Intervista a
Giovanni Filoramo
Giovanni Filoramo insegna Storia del Cristianesimo presso la Facoltà di Lettere
dell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni: L’attesa della fine:
storia della gnosi, Religione e ragione tra Ottocento e Novecento, Il
risveglio della gnosi, ovvero diventare dio, Cristianesimo e
società antica. È curatore di volumi sulla storia delle religioni e sulla
storia del cristianesimo.
Perché l’eucaristia, sacramento centrale della religione cristiana, si
serve di pane e vino? Tra pane e sacro esiste una relazione precedente al
cristianesimo?
Il pane, come altri cibi, è stato usato ben prima dell’avvento del
cristianesimo in riti religiosi come oggetto da offrire alla divinità. Dall’Epopea
di Gilgamesh, un racconto epico di fondamentale importanza della religione
babilonese, apprendiamo che già nel secondo millennio a.C. il pane era offerto
agli dèi come oggetto consacrato. Anche in altre culture del Mediterraneo
antico, in cui si coltivava il grano e l’alimentazione era incentrata sul
consumo dei cereali, il pane ha avuto un posto d’onore nei rituali. Soltanto
nel cristianesimo, d’altro canto, la consacrazione del pane e il suo sacrificio
in quanto «corpo di Cristo» hanno assunto un valore così centrale e assoluto.
Su questo punto, il cristianesimo si differenzia dalle religioni classiche come
quella greca e quella romana. Per i greci, il cibo privilegiato offerto nei
grandi sacrifici pubblici – che costituivano il cuore della religione delle
città greche – era la carne degli animali uccisi per essere offerti alle varie
divinità. Questa carne era cotta e offerta alla divinità nelle parti ritenute
più preziose, mentre il resto veniva diviso tra i sacerdoti officianti e
distribuito al popolo che partecipava al rito.
Anche i greci avevano una divinità protettrice dei cereali (e dunque del pane),
Demetra, in onore della quale, a partire dal vii secolo a.C., si celebrarono in una cittadina vicino
ad Atene, Eleusi, riti misterici celebri. Proprio, però, la natura misterica di
questi riti, che impediva agli iniziati di svelarne il contenuto, ci impedisce
di sapere se per esempio a Demetra fosse offerto in sacrificio il pane.
Se si vuole trovare un precedente al rito cristiano, occorre guardare alla
religione dell’Israele antico. In alcune antiche feste ebraiche, attestate
nell’Antico Testamento, sono presenti usi sacrali del pane. Per Shavu’ot, la
festa del raccolto o Festa delle Settimane, ad esempio, gli israeliti recavano
al loro Dio come oblazione due pani di grano. Questa festa aveva luogo
cinquanta giorni (sette settimane) dopo la Pasqua e divenne perciò nota col
nome greco di Pentecoste: commemorava il giorno in cui Mosè ricevette le Tavole
della Legge sul monte Sinai. Vi era poi Hag ha-Matsot, la festa del Pane
Azzimo, una delle tre grandi feste agricole celebrate dagli israeliti dopo il
loro stanziamento nella terra di Canaan. Essa era originariamente un rito di
ringraziamento all’inizio del raccolto del grano, ma più tardi venne unita alla
festa pastorale nomade della Pasqua, la commemorazione storica dell’uscita di
Israele dall’Egitto. Per sette giorni gli ebrei mangiavano solo pane non
lievitato, come segno di un nuovo inizio. Un precedente importante del rito
cristiano è, infine, il «pane della presenza», che gli israeliti erano soliti
deporre davanti al Santo dei Santi nel Tempio di Gerusalemme (Levitico 24,5-9):
sopra una tavola, su due pile, venivano poste dodici focacce di pura farina di
grano, rappresentanti le dodici tribù di Israele e la loro alleanza eterna con
Jahvé. Ogni sabato esse venivano rimpiazzate e mangiate dai sacerdoti. Proprio
questi precedenti, d’altro canto, aiutano a comprendere meglio la profonda e
radicale novità rappresentata dal rito cristiano, che presuppone
l’identificazione di Gesù come «pane di vita» (Giovanni 6) col pane offerto dal
sacerdote. Se si vuole trovare un parallelo occorre guardare a una religione
lontana nel tempo e nello spazio, una religione tipicamente sacrificale come
quella degli aztechi. Essi usavano fare un impasto simile al pane dai semi del
papavero e lo modellavano a forma del dio Huitzilopochtli. Questo pane a forma
di figura umana veniva poi spezzato e mangiato dai sacrificanti, con lo scopo
di «mangiare il dio» per assimilarne sostanza e poteri.
Anche il vino ha avuto un uso religioso prima del cristianesimo? Qual è lo
specifico cristiano?
Quanto al vino, occorre partire da una premessa: come nel caso del pane l’uso
rituale e sacro ha come premessa indispensabile la presenza della coltura dei
cereali, così l’uso rituale e sacro del vino ha come premessa necessaria la
coltura della vite. Ora, nel mondo mediterraneo antico che fa da sfondo al
sorgere e alla diffusione del cristianesimo, la coltura della vite non era
altrettanto diffusa di quella dei cereali. Non dovremo, di conseguenza,
stupirci, che un uso rituale e sacro del vino sia presente in quei paesi, come
l’Egitto, Israele, la Grecia e Roma, dove la coltivazione della vite e l’uso del
vino sono largamente attestati. Occorre inoltre tenere presente una seconda
caratteristica delle antiche culture del vino: il fatto che esso per lo più
venisse consumato mescolato a quantità variabili di acqua. Il vino, infatti,
come insegna in Grecia la vicenda del dio che ne è il simbolo, Dioniso, ha una
doppia valenza, positiva e negativa: può curare dai malanni, donare l’ebbrezza
momentanea che libera da affanni e preoccupazioni, favorire in certi casi
addirittura l’estasi che permette di congiungersi alla divinità; ma, preso in
quantità eccessiva, è pericoloso e può condurre alla follia o alla morte. Per
questo, in varie mitologie, nella sua purezza e integrità, esso è la bevanda
degli dèi, che garantisce loro l’immortalità.
Torniamo ora al suo uso sacrificale. Vi sono precedenti all’uso rituale e
sacrificale cristiano. In Egitto a lungo il vino è stato, insieme alla birra,
l’offerta sacrificale più diffusa. Non a caso, nei Testi delle piramidi il
cielo viene descritto come una vigna divina e il defunto potrà, dopo la sua
morte, goderne i frutti. È in Grecia, però, che il vino acquista, in
collegamento con la figura misteriosa di Dioniso, una valenza sacrificale
particolare. Nella tragedia di Euripide Le Baccanti, il dio è
identificato col vino: «È lui che, nato dio, viene versato come offerta agli
dèi…» (v. 284). Dioniso viene dunque identificato con la sostanza stessa del
vino offerto nel sacrificio agli dèi, secondo un modello che si ritrova
peraltro nel sacrificio del soma, una bevanda simile al vino, nei testi più
antichi dell’induismo, i Veda. D’altro canto, il sacrificio
cristiano si distingue da quello dionisiaco perché ora a essere identificato
col vino è un personaggio storico in carne e ossa: Gesù, e per il valore di
memoriale che lo stesso Gesù assegna a questa consacrazione nell’ultima cena di
quell’evento fondante e specifico del cristianesimo che è la sua passione,
morte e risurrezione.