Il 15 novembre 1833, a Ruvo di Puglia, venne rinvenuta una tomba
dell’Età Minoica con un affresco illustrante il mito di Teseo, legato
cioè al mistero della morte e della rinascita. L’affresco venne
ritagliato dalla parete della tomba e inviato in dono al re di Napoli.
La raffinata pittura mostra una treno di fanciulle che eseguono una
danza corale, formando una catena, le braccia incrociate, porgendo la
destra alla compagna che sta dietro e la sinistra a quella posta davanti, animando una coreografia circolare evocante il mito orfico delle continue rinascite..
Plutarco scrive del mito di Teseo e fa riferimento proprio al significato della performance coreutica delle fanciulle: «Nel viaggio di ritorno da Creta, Teseo si fermò a Delo. Dopo aver sacrificato al dioe offerto come dono votivo l’immagine di Afrodite che aveva ricevuto da Arianna, eseguì, insieme a delle ragazze [tenute prigioniere dal Minotauro e che lui aveva liberato], una danza che dicono sia ancora in uso presso quelli di Delo e che riproduce i giri, i passaggi del Labirinto: una danza consistente in contorsioni ritmiche e movimenti circolari. Gli antichi la chiamarono “danza della gru” giustificando spesso la denominazione con la disposizione dei ballerini in fila lineare, come fanno gli uccelli migratori».
È, secondo gli studiosi, in allegoria pittorica, la “danza di gioia”, della liberazione delle anime dalla prigione della materia caduca, in volo verso l’Elisio dell’eternità senza dolore né morte. I festoni di melagrane, il panneggio ondulante delle vesti delle danzatrici, riportano la vittoria sull’oltretomba del fluire inarrestabile della vita, esplodente in colori e ritmo irrefrenabile.
L’affresco è attualmente al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Plutarco scrive del mito di Teseo e fa riferimento proprio al significato della performance coreutica delle fanciulle: «Nel viaggio di ritorno da Creta, Teseo si fermò a Delo. Dopo aver sacrificato al dioe offerto come dono votivo l’immagine di Afrodite che aveva ricevuto da Arianna, eseguì, insieme a delle ragazze [tenute prigioniere dal Minotauro e che lui aveva liberato], una danza che dicono sia ancora in uso presso quelli di Delo e che riproduce i giri, i passaggi del Labirinto: una danza consistente in contorsioni ritmiche e movimenti circolari. Gli antichi la chiamarono “danza della gru” giustificando spesso la denominazione con la disposizione dei ballerini in fila lineare, come fanno gli uccelli migratori».
È, secondo gli studiosi, in allegoria pittorica, la “danza di gioia”, della liberazione delle anime dalla prigione della materia caduca, in volo verso l’Elisio dell’eternità senza dolore né morte. I festoni di melagrane, il panneggio ondulante delle vesti delle danzatrici, riportano la vittoria sull’oltretomba del fluire inarrestabile della vita, esplodente in colori e ritmo irrefrenabile.
L’affresco è attualmente al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
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