“La sorte dell’anima” è un’opera di Bertoldo di Giovanni (1420-1491) conservata nella Villa Medicea di Poggio a Caiano. Si tratta di un fregio in terracotta invetriata lungo quindici metri, probabilmente commissionato all’artista fiorentino, allievo di Donatello, da Lorenzo il Magnifico.
È stato detto a ragione che tutta la filosofia moderna costituisce una riflessione ininterrotta sul pronome «io». Una sovrabbondanza egologica sicuramente nata dal celebre assillo cartesiano, che tutti ha tormentato sui banchi del liceo. Potrei dubitare di tutto ciò di cui è possibile dubitare – pensa in sostanza Descartes – ma non posso dubitare di questo mio io che sta dubitando. Chi starebbe dubitando, altrimenti? Se dubito, dunque, sono, esisto… Gli ermetisti, o chiunque nei secoli a venire si sia rifatto a una trafila sapienziale, «gnostica», hanno sempre e pulitamente ignorato i ragionamenti cartesiani, ritenuti capziosi e vani. All’adepto di Hermes non interessa l’«io», il soggetto pensante, l’anima empirica, se non nel quadro di una grande «confederazione di anime» che diviene un tutt’uno con la mente universale, l’Anthrōpos primigenio. Kremmerz dice in fondo la stessa cosa quando asserisce che l’«anima embrione» deve risvegliarsi dal sonno d’incoscienza e divenire una cosa sola con il principio solare, aureo.
Ho preso in prestito l’espressione «confederazione di anime» da un romanzo recentemente letto, si tratta di Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi, (Feltrinelli, Milano 1994), da cui è stato tratto anche un film per la regia di Roberto Faenza (Portogallo-Italia-Francia 1995, 104’). I forti contenuti «politici» che contraddistinguono l’opera non escludono però un’interpretazione «iniziatica» dell’opera, principalmente in relazione al protagonista, il prof. Pereira, e alla sua metanoia, cioè alla sua vicenda di trasformazione etica e spirituale. Essa è segnata non a caso dall’incontro con un giovane medico, il dottor Cardoso.
Cardoso è un seguace di quelli che egli chiama médecins-philosophes, i «medici-filosofi» Théodule-Armand Ribot (1839-1916) e il discepolo Pierre Janet (1859-1947). Janet, sappiamo dalla storia, anticipò di qualche anno le ricerche di Freud; anzi, esistono fondati motivi per sospettare che il concetto freudiano di inconscio provenga proprio da Janet. Cardoso pone a Pereira una domanda cruciale: «Conosce i médecins-philosophes che sostengono la teoria della confederazione delle anime?». Non esiste una sola anima come vorrebbe la tradizione cristiana, bensì una personalità formata dall’unione di molteplici anime, stati diversi controllati da un «io egemone».
Un’abbondanza di fittizie identità si avvicenda nella mente dell’uomo, sino a quando un io risolutore, egemone, non prende il sopravvento mettendo ordine nella cozzaglia di anime. Una dottrina analoga è insegnata dall’esoterista caucasico G.I. Gurdjieff, anch’egli convinto che la vita dell’uomo si possa sviluppare in una tetrade di corpi, di cui solo il quarto, il «corpo astrale» è da ritenersi «immortale nei limiti del sistema solare» (cfr. P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Ubaldini-Astrolabio, Roma 1976, p. 108). Per Gurdjieff il «corpo astrale» è un agile metodo di comunicazione a distanza, una sorta di «telefono senza fili», ma anche un veicolo per muoversi nella molteplicità dei mondi visibili e invisibili (op.cit., pp. 110-111). Un corpo che può essere fabbricato a partire da una sapiente manipolazione dell’energia sessuale (op. cit., pp. 284-285) oppure da un intelligente e «furbo» uso di sostanze psicoattive (op. cit., p. 60).
Origini gnostiche L’insegnamento dispensato dal Maestro di Portici, non è quindi un evento isolato nella costellazione filosofica ed esoterica a lui contemporanea. Altri con premesse simili hanno avvicinato la tematica dell’anima, ma è peculiare di Kremmerz quel suo stile misterico, teurgico, incline nel rivelare a piccole dosi i segreti ermetici. Uno stuolo di studiosi s’è poi industriato nel ricercare le fonti del Maestro, isolate a partite da un cenacolo neoplatonico e partenopeo. Ma ciò che v’è di più accattivante risale alle origini ermetiche dell’insegnamento kremmerziano.
Origini che si perdono nella notte dei tempi e che raggiungono forse la conventicola gnostica di amici-nemici di Plotino. Plotino, col suo seguito di discepoli sarà a Roma attorno al 235 d.C.. E vorrà fondare una città di iniziati, Platonopoli, mentre polemizzerà contro gli Gnōstikoi di una cerchia esoterica attestata in Alessandria, Cartagine, Roma e altrove. In origine questi «settari», come li chiama Porfirio, (Vit. Plot. 16, 1 [Faggin, pp. 24-25]) erano espressione di una gnosi al crocevia di speculazioni giudeo-iraniche e «filosofia antica»: tra i loro scritti troviamo i perduti e misteriosi testi «di Alessandro di Libia, di Filocomo, di Demostrato di Lidia», nonché le «Apocalissi di Zoroastro, di Zostriano, di Nicoteo, di Allogeno, di Meso» ( Vit. Plot 16, 4-7 [Faggin, pp. 24-25]).
Sempre nell’area romana il sommo retore e giurista Marco Tullio Cicerone (De div. 1, 64) apprende alla scuola di Posidonio di Apamea, nell’isola di Rodi, il fondamentale insegnamento sull’aria quale dimora delle anime disincarnate e immortali (plenus aer sit immortalium animorum), che si rendono visibili nei sogni degli uomini: originate nel Sole, le anime vi farebbero ritorno dopo un periodo di permanenza catartica sulla Luna.
Di dove provengono questi insegnamenti?
Quando Posidonio viaggiò a Cadice, nei pressi di Gibilterra, per studiare i flussi e i riflussi delle maree oceaniche (Strabone III, 5, 7-8 = Vimercati [Milano 2004], pp. 142-147), comprese che questi fenomeni erano legati alle fasi e agli aspetti della Luna. Dall’osservazione di questo e di altri fatti analoghi egli dedusse che esisteva una simpatia, una sincronicità che lega gli uomini al tutto, una sympatheia tôn olôn.
Una filosofia che era ben accolta nelle cerchie alessandrine, poiché serviva da paravento per chi voleva addentrarsi nei segreti delle scienze occulte quali l’alchimia e l’astrologia, molto popolari al tempo. L’Asclepio ermetico, per esempio, non fa eccezione a questi dettami. Nel primo capitolo l’autore enuncia il fondamento dell’intera opera: omnia unius esse aut unum esse omnia «Tutte le cose appartengono all’Uno e quest’Uno è tutte le cose» (Ramelli, pp. 514-515). Il tutto è unità e molteplicità, poiché parte di una simpatia cosmica che permea l’intero universo. Un asserto che accomuna Ermete Trismegisto a Posidonio e agli Gnostikoi.
Nel sistema gnostico del «Secondo Libro di Jeu» (e genericamente in entrambi i «Libri di Jeu»), la suprema e ultima realtà delle realtà è il Tesoro di Luce, già celebrato come sommo Iddio. Dimensione in cui, prescindendo dai sensi corporei, si tesse la vicenda umana e mondana. Egli si manifesta ambiguamente alla mente umana come Arconte, forma epifanica del male che attraverso l’opera demiurgica scandisce la vicenda dell’Universo, e come Aiôn, l’eternità dell’istante che è la realtà interiore cosmica e psicofisica (cfr. R.B. Onians, Le origini del pensiero europeo [Ramo d’oro, n. 31], Adelphi, Milano 1998) dell’essere umano.
La pratica rituale di questo sistema gnostico (II Jeu 46 [Schmidt-MacDermot, p. 110, 13-14]) consiste nella cosciente interiorizzazione dei principî cosmici (i «Nomi eterni») scaturiti dal Tesoro di Luce, creando dentro l’uomo il Cristo, il Paralêmptôr nominato come Zorokothora-Melchisedek, che viene ad essere il mediatore fra i due aspetti della realtà universale, quello demiurgico, esteriore, e quello eonico, interiore. L’Aiôn come tale comporta per l’uomo un potere di mutazione e di morte che nel non-liberato (l’«hylico» o lo «psichico») si esprime come Heimarmene, l’ineluttabile flusso del divenire, il kyklos delle rinascite che il furbo Kremmerz vuole gabbare.
Il conseguimento gnostico implica una realizzazione spirituale o «archetipica», sintetizzata nel magico «Sigillo dello Spirito Santo» (II Jeu 47 [Schmidt-MacDermot, p. 112]), la via verso la liberazione e l’immortalità. Al di fuori della rappresentazione soggettiva umana, la Luce domina la Tenebra, ma l’uomo comune non penetra la Tenebra poiché non possiede il principio della Luce con cui scrutare l’intima e ultima realtà, il principio intuitivo e unitivo della mente, il Noûs di cui favellano anche Ermetici e Neoplatonici.
(Tratto da ereticamente.net)
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