica, ma certamente secca di Silvestro II, si resta sgomenti e in qualche modo anche speranzosi. Ma invano. C' è un ragazzo con barba, zainetto e macchina fotografica che si ferma. L' approccio è necessariamente delicato: «Scusi, siamo forse qui per la stessa ragione?». Sì, e sottovoce spiega come su Internet abbondano i documenti su Gerberto, cui si attribuisce l' introduzione, forse pure l' invenzione di quel codice binario che è alla base dei moderni sistemi elettronici: «Aveva rapporti con il mondo arabo e indiano. E' stato anche un precursore della robotica». E vabbè: tutto può essere, soprattutto oggi, nella Città Eterna. Ma intanto, di nuovo, a parte Silvestro II e le sue divinazioni idriche: muore o non muore? «A ogni morte di Papa» s' intitola un libro di Giulio Andreotti (Rizzoli, 1981). L' autore, uno che ha il piacere di definirsi «un popolano romano», ma che Roma ha conosciuto anche come uomo pubblico, non è tipo da girare per sepolcri che sudano. E tuttavia pochi altri riescono a rendere meglio di Andreotti l' atmosfera insieme triste e smaniosa che segna gli ultimi giorni del pontificato, l' innocente morbosità che accompagna lo scrutinio fisico e patologico, l' inevitabile insistenza sulla carne e sul corpo del Vicario, sulla sua condizione, ormai, di malato terminale. E poi sulla sua stessa morte, con le dovute e macabre incombenze. Persino i serial della tv - si pensi ai due Giovanni XXIII mandati in onda negli ultimi anni - si sforzano di restituire quel clima di mesta eccitazione e inconsapevole crudeltà ispettiva. E a lungo s' indulgeva, pure nella fiction, sul dolore di Roncalli; c' era perfino Valdoni che visitava; ed esami clinici sempre più drammatici, e addirittura un cardinale ostile che di nascosto osservava le radiografie di un Papa che nella realtà - lo testimonia Andreotti - nemmeno sapeva di avere un tumore. Toccò al cardinal Lercaro il triste incarico di dirglielo, ma non ce la fece. Anzi, dato che soffriva anche lui di stomaco, si sentì consigliare dall' eminentissimo degente alcune pastiglie di magnesia. E invece era Papa Giovanni che stava per morire. I romani lo sanno. Prima o poi arriva il momento in cui, di colpo, la persona del Papa appare destinata a diventare puro involucro, materia inanimata, cadaverica, mucchio di pelle e ossa. Ma la storia insegna: mai troppa fretta. E il pensiero corre all' agonia di Pio XII nel palazzo di Castelgandolfo, alla furia grottesca di annunciarne per primi la morte. Era l' ottobre del 1958. Alcuni cronisti si misero d' accordo con qualche prelato, forse lo pagarono. Si convenne un segno convenzionale: l' apertura della finestra come l' avviso che Papa Pacelli era spirato. Ma poi quella stessa finestra venne aperta casualmente da un domestico che faceva le pulizie. I giornalisti scattarono, edizione straordinaria. E insomma il Messaggero, il Tempo, il Giornale d' Italia e il Momento Sera, in pratica tutti i quotidiani di Roma, uscirono dando morto Pio XII, che era ancora vivo. Il Momento Sera gli mise in bocca anche un' ultima frase: «Benedico l' umanità tutta, prego pace, pace, pace, benedico Roma». Fu inutile, poi, far ritirare tutte le copie dagli strilloni. Quelle che arrivarono a Castelgandolfo vennero bruciate in piazza. Ma intanto lì dentro l' archiatra pontificio, dottor Riccardo Galeazzi Lisi, stava già documentando con una minuscola macchina fotografica gli ultimi momenti del Papa. C' è una terribile istantanea che lo ritrae con il termometro in bocca: oltraggio visivo ante litteram, ma anche indizio più umano di antiche leggende su pietre sudanti. san giovanni in laterano Sopra, la lapide che, a San Giovanni in Laterano, copre il sepolcro di Silvestro II, il pontefice morto nel 1303. Secondo la leggenda quando un Papa muore, la lastra di pietra inizia a sudare. A sinistra, la salma di Pio XII nella camera ardente di Castelgandolfo, nel 1958

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