Gli sciamani siberiani, voci che hanno a cuore la tua realizzazione
Nella Buriazia siberiana, nell’Hakasia, nella regione di Tuva e nell’Altai lo sciamanismo è religione ufficiale. È qui che, a contatto con una natura sovrana e potente, lo sciamanismo stricto sensu è nato, ed è qui che ancora oggi esso si impone all’attenzione non solo degli abitanti delle steppe e della taiga, ma di tutto il mondo, come una voce che può ricordarci da dove veniamo e dove siamo diretti.
Gli sciamani sono una specie rara sul pianeta e, come quella di tutte le specie rare, la loro sopravvivenza è legata alla continuità del loro habitat: la natura selvaggia.
Lo sciamano non può esistere se non nel mezzo di una natura possente che lo alimenta e lo ispira, ma la natura – lo sciamano lo sa bene – è una dimensione interiore. L’uomo proietta ciò che ha dentro e abita la propria psiche e le proprie immagini.
Incontrare un vero sciamano è un’esperienza di guarigione e di apertura straordinaria. Lo sciamano conosce il tuo problema senza che gliene parli e lo risolve senza la minima approssimazione. La difficoltà per chi viene dal mondo dei conflitti e dell’innaturalezza è solo quella di trovarlo, il vero sciamano si nasconde e, a volte, può capitare che, anche se ce l’hai sotto il naso, non lo vedi, dipende da quanto aperti sono i tuoi occhi. Incontrare uno sciamano è il risultato di un viaggio geografico ed interiore allo stesso tempo che richiede una preparazione.
Per prepararci e preparare il viaggio, io e mio figlio – che conosce il russo e mi aiuta là dove il mio interlocutore non parla inglese – alloggiamo a Irkutsk e da qui ci spostiamo ogni giorno verso Urst Ordinsky, villaggio buriato, e verso le steppe circostanti per andare ad incontrare sciamani, con l’aiuto di Peter Nikolayevich, professore di sciamanismo presso l’Università della Buriazia ed Elena, una bionda donna di origini evenke. Conosciuti come i tungusi della Mongolia, gli evenki sono una popolazione di religione sciamanica oggi presente soprattutto in Siberia, Mongolia e Cina -. Elena ci procura le macchine a noleggio e, là dove necessario, gli autisti. Anche lei ha sangue sciamanico perché sua nonna da parte di madre era una sciamana. Insieme a Peter e Elena organizzo riunioni quasi quotidiane con i vertici dello sciamanismo siberiano per riuscire ad avere appuntamenti con sciamani autentici e potenti per il mio gruppo che arriverà dall’Italia ai primi d’agosto.
Gli sciamani siberiani sono collegati fra loro da una misteriosa rete, Peter è un degli uomini che tengono le file di questa rete di contatti che travalica i confini della Russia per abbracciare anche le steppe della Mongolia, varie regioni dell’Asia e persino l’Europa e il Sud America.
Con Peter ed Elena facciamo lunghi incontri con Lyudmila, sciamana guaritrice, facciamo rituali con Slava Sorokin, sciamano delle steppe, ma soprattutto intratteniamo riunioni con Mahka, rispettato da tutti gli sciamani buriati come un capo e con Vassili, un eccezionale sciamano nero.
Lo sciamanismo siberiano e mongolo si divide in nero, bianco e giallo.
Gli sciamani bianchi si occupano di guarigione, fertilità, fanno rituali per la purificazione e l’abbondanza.
Gli sciamani neri viaggiano nel mondo infero, l’ underworld che è da intendersi, in questo caso, non già come dimensione inferiore, ma interiore: il mondo degli spiriti, delle ombre, dell’invisibilità, dei sogni, il regno di Ade. Gli sciamani neri parlano con gli spiriti che essi governano al punto da poter chiedere loro di svolgere dei compiti. Potendo stringer patti con gli spiriti e potendoli avere al proprio servizio, gli sciamani neri sono considerati i più potenti e, come afferma, il Prof. Gurbadaryn dell’Università di Ulaanbaatar nel suo autorevole libro sullo sciamanniamo mongolo (Purvee Gurbadaryn Mongolian Sciamanism, 2010, Ulaanbaatar) gli sciamani neri incarnano lo sciamanismo delle origini.
Lo sciamanismo giallo, invece, è un fenomeno che si è venuto a creare a seguito della commistione dello sciamanismo con il Buddhismo tantrico-sciamanico.
Dopo vari rituali e molte riunioni preziose, ricevo da Nadya, sciamana buriata ereditaria di antico lignaggio, l’investitura che mi rende ufficialmente “traghettatrice”. Insomma gli sciamani mi riconoscono come un loro referente in grado di portare sinceramente a loro – questo il significato di “traghettatrice” – persone che abbiano questioni o problemi di qualsiasi natura da risolvere o che semplicemente vogliano entrare in contatto con il grande cammino sciamanico. Sono molto contenta e commossa.
I primi di agosto si avvicinano è già ora di salutare Peter e Elena. Ci attendono due giorni e due notti di treno – la transiberiana – per raggiungere Abakhan dove incontreremo il gruppetto, in arrivo dall’Italia, che traghetteremo nel mondo sciamanico.
Le incontriamo all’aeroporto, sono eccezionalmente tutte donne (è la prima volta che mi capita). Non ci vuole molto ad innamorarci le une delle altre, chi partecipa a certi viaggi è sempre mosso da una profondità di emozioni che rende sinceramente amici. Ed ecco che, con il vostro permesso, mi accingo a raccontarvi di una meravigliosa avventura vissuta da un gruppo di donne e da un ragazzo sicuramente accomunati da un profondo desiderio di scoperta. Insieme abbiamo visto molte cose e appreso tanto.
La purificazione. Nessuno può iniziare il viaggio nel mondo sotto il mondo e attraversare la Grande Soglia senza essere stato purificato. Khakass Sagalakova Yerosinya Efimovna, una corpulenta, ma per fortuna un po’ anziana sciamana dell’Hakasia ci frusta e ci affumica per costringere gli spiriti malvagi – le nostre idee negative – a lasciarci.
La prima lezione è che le idee non sono nostre. Le idee sono eidola, si dice in psicoanalisi, cioè sono idoli, dei e demoni, sono spiriti e numi.
Le idee negative si impossessano di un individuo per due ragioni: la prima è che egli ha tradito la natura, la seconda è che ha interrotto le tradizioni ancestrali.
La storia di ogni individuo è raccontata nel mito che soggiace alla sua cultura. Noi siamo mito e non possiamo che ripetere nel tempo ciò che gli dei fanno nell’eternità.
La cultura che abitiamo nasce proprio con un atto di tradimento da parte dell’individuo nei confronti della natura. Questo tradimento è raccontato in molti miti, per esempio nel mito di Arianna, dove Minosse, re di Creta – il quale rappresenta la struttura della psiche che vuole il potere sulla natura – chiede a Poseidone – divinità di natura – un segno del proprio potere. Poseidone acconsente e fa avere a Minosse un toro bianco con il patto che egli l’avrebbe restituito attraverso un sacrificio rituale.
Ma quando il re vede il toro così possente e bello, rifiuta di restituirlo a Poseidone e vuole farne un bue delle proprie mandrie. Il mito esprime qui il primo archetipo sul quale si fonda la nostra cultura: il tradimento del patto con la natura e il tentativo di addomesticamento della selvatichezza. Questo è quanto avviene nella vita di ciascuno giacché ogni uomo nasce con il carico di un peccato che di quel tradimento originario è l’espressione più diretta.
Durante l’infanzia e l’adolescenza ognuno si occupa, con la complicità dei genitori e della cosiddetta educazione, di addomesticare la propria selvatichezza. Dopodiché tutto quello che accade nel mito ti riguarda molto da vicino, ma fermiamoci qui, a quel patto tradito. Se vuoi saperne di più sul tuo mito personale puoi leggere il mio libro su James Hillman (Selene Calloni Williams; James Hillman, il cammino del fare anime e dell’ecologia profonda).
Una delle prime cose che gli sciamani della Siberia e della Mongolia fanno al loro paziente, non appena entrano nella trance, è dargli un po’ di scudisciate con un frustino magico per consentire alle energie negative di lasciare il suo corpo. Poi lo cospargono di fumo profumato per richiamare gli spiriti dei suoi avi, i quali sono attratti dai profumi, essendo dotati di un corpo etereo detto mangiatore di odori, giacché si nutre della sostanza sottile delle cose.
L’Io sociale, nel suo delirio di potere, tradisce il patto con la natura interrompendo le usanze degli avi. Da sempre, infatti, gli avi avevano compiuto il rituale sacro che Minosse rifiuta di fare.
C. G. Jung e i pensatori post junghiani, come James Hillman, ci insegnano che il corpo non è un oggetto, ma un simbolo, un’immagine, una visione. La psicologia junghiana e post junghiana ci collega magnificamente al sentire dei popoli animisti, alle culture tribali e sciamaniche. Gli organi sono gli dei”, nella visione di Jung. E gli organi sono diventati malattie poiché gli dei sono adirati con gli uomini che hanno tradito il patto del sacro rituale. La malattia è spesso occasione per ristabilire l’equilibrio universale. L’ordine primevo che è stato tradito. Ecco perché mi associo al filosofo Cioran nell’affermare che i nostri mali, i nostri disturbi, i nostri disagi sono, in verità, il nostro più grande patrimonio.
L’approccio sciamanico non è terapeutico. L’approccio terapeutico è anestetico. Lo sciamanismo, come l’arte, prende un cammino estetico in cui i nostri mali vengono non già sedati, bensì nobilitati, non già sconfitti, bensì trasmutati, come l’alchimista trasmuta il piombo in oro. Ciò è fatto a mezzo del rito sciamanico che è sempre il rito del sacrum facere, cioè del sacrificio.
Gli sciamani buriati della Siberia affrontano questo rituale sacrificando una pecora o un caprone di cui poi si cibano bevendone persino il sangue. Durante il rituale neppure una goccia del sangue dell’animale deve toccare il terreno, perciò esso viene ucciso in un modo speciale, che non provoca dolore.
Dopo essersi cibati della carne e aver preparato del sanguinaccio, i buriati raccolgono le ossa dell’animale nella sua pelle vuota e bruciano la carcassa come sacrificio agli dei, proprio come faceva Prometeo. I buriati celebrano questi rituali da molti secoli sempre negli stessi modi, perché interrompere le tradizioni è un vero crimine nella religione sciamanica.
Con il mio fantastico gruppetto di donne – tutte più o meno inconsapevolmente animate dall’archetipo di Arianna – dopo il rito di purificazione, mi trasferisco dall’Hakasia alla regione di Tuva dove vi è niente di meno che il centro del continente asiatico e dove lo sciamanismo è vivo, fiero e forte, difeso da barriere naturali, distanze remote e scarsità di vie di comunicazione.
Qui esistono le cliniche sciamaniche, realtà mozzafiato anche per chi, come me, ne ha viste molte di cose estreme. Incontriamo diverse sciamane all’interno delle cliniche, tutte donne, come noi, e anche questo ci dice qualcosa.
Ci accolgono, rispondono alle nostre domande, ci ascoltano, ma tutto sembra avvenire in superficie. Allora richiamo il gruppo alla meditazione e raccolgo tutte nel silenzio. Piano piano la magia inizia ad accadere.
Una sciamana prima stanca, quasi stremata da un’intensa giornata di lavoro, si anima all’improvviso mentre, di lì a poco, una sua collega si spoglia degli abiti consueti e inizia la vestizione del suo costume sciamanico e afferra lo scudiscio magico.
Ci propongono un rito, ma non lì, nella clinica, bensì nella taiga, nella foresta. Accettiamo con entusiasmo: gli spiriti hanno ascoltato i nostri cuori.
Il rito è meraviglioso. Le sciamane in trance hanno messaggi per tutte noi.
La seconda lezione è che la vita è il sacro rituale dedicato alla divinità e che ciascuno di noi è sia colui che ordina il rituale, sia colui che lo celebra, sia l’oggetto del sacrificio, sia colui al quale il sacrificio è dedicato.
Ogni giorno è il giorno dell’incontro con il sacro, ogni momento è il momento del rituale. Quando sono a casa e progetto i miei viaggi e scrivo i miei libri o penso i miei documentari, io cerco di non dimenticare mai questa lezione. Alla mattina, quando mi sveglio con la mente piena di idee, le uso per compiere il mio rito sacrificale. Le prendo tutte, le porto sul canale della città scozzese dove vivo e le consegno alla brughiera, le brucio nel fuoco della mia corsa mattutina in mezzo alla natura, chiedendo alle acque del canale, alle foglie, ai gabbiani e ai corvi di ispirarmi le loro idee. Questo mi sembra il rituale sacrificale più adatto per essere compiuto in una cultura – come quella occidentale post moderna di cui sono figlia – dove, se si trova un agnello libero di pascolare nei campi, è certamente meglio lasciarlo in pace e bearsi della sua serenità.
Agli spiriti bisogna offrire ciò verso cui il nostro Io prova maggiori attaccamenti egoistici e ci appare prezioso, il che, nella nostra società, a differenza di quanto può essere nella società buriata, non è certo l’agnello, ma piuttosto tutte quelle certezze mentali – che in verità, come ci disse il filosofo Nietzsche, sono le nostre più grandi bugie – sulla base delle quali stiamo sistematicamente depredando e avvelenando il pianeta.
Il gruppo è in estasi, l’atmosfera è meravigliosa, ma l’avventura non è ancora finita: le mie compagne di viaggio sono pronte per qualcosa di più.
Così le cose cambiano all’improvviso: i nostri biglietti prenotati per la transiberiana vengono commutati in un viaggio in auto che sulle prime ci appare assurdo: 18 ore di strada non stop – se non per qualche pipì e una cena veloce – guidate da un autista instancabile, al punto da farci pensare che possa essere bionico.
Nel corso dei viaggi nell’ underworld bisogna sempre essere pronti a qualsiasi improvviso cambiamento. Il programma, se si è portato, va stracciato nei primi giorni.
Quello che sembrava uno sforzo stancante si tramuta presto in un viaggio verso il paradiso.
I paesaggi, già magnifici, diventano sempre più belli: l’Altai è uno dei luoghi più sconvolgentemente belli del pianeta.
L’Altai, uno dei paesaggi naturali più belli del pianeta
Non solo gli sciamani più potenti sono difficili da conoscere, ma anche i luoghi che essi abitano sono profondamente nascosti e difficili da raggiungere, proprio come le lande più magiche e segrete della nostra psiche. Anche quelle 18 ore filate di auto ci sembrano ora un rituale sacro indispensabile per poter raggiungere ciò che non puoi cercare ma solo sperare che venga a te non appena sei pronto a riceverlo. Un rituale in cui bruciamo i facili giudizi e i dubbi della mente.
L’Altai è pieno di poesia. Qui conosciamo una sciamana che vede nelle pietre gli spiriti, gli dei e i numi e dipinge sulle ossa di animale le visioni che le appaiono.
Nella visione sciamanica, mi aveva spiegato Vassili, lo sciamano nero della Buriazia, l’anima è vista come trina. In effetti, in natura il numero uno non esiste, esso è un concetto astratto inventato dalla mente umana. Quello della molteplicità delle anime era un concetto che avevo già appreso presso gli sciamani della Mongolia. Secondo Vassili, noi possediamo un’anima padre, una anima madre e un’anima della reincarnazione. Al momento della morte fisica, l’anima madre torna ad essere un tutt’uno con la natura. Questo processo di re-integrazione dell’anima madre ha inizio diverso tempo prima della cosiddetta morte clinica, durante tale processo gli elementi che ci compongono, terra, acqua, fuoco e aria, intraprendono il cammino che li riporterà alla loro origine. La nascita, infatti, è data dall’aggregarsi degli elementi primari, la morte è data dalla disgregazione degli elementi che tornano ciascuno alla propria origine.
Nel momento in cui il cuore si ferma, seguendo la descrizione di Vassili, l’anima padre si rifugia nelle vertebre cervicali e qui permane per un certo periodo fino a che trova dimora in un sasso o in un albero. L’anima della reincarnazione, al momento della morte, prende dimora nell’osso pubico e qui permane fino a che l’osso non si spezzi, allora l’anima inizia la propria migrazione dalla morte alla successiva rinascita. L’anima padre porta in sé la memoria della vita trascorsa e di tutte le precedenti esistenze. Gli sciamani quando trovano un sasso o un albero in cui vi è rifugiata un’anima padre possono vedere in esso la caratteristica principale dell’anima rifugiata.
La sciamana pittrice ci mostra un sasso in cui è visibile la sagoma di uno sciamano danzante, dicendoci che si tratta del più prezioso tesoro che lei di possiede. Poi ci mostra altre pietre: in una si vede chiaramente l’immagine di un Buddha seduto in postura meditativa con tanto di corona di luce, in un’altra l’immagine di un cacciatore.
Salutiamo la sciamana, pittrice e visionaria, per recarci a casa di una sua collega. Si tratta di una sciamana scrittrice e canta storie – proprio come gli antichi sciamani, bardi e poeti – essa ci narra il futuro del pianeta e poi fa per noi un rito grazie al quale, come lei dice, ci “apre le porte”.
Che il rito abbia funzionato o no, sta di fatto che adesso possiamo davvero “vedere”: le aquile, messaggeri del mondo infero, volano in cielo e due arcobaleni meravigliosi incorniciano il loro cielo, che è anche il nostro. Siamo pronti per l’incontro con la montagna sacra.
L’aquila è simbolo di buon auspicio presso gli sciamani, rappresenta il mondo infero ed è segnale dell’arrivo degli spiriti. Nel campo di yurte dove dormiremo, un esperto di sciamanismo dai capelli grigi ci attende per parlarci di come i sogni siano una piccola morte, di come sia possibile governarli, ma soprattutto per mostrarci l’amore incondizionato per la natura.
Uch-Emnmek, maestro di ecologia profonda
Lui ci chiede di chiamarlo Uch-Enmek, come la montagna sacra che dà il nome al parco naturale dove ci troviamo. Uch-Enmek è la montagna sacra dell’Altai, il suo nome significa “Tre Corone”. i locali credono nel potere purificatore di questa montagna e della valle che si estende ai suoi piedi, la valle di Karakol, luogo sacro per molte culture che qui si sono succedute. I locali sostengono che tutti gli ospiti lasciano questi luoghi con pensieri puri e grande potere d’amore. Dal punto di vista archeologico, la valle di Karakol è una delle più ricche nella zona dei Gorny Altai. I ritrovamenti più antichi – tumuli funerari associati alla singolare cultura Karakol – sono paleolitici. Alcuni ritrovamenti hanno suggerito che questa non fu solamente una necropoli per persone di ere diverse, ma anche uno dei più grandi santuari dell’Altai, che include strutture rituali, steli, ed un grande numero di capolavori in roccia. Secondo Uch-Enmek qui vi fu anche un osservatorio astronomico, che doveva essere persino una stazione con la quale era possibile comunicare con altri mondi. Nei tumuli funerari i cadaveri venivano sepolti con molto oro perché, ci spiega sempre Uch-Enmek,l’oro era al contempo un simbolo di protezione e un mezzo per parlare con gli Esseri di altri mondi. L’Altai è pieno d’oro, lo stesso oro a cui alludeva Platone, quando scriveva che i grifoni difendono l’oro dell’Altai, il medesimo oro sepolto insieme alla Principessa dell’Altai. Si tratta della mummia di una ragazza di venticinque anni che porta grandi, misteriosi tatuaggi che l’hanno fatta ritenere un’antica sciamana. La mummia della Principessa dell’Altai risale a 2.500 fa ed oggi è chiusa in una teca protetta in un museo costruito nella regione di Gorny Altai appositamente allo scopo di ospitarla. La cosa più strana è che la Principessa dell’Altai doveva avere, secondo gli studi effettuati, sangue ariano e tratti somatici europei, e non mongoli.
L’Altai è pieno di misteri archeologici e non. Uch-Enmek, che si rivela un vero maestro di ecologia profonda, ci porta a vedere i Menhir di cui non solo la valle di Karakol, ma tutto l’Altai è punteggiato: enormi pietre erette, disposte a cerchio da uomini vissuti nell’età del Bronzo e scolpite con pitture rupestri raffiguranti non solo animali e scene di caccia, ma anche – come possiamo vedere un paio di giorni più tardi, spostandoci nel complesso megalitico di Tarhatinskogo, lo Stonehenge dell’Altai – i simboli dei tre mondi della cosmo-visione sciamanica: il mondo sotterraneo, il mondo di mezzo e il mondo dei cieli.
Lo sciamanismo è la religione più antica sul pianeta, la religione di natura, il culto della Grande Madre. Se si scava profondamente nel cuore di ogni religione umana vi si trova il battito del cuore di quella prima sciamana sulla terra e il senso di un’ecologia profonda che indica la via per salvare il nostro pianeta morente. Così, per esempio, al centro del rituale cristiano troviamo l’Eucarestia, quel rito nel quale si beve simbolicamente sangue umano e si mangia simbolicamente carne umana, a ricordare il mistico sacrificio.
Gli sciamani dell’Altai ci parlano di una religione del futuro che nascerà dall’antichità, per mezzo del risveglio del cuore profondo di ogni religione esistente e le riunirà tutte in un unico afflato d’amore per la terra, in una volontà di pace e di rinascita del pianeta.
Così, dopo aver viaggiato nel mondo infero, proprio nel punto più basso – come successe a Dante – anche a noi capita di trovare il passaggio che ci conduce in cielo. L’Altai è uno degli ultimi paradisi terrestri, bisogna visitarlo, ma non in un viaggio turistico, bensì nel raccoglimento di un’avventura dell’anima.
Se sei interessato ai viaggi di Selene Calloni Williams visita il sito: www.voyagesillumination.com oppure: www.nonterapia.ch
© Selene Calloni Williams – testo e fotografie
Sciamanesimo siberiano ed ecologia profonda | BioGuida Edizioni
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