La storia di febbraio è avvolta nell’ombra dei secoli. Fonti erudite classiche ammettevano che anticamente, sotto Romolo, i romani conoscessero soltanto dieci mesi, da Martius a December, a cui solo tra il VI e il V sec. aev il re “civilizzatore” Numa Pompilio aggiunse Ianuarius e Febriarius a seguito di quella che viene definita la riforma calendariale arcaica (o numana). In questo primo calendario, a sua volta probabile codificazione di sistemi differenti adottati dalle diverse comunità che vivevano sul suolo romano, l’inizio dell’anno è indicato in marzo e non in gennaio, come sarà con la riforma giuliana: marzo era, in tempi molto antichi, il primo mese dell’anno e, di conseguenza, febbraio chiudeva l’anno vecchio.Ma perché la scelta di un capodanno cadeva proprio in questo mese? Se il capodanno di gennaio corrisponde a una crisi “cosmica” associata al solstizio d’inverno, se quello di luglio sancisce l’inizio del ciclo agrario dei cereali, quello di febbraio-marzo a cosa è dedicato? Angelo Brelich ci porta, indizio dopo indizio, a una possibile risposta, secondo un ragionamento che via via disvela lucidamente i risultati del metodo comparativo..
Che fosse un periodo dedicato agli inizi lo confermano ad esempio i riti del 1ᵒ marzo, che prevedevano il rinnovamento dei rami di lauro sulle porte dei flamini, delle curie e del tempio di Vesta dove aveva luogo il rituale spegnimento e accensione del fuoco , elementi che li configurano «con tutta evidenza» come riti di capodanno. Il problema storico-religioso non è riconoscervi un significato iniziale, quanto semmai comprendere il motivo per cui i romani abbiano situato l’inizio dell’anno proprio a marzo.
Il fatto che in questo mese si aprano le cerimonie in onore di Anna Perenna a me sembra una prova seria che gli anni iniziassero da qui (Ovidio, Fasti, III).Le spiegazioni formulate nell’antichità sembrano concordare sull’importanza del dio Marte rispetto alla tradizione fieramente guerriera della stirpe , una sorta di capostipite divino, fondatore del popolo romano; eppure questa spiegazione non convince, se rovesciamo la prospettiva e ci chiediamo semmai perché è stato dato il nome di Marte a quel mese che secondo antiche tradizioni iniziava l’anno...
Un’altra festa del mese è il Regifugium e cade il 24 febbraio, ma non sappiamo altro che il suo nome e quello di colui che doveva fuggire, il rex sacrorum, che in campo religioso rappresentava l’idea (romana) della regalità. Eppure, la sua posizione sul calendario sembra irregolare: non segue un giorno festivo, quindi il 24 non è una vigilia, tuttavia cade in un giorno pari, unica eccezione nel calendario romano insieme agli Equirria di marzo.
Se questa festa non può essere compresa in funzione del giorno successivo, sarà allora opportuno analizzare il giorno precedente: i Terminalia del 23 febbraio. Andando indietro, quindi, troviamo una festa di chiusura dell’anno presieduta dal dio Terminus alla quale segue, il giorno successivo, la fuga rituale di un re sacro e poi una festa dedicata a Marte nell’ultimo giorno dispari del mese... Sembrerebbe allora che anche il Regifugium si inserisca nella successione di riti di fine anno. Come a dire: il vecchio ciclo annuale si chiude con i Terminalia ma non necessariamente il successivo inizia immediatamente dopo. Regifugium ed Equirria si inseriscono in un periodo di tempo che non era compreso nell’antico calendario di dieci mesi, un mensis intercalaris, e le celebrazioni che vi ricadevano venivano regolate su quelle di marzo.Ancora nessun indizio, però, del motivo per cui febbraio sarebbe stato scelto come mese di chiusura, passaggio e saldatura. Andando ancora a ritroso nel calendario, troviamo tre feste importanti e significative in tal senso: i Lupercalia del 15, i Quirinalia del 17 e i Feralia del 21, che rappresentavano questi ultimi la conclusione con rito pubblico di un periodo di celebrazioni private (dies parentales o Parentalia) che aveva inizio il 13 febbraio. Si tratta di una festa dei morti concepiti come antenati, che sanciva l’annuale rinnovamento dei legami di sangue e di culto con gli avi attraverso sacrifici e con accorgimenti rituali se ne placavano le anime minacciose:
ora errano le anime impalpabili e i corpi consumati nei sepolcri, ora le ombre si pascono dei cibi lasciati sulle tombe (Ovidio, Fasti, 2, 565 ss.)
L’assenza dei Feralia dal calendario arcaico non vuol significare che in tempi più antichi non vi fosse, ma potrebbe rivelare il suo carattere privato, a conclusione del quale è stata istituita una festa pubblica. All’interno di queste celebrazioni a carattere spiccatamente famigliare si inserisce la caristia, una festa che cadeva il 22 febbraio e consisteva in un banchetto (convivium solemne) da condividere rigorosamente con i membri della famiglia, una vera folla di parenti, inter hilaritatem (in allegria).
Per quel che riguarda i Lupercalia, sono senza tema di obiezioni una festa di purificazione. L’etimologia stessa dell’intero mese di febbraio rimanda a februare, lustrare, mentre il februum era lo strumento. L’oggetto di purificazione e pulizia, durante i Lupercalia (che pure prevedevano un “disordine rituale” e una reimmersione nelle condizioni caotiche), era l’intera città intesa nella totalità del suo territorio e dei suoi cittadini:
con strisce di cuoio i Luperci percorrono tutta la città, considerando ciò una purificazione perché, ormai placati coloro che dimorano nei sepolcri e trascorsi i giorni dei Feralia, il periodo è puro (Ovidio, Fasti, 2, 31 ss.)
Sacrifici ai Manes, riti di purificazione: il significato sacrale di febbraio sembra essere pienamente confermato. Ma non ci accontentiamo, perché manca ancora l’elemento chiave, il motivo per cui proprio a febbraio venissero celebrate queste ricorrenze così chiaramente terminali (e a marzo quelle iniziali). Manca ancora l’evento decisivo, cosmico o agrario che fosse, fatto sta che non ve ne è finora indizio.
Rimane un’ultima festa di febbraio, i Quirinalia. Ancora più oscura delle altre, la prima crux che si presenta all’esegeta e allo storico delle religioni è la funzione e l’identità stessa del dio Quirino. Dio della guerra , ha molto in comune con Marte e allo stesso tempo sembra essere il suo opposto, pacifico e non bellicoso, quasi a sfociare in campo di pertinenza agraria; non è necessario prendere l’una o l’altra posizione, dal momento che «per la mentalità politeistica difficilmente esistono funzioni singole prive di molteplici implicazioni naturali, sociali, cosmiche, culturali ecc.» e le divinità di Roma arcaica sono figure complesse che non si esauriscono in una sola qualità o funzione.
Infine, c’è un altro elemento a proposito dei Quirinalia fornito dalle fonti che a questo punto non può essere ignorato: essi cadevano nel giorno dell’uccisione di Romolo. Vi sono in realtà due tradizioni, l’una che ne ambienta la morte alle Nonae del mese di luglio, l’altra che la fa cadere in febbraio, in concomitanza con i Quirinalia. Può non essere un caso: la vicenda di Romolo, riletta attraverso i temi del “mito agrario”, ne prevede l’uccisione da parte dei suoi, forse perché divenuto tiranno , e il suo sbranamento, assunto poi in cielo tra gli dèi e venerato sotto il nome di Quirino. Questa identificazione tra Romolo e una divinità immortale, d’altronde, sarebbe tutt’altro che tarda, ma piuttosto percepita come una identità originaria «di cui i romani non hanno mai perduto la coscienza» . La morte di Romolo, comunque la si collochi a luglio o a febbraio, cade in corrispondenza di due capodanni, quello di marzo o quello di agosto, che segnavano, in tempi diversi, la calendarizzazione annuale romana secondo due eventi fondamentali: la tostatura del farro a febbraio e la mietitura del frumento in luglio...
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