Simboli di San Miniato al Monte
Questo testo è stato pubblicato nel numero 119 della rivista “Il Governo delle Idee” ed è la sintesi del mio intervento al convegno del 27 aprile 2013 “Omaggio a San Miniato. Guardando al millenario, idee competenze e passioni a 995 anni dalla fondazione di San Miniato al Monte”.
1. Premessa
Gli antichi avevano la consapevolezza di vivere immersi in un profondo movimento di correnti di energia, invisibili ma avvertibili da chi è dotato di una sensibilità un po’ più sviluppata, come i pesci del mare sono consapevoli del movimento continuo dell’acqua in cui nuotano. Avvertivano dunque correnti telluriche salire dagli strati profondi della terra, generate da un magnetismo incostante ma intenso e dalla vibrazione di acque sotterranee, mentre altre giungevano loro dalle profondità siderali, per l’attrazione della luna e dei pianeti, per il vento solare, per quella vibrazione sottile che irradia l’universo dalla sua origine.
Essi avvertivano che in luoghi particolari della terra le opposte forze telluriche e cosmiche sembravano vibrare all’unisono ed interagire in modo concorde e che questo misterioso incontro di fluidi invisibili provocava effetti benefici e straordinari sulla psiche e sul corpo stesso. In questi luoghi sottili impararono ad accentuare questi effetti con manufatti di pietra, accorgendosi che la pietra vibra e canta se sollecitata in modo opportuno. Così eressero dolmen e menhir infitti nel terreno, quindi circoli di pietra, stele e megaliti, per giungere a costruzioni sempre più elaborate e raffinate, come gli obelischi e le piramidi dalla punta d’oro degli Egizi, ai templi di pietra a pianta circolare che, piantati saldamente nella terra e con la cupola aperta sul cielo, assecondavano l’espandersi sferico delle onde di energia.
Gli antichi impararono che i fluidi energetici, in cui si trovavano immersi, vibravano producendo onde riconducibili a rapporti numerici, come i suoni prodotti dalle corde di diversa lunghezza. Pitagora racchiuse questi rapporti nella figura della sacra Tetractide, costituita dai primi dieci numeri ordinati in modo da formare una piramide. Platone individuò le sequenze di numeri con i quali era costituita l’Anima del Mondo, disponendoli secondo due sequenze ternarie, l’una all’altra opposte come i lati di un triangolo: 1, 2, 4, 8 e 1, 3, 9, 27. Così i platonici poterono affermare che il tre, con le prime tre potenze, era numero divino.
Ma gli antichi si resero conto che il ritmo del cosmo non rispondeva solo a numeri interi, che esistevano infatti geometrie e vibrazioni, riconducibili a rapporti incommensurabili, i quali solo la geometria era capace di svelare. Fondamentali ritennero in particolare due rapporti: quello che esiste fra i lati di un rettangolo, la cui altezza sia formata dalla proiezione della diagonale del quadrato della base, e quello fra i lati di un altro rettangolo, la cui altezza sia data dalla proiezione del segmento che unisce la metà del lato di un quadrato con il vertice opposto. Questo secondo rettangolo aveva anche la straordinaria caratteristica che, se dall’altezza o dalla base se ne costruivano altri con lo stesso procedimento, i nuovi rettangoli avevano sempre i lati nello stesso rapporto ed il loro sviluppo formava l’immagine della spirale. Questa spirale, che è visibile nelle conchiglie, è uguale nell’infinitamente grande delle galassie e nell’infinitamente piccolo del dna umano. Platone ne fu affascinato e scrisse che con questo numero incommensurabile Iddio aveva strutturato il cosmo. Per questo fu detto numero d’oro ed usato fin dall’antichità più remota per la costruzione degli edifici sacri, dall’Egitto alla Grecia, dall’Oriente all’Occidente. L’edificio sacro doveva infatti essere un’immagine del cosmo che Cicerone, nel Sogno di Scipione, definì come il primo Tempio, quello costruito da Dio stesso, modello degli altri che sarebbero stati innalzati da mano d’uomo.
Gli antichi si accorsero che anche le parti del corpo umano rispondevano a questo rapporto e che dunque l’uomo sembrava racchiudere in sé la struttura ed il ritmo stessi dell’universo e della divinità. Che in lui macrocosmo e microcosmo, cielo e terra, parevano congiungersi mirabilmente. Se il cosmo era il primo tempio, l’uomo era allora il secondo ed entrambi accoglievano in sé, come un’arca, la presenza possente della Sapienza creatrice, quell’energia intelligente che tutto permea di sé e che viene definita Dio.
Le cattedrali dell’Occidente, come modelli del primo Tempio, obbedirono a queste leggi numeriche. Le proporzioni che venivano usate dai maestri muratori domavano la solidità apparente della pietra in modo che risuonasse all’unisono con le forze invisibili e che il terzo tempio, costruito da mano d’uomo, fosse immagine del secondo, l’uomo stesso, e del primo, l’universo. Così all’interno delle mura di pietra, vibranti impercettibilmente con gli accordi ed i suoni del cosmo, come in un’arca o in un vaso sublime l’anima poteva più facilmente svincolarsi dal corpo e salire la scala celeste. Come in un fornello alchemico, all’interno delle cattedrale, immersa nella vibrazione delle forze opposte del cielo e della terra, accentuata dall’immensa cassa armonica di pietra e spesso da un canto gregoriano modulato sugli stessi ritmi, la materia si spiritualizzava e lo spirito si addensava in materia.
2. I numeri e la geometria della basilica.
Non meraviglia allora scoprire che la pianta della basilica di San Miniato risponda ai rapporti 1:2 dell’ottava musicale (il diapason) e 2:3 della quinta, né ritrovare nella facciata una sinfonia di geometrie sacre. Scopriremo poi, con l’aiuto delle misure, che le modanature, le lesene ed i vari elementi decorativi non sono posizionati a caso o per un semplice gusto estetico, ma rispecchiano una geometria rigorosa e complessa dalla quale scaturisce, come nella natura, la bellezza, l’ordine e l’armonia. Così ad una griglia di quadrati che costituisce la base del progetto della facciata, si sovrappongono figure sacre più complesse, come il triangolo rettangolo pitagorico che ha i cateti di tre e quattro moduli e l’ipotenusa di cinque. Sublime rettangolo questo, e misterioso, che per l’antichità rappresentò l’essenza trinitaria di Dio: come scrisse Plutarco, la potenza del Padre (il Tre), unita alla potenza della Madre o dello Spirito (il quattro), vi genera la potenza del Figlio (il cinque). Altri elementi della facciata formano quel rettangolo, di cui abbiamo detto, costruito mediante la proiezione della diagonale del quadrato della base, altri determinano un rettangolo d’oro. E questo divino rettangolo aureo scandisce i cinque portali della facciata, sia quelli aperti che quelli chiusi, così come all’interno l’arco trionfale della navata. Non mi è possibile in questa sede far vedere con immagini tutto questo; rimando il lettore che vi sia interessato al mio libro La lingua degli angeli. Simboli e segreti della basilica di San Miniato a Firenze, nel quale troverà ciò che cerca.
Nell’interno della basilica, una guida marmorea conduce dal portale centrale fino all’altare, dove san Giovanni Gualberto ebbe la visione che lo convertì. Questa guida di raffinate tarsie è costituita da sette tappe, come negli antichi mitrei, perché sette erano i pianeti conosciuti dagli antichi. Si credeva infatti che i cieli planetari costituissero una scala per la discesa delle anime da quello delle stelle, l’ottavo dopo i sette sottostanti, alla terra e per la loro successiva risalita. Il numero otto torna con frequenza nei disegni di marmo della basilica, perché questo numero era simbolo della casa delle anime nell’ottavo cielo delle stelle fisse, corrispondente anche al misterioso ottavo giorno che seguì i sette della creazione, quando il tempo si concluse e si spalancò sull’eternità. Non meraviglia allora scoprire come la guida di marmo si apra con un rettangolo dai rapporti incommensurabili, segno di trascendenza, e si concluda con un rettangolo aureo, simbolo della dimensione divina senza tempo e senza spazio. Né che all’interno di questa guida sia collocato un grande zodiaco pavimentale, immagine di quel cosmo che la basilica rispecchia nelle sue mura.
3.Lo zodiaco
Lo zodiaco di San Miniato presenta una disposizione curiosa ed anomala dei suoi segni. Il primo, quello all’ingresso, dovrebbe infatti tradizionalmente essere l’ariete, perché per gli antichi l’anno cominciava con la rinascita primaverile che avviene in ariete e ritenevano che il cosmo stesso avesse avuto principio in questo segno. Invece a San Miniato di fronte all’ingresso si trova il capricorno, che coincide con il solstizio di inverno. Di conseguenza il segno rivolto verso l’abside è il cancro, quando ricorre il solstizio di estate. Lo zodiaco di San Miniato non parte dall’equinozio, dunque, ma da un solstizio. Tutta la basilica è incardinata sugli opposti solstizi, con l’abside rivolto a sud est, al sorgere del sole del Natale, quando la marcia delle tenebre si interrompe e la luce comincia a riconquistare il terreno perduto. Al solstizio di estate invece, un raggio di sole penetra da una delle monofore della navata e va a cadere nel segno del cancro. Lo zodiaco è dunque anche uno gnomone.
Ho ritrovato il motivo di questa anomalia apparente dello zodiaco di San Miniato in una sublime credenza neoplatonica, che risale a Porfirio ed a Macrobio. Un mondo lontano dal Medio Evo? No davvero, perché il latino Macrobio fu ampiamente accettato e commentato nella famosa scuola sorta attorno alla cattedrale di Chartres, il cui insegnamento si diffondeva per tutto l’Occidente cristiano. Cosa diceva dunque Microbio? Diceva che le anime risiedono in cielo, fra le stelle, e si incarnano, portate dai raggi del sole lungo la scala dei pianeti, al momento del solstizio di estate; aggiungeva che al termine della vita terrena le anime risalgono la scala verso il cielo, al solstizio di inverno. I solstizi erano dunque definiti le porte celesti. La posizione del segno del capricorno all’ingresso della basilica la denota simbolicamente come una porta del cielo, un locus terribilis, per usare le parole di Giacobbe, quando a Bethel ebbe la visione della scala lungo la quale gli angeli salivano al cielo. Salivano gli angeli e solo dopo scendevano. Ma gli angeli non risiedono in cielo? Allora dovrebbero prima scendere e poi risalire. Se gli angeli visti da Giacobbe prima salgono e poi ridiscendono, significa che essi abitano sulla terra. Non sono dunque angeli, ma anime, le anime del mistico il cui corpo misteriosamente, nel luogo sottile di Betel, si spiritualizza per accedere da vivo al Paradiso e poi ridiscendere nella dimensione dell’esistenza portando con sé un po’ del profumo e della visione dei giardini celesti. La basilica di San Miniato, ce lo ricorda quel piccolo, anomalo, segnale del capricorno, è uno di questi luoghi sottili, una porta del cielo. Non meraviglia allora trovare scritto nel marmo del portale orientale della facciata: Haec est porta coeli, cioè: Questa è una delle Porte del Cielo.
4. L’ambone
Ma il percorso indicato dai simboli della basilica non si ferma qui. Esso trova il punto più alto nell’ambone, cioè nel pulpito che dall’alto segna il confine fra il coro sopraelevato dei monaci e la navata. Il coro è racchiuso da un muro decorato, con un passaggio centrale dal quale i raggi del solstizio d’inverno scendono a carezzare la navata e si concludono nello zodiaco. Ai lati del passaggio del coro, enigmatiche figurine intarsiate, leoni dal corpo di drago, sembrano porsi come custodi del luogo più sacro. Sulla destra l’ambone presenta al centro una figura trimorfa: il leggio sorretto da un’aquila i cui artigli appoggiano sul capo di un uomo,forse un monaco, che a sua volta tiene i piedi sopra la testa di un leone. L’aquila e il monaco guardano fissi davanti a sé, il leone si volge verso la navata sottostante.
In genere troviamo negli amboni, dai quali si proclamava la Parola, i simboli dell’aquila, del leone, dell’uomo, del toro, perché rappresentavano gli evangelisti. Si tratta di un’associazione simbolica che deriva dalle due visioni, che nella Bibbia descrivono il Trono di Dio, nelle quali l’esoterismo raggiunge vertici insondabili. Una proviene dall’Antico Testamento ed è quella di Ezechiele, l’altra dal Nuovo ed è quella dell’Apocalisse. Anche Dante riprese queste visioni nella Divina Commedia, collegandole al carro celeste sulla quale si asside Beatrice, icona della Celeste Sophia. La Sapienza è veicolata dalla Parola e la Parola irradia la storia attraverso il libro sacro. E’ dunque giusto che la Chiesa antica associasse le quattro figure misteriose che sorreggono il Trono ai quattro evangeli canonici.
Ma nell’ambone di San Miniato manca il toro. Che vuol dire? Il rifiuto di uno dei vangeli?
Se ci guardiamo attorno, troveremo altre chiese nei cui amboni manca la figura del toro e sono presenti, una sopra l’altra, solo le altre tre. Ad esempio l’antica pieve di Gropina, il cui pulpito risale all’epoca longobarda. Ebbene, in questi casi la figura trimorfa non rimanda agli evangelisti, ma ad un simbolismo ben più profondo.Vediamolo.
L’aquila è la regina del cielo, l’unico fra gli esseri alati che si credeva potesse fissare il sole senza rimanerne abbagliato. Il leone è il re del regno animale, cioè della terra. Cielo e terra sono dunque rappresentati nell’ambone, non gli evangelisti. L’aquila ha lo sguardo fisso davanti a sé, perché essa è nell’eternità, al di sopra della dimensione del movimento; il leone si volge invece verso la navata, verso quello che è il suo mondo, la realtà dell’esistenza nello spazio – tempo. E l’uomo è in mezzo ad essi, come elemento di congiunzione che partecipa di entrambe le dimensioni. La sua testa pensante è nell’eternità, al di fuori del tempo, i suoi piedi saldamente piantati nella materia. In lui macrocosmo e microcosmo si congiungono. Ecco dunque il segreto messaggio della basilica: la scala che congiunge la terra al cielo, la materia allo spirito, l’esistenza all’eternità, il creato al Creatore è dentro di noi, è l’uomo stesso. Questo essere, nel quale il mondo animale e quello angelico si uniscono, possiede nel profondo di sé la natura divina, la chiave per spalancare la porta del cielo. Il tempio di pietra è solo uno strumento per raggiungere la chiave e riconoscere in sé l’eterna Sophia, la guida e la via. Ho dedicato al potere di questa chiave un altro mio libro: Il segreto di San Miniato, che completa il messaggio essoterico de La lingua degli angeli.
Ecco perché sul portale centrale della basilica è raffigurato un vaso prezioso. Quel vaso è il Graal, il mistero insondabile della divinità che è in ciascuno di noi.
Ecco perché una scritta enigmatica di fronte all’ingresso, intarsiata nei marmi del pavimento, recita: Retinent de tempore et morte, cioè: Tutto questo che ti circonda annulla il potere del tempo e della morte. Nello spazio sacro della basilica, nella musicalità della pietra e nella vibrazione possente delle armonie gregoriane, alla confluenza di intense energie, il tempo si sgretola e lo spirito è trasportato nell’eternità, dove risiede da sempre accanto al Trono dell’Altissimo.
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