mercoledì 14 dicembre 2016

LA CONTROVERSA STORIA DELLA MULETTA DI SANTA MARIA IN ORGANO

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La prima volta che mi avvicinai a quella straordianria chiesa che è Santa Maria in Organo ero in compagnia di Dario Fo approdato  a Verona su invito di Cesare Furnari, allora direttore della rivista satirica: "Verona Infedele" alla quale collaborò anche il Premio Nobel
Eravamo intorno agli anni novanta tutti assieme siamo entrati interessati sia dalla bellezza delle tarsie, ma anche per sentire la storia della  "bistrattata Muletta che porta il Cristo".
Fo si è sempre interessato d'arte anche per il fatto che si era diplomato a Brera.
Mi ricordo che nell'occasione ci spiego e diede sfoggio di tutta la sua conoscenza della storia dell'arte medioevale, con noi erano presenti anche altri collaboratori di Verona Infedele come il pittore veronese Pio Quinto. La "lezione" intrapresa da Fo sottolineò  la discrepanza fra la mano artistica che ha prodotto la muletta da quella più raffinata del Cristo benedicente , in origine una statua che probabilmente rappresentava Dioniso (o sileno) che  per necessità di sviluppare la conoscenza cristiana fu trasformata, o meglio stravolta.
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La storia strana e controversa è ripresa anche da Giampaolo Marchi nel “Luoghi Letterari” Edizioni Fiorini Verona 2001, riferendosi ad una lettera che Ezra Pound, il grande poeta che amò particolarmente Verona citandola nella sua monumentale opera poetica “I cantos”, invia al suo amico lucchese Enrico Pea, scritta dal manicomio di St. Elizabeths Hospital Washington D.C. U.S.A, dove il poeta era stato rinchiuso per collaborazionismo con l’Italia di Mussolini.
In questa lettera ad un certo punto Pound scrive “…ma forse racconto barzellette o qualche storia locale, come quell’asino a Verona che tanto eccitava il Rev. Cav. Dott. Alessandro Robertson, della Chiesa Scozzese a Venezia…”
Scrive il Marchi che si tratta dell’allusione della famosa “Muletta” e così continua “..Una splendida statua lignea del XIII secolo, conservata nella chiesa di Santa Maria in Organo a Verona, oggetto (un tempo) di larga venerazione popolare e di conseguenti polemiche ispirate alla contestazione del culto cattolico per le immagini. La solennità delle Palme veniva celebrata dai monaci olivetani di S. Maria in Organo portando in processione la statua (ciò si usa fare ancora oggi in alcune zone di lingua tedesca, come Hall in Tirolo). L’entusiasmo popolare dava luogo a qualche intemperanza, forse non sufficientemente contrastata dai religiosi: certo, l’immagine lignea entrò ben presto a far parte dell’immaginario collettivo e del folclore religioso, come risulta da una memoria del celebre musicista Adriano Banchieri, che soggiornò a Verona nei primi anni del seicento….Primo a muovere lo scandalo a proposito della venerazione di cui era oggetto la” Muletta” fu Maximilien Misson nella XIV lettera del I tomo del suo Voyage d’Italie”.
Questi fatti non ci devono meravigliare dato che il paganesimo ha convissuto per moltissimo tempo con la religione cristiana.
Sappiamo che durante tutto il Medioevo in Francia si officiavano cerimonie religiose strane, ma assai gradite al popolo come la festa dei pazzi con una processione che partiva dalla chiesa e lì ritornava con i suoi dignitari, i suoi fedeli, il suo popolo. Il popolo rumoroso, malizioso, scherzoso, pieno di traboccante vitalità, di entusiasmo e di foga si riversava nella città dai sobborghi e dalle popolate colline scendeva per ritrovare la gioia e unirsi, fra il sacro e il profano, in processioni come
nella “festa dei Pazzi” o la “Processione della volpe” o la “Festa dell’asino”. Liturgie colme di entusiasmo e di grandissima partecipazione dove giovani vecchi donne e bambini erano coinvolti e liberi di esprimere e sfogare la loro gioia di vivere e la loro sessualità.
Sappiamo anche del “riso pasquale”: lo si è praticato per secoli nelle chiese. Infatti, in certi paesi di lingua tedesca, durante la messa di Pasqua, i predicatori solevano incitare il popolo concelebrante a ridere (per la resurrezione di Cristo) sonoramente, anche ricorrendo a pantomime oscene e a storielle ambigue.” Risus pascalis”, riso pasquale, veniva chiamata questa usanza.
Ancora secondo un rituale pagano come la “Festa degli innocenti” del XIV secolo, il Vescovo stesso era solito giocare a palla con i chierici e ricordo anche lo strano Gioco della Pelota giocato nella navata di Saint-Etienne, cattedrale d’Auxerre, e che scomparve poi, verso il 1538. Giorni inversi dove non esistevano più le gerarchie: la festa del Papà del Gnoco a Verona è colma di queste inversioni di ruoli affinché il popolo si sentisse libero e senza condizionamenti, in una sorta paese della cuccagna dove la penuria alimentare e il peccato fossero dimenticati per un giorno .
Le feste di tipo carnascialesco come quelle dei folli si svolgevano spesso in chiesa finché non vennero soppresse nel XVII secolo, l’asinade era legata alla festa dei folli, la trasgressione delle regole fra tragico e grottesco. Il tragicomico liberava l’individuo dalle sue paure verso l’incerto futuro: la fame, le malattie, la precarietà della vita, l’insicurezza continua, l’oppressione e la paura della morte superata con l’eros.
Ordine e disordine, ma il caos è la sorgente segreta della vita; il sesso genera anarchia, ma anche liberazione . I pagani lo capivano assai meglio di noi. Lasciavano uno spazio all’anarchia nelle loro ben ordinate vite.
Nel medioevo il folle porta sempre una cuffia da cui spuntano le orecchie d’asino e stringe in mano una clava. Il nesso fra asino e sacro è sottolineato da una delle tradizioni più discusse: il “Festum Asinarum”solennizzato soprattutto in Francia dove addirittura un arcivescovo, Pierre de Corbeil, scrive i versi che si cantano durante il rito.
E’ chiamata anche messa dell’asino o festa “ragliata”. La domanda che poniamo dopo tutte queste storie è: nelle due processioni veronesi si portava alla venerazione della città Cristo o l’asino?
Con Dario Fo ebbi modo di andare in visita alla chiesa di Santa Maria in Organo, sempre sulla scia di queste memorie. Quando arrivammo alla “muletta” il premio Nobel si fermò e fece delle considerazioni su quella scultura che tante polemiche ebbe a muovere.
Fo ha una grossa cultura artistica: si è diplomato difatti all’Accademia di Brera e ha sempre coltivato la passione per la pittura e per l’indagine artistica. Le sue parole sottolinearono la molto probabile possibilità che il Cristo benedicente che cavalca l’asino sia stato in origine una statua di un Dioniso o un grasso Sileno che rimodellata divenne il magro Cristo che ora ammiriamo. La mano dell’artista che scolpì l’asino è sicuramente diversa da quella di colui che intagliò il Cristo che è meno rozzo, più ricco di particolari e molto più raffinato, tempi diversi e mano diverse hanno dato forma all’asino e al Cristo, dove gli artisti usano tecniche scultoree e sfumature palesemente dissimili .
Certo bisognerebbe fare delle indagini per svelare i segreti di quella composita statua così famosa e ora rimossa e dimenticata dalla cronaca e dall’interesse popolare.
Sappiamo che l’asino era un animale totemico che rappresentava una divinità venerata e che è ripreso sia nell’ ”Asino d’oro” di Apuleio di Mandaura come nello straordinario “Pinocchio” scritto da Collodi.  E’ l’allegoria dell’uomo che deve passare dalle condizioni d’asino per superare la sua caduta nel punto più basso della materia: una possibile lettura, ma altresì la stessa figura asinina con valenza divina, sacra e sapienziale.
Anche le fiabe raccontano il sacrificio di questo animale. In “Pelle d’asino” la bestia è uccisa e la sua pelle, quando indossata, difende e preserva una giovane fanciulla dai pericoli. Calvino nelle sua raccolta “Fiabe italiane” riporta la famosa fiaba del somarello caca-denari che non compreso sarà sostituito dall’oste disonesto, ma alla fine il giovane proprietario ritroverà il suo somarello e con lui ritroverà la serena ricchezza data dall’oro defecato dal magico asinello.
Il suo raglio rappresenta il mantra di un acuto immediatamente seguito da un suono bassissimo, è l’alto e il basso che si incontrano e nel mezzo sta la condizione umana.
Questi percorsi, intesi anche a riprendere una certa sacralità attraverso concentrazione e disposizione, sono una via di ricerca interna in noi. Forse per alcuni esagero, ma è una questione introspettiva, personale ed interiore. Cammini brevi, locali, svolti con raccoglimento e consapevolezza di ciò che stiamo facendo, innanzitutto spegnendo il dialogo interiore, mettendoci in ascolto nella posizione di chi, aprendo il proprio cuore, non giudica e osserva. Svuotandoci della nostra piccola personalità per riempirci dell’energia del luogo, potremo entrare in risonanza con l’energia del posto e ottenere un ampliamento della coscienza. Soltanto in questo modo il nostro “pellegrinaggio” potrà divenire un’indimenticabile “avventura dello spirito”. Per entrare in unità con il Tutto, per camminare in questo modo non si può spiegare a parole né apprendere dai libri, è necessario farne esperienza. I nostri compagni di viaggio saranno il silenzio, il rispetto, la meraviglia, la gratitudine.
Dobbiamo, non a caso, imparare dagli asini.
Luigi Pellini
La bibliografia
Mario Zampieri, Il palio, il porco e il gallo, Cierre edizioni 2008;
Gian Paolo Marchi, luoghi letterari, Edizioni Fiorini Verona 2001;
Emanuela Chiavarelli, il dio asino. Il mistero di un’antica divinità, Tiellemedia editore 2006;
Umberto Grancelli , il piano di fondazione di Verona romana, Vita Nova Verona 2006;
Adriano Gaspani, VERONA origini storiche e archeoastronomiche, Vita Nova Verona 2009;
Luigi Pellini, Il cappello dei Magi, Edizioni Aurora;
Fonte: Da srs di Luigi Pellini

1 commento:

federico ha detto...

aggiungo solo un collegamento curioso: l'asino era l'animale prediletto delle vergini vestali, ovvero coloro che erano addette al conservare il fuoco sacro di roma e all'adorazione di vesta( culto già dell'epoca regia) che poi sarà mutata in minerva della triade capitolina civica quantomeno( visto che esisteva una triade precivica)... le sacerdotesse conservavano nel penus( dispensa riposta) il fallo ligneo,emblema del mitico fallo fecondatore di marte e al culto di vesta erano associati anche gli asini che sono animali fallici utilizzati per girare le macine de l farro( approfondiró il tema del procedimento religioso del produrre il pane(( vero e proprio emblema del culto agreste e ctonio dei popoli dapprima nomadi( vedi l'eneade e la saga di enea) poi diventati stanziali )) e inoltre l'agricoltura e la semina(( caratterizzati da riti atavici e di fertilità importanti per questi popoli, si pensi che roma sorse nel giorno in cui si festeggiava parilia la dea pales propiziante la pastorizia, il 21 aprile)).. le macine del farro, tornando a noi,erano fatte da 2 pietre che sfregavano tra loro similmente ai 2 legni che sfregati tra loro davano vita al nuovo fuoco quando si festeggiava l'antico capodanno romano( che non era il 31 dicembre si sappia) come si vede la simbologia sessuale è sempre presente( non dovrei dirlo, per la sacralità del simbolo che rappresenta, ma ROMA, quando romolo dovette pronunciare i nomi sacri e santi sotto i quali gli dei dovevano proteggerla e propiziarla, ROMA dicevo come primo nome tra i sacri aveva AMOR; e si noti, gli dei mi perdonino, che amor non è nient'altro che roma al contrario)per finire ció è coerente con il rito di fondazione, dove all'aratro per il sulcus primigenius erano aggiogati un toro e una vacca bianchi... il toro verso l'esterno( simbolo della conquista e propagazione del nome romano nell'orbe e della guerra) e la vacca verso l'interno( simbolo della pace e della concordia tra i cives che dovevano sempre imperare dentro il pomerium sacrus sanctus augustus et inauguratus)...