Sekhmet, la dea leonessa..
Statua della Dea Sekhmet, Musei Vaticani
Tra le dee egizie, una delle più rappresentate nei principali musei del mondo è la temibile Sekhmet, dalla testa di leonessa: una dea che regna su una schiera di suoi geni emissari, che percorrono la terra, portando carestie e malattie, specialmente nei periodi critici di transizione tra particolari momenti del calendario . Secondo il credo egizio, per placare Sekhmet, definita come “colei la cui potenza è tanto grande quanto l’infinito“, bisognava ricorrere a particolari amuleti o statuette che la raffiguravano, e così la sua forza malefica veniva trasformata in bene.
A un faraone della XVIII dinastia, che disponeva di enormi risorse, si devono centinaia di statue di Sekhmet giunte in parte fino a noi. Parliamo del grande Amenhotep III, noto anche con il suo nome ellenizzato in Amenofi III, durante il cui regno la dea godette di un ampio culto. Le iscrizioni presenti nelle statue dell’epoca formano una lunga litania, che evoca una fiamma divina che respinge il dragone infernale e allontana i nemici del faraone. Era proprio grazie alla forza distruttiva di Sekhmet che Amenhotep III poteva conservare il suo potere
.Per il recinto del suo tempio funerario a Tebe ovest (odierna Karnak), il faraone fece realizzare 365 statue di Sekhmet, una per ogni giorno dell’anno: indubbiamente doveva trattarsi di una delle sequenze di statue più impressionanti dell’antico Egitto. Successivamente, in seguito a un terremoto avvenuto intorno al 1200 a.C., il tempio fu fortemente danneggiato e a partire dall’età Ramesside alcune statue furono riutilizzate e trasferite in altre località, sia della Valle del Nilo che del Delta. Uno dei più significativi trasferimenti fu operato durante la XXI dinastia, quando il primo sacerdote di Amon e futuro sovrano Pinedjem I fece trasferire decine di queste statue nel tempio della dea Mut a Karnak.
Statua della Dea Sekhmet, Musei Vaticani
Tra le dee egizie, una delle più rappresentate nei principali musei del mondo è la temibile Sekhmet, dalla testa di leonessa: una dea che regna su una schiera di suoi geni emissari, che percorrono la terra, portando carestie e malattie, specialmente nei periodi critici di transizione tra particolari momenti del calendario . Secondo il credo egizio, per placare Sekhmet, definita come “colei la cui potenza è tanto grande quanto l’infinito“, bisognava ricorrere a particolari amuleti o statuette che la raffiguravano, e così la sua forza malefica veniva trasformata in bene.
A un faraone della XVIII dinastia, che disponeva di enormi risorse, si devono centinaia di statue di Sekhmet giunte in parte fino a noi. Parliamo del grande Amenhotep III, noto anche con il suo nome ellenizzato in Amenofi III, durante il cui regno la dea godette di un ampio culto. Le iscrizioni presenti nelle statue dell’epoca formano una lunga litania, che evoca una fiamma divina che respinge il dragone infernale e allontana i nemici del faraone. Era proprio grazie alla forza distruttiva di Sekhmet che Amenhotep III poteva conservare il suo potere
.Per il recinto del suo tempio funerario a Tebe ovest (odierna Karnak), il faraone fece realizzare 365 statue di Sekhmet, una per ogni giorno dell’anno: indubbiamente doveva trattarsi di una delle sequenze di statue più impressionanti dell’antico Egitto. Successivamente, in seguito a un terremoto avvenuto intorno al 1200 a.C., il tempio fu fortemente danneggiato e a partire dall’età Ramesside alcune statue furono riutilizzate e trasferite in altre località, sia della Valle del Nilo che del Delta. Uno dei più significativi trasferimenti fu operato durante la XXI dinastia, quando il primo sacerdote di Amon e futuro sovrano Pinedjem I fece trasferire decine di queste statue nel tempio della dea Mut a Karnak.
Nessun commento:
Posta un commento