venerdì 25 gennaio 2019

Un vecchio articolo di Carlo Mattongo sui Protocolli


Evola e la veridicità dei “Protocolli”


EVOLA E LA VERIDICITA’ DEIPROTOCOLLI
di Carlo Mattogno, 1989
La credibilità dei “Protocolli dei Savi Anziani di Sion” in Italia deriva essenzialmente dal contributo di J. Evola alla presentazione della questione. Questo contributo è costituito principalmente da due saggi pubblicati nell’edizione dei “Protocolli” curata da G. Preziosi nel 1938, dalla quale sono passati nelle riedizioni successive: l’ Introduzione e lo scritto L’autenticità deiProtocolliprovata dalla Tradizione ebraica, da noi già esaminato in un articolo precedente[1]. Qui analizziamo l’ Introduzione suddetta, approfondendo la questione dell’autenticità e affrontando quella della veridicità dei “Protocolli”. * * *
Nell’Introduzione all’edizione de IProtocollideiSavi Anzianidi Sion curata da Giovanni Preziosi nel 1938[2], Evola asserisce che
«quand’anche (cioè: dato e non concesso) i “Protocolli” non fossero autentici nel senso più ristretto, è come se essi lo fossero, per due ragioni capitali e decisive:
1) Perché i fatti ne dimostrano la verità;
2) Perché la loro corrispondenza con le idee-madre dell’Ebraismo tradizionale e moderno è incontestabile» (p. 10).
Questa corrispondenza risulterebbe dal saggio di Evola L’autenticità deiProtocolliprovata dalla Tradizione ebraica, pubblicato nell’Appendice dell’opera summenzionata[3], al quale egli fa esplicito riferimento alcune pagine dopo:
«In appendice, il lettore troverà un saggio di precisa documentazione, sulla base di citazioni di testi e di dichiarazioni di rappresentanti anche contemporanei dell’Ebraismo, di questa “tradizione” d’Israele. Su tale base, la convergenza teoretica fra l’essenza dei “Protocolli” e quella dell’Ebraismo è incontestabile, e si giunge alla conseguenza, che quand’anche i “Protocolli” fossero stati inventati, l’autore avrebbe scritto quel che Ebrei fedeli alla loro tradizione e alla volontà profonda d’Israele penserebbero e scriverebbero» (p. 26, corsivo nostro).
Evola è dunque assertore dell’autenticità dei “Protocolli” in virtù di questa presunta convergenza. Tuttavia, in primo luogo, nell’articolo Evola e l’autenticità deiProtocolli[4] abbiamo dimostrato che il saggio in questione è documentariamente inconsistente e privo di valore scientifico, per cui, asserire questa presunta convergenza – e conseguentemente sostenere l’autenticità dei “Protocolli” – sulla base di esso, è arbitrario e abusivo.
In secondo luogo, la convergenza in questione è in realtà puramente formale. In effetti, ciò che caratterizza essenzialmente i “Protocolli” e li differenzia nettamente dal messianismo ebraico, è il fatto che i primi presentano un piano strategico di dominio mondiale perseguito da secoli, mentre l’altro esprime una semplice aspirazione al dominio mondiale sulla base delle profezie bibliche[5], come riconosce Evola stesso quando dichiara che «l’essenza della Legge ebraica» è
«la promessa, che il Regno universale d’Israele, prima o poi, verrà, e che tutti i popoli debbono soggiacere allo scettro di Giuda» (p. 25, corsivo nostro).
La concezione autocratica dei “Protocolli” è per di più in aperta contraddizione con quella messianica dell’ebraismo: essa nega la funzione cosmologica e soteriologica del Messia, istauratore, per volontà e per elezione di Jahveh, di una specie di “età dell’oro”[6]. In altre parole, mentre, secondo la concezione ebraica, il Messia darà agli Ebrei il dominio spirituale e materiale del mondo[7], i “Savi di Sion” danno il dominio del mondo al “Messia”, scambiando l’effetto con la causa. Ora, dal punto di vista di Ebrei «fedeli alla loro tradizione», questa concezione è evidentemente aberrante.
In terzo luogo, in questa presunta convergenza Evola trascura arbitrariamente proprio lo scopo ultimo perseguito dai “Savi di Sion” col loro piano di dominio mondiale, l’avvento di quel Patriarca Mondiale (Protocollo V) che dovrebbe corrispondere, nell’ipotesi evoliana, al Messia della tradizione ebraica e al cui “Regnum” Evola attribuisce caratteri di trascendenza:
«Quel che piuttosto è dubbio, è la natura vera dei fini ultimi di quest’azione incontestabile. La parte problematica dei “Protocolli” è quella riferentesi alla ricostruzione, non alla distruzione. Quando il Nilus ravvicina apocalitticamente l’ideale ultimo dei “Protocolli” alla venuta dell’Anti-Cristo (idea fissa dell’anima slava), fa semplicemente della fantasia. Vero è invece che un tale ideale, in fondo, non è né più né meno che quello imperiale, e perfino in una forma superiore: un’autorità assoluta e inviolabile di diritto divino, un regime di caste, un governo nelle mani di uomini, che posseggono una conoscenza trascendente e ridono di ogni mito razionalistico, liberale e umanitario; difesa dell’artigianato, lotta contro il lusso» (p. 29).
Evola aggiunge che
«se tale fosse il fine vero, tutto, in fondo, potrebbe ricevere una giustificazione. Ma questo, per noi, è una fantasia» (p. 30, corsivo nostro),
e conclude:
«Sulla parte dell’Ebreo in tutto ciò, abbiamo già detto, e noi crediamo abusivo supporre che tutto ciò che egli ha fatto, lo abbia fatto avendo in vista l’ideale dell’impero spirituale, quale i “Protocolli” lo descrivono» (p. 30).
Pertanto, per Evola, «la convergenza teorica fra l’essenza dei “Protocolli” e quella dell’Ebraismo» si realizzerebbe soltanto nell’aspetto distruttivo del piano strategicoo dei “Protocolli”, ma non in quello costruttivo, che in realtà è il fine precipuo di entrambe. Vedere in quest’aspetto costruttivo «una fantasia» significa, in virtù della (presunta) corrispondenza suddetta, privare il piano dei “Savi di Sion” del loro scopo essenziale e la tradizione ebraica del Messia.
In conclusione, se si ammette la convergenza suddetta, è necessario ammettere anche la convergenza costruttiva tra l’ideale messianico ebraico e l’ideale del Patriarca Mondiale dei “Protocolli”, il cui piano distruttore in funzione del “Regnum” potrebbe effettivamente – o addirittura dovrebbe – «ricevere una giustificazione». Per evitare di dover giungere a questo logico riconoscimento, Evola liquida la questione asserendo che, quand’anche gli Ebrei avessero attuato il loro piano sovversivo in vista dell’ideale dell’impero spirituale,
«per noi, che non siamo Ebrei, significherebbe lo stesso, perché contestiamo il diritto di Israele di considerarsi il “popolo eletto” e di rivendicare per sé un impero che avrebbe per presupposto la soggezione di ogni altra razza» (pp. 30-31).
Ora, se il “Regnum” agognato dai “Savi di Sion” ha effettivamente, come asserisce Evola, caratteri di trascendenza, il combatterlo sulla base di una motivazione così individualistica, cioè perché non si è ebrei, è chiaro indice di spirito sovversivo e antitradizionale.
Queste considerazioni sono suscettibili di ulteriori sviluppi.
In un articolo dedicato alla questione del “Regnum”, Evola rileva, con Ulrich Fleischhauer,
«che appunto la presenza, nei “Protocolli”, di questo secondo aspetto è una delle più forti prove contro coloro, per i quali i “Protocolli” sarebbero stati creati di sana pianta dalla polizia segreta zarista e, in genere, dagli antisemiti, per attizzare l’odio contro gli Ebrei. Sarebbe stato semplicemente infantile – rileva giustamente il Fleischhauer – far figurare in un documento inventato a questo scopo siffatte idee circa l’impero sacrale e spirituale, oltreché circa un dominatore, che dovrebbe apparire come uno specchio del mondo e un inviato di Dio e riconoscere come suo primo compito il distruggere, in sé e nei suoi sudditi, tutto ciò che obbedisca alla voce irrazionale dell’istinto e dell’animalità»[8].
A noi ciò non sembra affatto infantile, ci sembra anzi una conseguenza necessaria di tale ipotesi. In effetti, dei falsari antisemiti avrebbero potuto giustificare il piano distruttivo da essi elaborato nei “Protocolli” esclusivamente in funzione del messianismo e dell’era messianica, questo essendo l’unico modo per attribuire proprio agli Ebrei, e non ad altri, il piano distruttivo. Infatti è appunto il “Regnum” messianico il filo conduttore del saggio di Evola L’autenticità deiProtocolliprovata dalla Tradizione ebraica. E non è forse Evola stesso a dichiarare che l’autenticità dei “Protocolli” è fondata sulla convergenza tra l’essenza dei “Protocolli” – il dominio universale – e l’essenza della tradizione ebraica, cioè, in particolare, la promessa dell’avvento del “Regno universale d’Israele”?
Dopo aver scartato quest’ipotesi, Evola prende in considerazione quella opposta, chiedendosi:
«Ma se è così, come spiegare, nei “Protocolli”, la compresenza della superiore idea del “Regnum”? Che relazione può mai avere questa idea con la congiura internazionale ebraico-massonica e con i capi mascherati di essa?»[9].
La risposta è che la manifestaziome medievale e ghibellina
«dell’antica idea del “regno invisibile” e di un ordine di templari, cavalieri o iniziati agenti in funzione di esso e uniti occultamente»
subì a poco a poco
«una trasformazione e un capovolgimento, atti a condurre fino ai miti propri alla massoneria e ai “Savi di Sion”»[10].
Per quanto concerne l’aspetto specificamente ebraico della questione, Evola precisa che
«non l’antica idea ebraica messianica, ma la degenerazione e materializzazione di essa è il vero punto di riferimento delle forze sovvertitrici volte alla distruzione definitiva della nostra civiltà e ad un dominio satanico su tutte le forze della terra»[11].
Ora, proprio questa inversione dell’ideale del “Regnum”, conseguente all’inversione di quelle “organizzazioni occulte” legate al polo imperiale che
«furono vittime delle forze da esse evocate, in un primo tempo, solo in funzione di finalità ulteriori, di ideali di rigenerazione o restaurazione»,
per Evola «risolve e illumina il problema» iniziale della
«singolare coesistenza, in documenti come i “Protocolli”, di elementi contraddittori, cioè il fantasma di qualcosa, come un “Sacrum Imperium”, associato a piani, che corrispondono esattamente all’azione sistematica, svolta e in via di svolgersi, delle forze occulte del sovvertimento mondiale»[12].
In realtà questa risposta non spiega nulla. Essa sarebbe valida se i “Protocolli” presentassero la contraffazione “satanica” dell’ideale del “Sacrum Imperium”, ma Evola stesso ammette che l’ideale in essi propugnato
«in fondo, non è né più né meno che quello imperiale, e perfino in una forma superiore» (p. 29, corsivo nostro).
Ma allora come spiegare la presenza dell’ideale del “Regnum” espresso nella sua purezza in un piano che mira «ad un dominio satanico su tutte le forze della terra»?
La contraddizione è resa ancor più grave dal fatto che, mentre, come afferma Evola, i “Savi di Sion” riconoscono l’assoluta falsità di tutte le ideologie sovvertitrici – liberalismo, individualismo, egualitarismo, illuminismo antireligioso – da essi «create e propagate unicamente come strumenti di distruzione» (p.14) e appaiono essi stessi come «uomini, che posseggono una conoscenza trascendente e ridono di ogni mito razionalistico, liberale e umanitario» (p.29), la vera matrice di queste ideologie, la Massoneria, le ha considerate valori positivi da istaurare per sé stessi – come ammette Evola stesso[13] -, non già come semplici strumenti riconosciuti falsi per conseguire finalità ulteriori.
Ma allora, di nuovo, come si conciliano questa «conoscenza trascendente» e l’ideale del “Regnum” con un piano di pura sovversione “satanica”?
Per concludere le nostre osservazioni sulla questione dell’autenticità dei “Protocolli”, Evola dichiara che il risultato del processo di Berna è stato al riguardo negativo:
«all’accusa non è riuscito dimostrare l’autenticità di un documento incriminato; è l’accusa che deve dimostrare la falsità» (p.13).
Quest’argomentazione costituisce una vera e propria inversione dei termini del problema, perché sarà pur vero (dal punto di vista della teoria del plagio esposta da Evola alle pp. 12-13) che al processo di Berna l’accusa non è riuscita a dimostrare la falsità dei “Protocolli”, ma è anche vero che nessun difensore di essi ha mai dimostrato la loro autenticità[14] e, moralmente e giuridicamente, è chi presenta un documento anonimo di accusa che deve dimostrare la sua autenticità, non chi da esso è accusato deve dimostrare la sua falsità.
La questione dell’autenticità dei “Protocolli” è comunque relegata in secondo piano da Evola sulla base di un’argomentazione che si può facilmente ritorcere contro di lui:
«Qui sta precisamente – secondo la giusta osservazione del Guénon – il punto decisivo, che limita la portata della quistione dell’ “autenticità”: nel fatto, che nessuna organizzazione veramente e seriamente segreta, quale si sia la sua natura, lascia dietro di sé dei “documenti” scritti. Solo un procedimento “induttivo” può dunque precisare la portata di “testi”, come i “Protocolli”. Il che significa che il problema della loro “autenticità” è secondario e da sostituirsi con quello, ben più serio ed essenziale, della loro “veridicità”» (p.10).
Ne consegue che, o i “Savi di Sion” non costituiscono una «organizzazione veramente e seriamente segreta», ma allora è possibile e doveroso pretendere che,
«per affrontare i problemi scaturenti dai “Protocolli” in ordine al problema ebraico, qualcuno cominci col “produrre” le carte di identità debitamente autenticate dei “Savi”» (p.20),
pretesa che Evola considera assurda «nei riguardi di una organizzazione, per ipotesi, occulta» (p.20); oppure, come sostiene Evola, essi costituiscono una «organizzazione veramente e seriamente segreta» che non lascia dietro di sé dei “documenti scritti”, ma allora i “Protocolli” non sono autentici.
È certamente vero che, se si accetta questo presupposto, la questione dell’autenticità passa in secondo piano rispetto a quella della veridicità, ma soltanto perché da tale presupposto discende la conseguenza necessaria che i “Protocolli” non sono autentici. In definitiva, con questa argomentazione Evola nega l’autenticità dei “Protocolli”, che asserisce poi, contraddittoriamente, nel saggio dell’Appendice.
Indi Evola affronta la questione della veridicità dei “Protocolli”, che formula così:
«Infatti, di rigore, pur ammessa una causalità superiore come retroscena del sovvertimento occidentale, resterebbe sempre da dimostrare, che proprio l’Ebreo ne sia l’unico e vero responsabile. In altre parole, anche ammessa la possibile esistenza di “Savi”, si tratta di vedere se essi siano proprio “Savi di Sion”: tanto da allontanare il sospetto di una tendenziosa interpretazione, cercante un’ “alibi” per incolpare l’Ebreo di ogni sovvertimento e quindi per giustificare una campagna antisemita estremistica (p. 20).
Dopo aver precisato che, per la loro opera di sovversione,
«gli Ebrei hanno trovato un terreno già minato da processi di decomposizione e di involuzione, le cui origini risalgono a tempi assai remoti e che si legano ad una catena assai complessa di cause» (p.22),
e che
«i “Savi Anziani” costituiscono invero un mistero assai più profondo di quanto lo possano supporre la gran parte degli antisemiti» (p.22),
Evola dimostra l’assunto iniziale, che i fatti provano la veridicità dei “Protocolli”, con una sommaria descrizione dell’attività sovvertitrice degli Ebrei (pp. 23-24 e 27-28).
Tale attività, limitatamente al campo culturale, non è però considerata da Evola non solo come l’attuazione di un piano strategico, ma neppure come frutto di una intenzionalità individuale:
«Nel riguardo del quale non vogliamo pensare ad un vero e proprio piano, anzi nemmeno ad una precisa intenzione da parte dei singoli autori: è la “razza”, è un istinto che, qui, agisce: come è della natura del fuoco il bruciare» (p. 29).
Ma questa interpretazione, da Evola arbitrariamente limitata al campo culturale, si può legittimamente estendere anche a quello politico proprio in virtù della concezione evoliana della Legge come “razza dell’anima” ebraica:
«Non si creda, poi, che queste siano delle riesumazioni retrospettive e che la Legge sia un mito religioso sepolto in un lontano e “superato” passato. Ebrei fedeli alla loro tradizione ve ne sono più di quanto si supponga e si lasci supporre. Ma si deve riconoscere che non è con essi che si esaurisce l’azione dell’Ebraismo: l’azione di una Legge, osservata ininterrottamente per secoli, non si dissipa dall’oggi al domani, ma, in una forma o nell’altra, essa si manifesta ovunque la sostanza ebraica si trovi. E da quel che si è detto poco sopra circa l’essenza della Legge, la quale fa considerare come ingiusto e violento ogni ordinamento che non abbia al suo vertice il “popolo eletto”, è fatale che l’Ebreo sia portato, coscientemente o meno, ad ogni agitazione, ad ogni sovvertimento, ad un lavoro incessante di corrosione. Ciò si è verificato attualmente e ciò si verificherà sempre» (pp.26-27, corsivo nostro).
È dunque perfettamente lecito considerare, con Bernard Lazare, lo “spirito rivoluzionario” dell’ebraismo come una specie di eredità psichica derivante dalla tradizione ebraica[15] e operante subconsciamente «come è della natura del fuoco il bruciare», non già come l’attuazione di un piano strategico. Ciò significa che il fatto dell’attività rivoluzionaria ebraica[16] non dimostra necessariamente l’esistenza di un piano, né, conseguentemente, la veridicità dei “Protocolli”.
Questa interpretazione è sostanzialmente ammessa nei “Dieci punti fondamentali del problema ebraico”, nel cui punto 2 si legge:
«Esiste ed opera una Internazionale Ebraica. Per riconoscere l’esistenza di questa Internazionale non è necessario ammettere che tutti gli Ebrei siano diretti da una vera e propria organizzazione mondiale e che tutta la loro azione obbedisca, consapevolmente, ad un piano. Il collegamento esiste in gran parte già in funzione di “essenza” e di istinto»[17].
Un’ultima osservazione. Secondo l’ipotesi più nota, messa in circolazione dal Nilus nel 1917, i “Protocolli” sarebbero
«un piano strategico per conquistare il mondo e metterlo sotto il giogo di Israele, la lotta contro Dio, un piano elaborato dai dirigenti del popolo ebraico durante i molti secoli della dispersione, e alla fine presentato al Consiglio degli Anziani dal “Principe dell’Esilio”, Theodor Herzl, all’epoca del primo congresso sionista, convocato da lui a Basilea nell’agosto 1897»[18].
I “Protocolli” sarebbero dunque stati presentati al primo congresso sionista, che fissò il seguente programma:
«Il Sionismo aspira alla creazione di una sede nazionale garantita dal diritto pubblico per il popolo ebraico in Palestina»[19].
Il sionismo, dal punto di vista messianico, aveva un’importanza fondamentale, perché, come dice Elia S. Artom, la funzione di Israele di preparare l’avvento della «malkhuth shamajim» (regno celeste), cioè dell’era messianica,
«può essere adempiuta da Israele solo se esso vive come popolo libero e indipendente nella terra che il Signore gli ha data»[20],
cioè in Palestina. Ora, nei “Protocolli”, la cui «corrispondenza con le idee-madre dell’Ebraismo tradizionale e moderno» sarebbe incontestabile, non appare il minimo accenno al sionismo, cioè al presupposto fondamentale dell’era messianica, all’istaurazione della quale tenderebbero, come finalità ultima, i “Savi di Sion”.
Ciò significa che i “Protocolli”, la cui autenticità non è mai stata dimostrata, la cui veridicità è indimostrabile e la cui utilizzazione come “ipotesi di lavoro” è superflua, sono stati redatti da un non Ebreo neppure eccessivamente esperto di cose ebraiche.
[1] Evola e l’autenticità deiProtocolli“, in: “Orion”, n. 39, dicembre 1987, pp. 94-96. Al riguardo vedi anche Sionismo eProtocolli” e I Protocolli dei Savi di Sion, in: “Orion”, n. 46, luglio 1988, pp. 410-419.
[2] L’Internazionale Ebraica. IProtocollideiSavi Anzianidi Sion. Supplemento de “La Vita Italiana”, Roma 1938-XVI, pp. 9-32. [L’Introduzione di Evola appare nella riedizione dei “Protocolli” del 1971 (pp. 5-37) e del 1976 (pp. 47-63) a cura delle Edizioni di Ar]. Ci riferiamo a questa edizione indicando soltanto il numero della pagina.
[3] Idem, pp. 230-244.
[4] Vedi nota 1.
[5] Vedi al riguardo I fondamenti teologici dell’imperialismo ebraico, “Orion”, n, 25, ottobre 1986, pp. 16-17.
[6] «Nell’ “unto del Signore” o “redentore” che era la figura centrale del messianismo, i caratteri sociali e i caratteri religiosi apparivano in una netta interdipendenza. Più di un vigoroso sovrano imperialista del potente Egitto o della potente Babilonia, sperò egli stesso – e fu spesso nutrito di queste speranze da cortigiani ossequiosi – di estendere le frontiere del suo regno fino ai confini del mondo conosciuto e di restaurare così l’età dell’oro. Israele non poteva sognare una conquista mondiale in questi secoli di declino. Spettava a Dio stesso compiere quest’impresa in un modo al di sopra delle possibilità umane. Ma l’esperienza aveva mostrato che Dio compiva dei miracoli soltanto per mezzo di uomini come, ad esempio, Mosè o Elia. Il nuovo miracolo avrebbe dovuto parimenti essere compiuto per mezzo di un solo uomo» (S.W. Baron, Histoire d’Israël. Quadrige/PUF, Paris 1986, t.I, p. 132).
[7] A. Cohen, Il Talmud. Bari 1935, p. 420. J. Bonsirven, Textes rabbiniques des deux premiers siècles chrétiens pour servir à l’intelligence du Nouveau Testament. Pontificio Istituto Biblico, Roma 1955, p. 747 e luoghi ivi indicati.
[8] “Arthos” (J. Evola), Studi suiProtocolliebraici. Trasformazioni delRegnum”, in: “La Vita Italiana”, novembre 1937, pp. 535-544. La citazione si riferisce alle pp. 535-536.
[9] Idem, p. 536.
[10] Idem, pp. 538-539.
[11] Idem, p. 537.
[12] Idem, p. 542.
[13] «In questa sua forma e in tutte le sue espressioni pratiche la massoneria è stata in una intima connessione con l’illuminismo, l’enciclopedismo, il razionalismo e, in genere, con tutto quel fermento ideologico, che fu l’immediato antecedente della rivoluzione francese. E che l’azione pratica e politica della massoneria dei tempi successivi e fino ad oggi sia restata strettamente fedele ad una tale ideologia, è cosa che nessuno può seriamente contestare, poiché vi sarebbe solo l’imbarazzo della scelta per addurre, in proposito, quante e più e più esplicite dichiarazioni si vogliano da parte degli esponenti più autorizzati e ufficiali della massoneria. Gli “immortali princìpi” restano essenzialmente il credo massonico» (J. Evola, Dall’esoterismo al sovversivismo massonico, in: Scritti sulla massoneria. Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1984, p. 36).
[14] Lo stesso Theodor Fritsch, nell’introduzione alla sua edizione dei “Protocolli” del 1936, confessa: «Riguardo all’origine dei “Protocolli” dipendiamo ancora oggi da supposizioni» (Los Protocolos de Sion, Ediciones BAU, Barcelona, s.d., p. 15).
[15] Bernard Lazare, L’antisémitisme son histoire et ses causes. Edition Jean Crès, Paris 1934. Vedi in particolare il capitolo XII del tomo II. Lazare spiega che la Legge divenne «il legame d’Israele»; i suoi riti «forgiarono il cervello dell’Ebreo, e dappertutto, in tutti i paesi, lo forgiarono nello stesso modo»; essa «creò dei tipi; un tipo morale e persino un tipo fisico»; infine, l’Ebreo «è come lo hanno fatto la Legge e il Talmud» (idem, pp. 121-123).
[16] Idem, cap. XIII.
[17] I Protocolli deiSavi di Sion”, op. cit., p. 227.
[18] Norman Cohn, Licenza per un genocidio. IProtocolli degli Anziani di Sion”: storia di un falso. Einaudi, Torino 1969, p. 44.
[19] S. Grayzel, Storia degli Ebrei, Roma 1964, p. 598.
[20] Elia S. Artom, La vita di Israele. Firenze 1975, p. 2.

Nessun commento: