domenica 23 giugno 2019

De Gasperi prima deputato a Vienna poi renitente alla leva rifugiato in Vaticano con quello che sarà il suo segretario Giulio Andreotti

De Gasperi al bivio tra Vienna e Roma

Il calvario del Trentino nella Grande guerra sgretolò la sua fedeltà agli Asburgo. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia molti civili trentini furono deportati dalle autorità imperiali

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Aveva difeso l’identità italiana del Trentino contro il pangermanesimo, tanto da essere arrestato a Innsbruck nel 1904 in seguito a tafferugli studenteschi. Ma rivendicava la sua lealtà verso gli Asburgo, dissentiva dagli irredentisti che, come Cesare Battisti, volevano congiungersi all’Italia. Per Alcide De Gasperi la Prima guerra mondiale fu una prova dolorosa e per la sua gente fu un trauma brutale, con costi umani tra i più alti in Europa. A sessant’anni dalla scomparsa dello statista e nel centenario della Grande guerra, la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi, diretta da Beppe Tognon, ricorda insieme le due date. La conferenza che si tiene regolarmente a Pieve Tesino, paese natale di De Gasperi, nella ricorrenza della sua morte (19 agosto 1954) è stata affidata a due studiosi, Maurizio Cau e Marco Mondini, che il 18 agosto hanno rievocato il fatale 1914 e le vicende successive.
«De Gasperi, eletto al Parlamento di Vienna nel 1911, non metteva in discussione l’appartenenza della sua terra all’Austria-Ungheria, ma si era battuto, senza successo, perché il Trentino avesse un ordinamento autonomo e non dipendesse più dal Tirolo austriaco: capì subito che la guerra esponeva quella regione a rischi enormi», ricorda Cau, che è stato tra i curatori degli scritti politici degasperiani. Prima dell’intervento italiano contro l’Impero asburgico, aggiunge, De Gasperi fu molto attivo: «Si recò più volte a Roma, incontrò l’ambasciatore austriaco, il ministro degli Esteri Sidney Sonnino, il Papa Benedetto XV. In quei mesi si ipotizzava che Vienna cedesse il Trentino ai Savoia in cambio della neutralità e De Gasperi cercò di inserirsi nella trattativa per tutelare gli interessi della regione. Ma l’entrata in guerra dell’Italia pose fine ai suoi sforzi».
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Nel frattempo il conflitto aveva già investito la sua terra in modo pesantissimo, osserva Mondini, autore del libro La guerra italiana (Il Mulino): «Nel 1914 i trentini si presentarono in massa ai centri di reclutamento: renitenti e disertori furono poche centinaia su 55-60 mila uomini chiamati alle armi durante la guerra, una cifra enorme per una regione che contava 350 mila abitanti. Spaventose le perdite in Galizia (oggi in Ucraina), dove quei reparti furono mandati al macello per tamponare la prima offensiva russa: al termine del conflitto i caduti trentini furono oltre 11 mila, il 20 per cento dei mobilitati, mentre nel resto d’Europa furono tra il 10 e il 15 per cento e nel Regno d?Italia meno del 13».
Il peggio però venne dopo il maggio 1915, sottolinea Mondini, quando ogni trentino diventò sospetto agli occhi delle autorità austriache. «Cominciarono vessazioni sistematiche, con la militarizzazione del territorio, l’internamento in prigionia dell’intera classe dirigente (circa 2.500 persone, compreso il vescovo di Trento Celestino Endrici), lo sfollamento e la deportazione di oltre 75 mila civili verso località austriache e ceche. La fedeltà all’imperatore, solida all’inizio del conflitto, prese ben presto a sgretolarsi nel cuore di molti, tra cui De Gasperi». Il deputato cattolico, racconta Cau, subì la chiusura del giornale «Il Trentino», di cui era divenuto direttore a soli 23 anni nel 1904, ma evitò l’internamento: «Si trasferì a Vienna nel 1915 per dimostrare la sua lealtà alla corona. E ciò gli consentì di prestare assistenza ai deportati. False sono le accuse, che gli vennero poi rivolte dai fascisti, di aver appoggiato lo sforzo bellico austriaco. Gli anni di guerra furono per De Gasperi “l’ora di Dio?”, un periodo tragico in cui preferì sospendere il giudizio e rimettersi alla divina provvidenza, impiegando ogni energia per alleviare le sofferenze dei suoi conterranei. Uscì allo scoperto solo alla fine del conflitto: con gli ultimi due discorsi al Parlamento di Vienna, nell’ottobre 1918, non solo denunciò con forza la repressione contro le popolazioni trentine, ma prese di fatto congedo da un Impero in dissoluzione. Ormai si trattava di difendere la stessa causa autonomista in un altro contesto, sotto il tricolore italiano».
In Trentino, nota Mondini, il ritorno alla normalità fu lungo e difficile: «Migliaia di soldati arruolati nell’esercito asburgico erano caduti nelle mani dei russi e furono coinvolti nel caos della rivoluzione bolscevica. Con l’aiuto di missioni militari italiane, alcuni trentini tornarono in Europa dalla Siberia imbarcandosi in Cina; altri passarono attraverso gli Stati Uniti; altri ancora parteciparono ai conflitti interni russi e cinesi. Gli ultimi rientri furono alla metà degli anni Venti». E De Gasperi? «S’inserì presto nella vita politica italiana, quale mediatore in una fase di transizione che i governi liberali gestirono in modo morbido e tollerante. In Trentino e nello stesso Alto Adige di lingua tedesca non vi fu un’epurazione dei dipendenti statali che avevano lavorato per il regime asburgico, al contrario di quanto avvenne in Francia nelle regioni recuperate di Alsazia e Lorena. Gli stessi sudtirolesi all’inizio non erano così scontenti di essere passati sotto l’Italia, poiché ciò li sottraeva all’obbligo di pagare le pesanti riparazioni di guerra imposte all’Austria. Tutto mutò poi con il fascismo, che attuò una politica di italianizzazione forzata. Credo che quella esperienza dei guasti cui possono portare i nazionalismi esasperati nelle zone di confine abbia convinto De Gasperi che fosse necessario disinnescare i contrasti etnici valorizzando le autonomie regionali, come fece poi, da capo del governo, dopo il secondo conflitto mondiale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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